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Autore: Anya_tara    28/05/2019    1 recensioni
Quegli occhi rossi che la scrutano attentamente, vigili come quelli di un predatore la mettono a disagio.
Infila una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre quello riprende a mangiare come nulla fosse.
Lei non ha più fame. Ma si sforza comunque di continuare a cenare, anche perché non vuole dargli questa soddisfazione.
Non gli permetterà di metterla in difficoltà, a nessun costo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Uscire in giardino e trovare la propria compagna, incinta di sei mesi e mezzo, in bilico su una scaletta a tre gradini che stende il bucato.
Esattamente quello che non ci vuole dopo una mattinata passata a borbottare seduto in mezzo ad pile di documenti da rileggere e firmare.
Sarebbe stato meglio lavare le scale. Senza scherzi. Quando mai, gli sarebbero venuti i calli alle ginocchia, non al culo.
Di tanto in tanto il suo capo glielo affibbia come incombenza. Lo sa, che ancora dopo tanto tempo si diverte a imporglielo come castigo: lui impreca a mezza voce, alza gli occhi al soffitto e poi si siede cominciando a sentire già i crampi alle dita e al cervello, ma non si ribella. Se ne sta zitto e quieto a rincoglionirsi tra le scartoffie, i verbali degli interventi, con Ishiwara che gli porta un caffè e Aruimi che passa, ghigna e poi gli chiede come sta Uraraka, togliendogli anche la voglia di risponderle per le rime.
E ora si rischia l’embolo.
Non può neanche mettersi ad urlare altrimenti la fa spaventare. Deve aspettare con calma che si accorga di lui, e solo dopo potrà cantargliene quattro.
Quasi per proprietà telepatica lei si volta, gli sorride. << Ehi, Katsuki! Quando sei arrivato? >>.
<< Da abbastanza per vedere quello che stai combinando! >>.
<< Cioè, scusa? Stendere il bucato? >>.
Bakugō non ci vede più. Come può essere tanto incosciente? << Tu sei pazza! Scendi da lì, subito! >>.
<< Ah, falla finita, Katsuki >>. Inverosimilmente non è dalla bocca di Uraraka che viene fuori questa frase, ma da quella di sua madre, Mitsuki. Che gli passa accanto, con fare tranquillo.  
<< E tu dove cazzo eri, che glielo lasci fare?! Siete impazzite tutt’e due?! >>.
<< Guarda che quando ero incinta di te facevo molto peggio. E guarda come sei venuto fuori tu >>.
<< Col senno di poi non è che la cosa mi rassicuri molto >>.
Mistuki lo fissa allibita. << No, ma stai cominciando a mettere buon senso? La paternità comincia a darti alla testa fin d’ora? >>.
<< Fanculo >>.
<< Ma che tenero, il mio paparino … Non vedo l’ora di diventare nonna. Sarà bellissimo ricominciare con tutte quelle adorabili cose da neonati … >>, mormora estasiata, strizzandolo come un peluche.
Katsuki se la stacca di dosso, brusco. << Ma non eri tu che ti incazzavi perché ti chiamavo “vecchia”??? E poi non te lo sognare proprio. Non ti permetterò di cominciare a rompere i coglioni a mio figlio già dalla culla >>.
Mitsuki alza le spalle, ridacchiando. << Okay. Vado a fare la spesa. Vi serve qualcosa? >>.
<< Sì, che non torni per le prossime due ore almeno >>.
<< Oh >>. Lo sguardo della donna si fa sapiente. << Ohhhh … D’accordo >>.
L’embolo minacciato prima ora è in circolo. Se lo sente, che gli prenderà un accidente a breve. << Ma la vuoi finire???? Era per dire! >>.
Lei scuote la mano in aria, con disinvoltura. << Certo, certo … divertitevi, piccini! Ciao, Ochaco, a più tardi! >>.
<< Ciao, Mitsuki-san! >>, trilla lei, continuando imperterrita a stendere il bucato.
Bakugō scuote la testa. Un giorno o l’altro la fa saltare in aria sul serio, sua madre.
Probabilmente se non si sbrigano a trovare una casa tutta loro avrà uno sbrocco per davvero.
Invece di tornarsene a casa dei suoi subito, si era trasferito da lei. Era rassegnato a dover soltanto contribuire, e non pagare per intero l’affitto: Ochaco non gliel’avrebbe mai permesso. Se voleva vivere insieme a lei, doveva sottostare alle sue regole, e basta.
Trattarla da sua pari. Non da fanciullina indifesa.
Né a letto, né fuori.
Era durata circa tre mesi. Poco dopo avevano scoperto che era rimasta incinta sul serio, e nel frattempo il padrone di casa aveva deciso di far fare dei lavori di ristrutturazione alla palazzina; così erano andati a stare dai suoi per qualche tempo.
Originariamente doveva essere per circa quattro settimane, il tempo che rimettessero tutto a posto.
Ma Mitsuki e Masaru avevano tanto insistito dell’opportunità che restassero da loro fino a dopo che fosse nato il bambino, così avrebbero anche potuto mettere da parte qualcosa, “ che i figli costano”, che alla fine aveva ceduto, mugugnando.
In realtà sono settimane che fa finta di cercare su Internet, ma immancabilmente le boccia tutte quante. Troppo piccola, troppo lontana, quartiere di merda, troppo cara. Lui ha avuto un aumento di stipendio, Ochaco è in aspettativa, in teoria non ci sarebbero problemi a prendere un appartamento un po’ più grande, più decoroso.  
Tuttavia … non lo confesserà mai, ma si sente più tranquillo se sa che lei non è da sola in casa. Non che non si fidi, anzi. Ma i casi della vita sono imprevedibili e quanto meno, se accadesse qualcosa mentre lui è in azione, saprebbe che interverrebbero immediatamente.
Anche se sua madre non è che sia questo modello di sanità mentale, insomma. Quanto meno è lì, si fida della sua capacità di giudizio, anche se stramba.
Nel frattempo lei finisce di stendere i panni, scende dalla scaletta e lo raggiunge. 
E’ bellissima. La lieve rotondità ha accentuato quella sua aria femminile, dolce e determinata insieme. << La smetti di fare cose pericolose? Sei senza ritegno! >>, grida togliendole di mano la vasca ora vuota.
Ochaco lo guarda come l’ha guardato sua madre. E scoppia a ridere. << Se avessi cento yen per ognuna delle cose assurde che ti sento dire negli ultimi mesi, non mi servirebbero gli assegni di maternità che passa l’agenzia >>.
<< Uh. Spiritosa. Comunque sei una spericolata >>.
<< Ah ah. E non è forse questo che ti piace, di me? >>.
<< Gli ormoni ti stanno dando al cervello, mi sa >>.
<< Oh sì. Non sai quanto >>. Senza alcun pudore gli porta una mano sul ventre, la fa scorrere verso il basso.
La blocca un attimo prima che arrivi laggiù. << Ferma, dannazione! >>.
<< Katsuki. Il sesso fa bene, in gravidanza … >>.
Inarca un sopracciglio. Ma che, si sono messe d’accordo, per caso? << La pianti di dire scemenze? >>.
<< Solo se cominci tu per primo >>. Lo attira a sé per i lembi della maglia, gli infila la lingua in bocca, smaniosa, eccitata.
Il suo odore è più rotondo adesso. Ancora più caldo. Ancora più … invogliante, se possibile. << Portami dentro, Ground Zero >>.
Lo chiama col suo nome da Eroe, quando vuole stuzzicarlo.
Ma nelle sue mani magiche, è davvero il caso di dirlo, non è più che un uomo.
Molla la vasca per terra, la prende in braccio, rientra con lei in casa e sbarrata la porta con due giri di chiave, la posa sul letto, in quella che era la sua camera.
<< Katsuki … >>, sussurra morbidamente Uraraka, allacciandogli le braccia al collo.
Bakugō la libera in fretta dai vestiti, sfila la maglietta e slaccia i calzoni.
Ma subito si ferma, si placa. Le sfiora appena il ventre ingrossato con un tenero bacio, i palmi caldi. << Sei … bellissima, Pancia Tonda >>.
Lei sorride, gli accarezza teneramente il volto. E a tradimento lo tocca con i polpastrelli.
Zero gravità. << Così non devi preoccuparti di pesarmi addosso >>, dice, ridendo.
Lui la guarda male. Uraraka rilascia, e appena plana di nuovo giù si sdraia sul fianco, alle spalle di lei.
In realtà non è così complicato. Farlo in aria insomma, ci hanno provato un sacco di volte prima che scoprissero che era incinta e …
Cazzo, è favoloso. Alla faccia dei tre metri sopra il cielo, tsk.
Ma ora non vuole che sforzi il quirk, oltre che il corpo anche.
E poi … nemmeno farlo adesso lo è così tanto. Basta solo fare attenzione, nulla di speciale.
Così, ad esempio, è perfetto. Né sopra né sotto. Comodi entrambi.
E può tenerle le mani sulla pancia, mentre è dentro di lei. Per far sentire a quel piccolo miracolo che cresce giorno per giorno che papà c’è, lo ama quanto ama la sua mamma e che sì, lo aspetta con impazienza, che non vede anche lui l’ora di tenerlo tra le braccia.  
Ora finalmente risponde ai messaggi dei suoi amici, anzi è lui a chiamarli ogni volta che Ochaco ha una visita, o fa un’ecografia. Comincia a parlare e non la smette più, devono pensare che sia impazzito.
Ma non gliene frega un cazzo.
Non si sarebbe mai aspettato di diventare padre a vent’anni.
Eppure adesso non riesce a smettere di pensarci, ogni istante.
Deve avere un talento naturale anche per questo, probabilmente.
Ancora non sanno se è maschio o femmina, non hanno voluto. Preferiscono che sia una sorpresa, tanto va bene uguale.
Sa soltanto che dovrà cominciare fin d’ora a escogitare tutti i modi possibili ed immaginabili per sottrarlo alla tirannia dei “ picci picci” e “tesoruccio” della “nonna.”
Oggesù. Sarà una dura lotta.
Per fortuna manca ancora un po’ di tempo. Può dedicarsi ancora a cose più piacevoli.
Finito l’amore, le scosta i capelli dal collo, le bacia la nuca continuando ad abbracciarla. << Ochaco … >>.
 
La chiama per nome soltanto quando sono soli.
Ed è dolcissimo. Come un segreto che custodiscono tra loro due.
Sente le sue mani calde sulla pancia. Le piace anche quel nuovo soprannome che le ha dato.
D’altronde è vero, è tondissima, e se deve dar retta a Mitsuki, dovrebbe essere femmina.
A lei va bene comunque, l’importante è che sia sano.
E bello come suo padre.
Si volta tra le sue braccia. Quel petto forte la accoglie immediatamente, la serra a sé con cautela. 
Le piace sempre. Sia quand’è così delicato e attento, sia quando si lascia andare alla passione davvero esplosiva.
Non scorderà mai il giorno in cui è andata a trovarlo appena uscita dall’ospedale. Quando avevano fatto l’amore per la prima volta e aveva creduto di dovergli morire addosso, tant’era stato bello.
Era esattamente come se l’immaginava, e al tempo stesso non era per niente così.
Era molto, molto di più. Sul pavimento della sua cucina ingombro di scatole aveva conosciuto il suo fuoco, la sua fame insaziabile di giovane uomo.
Poi l’aveva portata in camera da letto e le aveva mostrato un altro lato di sé, dolce e premuroso.
Solo più tardi, una volta che avevano completamente dato sfogo al desiderio, e la pelle aveva iniziato a raffreddarsi insieme alle lenzuola, aveva ripreso a connettere col cervello.
Katsuki si era alzato, aveva fatto la doccia ed era andato in cucina. Lei era rimasta da sola nel suo letto, e mille pensieri avevano preso a frastornarle la mente ancora invasa dal piacevole sfinimento dopo il sesso.
E quelli no, non lo erano per niente.
Adesso aveva timore. Che si sentisse obbligato a … qualcosa perché era stato il suo primo uomo.
Non avevano parlato d’amore. Gli aveva detto “voglio stare con te” tuttavia questo non implicava nulla, il fatto che la desiderasse carnalmente non voleva dire che si sentisse pronto ad impegnarsi in una relazione stabile. Forse aveva soltanto voluto placare gli istinti e in parte, pagare il debito che sentiva di avere nei confronti di lei, non essendo riuscito a salvarla come avrebbe voluto.
L’aveva messo con le spalle al muro. Non era stato giusto, lo sapeva.
Si era alzata anche lei, entrando nel bagno.
Lì aveva avuto la prima sorpresa.
Aveva ritrovato l’abito che aveva lasciato lì. Quello che portava la sera in cui poi era stata rapita, quando aveva fatto la doccia e infilato la sua tuta, quella che le aveva fregato Toga.
Nemmeno di quelle cose che le aveva fatto lei, gli aveva detto nulla. Era andata lì con l’intenzione di parlare ma aveva mandato tutto all’aria, quando aveva avuto addosso le sue mani calde, la sua bocca non aveva più capito niente, quei tocchi sembrava avessero il magico potere di cancellare tutto come una spugna e vi si era abbandonata subito, facendole dimenticare il terrore, la ripugnanza che aveva provato in balia di quella pazza.
Ma comunque, anche se adesso non faceva più male, doveva dirglielo.
Insieme a tutto il resto.
Si era avvicinata alla gruccia, con un moto di stupore.
Era in una busta di plastica della tintoria. Appeso con cura, pulito e stirato di fresco.
Aveva ancora l’odore delicato dei prodotti con cui era stato lavato.
Eppure ricordava di averlo appallottolato con furia e ficcato umido dentro un cassetto dell’armadio. Avrebbe voluto gettarlo fuori dalla finestra, ma all’ultimo non ce l’aveva fatta.
Forse era venuto fuori nei preparativi del trasloco. E immaginato fosse il suo, anche se non gliel’aveva lasciato vedere addosso a lei quella sera.
E non solo perché la pioggia gliel’aveva appiccicato alle forme come un guanto.
Avrebbe immaginato si fosse vestita bene per andare da qualche parte. Magari gliel’avrebbe chiesto e sarebbe venuto fuori tutto.
L’ultima cosa che voleva in quell’istante.
Ma adesso no. Adesso doveva confidargli ogni cosa, a qualsiasi costo.
Aveva fatto una breve doccia, studiandosi poi nello specchio appannato per quanto poteva.
Grazie a Recovery Girl non le erano quasi rimaste cicatrici addosso. La sua pelle adesso era nuovamente segnata di rosso e un leggero violaceo, ma erano stati i baci e le mani di Katsuki a lasciarle quei marchi e non le botte di una dannata Villan.
E l’unico leggero dolore che sentiva era qualcosa che aveva desiderato con tutte le sue forze, la conseguenza di un atto indescrivibilmente meraviglioso e non di una brutalità gratuita e spietata.
Stava bene. Sì, davvero bene.
Adesso era al sicuro.
Si era avvolta in un telo e aveva zampettato fino alla cucina.
Un buon odorino di cibo le aveva subito invaso le narici e fatto ruggire lo stomaco.
Non si era accorta fosse quasi ora di pranzo, in realtà.
Né di quanto fosse affamata. In ospedale l’avevano tenuta digiuna per un paio di giorni, nutrendola con le flebo; e quando aveva ricominciato a mangiare, quell’assenza l’aveva così afflitta da farle perdere quasi del tutto l’appetito e si era limitata a piluccare quanto basta a non mettere in allarme i suoi cari e i medici. << Katsuki? >>.
Le aveva rivolto uno sguardo radioso, i suoi profondi occhi scarlatti la lambivano con tenerezza. << Oi. Ti sei alzata. Pensavo volessi restare a letto ancora un po’ >>.
<< Ehm … sì >>. Era avanzata, sedendosi piano. Non perché faceva male ma perché le tremavano le ginocchia. << Ho … visto … l’abito, in bagno >>.
<< Uhm. Sì, l’ho portato in lavanderia. Pensavo di fartelo riavere una volta fossi uscita dall’ospedale. Anche se non mi sembrava … fosse nelle tue intenzioni, visto dove l’ho trovato. Non fosse stato per il trasloco sarebbe rimasto lì anni, penso >>.
<< In realtà … me ne volevo sbarazzare >>.
<< Peccato. E’ un bel vestito. Ma ehi, è tuo, fanne ciò che ti pare. Io non posso metterlo di certo, per cui >>.
D’un tratto era scoppiata a ridere. Lui aveva stirato un mezzo sorriso storto, aveva aperto il frigorifero e le aveva porto una lattina di soda.
<< Ehm … no, grazie. Preferirei … una birra, se non ti spiace >>.
Era sembrato stupito. << Oh. Okay >>. Ne aveva tirate fuori due, stappandole e porgendogliene una. << Sesso, alcol … non mi comincerai pure a fumare, spero >>.
Lei aveva sorriso brevemente. Le spiaceva rovinargli il buonumore, sembrava così sereno, ora, appagato.
Ma doveva farlo, subito. << Katsuki. Devo dirti una cosa. Vabbé, più di una in realtà >>.
<< Certo. Dimmi >>.
<< Vorrei ti sedessi, per favore >>.
<< Va bene >>. Aveva spento il fornello e avvicinato una sedia a quella di lei. << Ti ascolto >>.
Era così disponibile, che le si scioglieva il cuore.
Aveva mandato giù un sorso. Due. Si augurava entrasse prestissimo in circolo e le si sciogliesse anche la lingua.
Poi aveva preso fiato. E gli aveva raccontato tutto.
Lo aveva visto avvampare, fremere, impallidire, masticare mezze imprecazioni tra i denti, finché non aveva concluso, biascicando a denti stretti.
<< Troia. Le conviene sperare che non mi capiti mai tra le mani o le spezzo il collo >>. Poi era tornato a fissare lei, serio. << Senti, non è che … no? >>.
Ochaco aveva subito alzato le manine, scuotendole in aria. << No, oddio, no. No. Va … bene. E’ tutto okay. E’ stato … bellissimo, Katsuki. Ho scordato tutto appena mi hai baciata. Mi ha fatto bene, più che bene. Volevo soltanto che lo sapessi, tutto qui. Niente segreti >>.
Lui era tornato a sorridere. Le aveva preso le mani nelle sue, stringendole forte. << Okay. Niente segreti >>.
Rassicurata, aveva ripreso a parlare. << Ascoltami. Io … non … voglio che tu ti senta … obbligato, in qualche modo. Quello che c’è appena stato … insomma, ci siamo fatti prendere dal momento e io questo lo capisco, non pretendo che … >>.
<< Ochaco. Tu mi vuoi? Cioè, non solo per fare sesso >>.
<< Oddio … io … >>.
<< Mi vuoi o no? Non è una domanda difficile >>.
<< Sì, Katsuki >>.
<< Allora non vedo dove sta il problema. Se … tu mi vuoi, e io … ti amo … è tutto qui >>.
Uraraka aveva sgranato gli occhioni, la gola secca. << Tu … mi ami? >>.
<< Cazzo, sì. Da un secolo, forse. Già passato il primo Festival sportivo ho iniziato a guardarti con occhi diversi. Non so di preciso quando … me ne sia reso conto, forse a metà del secondo. Ma poi tu ti sei messa con Deku e … be’, ho pensato che allora non avevo speranze >>.
<< Dio mio >>, aveva esalato in un filo di voce. << Perché non me l’hai mai detto? >>.
<< Perché speravo te ne accorgessi tu. Nella mia cazzo di testa … contavo sul fatto che dovessi essere tu a cercarmi. Credevo di ispirarti solo timore e antipatia, e non volevo … insomma, metterti in difficoltà >>.
<< Katsuki >>. L’aveva abbracciato, forte. << Mi dispiace. Santo cielo … non ho mai … pensato che provassi qualcosa per me. Mai. Se l’avessi anche solo sospettato … che fossi capace di sentimenti così profondi, io … >>. D’un tratto tace, chinando il capo.
Paradossalmente di tutte le brutture che gli ha narrato non ha provato tanta vergogna quanto di questa semplice frase.
Mettere in dubbio che lui fosse in grado di amare qualcuno.
Ma Katsuki non se l’era presa. Al contrario, le aveva sorriso. << Be’, sì. Sono bravo a nasconderli. Quanto meno lo ero >>.
Lei aveva rialzato lo sguardo, posandogli l’indice sulla punta del naso. << Niente più segreti >>.
<< No. Niente più segreti, tra noi >>. L’aveva baciata teneramente, infilandole le dita nei capelli. << E quando ho detto che non mi interessavi in alcun senso, intendevo che io non tocco le donne degli altri >>.
<< Sì, adesso lo so >>. Gli aveva preso la mano nella propria, portandosela alle labbra.
<< Prima di te non ne avevo mai toccata nessuna >>.
Uraraka si era sentita un tantino mancare adesso. << Oh. Oh, mamma. Ma sul serio? >>.
<< Mhmm mhmm >>.
<< Cazzo >>, le era sfuggito, e subito si era morso il labbro. << Oddio, scusa. E’ la birra, credo >>.
Katsuki si era messo a ridere. E lei lo aveva ascoltato con un brivido. << Cioè … non l’avrei mai detto. Non sembrava … fosse … anche per te. Sei … così bravo >>.
<< Talento naturale >>. Si era allungato sul suo orecchio, sussurrando piano e dandole un brivido ancora più intenso. << Ce l’hai anche tu, Faccia Tonda >>.
<< Ehm … >>. Era avvampata, ma subito gli aveva sorriso. << Posso … finire io di preparare il pranzo? >>.
<< Sì >>. L’aveva tirata su, stringendola e baciandola ancora. << Stasera però andiamo fuori. Metti su quel vestito, e ti porto in un bel posto >>.
<< Veramente … preferirei tornare dove siamo già stati. Mi piace >>.
<< Ma se è un buco di merda … >>.
<< Però cucinano benissimo, e sono gentili. Spontanei. Non sarà un ristorante raffinato nell’aspetto, forse, ma a me piacciono questo genere di sorprese >>.
Lui aveva fatto una smorfia divertita. << A questo punto avrei dovuto capirlo >>.
<< Scemo >>.
<< Non sarà che è per i soldi, vero? >>.
<< Ma no, mi piace davvero. A proposito, penso che Scarlet sarebbe contenta di riaverti con loro. Li ho visti … speranzosi, quando sono venuti a trovarmi. Anche Aruimi. Cosa hai fatto, per .... >>.
<< Me ne sono andato urlando e sbattendo la porta. Un’uscita di scena proprio nel mio stile. Solo … che questa volta … era per te >>.
Ochaco era arrossita. E quando la mano calda di Katsuki le aveva sfiorato la guancia, scivolando a sfilare il lembo del telo infilato nell’orlo perché stesse su, aveva subito capito che quel fornello sarebbe rimasto spento ancora per un po’.
Dopo aver pranzato – in ritardo, ovviamente- l’aveva riaccompagnata a casa propria. Stavolta non aveva provato a protestare; gli aveva preso la mano nella sua e lasciato che portasse la gruccia fin sotto il suo appartamento.
Al momento di salutarsi, lo aveva guardato di sottecchi.  << Vuoi entrare, Katsuki? >>.
<< Stasera. Se lo faccio adesso, non andiamo da nessuna parte io e te. Tranne che a letto >>. Le aveva mordicchiato la curva del collo, facendola sorridere. << Non … sarà troppo, però? >>.
<< Tranquillo. Ti dico io quando basta >>.
Mai, in realtà.
Non sarebbe bastato mai.
Quando era andato a prenderla, quella sera, Uraraka si era aspettato di vederlo in jeans e felpa, o al massimo in maglione.
Per cui era rimasta un tantino stranita a vederlo così.
Più che stranita forse avrebbe dovuto dire “stordita”. Incantata, anche se le era già capitato di vederlo vestito “bene”.
Anche se la sua preferita sarebbe rimasta senza dubbio la tenuta Hero.
E … quella adamitica. Appena si era spogliato davanti a lei per la prima volta, quel mattino, rimanendo in boxer prima di tornarle addosso le si era mozzato il respiro.
Era più scolpito che ai tempi della scuola. Più alto e virile, anche se aveva mantenuto la freschezza dell’adolescenza nella morbidezza della pelle.
Ma anche così non sfigurava affatto, oh no.
Il bianco ed il nero erano perfetti per lui. O tutto o niente, così era Katsuki Bakugō.
In giacca e cravatta sottile. Lo sguardo altrettanto incantato del suo.
E uno splendido mazzo di fiori tra le mani calde. Morbide, delicate peonie rosa cipria.
Le sue peonie. << Allora eri tu a mandarmele >>.
<< Già. Avrei voluto farlo anche mentre eri in ospedale, ma … avevo troppa paura che stavolta non ce l’avrei fatta a non farti sapere che ero io. Scusami >>.
Si era avvicinata, prendendogli i fiori dalle mani. Erano ancora umidi di rugiada. << Niente più segreti >>.
Lui aveva sorriso, i palmi ora liberi avevano colto le sue guance, carezzandole coi pollici. << Niente più segreti >>. Si era chinato su di lei, catturandole le labbra in un morbido bacio.
Come adesso.
Rialza lo sguardo nel suo, gli occhi scarlatti sono appannati, le palpebre pesanti.
Ma ancora non cede.
Dev’essere stanco morto. Sta lavorando come un matto, per il loro bambino. Giorno e notte.
Per questo ha insistito perché restassero dai genitori di lui. Non vuole che sia in pensiero anche per lei, che Dio non voglia si distragga in azione.
E poi lì ci sta più bene. Non saranno i suoi familiari di sangue – che comunque vengono a trovarla spessissimo, e sono estasiati anche loro all’idea di diventare nonni- ma Mitsuki si occupa di lei come una madre, la accompagna a fare i controlli quando Katsuki è in ufficio, ogni volta che torna dai suoi giri le porta qualcosa per il nascituro, ora una bavetta, ora un sonaglino e le dà consigli utili per fronteggiare qualsiasi eventuale piccolo disturbo, per quando il piccolo sarà nato o semplicemente le narra aneddoti sull’infanzia di Bakugō, che fanno ridere lei e mettere il broncio a lui.
Curioso ma vero non ha avuto mai una nausea. Coi problemi che le ha sempre dato il suo quirk le pare paradossale, ma è così. 
Ha così tanta roba che non basterebbe un magazzino a farcela entrare tutta. Ha perfino rispolverato la culla appartenuta a Katsuki; con un sospiro commosso l’ha tirata fuori dal ripostiglio continuando a raccontarle di quand’era neonato lui, con un trasporto così vivido che le sembrava di doverlo vedere dormire in quella piccola gabbia di legno dipinto rimasta inalterata nel tempo, per la cura amorevole con cui era stata custodita.
Le fa così strano che tra qualche mese lo renderà padre.
Si accarezza la pancia, in ascolto. Si muove poco, sembra essere così tranquillo. O tranquilla. Tanto che le verrebbe da preoccuparsi, se il medico non l’avesse rassicurata che tutto sta procedendo benissimo e Mitsuki non le avesse detto che anche Katsuki era così, prima di venire al mondo.
<< E poi guarda tu com’è diventato. Deve aver preso qualche botta in testa quando l’hanno tirato fuori >>, aveva osservato con uno scuotimento di testa che aveva fatto scoppiare a ridere Ochaco, e tirato fuori una serie di imprecazioni smozzicate al suo compagno, con il povero Masaru che tentava imperterrito di continuare a spiegare perché la musica classica era una manna dal cielo, per i bambini nella pancia.
Se l’ha fatta ascoltare anche a Katsuki, Ochaco ci crede. Sul serio.
Improvviso dà un calcetto. Forte. << Oh! >>. Si azzittisce subito per non destare Katsuki che nel frattempo si è addormentato, povero caro.
Ma appena rialza gli occhi lo trova sveglio. Gli occhi ch’erano velati dalla stanchezza ora brillano, ben aperti.
<< L’hai sentito? >>.
<< Sì >>. Si abbassa sulla dolce collina del ventre arrotondato. << Ehi, tu. Sì, tu >>, comincia, con quella sua voce dolce e roca. << Vedi di non fare casino, sono stato chiaro? Tua madre ha già un sacco da brigare con la vecchia e con me, è un miracolo se non è ancora uscita pazza. Quindi … comportati bene, altrimenti quando verrai fuori tireremo i conti. E se puoi cerca di prendere tutto da lei, che non esiste un’altra donna così, a questo fo … ehm, ingrato mondo >>.
Ochaco ride. Ma sente le lacrime pungerle gli occhi.
E’ la prima volta che gli parla quasi fosse già lì, e possa comprenderlo.
Il bambino dà un altro calcetto. Anzi no, stavolta la nitida forma di un pugnetto si tende sotto la pelle chiara, percorsa da vene azzurrine simili a fiumi.
Katsuki serra il suo pugno, lo batte piano contro la piccola protuberanza. << Allora siamo intesi. Bravo. O brava >>. Poi torna su, la guarda.
Anche i suoi occhi rossi sono lucidi. Emozionati. << Però. Ha ragione il vecchio. Capisce tutto >>, mormora con voce strozzata, riaprendole i palmi sul ventre.
Uraraka non riesce a parlare. Le si è stretto un nodo in gola, può solo alzare una mano ad accarezzargli i capelli mettendoci tutto l’amore e la gratitudine che prova per lui.
Sarà un padre fantastico. Anzi lo è già.
Non è mai troppo tardi, per rendersi conto di quale sia il proprio destino. 
Di chi sia davvero la persona con cui vogliamo condividerlo. 
Uraraka lo sa. 
Non avrebbe potuto desiderare di più.<< Ochaco? >>.
<< Sì? >>.
<< Ti amo >>.
<< Anch’io, Katsuki >>. Adesso sorride, porta le mani sulle sue. Intreccia le dita. << Anch’io >>.
   
 
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