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Autore: hey_youngblood    18/05/2019    3 recensioni
[Nephilim!AU]
2182. Gli umani sono segretamente in guerra con una specie da loro considerata superiore , i Nephilim.
Yuuri. Apprendista in una struttura che detiene queste creature, finirà per disertare le idee del padre e stringere un legame con uno di loro, Victor.
Otabek e Yuri fanno parte di un gruppo terroristico che mira a distruggere tutte le strutture in cui vengono rinchiusi tutti quella della loro specie. Durante una missione verranno catturati e imprigionati con gli altri nella sede principale dell'azienda che compie queste oscenità.
Dal testo:
“Sei la prima persona che prova bellezza osservandomi, da quando sono rinchiuso qui dentro.” Quelle parole uscirono in un sussurro dalle labbra che aveva sfiorato un momento prima. Yuuri lasciò la presa sul suo viso e scattò indietro d’istinto. Victor, ormai sveglio, lo osservava con occhi socchiusi, mentre sentiva la sonnolenza causata dal sedativo cercare di riportarlo nel sonno. “Ti prego, non avere paura di me.”
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Nono
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Phichit doveva seriamente aver perso la testa. Non solo il suo piano era ridicolo e potenzialmente pericoloso, anzi, estremamente pericoloso, ma riusciva persino ad essere con alta probabilità fallimentare. L’amico rischiava di farsi terribilmente male, se non addirittura perdere la vita, per qualcosa che non avrebbe mai potuto andare a segno.

“Ho un piano per liberare gli Aviani dalla struttura” gli aveva detto. Per poco non rischiò di uccidersi col poco cibo che aveva messo in bocca nell’udire quell’affermazione in modo così improvviso. Allungò una mano sul basso tavolino per afferrare il bicchiere e portarselo alla bocca. Appena inghiottì un po’ d’acqua si sentì meglio, e poté concentrarsi su ciò che Phichit gli aveva detto.

Yuuri si trovava ora nella cella dell’aviano numero 2, Otabek Altin. Si teneva a distanza mentre, con estrema lentezza, cercava di concentrarsi nella preparazione del liquido da iniettargli nelle vene. Rifletteva sulla quantità di sedativo da dover aggiungere quella volta, cercando di ricordarsi che percentuale gli fosse stata somministrata da Phichit la volta prima. Sospirò frustrato, quando non riuscì a riportarlo alla mente con certezza. Eppure gliel’aveva detto, ma con tutto ciò che si ritrovava a pensare, non riusciva a mettere a fuoco quella precisa informazione.

“Te l’ho detto, potrebbe essere un ottimo piano, se va tutto nel modo giusto.” Ripeté Phichit infastidito, dopo che Yuuri gli aveva chiesto più e più volte se ci aveva pensato bene, se potesse realmente funzionare, se gli avrebbe tratto salva la vita – e non si era riferito solamente a loro due, ma era stato spinto inconsciamente a pensare anche alla salute degli aviani stessi, e soprattutto di uno di loro.
“Stai ipotizzando che ci siano troppe variabili che possono rovinare tutto?”

“Potresti essere un po’ più delicato?” sbottò l’aviano semi-cosciente a cui aveva appena infilato l’ago nella carne. Yuuri tornò con i piedi per terra, rendendosi conto solo in quel momento di essere stato fin troppo affrettato con l’utensile. Mormorò delle scuse, mentre riprendeva da dove aveva lasciato. Fissò i propri occhi sulla siringa che teneva tra le mani, e spinse lentamente lo stantuffo, osservando il liquido al suo interno diminuire, perdersi nel sistema sanguigno del moro.

“Potresti darmi un minimo di fiducia?” replicò il moro, visibilmente irritato. Capiva la preoccupazione di Yuuri, anche perché c’erano molte vite di mezzo, oltre alle loro, e capiva la sua paura che qualcosa potesse andare storto. Tuttavia, erano coscienti entrambi che il piano non sarebbe stato semplice, d’altra parte si trattava di scontrarsi contro una delle associazioni più segrete e potenti del pianeta, e fare tutto di nascosto.
Se avesse potuto, Phichit si sarebbe già ribellato da un pezzo, liberando quelle persone dalla prigione nella quale le tenevano rinchiuse, distruggendo i macchinari, probabilmente uccidendo persino coloro che potevano essere in grado, nel caso, di ripristinare tutto; ma aveva coscienza e almeno un po’ d’amor proprio, perciò sapeva che la questione si sarebbe risolta facilmente. Ma Yuuri non era come lui, e ne era consapevole.

Otabek osservò quell’apprendista fargli l’iniezione con la testa per aria e non sapeva se esserne incuriosito o infastidito, anche per il fatto che ne stava andando della sua vita, perciò avrebbe dovuto essere particolarmente attento, se non voleva perdere una cavia da laboratorio. Eppure eccolo davanti a lui che pensava ai fatti suoi. Puntò il proprio sguardo sul suo viso, cercando di carpirne qualche informazione. Stavolta non sembrava intenzionato a rivelargli i suoi pensieri, perciò non poteva agire in altro modo.
Quell’apprendista gli sembrava turbato, perso nei meandri di qualche pensiero più grande di lui, da cui non riusciva a trovare l’uscita. Passarono alcuni minuti in silenzio, così, senza che quel ragazzo se ne accorgesse. Gli slegò l’elastico che gli aveva legato all’avambraccio superiore e si allontanò per tornare al carrello dove teneva tutto l’occorrente che gli serviva al suo compito. Otabek sospirò.
“Ho sentito.” Sentenziò nella sua mente, cercando di far arrivare il messaggio a quella dell’unica altra anima presente nella stanza. Ebbe la conferma del suo successo, quando vide il moro far cadere malamente, preso dallo spavento, la siringa sul piano in metallo.

Yuuri non era come lui, aveva bisogno di rassicurazioni e non riusciva a vivere nella menzogna, perciò non poteva che stringergli il cuore la consapevolezza d’averlo dovuto mettere in mezzo in quella situazione, senza tralasciare il fatto, poi, che per lui non era solo una questione d’etica, ma che stava andando contro proprio alla sua stessa famiglia. Non doveva essere facile per lui.
“Tutto ciò che dovrai fare tu è continuare la tua solita routine quotidiana.” Tentò di rassicurarlo. “Diminuire il sedativo, fare i dosaggi quando sono necessari, andare a lavoro ed interagire con Vasilyev e gli altri come hai sempre fatto. Al resto ci penso io.”
“E quale sarebbe il resto?”

“Ho sentito ciò che hai pensato l’ultima volta.” Ripeté Otabek, facendo luce sulla situazione. Vide l’apprendista rilassarsi leggermente, rimanendo però nella sua postura tirata. Gli dava le spalle e a testa china osservava il carrello su cui era poggiato.
Yuuri era sorpreso. Non si era reso minimamente conto che l’aviano fosse cosciente, la quella volta che gli aveva fatto l’iniezione insieme a Vasilyev. Si ricordava perfettamente cosa aveva pensato, cosa aveva estremamente voluto far sapere all’altro, mentre gli infilzava la carne del braccio con la dose di sedativo. Mi dispiace.
“Ci credi davvero?” sentì la voce dell’altro nella sua mente. Deglutì mentre cercava di tenere occupate le mani, in modo da non far insospettire nessuno, sia di quelli che passavano oltre il vetro, sia di coloro che ne osservavano i movimenti dalle telecamere poste ad ogni angolo. Quel pensiero lo fece finire in uno stato d’ansia, seppur non si rendesse totalmente conto del motivo.
“Credi davvero in ciò che hai pensato?” ripeté ancora la voce nella sua testa, stavolta con tono più insistente, evidentemente spazientito nel non ottenere nessuna sua risposta. Yuuri si affrettò ad annuire, scuotendo il capo leggermente, per poi apprestarsi a riordinare gli utensili e le sostanze presenti sul carrello.

“Mancherò da lavoro per un po’, alcuni giorni. Non dovrei far insospettire nessuno.” Lo avvisò e Yuuri gli domandò con lo sguardo le sue intenzioni, mostrate all’altro attraverso un velo di preoccupazione. Phichit gli rispose che non avrebbe dovuto stare in allerta, che non rischiava nessun pericolo. Era cosciente di mentire, ma gli sembrava la soluzione migliore.
L’altro gli intimò di continuare con un gesto delle bacchette, con cui poi raccolse un altro boccone di cibo per portarselo alla bocca. Seppur si sentisse ancora lo stomaco sotto sopra, quell’assaggio di cibo che aveva inghiottito gli aveva fatto venire fame, perciò si ritrovò a mangiare quel pollo come se fosse l’ultima cosa concessagli prima di morire.
“Cercherò dei gruppi di Aviani, gli chiederò di aiutarmi.” Affermò. Sapeva quanto sembrasse insensato ciò che stava dicendo, ma nei fatti la situazione era quella: da soli non sarebbero andati da nessuna parte. Con quell’unica verità a riecheggiargli nella mente aveva cercato metodi alternativi per risolvere la questione, per poi ritrovarsi con la consapevolezza che gli unici alleati che poteva trovare – quelli più probabili, s’intende – erano proprio coloro che gli umani li detestavano a morte, e per buoni motivi.

Otabek era ancora sospettoso ma, ora che poteva osservare realmente quel ragazzo, vedendolo in quello stato, decise di dargli fiducia. Era palese a chiunque lo guardasse che non era una persona che avrebbe fatto del male agli altri, e la sua espressione turbata e persa gli faceva capire che doveva essere anche parecchio sensibile, se non riusciva a mantenere un comportamento professionale a causa di chissà che cosa.
“Ti credo” pronunciò lentamente. Quelle parole riecheggiarono infinite volte nella mente del moro, che diede segno d’averle sentite rilassando leggermente la schiena. Infilò il cappuccio alla siringa, riponendola nella confezione monouso in plastica, in modo da gettarla una volta uscito da lì.
“Che cosa hai intenzione di fare?” gli venne ancora chiesto. Una domanda che Yuuri aveva rifiutato categoricamente di porsi riguardo parecchie cose che erano accadute nella sua vita ultimamente. Al momento, cercava solamente di ignorare il più possibile i problemi – o quelli che lui considerava tali – in modo da poter continuare a vivere la sua vita.

“E’ ridicolo!” sbottò Yuuri, si alzò dal divano così velocemente, mosso dalla paura, che sbatté la gamba contro il tavolino, facendolo tremare. Una bottiglietta d’acqua aperta si rovesciò sul pavimento, bagnando il tappeto scuro, ma il moro non se ne curò. “Non ti lascerò rischiare la vita per un piano così ridicolo. Devi aver perso seriamente la testa se pensi che si fideranno di te istintivamente.”
“Non lo penso, infatti.” Borbottò l’altro, afferrando dei tovagliolini di carta con sopra stampato il logo del ristorante dove aveva comprato la cena, per poi sparpagliarli sul pavimento, cercando di limitare il danno. Afferrò la bottiglia e la tappò, poi la ripose sul tavolo. “In ogni caso, il resto non ti serve saperlo.”

“Stiamo avendo contatti con alcuni gruppi di Aviani, del tipo in cui facevi parte anche tu.” Sospirò, accertandosi che i contenitori degli ingredienti per il siero fossero ben chiusi. Si stava rendendo conto d’essere tremendamente lento nello svolgere le proprie mansioni, e percepì il momento in cui avrebbe dovuto chiudere la conversazione sempre più vicino. “Ma non mi è permesso conoscere altro.”
“Fammi sapere come si sviluppa la situazione.” Gli intimò l’altro, e Yuuri si ritrovò ad annuire con la testa. “Ho deciso di fidarmi di te perché sembri un uomo di parola e perché non ho altra scelta, perciò non mi giocare brutti scherzi. Sono consapevole del fatto che state abbassando le dosi dei sedativi nei dosaggi e tu non hai neanche idea della portata dei miei poteri, perciò non sottovalutarmi.”
Yuuri non lo sottovalutava, nei documenti che gli avevano dato aveva letto di alcuni incidenti che erano capitati. Alcuni aviani avevano perso la testa durante la loro prigionia e, in qualche modo, erano riusciti ad utilizzare i propri poteri, quelli collegati alla mente, certo, ma anche gli elementi. I danni subiti erano stati ingenti e vi erano stati anche dei morti, senza considerare che i soggetti non erano neanche alla loro massima potenza. Era terrificante. “Lo so.”

“Non puoi tenermi fuori ed usarmi solo come palo. Ci sono di mezzo più di tutti!” Il viso di Yuuri si colorò di un rosso intenso mentre sentiva la rabbia montargli dentro. Il corpo gli si era irrigidito e la tensione, l’ansia, la paura lo stavano facendo sentire debole.
“Non ti sto tenendo fuori, anzi, lo sto facendo per il tuo bene.” Gli riproverò l’amico con voce calma, ma severa. Non si era mai comportato in quel modo con lui, e Yuuri rimase sorpreso da quel suo tono. La loro relazione si fondava sulla fiducia e sui loro aspetti simili, tra cui la voglia di vivere in pace, perciò avevano sempre cercato di evitare litigi o prese di posizioni che avrebbero potuto dividerli. Ma ora la situazione era cambiata.
“Lascia fare a me, okay?” continuò, dopo aver constatato che Yuuri non avrebbe più battibeccato, seppur sull’espressione dell’amico potesse notare quanto fosse contrario alla cosa. “Ti chiamo nel caso abbia bisogno del tuo aiuto, non preoccuparti.” Lo osservò con sguardo speranzoso mentre aspettava la sua risposta.
Il moro ci rifletté ancora qualche minuto, facendo calare il silenzio nella stanza. Non era convinto, aveva paura che Phichit stesse sopravvalutando i rischi che avrebbe corso e non riusciva ad essere d’accordo con un tale piano suicida. Tuttavia, era tremendamente cosciente di quanto testardo fosse l’amico, e se si metteva in testa qualcosa, non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea facilmente. Sospirò, sentendosi stanco. “Va bene, ma mi devi dire esattamente tutto ciò che succede, va bene?”

Otabek stava iniziando a sentire l’effetto del sedativo. Le palpebre diventarono pesanti e faticava a tenersi sveglio, ogni muscolo del suo corpo si stava rilassando e lentamente stava ricadendo nel sonno. Yuuri, nel non sentirne più la voce nella propria testa, si voltò ad osservarlo, sospirando tristemente. Finì in fretta di rimettere in ordine, poi iniziò a spingere il carrello verso la porta.
“Aspetta!” Quando sentì la sua voce, si immobilizzò sul colpo. Era affannata, come se stesse lottando contro qualcosa. Yuuri strinse le mani sui bordi del piano in metallo, facendo diventare le dita bianche dalla forza che stava impiegando. “Fammi un favore, non farne assolutamente parola a Yuri!”
“Va bene.” Rispose, poi fece passare il proprio badge sul lettore che si trovava vicino alla porta. Spinse il carrello fuori dalla stanza e, senza guardarsi indietro, uscì da lì.
 

 
Ω
 

Phichit quella mattina si era svegliato presto, aveva fatto una telefonata alla PTEA & Co. dicendo di non poter presenziare sul luogo di lavoro perché bloccato a letto dall’influenza – scusa abbastanza credibile dato il continuo mutamento di temperature delle ultime settimane – e si era diretto in macchina verso una di quelle che venivano chiamate comunemente “comunità”. Esse erano gruppi di individui che vivevano in pace tra loro e col mondo, lontano dalla vita caotica delle città. Era comprensibile che molte persone, ad Atlantis e nel mondo, vecchi e giovani, desiderassero vivere una vita diversa, più tranquilla e più legata alla terra, perciò le autorità non si facevano mai troppe domande sulla questione “da che cosa sono composte quelle comunità”. Anche perché ve ne erano di miste, come composte da solamente umani o solamente aviani, ma questa era un’informazione che non circolava sui giornali e tra i piani alti, o vi sarebbero stati presi provvedimenti.
La sera prima aveva fatto un salto al locale Burlesque che si trovava all’angolo della strada, vicino casa sua, sapendo che il proprietario intratteneva rapporti più o meno illegali con la comunità più vicina, la più grande presente sull’isola. Era riuscito a convincerlo a dargli quelle informazioni solamente dopo averlo rassicurato sul fatto che no, non aveva intenzione di denunciare lui o la comunità all’agenzia per cui lavorava e si, avrebbe fatto di tutto pur di saperne la posizione. La conversazione si era chiusa con un sospiro da parte dell’uomo di mezza età, che lo intimava di stare attento e gli ricordava che per quel favore che gli aveva chiesto in cambio si sarebbe fatto sentire al momento opportuno. Phichit era uscito dal suo ufficio e poi dal locale con un sorriso a trentadue denti, non potendo minimamente sapere in cosa s’era andato a cacciare, nonostante tutte le volte che la gente gli aveva ripetuto la pericolosità della sua idea.
Aveva guidato fin fuori dalla capitale, osservando il diradarsi degli edifici a cui era abituato e l’accentuarsi degli alberi e della natura incontaminata. Il tragitto era durato poche ore e Phichit ringraziò il navigatore di averlo portato a destinazione sano e salvo. Non di rado quel coso gli aveva dato di matto o lo aveva fatto entrare in strade a sfondo chiuso; per non parlare poi di quando non riconosceva le strade e gli consigliava di fare inversione ad U in strade provinciali a due corsie separate dallo spartitraffico. Un gioiellino, insomma.
Il proprietario del locale lo aveva informato che si sarebbe trovato di fronte ad un edificio abbandonato, riutilizzato abusivamente da un gruppo di Aviani che si occupava di fare da tramite tra il mondo esterno e la comunità vera e propria, consentendo a questa d’avere determinati servizi a prezzi estremamente ridotti o come frutto di un baratto. Phichit osservò l’edificio davanti a cui aveva parcheggiato la macchina con sguardo apprensivo: sembrava completamente disabitato, come se nessuno vi avesse messo piede da anni, ma la verità era un’altra e lui doveva entrarci.
Fece un sospiro per poi sorpassare una porta in metallo, leggermente arrugginita, che gli sembrava dovesse portare verso l’interno della parte principale dell’edificio. Aveva paura, il cuore gli batteva a mille mentre sorpassava le ante e veniva inglobato dal buio.
“C’è nessuno?” chiamò, sperando in una risposta. La temperatura all’interno calava drasticamente, in quanto il calore del sole non riusciva a penetrarci. Ovviamente non ottenne risposta, perciò si strinse nella felpa leggera che aveva indossato e camminò a tentoni, con l’ausilio della sola luce del telefono ad illuminargli la strada. Fece alcuni passi sul pavimento chiaro, quando davanti a sé trovò la strada occupata.
Aveva camminato a testa bassa, per non rischiare di inciampare in probabili ostacoli sul suo cammino, perciò la prima cosa che vide furono le scarpe: un paio di scarpe eleganti in pelle nera, di quelle che vengono indossate dagli impiegati ai piani alti. Si immobilizzò sul posto, piantando le punte dei piedi per terra, cercando di non finire contro il corpo che aveva davanti. Il cuore rischiava di uscirgli dal petto dalla paura: solamente in quel momento si era fermato a pensare che, forse, era caduta in una trappola. Che il proprietario, pieno di sospetti, avrebbe potuto dargli un indirizzo sbagliato, magari quello di un edificio realmente abbandonato, per poi denunciarlo alle autorità. Dio, era stato uno stupido a credergli in quel modo, senza neanche farsi delle domande.
Mosse il polso lentamente, risalendo la figura che, in silenzio, gli sostava davanti. La luce illuminò prima i jeans scuri, leggermente usurati, poi si fermò sulla cintura nera all’altezza dei fianchi, per poi rivelare una maglietta grigia leggermente aderente che copriva un addome muscoloso. Una catena che ciondolava dal collo rifletté nella sua direzione, quando venne illuminata dalla torcia del telefono, poi quel viso. Un viso così familiare che quasi non fece cadere il telefono dalla sorpresa.
La carnagione olivastra della pelle, tesa in un atteggiamento difensivo, gli occhi castani che lo scrutavano quasi divertiti, ma anche tremendamente severi, i capelli corvini che gli ricadevano sulle spalle. Lo osservava in silenzio, con le labbra serrate in una smorfia divertita. Quell’espressione stonava con i lineamenti che gli erano tremendamente conosciuti, dato che li aveva osservati ogni giorno dall’altra parte del vetro della cella della PTEA & Co. Non ci poteva credere, era proprio…
“Che c’è, ti sei perso, bambolino?”
Fece un cenno della testa nella sua direzione, puntando gli occhi leggermente al di sopra delle spalle di Phichit. Questo era così sconvolto che non riusciva ad emettere un suono, e si ritrovava immobile in mezzo al buio, fissando il ragazzo di fronte a sé con un’espressione imbambolata e spaventato a morte. La mente non era ancora riuscita a riprendersi, quando sentì qualcosa colpirgli la nuca. Un dolore allucinante lo pervase dal collo in su, facendogli perdere i sensi e cadere sulle mattonelle fredde del pavimento.




 
Chiedo venia per aver aggiornato solo adesso, nonostante avessi i 2/3 del capitolo già pronti lunedì. E' un periodo un po' strano per me, devo prendere alcune decisioni importanti e prepararmi per la sessione estiva e per l'esame della patente e sono stanchissima. Fermamente convinta di essere carente in vitamina B, cercherò nei prossimi giorni di rimettermi in sesto, in ogni caso non vedo l'ora di poter andare al mare e lasciarmi gli esami alle spalle, non ne posso davvero più. 
In mia difesa, volevo pubblicare ieri nel primo pomeriggio, ma puntualmente - e dico proprio PUNTUALMENTE - perché fino a dieci minuti prima funzionava - la wi-fi ha avuto dei problemi e sono stata senza internet fino a sera. 
Passando al capitolo, finalmente Phichit diventa un personaggio importante della storia, anche se non proprio per ragioni pacifiche. Ci sono delucidazioni sulla conversazione tra lui e Yuuri, mentre la storia riprende, finalmente, una dimensione più dinamica. Da ora in poi sarà un susseguirsi di azioni fino alla fine, perciò preparatevi ahahah.
A proposito di questo, vi informo che la storia non durerà ancora a lungo, magari altri 3-4-5 capitoli, ma non credo molto di più, in ogni caso, potrei avere una o due sorpresine per voi. 
Fatemi sapere che ci siete ancora, lasciando recensioni, anche piccole (per arrivare a una trentina di parole ci vuole realmente poco) ed inserite la storia tra le preferite/seguite, così che io possa vedere chi ancora legge ed è interessato.
E niente... oggi niente pubblicità perché il computer bisticcia con sé stesso e ci mette la vita a caricarmi le pagine, in ogni caso potete trovare i link nei capitoli precedenti o le altre storie passando dal mio profilo, perciò non preoccupatevi.
Ultima cosa, in questi giorni mi sono finalmente decisa a vedere la serie di Takumi-kun (film) e l'ho divorata e amata alla pazzia, e ho qualche idea magari sulla coppia Arata-Shingyoji, perciò fatemi sapere se, nel caso, mi seguireste anche lì oppure no. Nessun problema se non siete interessate, è solo per sapere dato che sul sito non vi è neanche una sezione dedicata; male male mi butto su altri progetti (due dei quali ve li rivelerò nelle note dei prossimi capitoli, perciò stay tuned).
Un bacio,

Carlotta
  
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