La
testolina rossa di
Castigo sbucò fuori da uno dei pochi cespugli del cortile
del palazzo di
Uru’Baen, con un topolino che ancora si dibatteva debolmente
stretto tra le zanne,
ancora piccole ma già affilate. Si guardò
velocemente intorno e trovato quello
che cercava gli andò incontro trotterellando allegro e
Murtagh non poté
trattenersi dal sorridere, mentre il suo piccolo cucciolo si alzava
sulle zampe
posteriori e poggiava quelle anteriori sulla panchina di pietra dove
lui era
seduto, cercando di salire, senza avere troppo successo.
Era
ancora troppo piccolo
per volare e la panchina era troppo alta, nonostante fosse lui fosse
grande per
avere solo una settimana. E forse, proprio per quello aveva ancora
più
difficoltà.
Galbatorix
gli aveva fatto
un incantesimo per farlo crescere più velocemente e poter
avere un drago in più
da poter usare per combattere contro Saphira nel minor tempo possibile.
Questo
era successo la sera
prima. E quando quella mattina Murtagh si era svegliato, Castigo era
visibilmente cresciuto ed era tutto il giorno che cercava di abituarsi
alle sue
nuove misure.
Il
non riuscire a salire
sulla panchina era solo l’ennesimo di quei piccoli problemi
che continuavano a
presentarsi da quella mattina e Murtagh lo lasciò fare,
consapevole che il
draghetto era testardo e non avrebbe preso bene un aiuto, seppure
minimo.
Era
esattamente come lui.
Aveva
già capito che avrebbe
dovuto fare tutto da solo se voleva sopravvivere, che nessuno lo
avrebbe
aiutato, anzi, avrebbero cercato di rendergli tutto quanto
più difficile
potessero e perciò rifiutava l’aiuto
dell’unica persona di cui poteva fidarsi. Voleva
imparare da solo e forse questa era la loro differenza più
grande: perché il
ragazzo aveva accettato l’aiuto di Tornac quando era
più piccolo, ne aveva
avuto bisogno per imparare a difendersi, per avere la certezza di
quello che
già da un po’ aveva cominciato a capire e
cioè che se voleva sopravvivere in
quel covo di serpi, quale era la corte del re, avrebbe dovuto aiutarsi
e
salvarsi da solo, perché nessuno lo avrebbe fatto al posto
suo.
Murtagh
sentì attraverso il
loro legame tutta la concentrazione di Castigo per riuscire nel suo
intento e
dopo aver poggiato il topolino ormai immobile, convinto che il problema
fosse
quello, perché secondo lui gli impediva i movimenti, si
diede un’altra spinta.
Dopo un paio di tentativi andati a vuoto si lasciò sfuggire
un ringhio per la
frustrazione.
Il
Cavaliere sapeva bene che
le intenzioni di quella testolina dura erano di potersi godere quel
topolino
che sembrava così appetitoso, comodamente accoccolato su
quella panchina,
vicino al suo Cavaliere, così, Murtagh prese il topo per la
coda e lo tenne in
alto, appena fuori dalla portata di Castigo. Come aveva previsto, la
reazione
del draghetto non si fece attendere.
Cercò
subito di riprendersi
quello che era suo, sforzandosi per raggiungerlo, ma nel momento in cui
stava
per raggiungerlo, il ragazzo lo allontanò ancora.
Castigo
tornò alla posizione
iniziale e Murtagh avvicinò di nuovo l’animale,
che gli occhi socchiusi e
concentrati del cucciolo seguirono attentamente, senza perderlo un
attimo.
Rimasero fermi in quella posizione per qualche secondo, con i muscoli
pronti a
scattare quando sarebbe stato necessario.
Fu
il draghetto a fare la
prima mossa, ma il Cavaliere non si fece trovare impreparato e di nuovo
allontanò la preda, riuscendo ad ottenere il suo obiettivo.
Se ne rese conto
anche l’altro che, emettendo versetti soddisfatti,
poggiò le zampe anteriori al
petto del ragazzo per leccargli la guancia e poi si lanciò
ad afferrare il
topo, fermandosi appena in tempo per non cadere di nuovo, strappando
una risata
a Murtagh.
E
finalmente, dopo tutto
quel tempo, il roditore finì nello stomaco di quello che,
più che un drago,
sembrava un uragano per quanta energia aveva, soprattutto in alcune
occasioni e
che ora, tutto contento e sazio, poggiò la testa sulla sua
gamba. Ovviamente,
però, dopo due secondi la risollevò per guardare
il Cavaliere con un verso
contrariato e poi dare un morso alla mano poggiata vicino a lui,
inviandogli al
contempo un’immagine di lui che lo accarezzava.
Murtagh
ritrasse la mano e
commentò: “Non ti sembra di avere troppi
vizi?”
E
subito Castigo, come ogni
drago che si rispetti, difese la sua idea scuotendo la testa con
decisione e
con una serietà che non era proprio di un cucciolo, fissando
i suoi occhi
rubino sul volto del ragazzo quasi a volerlo minacciare di fargli ben
più di un
morso sulla mano e riappoggiandosi solo quando, infine, ricevette le
prime
carezze.
Erano
quelli i momenti in
che da una settimana gli davano la forza di andare avanti e in cui si
diceva
che tutte le sue sofferenze era state ripagate.
Era
stato il suo sogno fin
da quando era bambino quello di avere un drago. Certo, lui aveva sempre
immaginato di averne una grande quanto quello del padre, che dai
ricordi che
aveva, i ricordi di un bambino, gli sembrava enorme come quello del re.
Ma come
poteva sembrare diversamente ad un bambino, a cui tutto sembra enorme e
irraggiungibile, a cui già un cavallo sembra così
grande da chiedersi come
fosse possibile che le persone potessero cavalcarlo e se anche lui un
giorno
sarebbe stato così grande da esserne capace.
Sicuramente
non avrebbe mai
immaginato quello.
Si
ricordava di aver sempre
pensato, con la sua immaginazione di bambino, che i draghi uscissero
dalle uova
già grandi e adulti, prima di capire come funzionano le cose
in realtà.
Che
gli sarebbe capitato un
drago così, curioso, che non stava mai fermo e anche
viziato, non lo avrebbe
mai immaginato, troppo abituato all’idea che i draghi fossero
creature solenni,
maestose, sagge e forti.
Non
che Castigo non lo
fosse, anzi, lo aveva già dimostrato e anche più
di una volta.
Non
aveva fatto in tempo a
nascere che il mondo gli aveva già fatto capire che la vita
sarebbe stata
difficile. Eppure quel drago non si era fatto scoraggiare e nel momento
peggiore aveva dato il meglio di sé, dimostrando che poteva
farcela, che i
draghi non erano facili da battere e lui non sarebbe stato da meno.
E
passato quel momento,
aveva mostrato anche quel lato che Murtagh non avrebbe mai pensato che
un drago
potesse avere.
E
forse, dopotutto, era proprio
in questo che dimostrava il suo coraggio e la sua forza,
nell’essere così
spensierato dopo quello che aveva passato e che rischiava di passare
ancora,
diversamente da lui, che non aveva mai superato la morte di Tornac,
l’unico
amico che avesse mai avuto nella sua vita, la persona più
vicina ad un padre
che avesse mai avuto. E nel momento in cui avrebbe potuto farlo e fare
qualcosa
di buono, qualcosa che avrebbe potuto rendere fiero Tornac, qualcosa
che
avrebbe potuto farlo stare meglio con se stesso, qualcosa che lo
avrebbe potuto
allontanare dall’ombra del padre era stato trascinato di
nuovo in quel posto
così odiato e in cui non aveva altro che brutti ricordi.
E
i ricordi che si erano
creati dopo il suo arrivo erano anche peggio.
Forse,
senza Castigo,
l’unico raggio di luce in
quell’oscurità, si sarebbe lasciato morire in una
di
quelle torture a cui lo avevano sottoposto ogni giorno dal suo ritorno,
oppure,
più probabilmente, avrebbe tentato la fuga alla prima
occasione e nel peggiore,
o forse migliore, dei casi, sarebbe morto così. In quel caso
non avrebbe potuto
lamentarsi, almeno sarebbe stato libero e avrebbe potuto finalmente
riposare,
senza preoccupazioni, dopo una vita passata a lottare con le unghie e
con i
denti contro tutto e tutti.
Che
fosse rimasto lì,
costretto ad essere il passatempo dei Gemelli o che fosse riuscito a
scappare,
poco sarebbe cambiato. La sua vita sarebbe stata una continua lotta, se
per
dimostrare chi fosse veramente o per sopravvivere o per entrambi, poco
importava.
Non
sarebbe mai stato
veramente felice.
Persino
in quel momento non
ci riusciva del tutto. Ricordava bene come si era sentito quando aveva
visto
l’uovo rompersi sotto le sue dita, il cuore che accelerava i
battiti mentre il
sogno di una vita si realizzava, non ne era sicuro, ma forse aveva
anche
sorriso. Era durato qualche secondo o forse qualche minuto, troppo poco
in ogni
caso, fino a che non si era reso conto cosa quello significava in
realtà.
Era
l’ennesimo incubo
travestito da sogno.
Quella
testolina rossa che
spuntava fuori da una crepa era la sua condanna, il segno che stava
comparendo
sulla mano una catena infrangibile, ma non poteva e non riusciva a
fargliene una
colpa.
Castigo
era la sua gioia e
il suo dolore, lo aveva condannato, ma allo stesso tempo era
l’unica cosa che
riuscisse a farlo ridere, ad alleggerire la sua giornata.
Gli
voleva bene. Tanto,
troppo bene. E sapeva che quel drago che per il momento sembrava ancora
così
debole, in realtà era più forte del diamante e
avrebbe resistito a tutto per
lui, ma Murtagh non era riuscito a chiedergli più di quanto
aveva fatto, non
era riuscito a vederlo e sentirlo soffrire più di quanto
aveva fatto.
Ci
aveva provato, aveva
provato a convincersi che la sua libertà valeva
più della vita di quel drago,
ma non ci era riuscito. Sentiva il dolore come se fosse suo, era lo
stesso che
provava lui quando era lui ad essere torturato e in quel momento aveva
realizzato che quel drago era stato la sua condanna, ma anche lui era
stato la
condanna di quel cucciolo. Se lui non l’avesse toccato, non
sarebbe nato,
avrebbe continuato ad aspettare tranquillo il suo Cavaliere.
Si
erano condannati a
vicenda, ma se lo avesse lasciato morire non se lo sarebbe mai
perdonato e per
lui non sarebbe cambiato niente in meglio, sarebbe solo sceso di
più in
quell’abisso in cui stava continuando a cadere e in cui,
anche se solo per
qualche istante, la nascita di quel draghetto gli aveva permesso di
vedere uno
spiraglio di luce.
Tornando
indietro avrebbe
fatto la stessa identica scelta, avrebbe sacrificato ancora e ancora la
sua,
anzi, la loro libertà, per salvargli la vita. Forse era
stato egoista, sarebbe
stato meglio se lo avesse fatto morire, gli avrebbe risparmiato
chissà quante
sofferenze e non lo avrebbe costretto a quella vita da schiavo, solo
perché lui
ne aveva bisogno per non impazzire.
Ora
voleva solo godersi quei
momenti, voleva godersi ogni secondo con quella piccola furia rossa,
soprattutto
perché sapeva che non aveva molto tempo per farlo.
E
sapeva che crescendo,
quell’innocenza, quella gioia, sarebbe diminuita, forse
addirittura sparita.
Il
modo migliore per
evitarlo sarebbe stato essere liberi prima che fosse troppo tardi e
quello era
esattamente quello che aveva intenzione di fare, non lo avrebbe fatto
vivere in
quelle condizioni un secondo in più del necessario.
“Un
giorno saremo liberi,
Castigo. Fosse anche l’ultima cosa che faccio,
farò in modo che almeno tu possa
volare libero ovunque vorrai”
Un
ringhio basso arrivò alle
orecchie di Murtagh, seguito da un immagine: un prato verde e topolini
che
fuggivano in tutte le direzioni mentre cercava di acchiapparli.
Di
nuovo un sorriso affiorò
alle labbra del Cavaliere, mentre accarezzava la testolina del suo
compagno di
vita, l’unico per cui valeva la pena sacrificare qualsiasi
cosa.
NDA:
Ciao a tutti sono tornata dopo un bel po' di tempo con questa OS che è nata da un lampo di ispirazione e che ho deciso di pubblicare perchè non mi dispiace. Spero che sia stata di vostro gradimento e di non essere andata troppo OC, soprattutto con Castigo, ma non sono riuscita a non farlo meno adorabile e coccoloso.
Grazie per aver letto. A presto,
RosaNera_Rinnegata_30613