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Autore: pandafiore    30/05/2019    3 recensioni
Dal testo:
"Le lacrime non scendono più, eppure resta un amaro tra le labbra ed un peso angosciante sui polmoni: potevo fare qualcosa, qualsiasi cosa, anche solo pensarla, mentre moriva, ricordando un'ultima volta la sua treccia bionda, la sua divisa da medico... la sua voce.
Ma non l'ho fatto e non merito di vivere una vita che non mi appartiene."
Genere: Angst, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katniss Everdeen, Sae la zozza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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mors tua
vita mea


Quel maledetto fuoco arde, arde sempre. Non ha tregua, non riposa un istante, non mi dà pace. E se, per puro caso, accenna a estinguersi, Sae lo solletica un po' e lui torna vivido, più forte di prima, mentre la bufera di neve imperversa là fuori.
Anche se sono secchi e bruciano per il calore, non stacco i miei occhi da questo caminetto. Io sono la ragazza di fuoco, io governo questo elemento della natura, continuo a ripetermi. Ma è inutile, perché so che se lo tocco mi ustiono e i rammendi di pelle capitolina iniziano a squagliarsi; so che, se seguo il mio istinto e porto queste cinque dita su quella fiamma sorella, proverò un dolore disperato, atroce, ma che non pareggerà mai il dolore che quotidianamente sento tra i ventricoli del mio cuore.
Sposto le dita che mi sto fissando - quelle della mano destra - tra i miei capelli, ora così lunghi. Ricordo distrattamente, come in un flash, quando hanno preso fuoco, con l'esplosione: sì, l'esplosione che ha divorato Primrose nella gola dell'inferno.
Mentre lei ardeva, mentre i suoi bellissimi capelli diventavano cenere e la sua carne un mucchietto di polvere, pensavo solo a me stessa, alle fitte atroci alla schiena e sotto i vestiti, ai miei capelli che si dissolvevano.
Le lacrime non scendono più, eppure resta un amaro tra le labbra ed un peso angosciante sui polmoni: potevo fare qualcosa, qualsiasi cosa, anche solo pensarla, mentre moriva, ricordando un'ultima volta la sua treccia bionda, la sua divisa da medico... la sua voce.
Ma non l'ho fatto e non merito di vivere una vita che non mi appartiene.
 
Mi alzo dal divano per la prima volta da sola, dopo mesi, e corro in bagno con le giunture arrugginite che tremano e mi provocano fitte sorde: ignoro questa sensazione, del tutto meritata.
Mi spoglio in fretta e mi getto sotto la doccia prima che il desiderio di alleggerire tutti del peso della mia presenza si faccia troppo invadente. Mi lavo senza cura, con solo tanta  urgenza e voracità di togliermi di dosso l'odore della morte. Forse piango, anche.
 
Senza alcun asciugamano mi metto davanti allo specchio. Le goccioline d'acqua scivolano lentamente sulla pelle, godendosi i brevi tratti dove non spuntano ossa o inserti non miei. Ne osservo una, in particolare, che corre al centro del mio ventre, scivola a sinistra dell'ombelico e trova subito dopo l'osso appuntito dell'anca, dove rallenta la corsa, fino a fermarsi: tutto muore, su di me. Io sono l'autunno; sono il vento gelido che distrugge i boccioli degli alberi e sono le nuvole che oscurano la linfa di vitale importanza che è il sole per le piante. Sono la pioggia, che fa marcire le foglie ancora sul nascere e le fa cadere a terra consunte, ma lentamente, perché adora l'agonia.
 
Senza pensarci troppo, vado a prendere le forbici in cucina e torno in bagno subito dopo.
Il gesto folle è dietro l'angolo, pulsa sulle mie dita affinché aprano le lame e la facciano finita con tutta questa miseria, con questa ridicola sceneggiata che è la vita.
Tasto l'acciaio freddo a contatto con i polpastrelli ed apro e chiudo le forbici una, due, tre volte. Con fredda calma, io non ho fretta. La fretta non ti fa vincere gli Hunger Games.
 
Ed infine, con la vista offuscata dalla rugiada salata della mia tristezza, sollevo quelle forbici e le punto contro il mio collo: no, non voglio ammazzarmi. Con un taglio netto disintegro quella massa informe di capelli e traccio una linea all'altezza delle orecchie, lasciando scivolare a terra il laniccio scuro che doveva bruciare al posto della treccia di grano.
Ed è quando gran parte di quella massa è per terra, che percepisco finalmente, ancora una volta, la mia fiamma: mi scorre nelle vene, che sono vere, che vibrano al vigoroso passaggio della vita. Ma non è più una fiamma cattiva, non è più quel fuoco che mi divorava le viscere e si saziava di individualismo.
Ora è un fuoco amico, azzurro tenue, come gli occhi di Prim, come il cielo quando l'autunno se ne va.
Il collo è slanciato e, libero dal senso di colpa, protende verso il futuro come quello d'un airone. Chiedo scusa lassù, a mia sorella, ma so che lei vuole vivere ancora attraverso me.
Spezzando così, di netto, questi capelli, ho ucciso, finalmente, il mio arido egoismo, ma ho permesso che, una volta per tutte, vivesse lei.
 
 

 
 
~
 
Ciao a tutti, ancora una volta.
Non so né perché né come io abbia ideato una nuova, breve storia. È uscita di getto, davanti ad uno schermo vuoto, senza nemmeno troppe pretese.
 
Probabilmente verrà ignorata, il fandom di Hunger Games è ormai silenzioso, ma se fai parte di quel briciolo di persone che stanno leggendo ti prego di dirmi che cosa ne pensi. È importante, forse perché in questa storia ho riversato buona parte della tristezza che a volte mi pervade. Rileggendola, percepisco tutto l'amaro che provo dentro di me e comprendo, dunque, di averci lasciato un brandello delle mie emozioni. Le sto passando a voi, che avete letto la storia, dunque credo meritino un minimo di attenzione, perché capita a tutti di essere giù, dunque potete capire.
In realtà sempre gli autori mettono nei brani le proprie esperienze, ma non so perché questa volta lo sento più intenso del solito.
 
Parliamo ora della storia.
I capelli: da sempre simbolo di femminilità e stravaganza, motivo di vanto per molte donne, sono qui spezzati senza troppa cura con delle forbici da cucina.
Mors tua vita mea, dicevano gli antichi: morte tua, vita mia; in questa storia la morte di quei capelli che - bruciati durante l'esplosione a Capitol City ma ora ricresciuti così forti alla faccia di Prim - facevano dannatamente soffrire Katniss. Morte dei capelli avvenuta in favore della vita di Katniss, fino all'ultimo sull'orlo del gesto folle, quello della morte propria, attraverso il suicidio.
Vita di Katniss e, soprattutto, vita di Prim, attraverso il ricordo e attraverso il fuoco, che non è più rosso, bruciante fino alla nevrosi, ma "amico", azzurro, placido.
Tema spesso utilizzato, quello del fuoco, ma che spero di aver rivisitato.
 
Grazie per aver letto,
buona giornata a tutti.
   
 
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