Anime & Manga > Magi: The Labyrinth of Magic
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Autore: EffyLou    05/06/2019    0 recensioni
ATTENZIONE: in questa storia gli OC sono i veri protagonisti e sono più numerosi dei canon!
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Aveva avuto un sogno spaventoso, premonitore. Sembrava quasi una profezia visiva, espressa attraverso immagini. Si erano alternati una serie di scenari, tesi e apocalittici. Gruppi di uomini e donne che correvano nel deserto, morti violente, belve feroci accecate da furia omicida, le gallerie di una cripta e un occhio enorme che si apriva sul mondo, lo osservava con invadenza. Era tutto così confuso e spaventoso, non aveva idea di cosa significasse tutto ciò. Non riusciva a pensare.
Aveva un’unica frase in mente, l’unica che era riuscita a formulare e che impediva il passaggio di qualsiasi altro pensiero.
Il mondo come lo conosciamo noi sta tramontando. È il crepuscolo di una notte buia.
Genere: Avventura, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Kouen Ren, Nuovo personaggio, Sinbad
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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PREMESSA

I. Questo è il primo volume della serie Ahura Daiva ed è ambientato dopo il Summit tenuto da Aladdin (non presente nell'anime, ma si colloca dopo la fine della seconda stagione) in cui mostra la storia di Alma Toran. Se non avete letto il manga fin lì, vi invito a farlo. Non è fondamentale per la lettura di questo volume nello specifico, però non guasta.
Comunque sia, potrei scegliere di ignorare o modificare piccoli dettagli di eventi del manga precedenti a questo momento.

II. In questa storia ho inserito degli OC, ovvero dei personaggi originali frutto della mia fantasia. Dovrete immaginarli come se fossero sempre stati dietro le quinte, soprattutto alcuni; altri sono sbucati fuori con questi eventi (?). Non so quanto possa fari piacere, ma in questa storia gli OC giocano un ruolo importante e più di rilievo rispetto ai canon.

III. Ai fini della storia, ho dovuto aggiungere elementi e dettagli alla geopolitica del mondo creato dalla Ohtaka. Questo perché mi servivano informazioni che non esistevano, o erano molto scarne, quindi vedrete l'aggiunta di un nuovo arcipelago (1) e nuovi luoghi in ogni Stato canonico.

IV. Avendo letto il manga, trovo che Magi sia una storia tutto fuorché allegra, colorata e spensierata. C'è molto lavoro dietro e, a mio avviso, una forte componente dark nell'atmosfera. E, se l'ho vista solo io, cercherò di tenere fede alla mia visione e mantenere, per questa storia, la stessa componente oscura. Voglio trattare questa fanfiction come se fosse un romanzo fantasy-storico senza risparmiarmi nulla, un po' come Il Trono di Spade (??).

V. Questa storia avrà due sequel, quindi sarà una trilogia. Almeno per il momento, questa è la mia decisione.


 

Magi: Ahura Daiva.
Vol. I


The Mystic's Dream


-2


Un colpo alla porta. Silenzio. Un altro colpo, stavolta più forte. Il grande portone d’ingresso resistette anche al terzo colpo, ma al quarto i battenti si aprirono.
Sapevano che stavano arrivando: nel loro tragitto fino al palazzo reale, i maghi ribelli avevano saccheggiato, distrutto e compiuto atti ignobili contro la città e la popolazione innocente. Dalle vetrate del castello si vedevano bene colonne di fumo che s’innalzavano al cielo da edifici civili, giardini, angoli di strade. La gente scappava per le vie come formiche impazzite, gridando pietà o i nomi dei propri cari per ritrovarli nel caos, cercando riparo e nascondiglio dai maghi.

Molti dei membri della servitù più bassa erano stipati nell’atrio dell’ala di servizio e stavano in silenzio, mai ammutoliti come prima d’ora, mentre dal cuore del palazzo provenivano i rumori del saccheggio e le esplosioni magiche, unite alle grida di altri servi, ancelle, ciambellani.
Tutti in angosciante attesa, silenti, quasi temessero che i maghi potessero scoprirli se anche solo avessero respirato un po’ più forte. Non molto lontano dai loro alloggi c’erano le cucine, le quali erano fornite di un passaggio nascosto utilizzato dalla servitù per andare a buttare la pattumiera e far arrivare i viveri. Erano così vicine eppure non avevano fatto in tempo, e ora il rischio era troppo grande, non potevano uscire.


L’urlo disperato di una bambina squarciò l’aria come un tuono, e un brivido percorse le spine dorsali dei servi silenziosi. Uno dei maggiordomi ingoiò un groppo e pronunciò, tremante: «L’hanno presa. Hanno preso la principessa Dunya»
«Bisogna portare in salvo i gemelli» rispose prontamente una lavandaia. Senza attendere il giudizio degli altri, Shoshanna aprì la porta del ripostiglio, in cui era stato organizzato un giaciglio di fortuna con qualche coperta messa alla bell’e meglio. Arrotolati in quel groviglio, due gemelli dormivano paciosi. I capelli azzurrini sparsi sul cuscino coprivano i lineamenti delicati, tondi.
«Non potranno mai ristabilire la dinastia di Musta’sim, sono bastardi» obbiettò un cuoco.
«Hanno preso la principessa. Anche se sono illegittimi, sono gli ultimi della dinastia» replicò Shoshanna. Con una scossa leggera, ma che tradiva agitazione e impazienza, svegliò i gemelli.
Due paia di occhi azzurri come il cielo terso d’estate la osservarono assonnati. «Bambini, andiamo, venite con me»

«Shoshanna» la richiamò il maggiordomo «sono troppo piccoli per cavarsela da soli lì fuori»
«Devi andare con loro. Tu li stai designando come continuatori della dinastia, tu te ne prenderai cura»
«Shoshanna? Che succede?» domandò la bambina, strofinandosi gli occhi.
La lavandaia le fece una carezza tra i capelli e li invitò ad alzarsi. In fretta, raccolse qualche coperta e qualcosa da mangiare. «Andiamo via, Dhalia. Raccogliete le vostre cose».
I bambini si scambiarono un’occhiata perplessa, ma erano troppo assonnati per continuare a fare domande e fecero come era stato loro detto. I rumori fuori si fecero più forti, concitati. I passi dei maghi rimbombavano sopra le loro teste, segno che avevano raggiunto il piano superiore.
Shoshanna coprì i gemelli con le loro mantelline e si coprì a sua volta con uno scialle di lana. Sulle spalle aveva legato una sacca con le cose che aveva raccolto e alla cintura dell’abito aveva il sacchetto di cuoio con gli unici risparmi che aveva racimolato.

Appoggiò l’orecchio alla porta, in attesa del momento migliore per uscire. E guardò dietro di sé, verso i suoi colleghi. «Addio»
«Buona fortuna» risposero quelli.

Shoshanna aprì la porta, piano, e scrutò fuori. Appurando la via libera, trascinò i bambini dietro di sé in una corsa a perdifiato fino alle cucine. Nel tunnel che conduceva fuori, la lavandaia proseguì a tastoni pur di non accendere una torcia, fino a sbattere contro la porta d’uscita. Ogni tanto chiedeva ai bambini se ci fossero, se la stessero seguendo, e intimava loro di non lasciarsi la mano.
Fuori dal palazzo reale, la brezza estiva della sera li colpì. Aleggiava un paradossale senso di quiete, nonostante in lontananza si vedessero le colonne di fumo in città.

«Shoshanna, che sta succedendo? Perché Musta’sim brucia?» si allarmò il bambino, Brahim.
La lavandaia non rispose, si affrettò a raggiungere le stalle poco lontane e caricare i bagagli sul cavallo. Dopodiché fece salire i gemelli e salì a sua volta, partendo al galoppo.
I bambini si voltarono, confusi e spaesati, verso il palazzo che li aveva cresciuti tra le sue mura e lo videro in fiamme. Bruciavano i piani superiori e quelli inferiori, finché, non appena furono abbastanza lontani, non lo videro collassare su sé stesso. Solo allora capirono, e solo allora si lasciarono andare ad un disperato pianto liberatorio.

 
 
 • • • • •


 
 
Tre anni prima della comparsa di Aladdin…
 
C’era un lezzo nauseabondo ad Aktia, ancor di più al porto. Tra l’odore del pesce e il sudore, mischiato alla sporcizia, dei marinai, per chi non era abituato era quasi impossibile respirare.
Lei ormai non ci faceva più caso, erano mesi che viveva per strada e mangiava ai depositi del porto. I lupi di mare non notavano neanche più la sua figura cenciosa che si aggirava in cerca di cibo.
Il mondo fuori le mura di Magnostadt era molto diverso da come lo aveva immaginato, ma anche meno terribile. Non conduceva una vita tranquilla: viveva di furti e rivendita di ciò che rubava, mangiava il pesce appena pescato e dormiva in un’alcova nel deposito di grano.
Era stanca di vivere così. Era perfettamente consapevole di chi fosse e di cosa meritasse nella vita, e quello decisamente non rientrava tra le sue aspirazioni. Aveva dei progetti, dei piani, che erano andati a monte prima che potesse provare ad attuarli. Da quando la donna che l’aveva cresciuta era morta di una terribile malattia e, poco tempo dopo, suo fratello era stato rapito e fatto schiavo, Dhalia si era sentita persa nel mondo. A mandarla avanti aveva solo un unico, grande, desiderio: distruggere Magnostadt.
Si era tinta i capelli ed era riuscita ad entrare all’Accademia. Aveva faticato, era arrivata al penultimo Kodor e ormai riusciva a padroneggiare quasi tutti i tipi di rukh. Era vicina a poter distruggere Magnostadt dall’intero. Eppure, poi, i ricordi di quando i maghi distrussero Musta’sim e uccisero gli innocenti tornarono prepotenti nella sua mente, e comprese che non poteva macchiarsi degli stessi loro peccati. Lei era migliore di così, non ci avrebbe mandato di mezzo ragazzi innocenti. Spaesata, in un luogo che odiava e senza più un obbiettivo da raggiungere, era fuggita e si era stabilita ad Aktia.
Ora la sua esistenza vagava nel limbo dell’incertezza, la confusione di chi non ha uno scopo nella vita. Aveva persino smesso di pensarci.

Dhalia affondò le unghie, sporche di terra e residui di cibo, nell’esoscheletro del gamberetto che aveva appena raccolto dal cumulo di pescato del giorno. Lo ripulì e cominciò a mettere in bocca i pezzi di polpa pallida.
Intorno a lei cominciò ad aumentare il flusso di persone dirette al porto, concitate. In lontananza si vedevano le vele in avvicinamento di una nave da guerra di Aktia, bucherellate e bruciacchiate. A quella vista, anche Dhalia si alzò per raggiungere la folla che si raccoglieva sulla banchina.
Il veliero era stato bruciacchiato, gli alberi maestri spezzati e le vele strappate.

«Cos’è successo?» domandò.
Un mercante di pesce di fianco a lei la osservò vagamente sbigottito. «Shaytan» le rispose, come se fosse ovvio. «Una delle sue navi è stata avvistata pochi giorni fa al largo del regno e il re ha voluto giocare d’anticipo e attaccare lui per primo, stavolta»
Dhalia sollevò un sopracciglio. «Non è stata una mossa furba»
«Le navi partite per attaccare quell’unico veliero erano tre».

Un verso di esclamazione si diffuse tra le prime file. Non appena la nave fu abbastanza vicina, uno dei soldati a bordo lasciò cadere la vela malridotta e ne spiegò una nuova, immacolata, su torreggiava una scritta provocatoria: “Provateci di nuovo”.
Dhalia si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito, guadagnandosi l’occhiataccia del mercante. «Non c’è da ridere, ragazzina. Shaytan saccheggia le nostre navi da sempre, questa è l’ennesima beffa»
S’intromise una donna con un foulard legato attorno alla testa e un cesto di vimini colmo di mele: «Forse stavolta non voleva attaccarci, dopotutto è stata avvistata solo una delle sue navi. Abbiamo sbagliato a fare la prima mossa»
«Sciocchezze, donna»
«Chi è Shaytan?» domandò Dhalia, interrompendo il mercante.
«Una donna terribile. Un’ammiraglia a capo di una flotta molto potente, che raccoglie sotto di sé quasi tutti i pirati dei sette mari. Uomini senza legge che le hanno giurato fedeltà e rispondono a lei» rispose il mercante, atono.
La fruttivendola si sporse per osservare la ragazza: «Ora ha fondato un regno suo nei mari del sud, di fatto è da qualche anno che ha smesso di attaccarci»
Dhalia sollevò un sopracciglio. «Una pirata che fonda un regno proprio?»
«Sì, è davvero una barzelletta, maledizione!» sbraitò il mercante. «Dovrebbero sbatterla in cella e buttare la chiave!»
«L’ultima volta è evasa» gli ricordò la donna.
«Allora dovrebbero giustiziarla!»
«Prima dovrebbero prenderla»
«Arrgh!» sbottò esasperato, e girò i tacchi per andarsene.

Dhalia lo osservò allontanarsi dalla folla, poi tornò a guardare la nave di Aktia deturpata, mentre gettava l’ancora. “Provateci di nuovo”. La ragazza rilesse quelle tre parole ancora e ancora, mentre nella sua mente fantasticava sulla battaglia navale e più lontano, pensando al regno fondato da una donna del genere. Che vissuto poteva avere una donna così? Di quanto potere disponeva se quasi tutti i pirati al mondo le avevano giurato fedeltà? Dhalia non riusciva ad immaginarsela, ma senz’altro si ritrovava incuriosita da questa figura che portava il cupo e crudele nome di Shaytan.
Aveva fondato un regno dal niente. C’era riuscita lei, una pirata.
Nella mente di Dhalia balenò una nuova idea, un nuovo obbiettivo, stavolta più complesso. Lei era una Musta’sim, seppur la figlia bastarda del re, era l’ultima erede: Dunya era stata presa dai maghi, probabilmente morta, Brahim era stato fatto schiavo. Lei era ancora libera ed era la discendente di una dinastia sovrana, poteva fare qualcosa. Poteva rifondare Musta’sim.
“Provateci di nuovo”, diceva Shaytan. Dhalia ci avrebbe provato e decise che, per rifondare un regno da capo, avrebbe chiesto aiuto proprio al Diavolo dei Sette Mari. 


 
   
 
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