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Autore: Ellery    22/05/2019    1 recensioni
Bucky batté le palpebre, osservando il cielo azzurro d’inizio estate, solcato da qualche nube e da stormi di rondini di passaggio. Il sole aveva da poco iniziato il declino verso l’orizzonte. Sollevò la mancina, stendendola davanti a sé ed osservando i graffi che dal dorso scendevano verso il gomito. Non aveva bisogno di alzare anche l’atra mano, per conoscerne le medesime condizioni. [...]
Una testa bionda invase il suo campo visivo. Il volto tumefatto mostrava del sincero dispiacere e preoccupazione. C’era una sfumatura verde nello sguardo azzurro, ormai contornato dal violaceo dei lividi che andavano rapidamente spuntando.
«Come stai?» gli chiese lo sconosciuto.
«Ho passato momenti migliori.» si sforzò di sorridere, ma ottenne solo di far sanguinare nuovamente e labbra spaccate.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Steve Rogers
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.


Raggiunse il giardinetto pubblico, locato quasi dirimpetto alla sua palazzina. Non doveva fare altro che attraversare la strada e superare una bassa recinzione in legno, dove alcuni cartelli invitavano ad essere educati e raccogliere le deiezioni dei propri animali domestici.
Steve era accomodato sotto il solito albero. In grembo teneva un cestino di vimini, dipinto di un acceso color rosso. Sam, accucciato ai suoi piedi, continuava a frustare l’aria calda con la coda arcuata.

Bucky si avvicinò, accovacciandosi a terra ed incrociando le gambe sotto di sé. Tese una piccola scatola di cartone, chiusa da un sottile nastro di raso giallo.

«Per te.» disse soltanto.

«Per cosa?»

«Non è il tuo compleanno?» chiese, lasciando che l’altro si appropriasse del regalo e svolgesse il fiocco «Quattro luglio, no? Così mi ha detto tua mamma. Sei fortunato! Solitamente, ho una pessima memoria per le date, ma questa…è piuttosto facile: festa dell’Indipendenza Americana e compleanno di Steve Rogers.»

Lo osservò accantonare la scatola e sfilare il dono. Si trattava di un blocco da disegno: la copertina rigida era rilegata con morbido cuoio. Degli anelli metallici fermavano i fogli bianchi e, per finire, sul fondo del pacchetto vi erano anche una matita ed una gomma.

«Ti piace?»

Era una domanda superflua: Steve stringeva il nuovo quaderno al petto, cullandolo come fosse la cosa più preziosa al mondo. Il bagliore felice nelle iridi era impossibile da celare, così come il sorriso soddisfatto.

«Molto.» fu la conferma, mentre appoggiava tra loro il cestino rosso di vimini, colmo di biscotti.

Bucky si affrettò a prendere un frollino alla marmellata, spezzandolo sotto i denti.
«Allora…» attaccò, spazzolando le briciole cadute sulla maglietta «Quale sarà il tuo primo disegno? ¬»

Un istante dopo, però, si vide ripassare il taccuino. Lo fissò confuso, la fronte contratta e le labbra strette in una smorfia incerta:
«Non lo vuoi più?» domandò, ma l’altro scosse il capo.

«Il primo disegno sarà tuo.»

Bucky lo fissò come se avesse detto un’eresia. Suo? Nemmeno per idea! Non esagerava quando aveva ammesso di non saper nemmeno come tenere in mano una matita. Concepire qualcosa che andasse al di là di un semplice omino stilizzato era al di fuori della sua portata.
«Non credo d’esserne in grado.» sussurrò, mentre il biondo gli cacciava anche la matita in mano «Che dovrei disegnare?»

«Qualcosa di semplice, tipo… me.»

Soffiò una risata. Quello era tutto matto! Non sarebbe riuscito a riprodurre nemmeno una margherita rinsecchita, figurarsi una persona. Non che Steve Rogers non fosse rinsecchito, ma… aveva degli occhi e dei capelli al posto dei petali e braccia invece di foglie; ciò rendeva il tutto molto complicato.

«Molto divertente, Steve. Davvero, cosa vuoi che faccia?»

«Ero serio.»

«Figuriamoci.» tentò inutilmente di rendere il blocco «Non ci riuscirò mai.»

«Oh, andiamo. Non vuoi neppure fare un tentativo? Non ti ho mai visto disegnare.»

«E non mi vedrai nemmeno oggi.»

«Suvvia… è il mio compleanno! Trovo che sarebbe un bellissimo regalo da parte tua esaudire questo piccolo desiderio.»

Si accigliò nuovamente. Stava usando la scusa del compleanno per costringerlo? Evidentemente sì. Sbuffò, facendo per poggiare la mina alla carta:
«Ti odio.» ringhiò, mentre muoveva la punta in circolo, sforzandosi di tracciare un ovale.

Passò all’interno, vergando due righe sottili al posto delle sopracciglia. Tentò di dare loro uno spessore sfumandone i contorni; ottenne solo un effetto ad aghi di pino, piuttosto grottesco. Il naso divenne una semplice retta con due piccoli buchi neri all’estremità. Gli occhi vennero tracciati come fossero due mandorle ripiene di una serie di cerchi concentrici. Si rifiutò di disegnare la bocca, passando direttamente ai capelli che si delinearono come una massa informe e sin troppo grigia.

«Fa schifo.» disse poco dopo, restituendo il blocco «Non riesco a disegnare né le labbra, né le orecchie.»

In effetti, quello schizzo assomigliava più alla caricatura di un orco che al volto del suo amico, il quale però non se la prese poi troppo. Lasciò a Steve l’onere di riappropriarsi del notes e della matita, accontentandosi di tornare a sgranocchiare i biscotti. Quelli sì che erano un buon premio di consolazione! Qualcosa di sufficientemente morbido e zuccherino da lenire l’amor proprio ferito a colpi di matita. Spiò il fare dell’altro, senza interromperlo: la mina ora si muoveva sicura sulla carta, sibilando dolcemente. La mano la impugnava con sicurezza e delicatezza al tempo stesso, senza permetterle di sbavare o di spezzarsi. Le sfumature venivano accompagnate da una leggera pressione delle dita, mentre lo sguardo chiaro, a tratti, saliva al suo viso; coglieva qualche spunto e poi si riabbassava al blocco.

Evitò di interromperlo, continuando a mangiare i biscotti. A tratti ne lanciava a Sam, permettendo anche al cagnolino di godere di quelle piccole delizie. Gli occhi chiari squadravano ora il parco, dove nessun altro aveva osato mettere piede per la calura, ora l’amico che sembrava completamente immerso nel suo mondo. In quei momenti, era come se Steve Rogers mutasse inspiegabilmente: le insicurezze venivano allontanate, cancellate con un colpo di gomma; il cammino, invece, veniva tracciato dal colore argentato di una matita, che si muoveva rapida e sicura. Il viso, solitamente crucciato, assumeva delle sfumature calde e morbide, colme d’orgoglio e di soddisfazione per le proprie opere.

«Come procede, Michelangelo?» lo canzonò appena, ricevendo in cambio un gesto stizzito. Sollevò le mani, in un gesto arrendevole «Scusa.» mormorò, tornando a mangiare i biscotti.

Non dovette comunque attendere molto. Dopo poco, Steve voltò finalmente il blocco e lui si ritrovò a fissare lo schizzo di un ragazzo che gli assomigliava veramente molto, con le guance gonfie di biscotti e le dita intente ad indugiare su un vicino cestino di vimini. Ciondolò il capo:
«Non riuscirei a riprodurre una cosa simile nemmeno tra cento anni. Hai un vero talento.»

«è solo questione di pratica, Buck. Il talento non esiste.»

«Non è vero. Io trovo che ci siano alcune persone naturalmente dotate, a dispetto d’altre completamente incapaci.»

«Con la pratica e la costanza, però…»

«Oh, ti sbagli di nuovo. Anche un mulo può galoppare, ma questo non lo renderà certo un cavallo da corsa, non credi? È lo stesso concetto. Io, per esempio... non sono assolutamente in grado di disegnare; forse, con l’aiuto di un insegnante potrei imparare, ma dubito arriverei tanto velocemente al tuo livello. Sei autodidatta, Steve?»

«Sì.»

«Ciò conferma ancor di più la mia teoria. Quello che riesci a fare con un foglio ed una matita è eccezionale. Dovresti coltivarlo, sai? Non hai mai pensato di iscriverti ad una scuola d’arte? Non che a te serva, ma credo potrebbe fornirti sbocchi interessanti.» prese un altro biscotto, prima di tendere il cestino all’altro, lasciandolo libero di servirsi.

«Al momento, non possiamo permettercelo. Chissà, magari un domani le cose cambieranno. Non mi dispiacerebbe diventare un artista famoso!»

«Mh, nel caso…» si appropriò nuovamente del blocco, staccando la prima pagina con estrema attenzione. Spiò il proprio ritratto – era davvero somigliante, accidenti! – prima di indicarlo al compagno «… posso conservarlo? Sai, nel caso diventassi famoso davvero, non mi dispiacerebbe poter dire che ho un tuo disegno.»

Una leggera risata spaziò nell’afa pomeridiana:
«Certo che puoi, è tutto tuo! A tal proposito… a te cosa piacerebbe fare da grande?»

«Non lo so.» scrollò leggermente le spalle, come se la cosa non avesse poi molta importanza «Papà vorrebbe un medico in famiglia, mamma un avvocato, ma… a me non piace molto studiare. Non saprei proprio. Posso dirti cosa non diventerò, se vuoi: un cantante, un ballerino, un pittore, un insegnante di matematica… e neppure addestratore cinofilo, visto che non riesco nemmeno a convincere Sam a riportarmi un bastoncino.»

Risero entrambi di nuovo. C’era qualcosa di estremamente piacevole in quei lunghi pomeriggi passati ad arrostire sotto il bollente sole di luglio. Non avere responsabilità, né compiti da svolgere, né pesi sulle spalle. Non dovevano pensare ad altro che ai disegni, a sognare un futuro lontano e controllare che Sam non scavasse buche per tutto il parco. Era così semplice essere adolescenti.

Si godette quei brevi attimi di silenzio, scivolando sulla schiena e poggiandola tra l’erba secca. Piegò le braccia sotto al capo, incrociando le ginocchia. Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla torbida calura estiva.

Un attimo dopo, una vocina incerta tornò a farsi sentire:
«Bucky?»

«Mh?» bofonchiò in risposta.

«C’è una cosa che non ti ho mai chiesto…»

«Ossia?»

«Perché mi hai salvato, quel giorno?»

«Quale dei tanti giorni in cui ti ho salvato?» sogghignò, mentre un ciottolo arrivava a rimbalzargli su una guancia.

«Lo sai quale. Quando abbiamo trovato Sam.»

Riaprì piano le palpebre, spiando in direzione dell’altro. Steve sedeva con il blocco sulle ginocchia e un’espressione crucciata dipinta sul volto. Era come se stesse riflettendo e si stesse scusando al tempo stesso. Odiava quel modo di fare: per lui era indecifrabile! Faticava a capire cosa l’altro stesse realmente pensando. Era triste? Arrabbiato? Non lo capiva. Era difficile comportarsi di conseguenza.

«Prima di tutto, non ti ho salvato.» specificò, puntellandosi su un gomito per poter sollevare almeno il busto «Le ho prese anche io, ricordi? In ogni caso, stavo studiando quando ho sentito del baccano provenire dalla strada. Mi sono affacciato e ti ho visto. Sono sceso nella speranza di poterti dare una mano, tutto qui…»

«Sì, ma… avresti potuto non farlo, non credi? Ti saresti risparmiato un sacco di botte.»

«Che razza di amico sarei stato, se ti avessi abbandonato?»

«Non eravamo ancora amici, Buck.»

Era vero… in fondo, si erano conosciuti così. Perché lo aveva fatto? Non lo sapeva, non fino in fondo. Semplicemente, aveva scorto una persona in difficoltà e si era fiondato giù dalle scale, nella speranza di poterla aiutare. Come ripeteva spesso sua madre, non poteva aggiustare tutti i torti del mondo… ma a quelli piccoli, quanto meno, poteva cercare di porre rimedio.

«Che razza di futuro amico sarei stato, allora?» ironizzò, prima di grattarsi il mento, quasi sovrappensiero. Quella domanda meritava una risposta migliore di una semplice ironia. Sospirò, riprendendo poco dopo «Se ognuno, nel proprio intimo, iniziasse col riparare semplici errori e mancanze, il mondo non sarebbe un posto migliore? Magari non di molto, te lo concedo, ma… sarebbe sicuramente un punto d’inizio. Da qualche parte bisogna pur incominciare, no? Se anziché voltarci dall’altra parte e fingere di non vedere, tutti iniziassimo ad essere un po’ più altruisti… non credi che sarebbe più facile affrontare la vita?»

Ricevette un deciso cenno d’assenso e si affrettò a continuare:
«Lo avresti fatto anche tu Steve, no? Al posto mio, lo avresti fatto.»

«Penso di sì.»

«Io ne sono sicuro. D’altronde, hai rischiato per salvare un cane indifeso… e questo perché tu sei una persona migliore di altre. Se fossimo come te, anche solo in parte, sarebbe tutto più semplice, credimi.»

«Perché saremmo tutti cachettici e con l’equilibrio di un budino?»

«No, perché saremmo disposti a sacrificare un pezzetto di noi stessi per gli altri; per dei valori in cui crediamo e che desideriamo portare avanti e trasmettere. Tu come pensi di essere, Steve?»

«Debole.»

Scosse piano il capo a quella risposta:
«E con l’autostima sotto la suola delle scarpe. Ti dirò come ti vedo io, allora. Quel giorno, sono sceso perché un ragazzo stava combattendo l’ennesima prepotenza di Gideon con la ferocia di un leone. Sono sceso per il tuo coraggio, per la tua lealtà ed il tuo senso di giustizia. Sono sceso perché penso che Steve Rogers possa rendere il mondo un posto migliore.»

«Grazie, Buck…»

Il sorriso orgoglioso sul volto dell’amico gli confermò d’aver fatto centro. In fondo, quello che davvero mancava a Steve – oltre a svariati centimetri in altezza – era un po’ di fiducia in sé stesso.

Sogghignò, recuperando in un attimo tutta la propria sfacciataggine:
«Prego, scemo.»
  
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