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Autore: alessandroago_94    18/06/2019    5 recensioni
1202 d.C., Gerusalemme.
Sono trascorsi due secoli da quando il matrimonio tra l’Imperatore Ottone III di Sassonia e l’erede bizantina Zoe Porfirogenita ha legato di nuovo le sorti dell’Occidente a quelle dell’Oriente. Il rinato Impero Romano ha espanso i suoi confini fino ad abbracciare il remoto Medio Oriente.
Bruno è solo un umile crociato, giunto in Terra Santa per difendere i pellegrini dalle insidie dei predoni locali. Non ha mai conosciuto la guerra e sta prestando servizio sotto la lunga e duratura pace che ha reso i Regni Crociati floridi e fedeli alleati dell’Impero, creando una serie di Stati-Cuscinetto che hanno protetto la Cristianità da ogni remota insidia.
L’arrivo improvviso di un principe cadetto nella Città Santa, però, è destinato a sconvolgere tutto ciò che il giovane crociato e i suoi confratelli hanno vissuto fino ad ora, da generazioni. L’ombra di una guerra epocale e decisiva tra Oriente e Occidente è alle porte.
Terzo classificato al Contest “Senza Tempo, II edizione”, indetto da Mystery_Koopa sul Forum di Efp (attenzione, si tratta di un’ucronia).
Genere: Guerra, Storico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Medioevo
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Capitolo uno

CAPITOLO UNO

 

 

 

 

 

 

 

Anno 1202, periferie di Gerusalemme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I festeggiamenti per il secondo centenario dell’unificazione dei due Imperi si sono conclusi da pochi giorni. Dall’Oriente fino all’Al-Andalus, la cristianità riunita ha osannato i discendenti di Ottone III di Sassonia e Zoe Porfirogenita, fondatori della dinastia imperiale che ha donato all’Occidente un nuovo domani.

Quando gli infedeli si sono resi pericolosi da diventare padroni di una cospicua fetta di mondo conosciuto, i nostri sovrani hanno fatto di tutto per ampliare i loro territori e allargare le alleanze, fino a poter rivendicare buona parte dei territori d’Oltremare.

Per noi guerrieri del grande Impero, però, è stato un secolo di guerra e di sfide, nonostante la soddisfazione per i gloriosi risultati ottenuti. E allora che l’Aquila Nera e l’Aquila d’Oro possano solcare assieme i cieli, fino a lambire i confini dell’umanità…

 

Sono solo due anni che presto servizio al cospetto dei vessilli crociati, ma sembra che sia trascorsa una vita. Sono nato ventisei primavere fa all’ombra delle alte mura di Magonza, per scegliere poi di venire a morire qua, nella remota Terra Santa.

Se c’è un destino che accomuna tutti noi guerrieri della Fede, be’, quello è di sapere che un giorno saremo inghiottiti dalle sabbie dell’Oriente ignoto, le stesse che hanno visto il martirio di Cristo. Questo è un onore, ma è meglio osannare il nostro religioso fervore mantenendo ben salda la vita per tutto il tempo che ci viene concesso.

La nostra spada è il prolungamento che ci è stato donato affinché possiamo reprimere tutto ciò che è contro l’Impero e la Cristianità, afferma sempre il mio fedele amico Michele, greco fino al midollo.

Michele che ancora dorme, coricato sull’umile giaciglio a fianco del mio. Il sole dell’alba infatti già bacia le nostre fronti e mi fa pensare un po’ troppo, così da farmi venire la nostalgia di casa, e questo non posso permettermelo.

Mi alzo quindi di scatto e scuoto il mio vicino, costringendolo a svegliarsi.

“Avanti, il nuovo giorno è arrivato”, gli dico, solo per stimolarlo. Presto i nostri superiori verranno a prendere a bastonate tutti coloro che sono ancora distesi, e sono convinto che anche lui non voglia ricevere tale umiliante trattamento.

“Uff”, sbuffa, tirandosi in piedi a sua volta e strofinandosi con vigore gli occhi, “la disciplina è ciò che più odio di questo posto”.

Concordo.

“Non ti manca mai casa tua?”, gli sussurro, come se fosse vergogna.

“No, mai. Costantinopoli è davvero noiosa. E come se non bastasse, i miei fratelli hanno già sperperato tutti i beni dei miei genitori. Mi toccherebbe chiedere l’elemosina”, mi spiega il greco, mentre ci dirigiamo verso il cortile del monastero che ci ospita e cerchiamo di non calpestare parti del corpo degli ultimi compagni ancora addormentati. Poi si permette una risatina.

Pure a me sfugge un sorriso.

“Anche io non avrei avuto un futuro in Germania. Sono il sestogenito, non c’è nulla per me, eppure a volte sento la mancanza di casa…”, borbotto e lascio che le mie parole svaniscano pian piano.

Ci sono giorni in cui non riesco a dimenticare il clima fresco dove sono cresciuto, proprio quando sabbia e sole cocente diventano troppo insopportabili. Tutta questa malinconia però passa in secondo piano quando finalmente c’è bisogno di me, di noi e delle nostre armi.

Ciò accade ogni giorno, a partire dall’alba.

I pellegrini che giungono nella Terra Santa sono sempre di più, spinti dalla Fede e dalla fama che le nostre imprese stanno imprimendo in tutto l’Impero. A noi tocca difendere queste terre e chi le attraversa.

Io e Michele consumiamo un frugale pasto, composto da latte di capra e un paio di fette di pane nero, poi senza dire una parola iniziamo a prepararci adeguatamente per la giornata. Ormai i nostri sono gesti imparati a memoria, anche se la concentrazione è sempre elevata. Basta una piccola imperfezione nell’armamentario per sancire la fine della nostra vita.

Indosso la tunica imbottita, e poi la maglia di ferro, mentre il caldo inizia già a farsi opprimente.

Mentre ci incamminiamo verso le caotiche strade della Città Santa, pronti a offrire i nostri quotidiani servigi, avvertiamo i lamenti dei nostri compagni che non si sono alzati in tempo. Verranno poi ulteriormente puniti con il digiuno.

“Oggi che si fa?”, mi chiede Michele, come se io fossi il Maestro in persona.

Non sto nemmeno a rispondergli. Abbiamo sempre molto da fare, anche durante questo periodo in cui non ci sono conflitti ufficiali contro gli infedeli; per servire l’Ordine e i pellegrini, dobbiamo costantemente scortare gruppi di persone indifese verso i luoghi di culto più antichi, dove ancora si avverte tutto l’estremo dolore del calvario di Cristo.

Nonostante la pace che da quasi mezzo secolo regna tra noi servi della cristianità e i musulmani, le campagne attorno a Gerusalemme pullulano di aggressori violenti, che come cavallette sgusciano fuori dalle sterpaglie e cercano di arricchirsi ai danni degli inermi sventurati.

Aumentiamo in sincronia il passo, poiché è il momento della prima Messa della giornata e non possiamo permetterci di perderla. Poi, scopriremo cosa si farà.

Il nostro Ordine presidia la maggior parte delle chiese in città, e numerosi tra i confratelli più anziani hanno scelto curare i riti sacri, poiché inadatti ormai alle fatiche del mondo esterno alle mura sacre. Sparse in tutta Gerusalemme, e fino alle periferie, i vari luoghi di culto sono a disposizione di tutti, ma le prime fila sono riservate ai Cavalieri Franchi, a seconda del quartiere ai quali siamo assegnati.

La nostra chiesetta è molto umile e povera, non ci sono panche in legno, bensì qualche misera sedia tarmata. Io e Michele riusciamo a prendere posto appena in tempo, giusto un attimo prima che Adalbert, il nostro confratello anziano che ha la responsabilità del rito sacro, inizi la funzione mattutina.

Durante tutto il corso della mia vita ho ascoltato talmente tante Messe e detto talmente tante preghiere da non saper nemmeno immaginare quanta fedele devozione ho dedicato al nostro Dio.

Questa mattina sono ancora leggermente intorpidito e faccio fatica a stare attento, anzi, spesso perdo la concentrazione e mi ritrovo a blaterare frasi e preghiere a memoria, senza rifletterci. Sto di certo peccando.

Devo confessarmi al più presto.

La funzione finisce relativamente in fretta, quella mattutina poi è leggera, poiché probabilmente ci attendono diverse mansioni, e anche se la preghiera è importante, lo è anche il lavoro e il dovere. D’altronde noi siamo anche le braccia di Dio, e non dobbiamo donargli solo la nostra mente e le nostre parole.

Avverto i miei confratelli che iniziano a uscire dalla chiesetta, e Michele si allunga per sfiorarmi un braccio e risvegliare la mia attenzione, ma ormai io sono deciso a volermi confessare per il peccato appena commesso.

Si nota tuttavia che non è la mattina appropriata, poiché mentre cerco di avvicinarmi al fratello Adalbert, un messo giunge di corsa. Quasi travolge i Cavalieri che stanno uscendo, li spintona e raggiunge l’anziano, reso saggio dai voti e dal lunghissimo servizio prestato nell’Ordine.

Adalbert allora afferra il messaggio scritto che il giovane gli ha frettolosamente consegnato, e con risolutezza richiama l’attenzione di tutti.

“Fratelli, per favore, tornate indietro”, afferma con il suo vocione roco, obbligando tutti i Cavalieri a fermarsi ad ascoltare. “E’ appena giunta una convocazione urgente da parte del nostro amato Maresciallo”, prosegue, quando è sicuro che siamo tutti presenti e attenti, “vi vuole tutti presenti al più presto presso la porta di Davide. Andate in pace”.

Detto questo, ripiega minuziosamente la preziosa pergamena.

Noi obbediamo tutti in simultanea e immediatamente; sappiamo bene che si tratta di un ordine. Ciò che proviene da così in alto non si può confutare né discutere, bensì solo eseguire.

Mi unisco agli altri uomini, e Michele non mi abbandona un attimo. Siamo diventati così grandi amici che ormai siamo simbiotici.

Le strade di Gerusalemme sono sicure, per fortuna, e dentro le mura di solito vige la correttezza e l’ordine. Non che si possa fare altrimenti, ormai la presenza crociata è così da tempo consolidata che ogni forma di ribellione è stata sedata.

La Città Santa è ora perlopiù abitata da Greci e cristiani provenienti dall’Occidente, mentre i discendenti delle genti locali sono stati tutti convertiti e vivono in pace. La nostra Fede ora è una sola, da quando i sovrano orientali e occidentali hanno fuso le loro dinastie. Siamo tutti fedeli a Roma.

E per noi è un grande onore poter percorrere le strade che un tempo hanno ospitato anche Cristo.

Giungiamo quindi in tranquillità alla porta di Davide, immensa e trionfante. Assieme al nostro gruppo stanno confluendo anche tantissimi altri confratelli, probabilmente anche loro opportunamente avvisati.

“Uh”, borbotta il mio amico, stupito quanto me, “credo che questa volta ci attenda una missione complicata”. La sua osservazione è corretta, poiché durante tutto il periodo della mia presenza in città non ho mai visto un raccoglimento di forze così ampio.

Mentre osserviamo i grandi portoni spalancati e vigilati da semplici guardie armate, nessuno di noi si accorge che in realtà il Maresciallo è in piedi sui camminamenti sovrastanti, e ci fissa dall’alto. Quando avvertiamo la sua voce tonante, siamo quasi percossi da un rapido brivido di stupore.

“Fratelli, non ruberò tempo alle vostre preghiere e alle azioni caritatevoli a cui vi dedicate giornalmente. Vi ho riunito qui perché ho necessità e urgenza di almeno cento di voi, possibilmente volontari”, afferma, le sue parole che rimbombano nel silenzio sceso tra i guerrieri.

Nessuno si chiede il motivo di tale richiesta, e un vocio soffuso si sparge in fretta tra noi. Vogliamo essere tutti tra quei cento prodi, renderci validi e coraggiosi agli occhi dei nostri superiori.

“Non tutti, calma”, ci riporta alla realtà la voce tonante del Maresciallo, che dall’alto sfrutta l’eco per farsi udire chiaramente, “siete così volenterosi, ciò vi rende onore. Ma solo cento di voi verranno con me, cento scelti tra i volontari che si proporranno…”. Non ha ancora finito di parlare che alziamo le mani al Cielo, quasi le unisco come durante la preghiera.

“Che Dio mi dia occasione per rendermi utile alla sua Causa”, mormora un qualcuno alle mie spalle. Siamo infervorati, abbiamo bisogno di qualche emozione nuova.

Poco dopo, iniziano le selezioni; chiunque vuole proporsi tra noi, deve presentarsi al cospetto del Maresciallo, che nel frattempo è sceso e si è posizionato nel mezzo dell’ampia porta cittadina, aiutato dalle guardie.

I primi di noi che riescono a mettersi in fila e a proporsi, vengono accettati e passano oltre la porta. Cerco anche io, assieme al mio amico, di mettermi in fila e di cercare di rientrare tra i cento. La scelta è rapida, c’è chi viene scartato, ma la maggior parte varca la fatidica e vasta soglia.

Michele, che è davanti a me, viene accettato.

Quando è il mio turno di farmi avanti, finalmente posso osservare a dovere il Maresciallo, quell’illustre guerriero che è riuscito a scalare le gerarchie dell’Ordine. L’uomo è attempato ma ancora dotato di un fisico e di un carisma da ragazzo.

Mi avvicino a lui e porgo l’ossequio, chinandomi con il ginocchio destro.

“In piedi, prode protettore della Croce”, mi intima, solennemente. Non faccio in tempo a rialzarmi che già mi pone un’altra domanda. “Sei abile di spada, o sei più adatto alla preghiera?”, mi chiede.

“So difendermi bene, se Dio vuole”, ribatto con difficoltà, quasi balbettando. Sono un po’ in soggezione. Non sono abituato a trovarmi di fronte a confratelli di rango più alto del mio.

Con un solo cenno del capo, il Maresciallo mi fa capire che posso passare oltre. Ho superato la selezione.

Mi ricongiungo quindi con Michele, che mi stava aspettando.

“Non avevo dubbi! Non poteva non sceglierti”, afferma. Io gli rifilo una manata contro la cotta di maglia, provocandogli un leggero barcollo.

“Non dire scemenze. Mi sto già pentendo”, ammetto. Se servono uomini abili di spada, be’, non so garantire. A fine addestramento ero discretamente bravo, ma non ho mai preso parte ad alcuno scontro armato di rilievo. Contro i predoni che a volte tediano i pellegrini basta spesso mostrare il nostro coraggio, altrimenti scaturiscono zuffe dove non sempre le spade vengono utilizzate correttamente.

Se il Maresciallo vuole controllare di persona la preparazione delle truppe dell’Ordine d’istanza a Gerusalemme, temo di poterlo deludere.

“Sei possente come un tronco di un albero secolare, Bruno. Non essere troppo modesto con te stesso”. Di certo il mio migliore amico ha ragione, sono possente e massiccio come pochi altri, però le mie abilità con le armi temo siano discretamente arrugginite.

“Le lodi devono essere rivolte solo a Nostro Signore”, rispondo tuttavia con diplomazia. Il greco annuisce, senza aggiungere altro.

Attendiamo con trepidazione la fine della rapida scelta, e infine i nostri nomi vengono registrati su una pergamena.

In conclusione al tutto, giunsero inaspettatamente alcuni assistenti del Drappiere, vestiti in modo umile e solo con la lunga tunica con la Croce sul petto. Con ordine, ci consegnano a ciascuno una cappa nuova e pulita.

Mi ritrovo a osservare la mia, stranito; generalmente non c’è concesso di indossarne una nuova prima che trascorrano diversi mesi, spesso soltanto dopo la Santa Pasqua dell’anno successivo. L’umiltà del vestiario deve parlare per noi.

Cosa sta succedendo, quindi? Perché tanta magnanimità?

Ci viene solo ordinato di andare a recuperare le nostre armi e di vestirci adeguatamente, poiché una carovana di pellegrini provenienti da Cesarea, dopo un faticoso viaggio a piedi nel mezzo delle sabbie infuocate, ha bisogno urgente del nostro supporto.

Ci dividiamo per un poco, al fine di raccogliere la nostra attrezzatura. Presso il nostro dormitorio, i compagni puniti e quelli esclusi ci accolgono festosi, sommergendoci di domande, ma noi non sappiamo rispondere a nessuna di esse.

Cerco di farmi gli affari miei, e in fretta mi metto a vestirmi. Già indosso la cotta di maglia, e il peggio viene quando mi metto addosso la cappa nuova e indosso l’elmo. Mi sembra di soffocare.

Con le gocce di sudore che iniziano a scendere rapidamente lungo la mia schiena, mi assicuro la spada ben affilata al fianco, nell’apposito fodero. Sono pronto a tornare al punto di raccolta, dove partirò per questa strana missione.

Michele e gli altri confratelli scelti sono stati lesti e silenziosi quanto me nella loro preparazione, e ce ne andiamo tutti assieme e in silenzio. Siamo tesi, è inutile nasconderlo.

Gerusalemme ospita tra le sue mura un presidio di circa cinquecento Cavalieri dell’Ordine, e se un quinto di essi devono abbandonare la città, di certo è per qualcosa di molto importante.

Il Maresciallo in persona ci attende, anche egli è vestito con una cappa nuova e la Croce rossa è come una ferita che gli marchia il petto. A suo fianco, il Comandante di Gerusalemme, suo subalterno, in groppa ad un magnifico cavallo da battaglia.

Io, Michele e tanti altri confratelli, per scelta e vocazione, quando scortiamo i pellegrini ci muoviamo a piedi come loro. Nonostante siamo Cavalieri, su un cavallo non riusciremmo a difendere al meglio i nostri appiedati e fragili fratelli di Fede. Per questo marceremo anche questa volta, seppur i nostri superiori cavalchino davanti a noi, aprendo la colonna umana.

Ogni passo che compiamo è un tintinnare di ferro e armi, un continuo svolazzare di cappe nuove e pulite.

Le strade che collegano Gerusalemme alla costa sono poche e tutte molto battute, le conosciamo bene, e il paesaggio circostante riesce a offrirci un vago senso di tranquillità. Ciò grazie alle sue forme lineari, ove il terreno arido e sabbioso ogni tanto incontra bassi cespugli dalle foglie bruciacchiate dal sole.

Siamo in una zona dove ancora possiamo notare il pericolo. Ma uniti ci sentiamo fortemente al sicuro; di solito ci muoviamo in gruppetti da massimo venti guerrieri, già così siamo molto temuti.

Ora, in cento, ci sentiamo invincibili. Non ci poniamo nemmeno altre domande, seguiamo i nostri superiori e basta, senza sprecare fiato o pensare troppo.

Che Dio sia con noi.

 

Scorgiamo i pellegrini poco oltre metà giornata. Il sole è alto nel cielo e i nostri corpi sono madidi di sudore, però gli occhi li abbiamo ancora ben validi, parzialmente protetti dall’elmo. Il caldo rende le immagini sfuocate, e infatti sembra che si tratti di un misero gruppetto di persone.

Invece, più ci avviciniamo e più udiamo rumori simili a quelli che produciamo anche noi, e cioè di armi e di ferro. Infine riusciamo a focalizzare la carovana nella sua completezza, e ci rendiamo conto che pare immensa. Io, con gli occhi offuscati dal sudore, dal calore e dalla sabbia, resto quasi inebetito al suo cospetto.

I nostri superiori si avvicinano alle avanguardie e parlottano per qualche attimo, prima di farci cenno di disporci ai margini della strada. A quanto pare, chiuderemo la fila delle persone in movimento.

E lasciamo allora che queste genti ci passino a fianco; la maggior parte di loro è a piedi, ma tranne i guerrieri della Croce, tutti contraddistinti dalle cappe bianche e dal simbolo della Fede, il resto sono perlopiù soldati di evidente provenienza germanica.

Alcuni indossano pesanti armature come se stessero per combattere una battaglia decisiva, altri sono a cavallo, ma si tratta per lo più di Cavalieri Orientali.

Nel centro del corteo, un grande carro trainato da una decina di cavalli. Ricco, sfarzoso.

Quando transita a mio fianco, a qualche passo da me, non posso non chiedermi chi ci sia al suo interno. Non sono abituato a tanti fasti.

Alla fine ci ritroviamo ad accodarci alla carovana, certi che nessuno ci attaccherà. Credo che sia da tempo che la Terra Santa non viene attraversata da così tanti soldati armati fino ai denti, uniti in un unico gruppo.

 

Il ritorno a Gerusalemme, come previsto, è calmo. Nessun predone ha le forze necessarie per poter scalfire anche solo minimamente le nostre difese.

Noi crociati siamo abituati al clima locale e al ferro che ci portiamo addosso quasi continuamente, mentre i soldati stranieri hanno fatto molta più fatica del previsto. A un certo punto, quasi arrancavamo, poiché avevano perso ritmo.

Per fortuna, a sera le accoglienti mura di Gerusalemme hanno saputo farci accomodare tutti quanti. La sorpresa nella Città Santa è generale, poiché ormai era chiaro che non sono giunti dei semplici pellegrini.

“Ci hanno fatto scortare qualcuno di importante”, aveva presagito il mio fedele amico, ma non ci voleva uno sforzo eccessivo per comprenderlo.

L’arcano si svela solo quanto il grande carro coperto si ferma ormai al sicuro delle mura, e da esso scende un baldo giovane. Subito, i guerrieri occidentali si inginocchiano in segno di devota adorazione.

Noi restiamo fermi, invece, in trepidante attesa. Tuttavia i nostri superiori non elargiscono alcun ordine, anzi, si recano dal ragazzo e gli parlano. Non alzano lo sguardo.

Le vesti del giovane sono sontuose, color porpora, e indossa il lungo manto imperiale. Che sia un importante vassallo, o magari un conte tedesco?

Egli viene condotto via da noi, dai nostri sguardi a cui vien sottratto con rapidità. Come un gioiello da proteggere. Solo dopo qualche ora inizia a divulgarsi la voce che abbiamo scortato a Gerusalemme un principe cadetto, Enrico della dinastia dei Porfirogeniti, secondo figlio del defunto Imperatore Teodoro IV di Sassonia.

 

Nonostante siamo uomini di Chiesa, umili guerrieri addestrati solo per difendere la Vera Fede e i poveri pellegrini, la lingua non l’abbiamo perduta. Molti confratelli adorano spettegolare e i pettegolezzi cominciano a divulgarsi in fretta dopo un avvenimento importante.

Di certo, l’arrivo in Terra Santa di un principe è qualcosa di veramente raro. Pare che il giovane sia sbarcato a Cesarea solo due giorni fa, e condotto qui grazie a una lunga marcia forzata. I suoi uomini sono a pezzi e il Maestro in persona è andato a conferire con lui.

Pare sia ospitato presso il sontuoso palazzo che si erge sulle rovine di quello che un tempo era il principale Tempio ebraico della città, demolito dai crociati.

“Dicono che la guerra sia imminente”, proferisce Michele, dopo aver parlottato con altri suoi amici molto chiacchieroni. Io ho preferito ritirarmi in preghiera, in fondo sono ancora convinto che il nostro nobile ospite sia giunto fin qui solo per accertarsi che regni la pace fin negli angoli più remoti dello sterminato Impero di suo fratello, l’Imperatore Teodoro V Porfirogenito, anch’egli nato dalla porpora come tutti i suoi più illustri antenati.

“E’ qui in pace”, replico, un po’ seccato.

“I rapporti tra lui e suo fratello maggiore si sono resi complicati. È probabile che voglia coinvolgere l’Ordine in una guerra in Oriente, magari per crearsi un Regno suo…”.

Lo interrompo con un gesto categorico della mano destra, che quasi gli giunge alle labbra per zittirlo.

“Nessuno userà la Croce per una personale guerra di conquista. Ciò è oltraggio e bestemmia, anche solo pensarlo”, affermo, categorico. Michele però sorride.

“Non conosci i potenti. Tu non hai mai vissuto a Costantinopoli, dove le famiglie patrizie da secoli lottano per il predominio sul Senato. Non sai nulla”.

Socchiudo gli occhi e torno a unire le mani davanti al mio viso, emettendo un profondo sospiro. Il mio fedele amico è importante per me, ma è ancora più importante la preghiera, il raccoglimento, la Fede. Altrimenti non sarei venuto fin qui. I comuni monasteri sono presenti anche in Germania.

Non amo parlare di cose mondane, di potere terreno o quand’altro, e neppure avere amici, però Michele è fatto così… siamo nati e cresciuti in realtà differenti, e anche quando lui mi parla in quel modo riesco a capirlo.

È vero, sono solo un campagnolo nato e cresciuto lontano dal fulcro della cultura greca e latina che influenzano il nostro sterminato Impero, ma non ho scelto di donarmi a tutto ciò.

Non ho scelto di prestarmi a pettegolezzi o alle amicizie di troppo. Un amico basta e avanza, mentre si cammina sul selciato di Dio. Troppe persone poi fanno chiasso e distolgono l’attenzione dal vero fulcro dell’esistenza.

“Io non so nulla, fratello. Sono solo un umile braccio di Dio”, dico, senza più alcuna voglia di parlare. E il greco lo sa che quando mi comporto così voglio essere lasciato solo, quindi torna dagli altri confratelli, che ancora parlano. Parlano troppo.

A zittirli è il suono della campana che annuncia il momento di andare a letto, e nessuno aspetta in piedi; la sveglia è all’alba e le preghiere non possono aspettare.

Anche io vado a letto, cercando di dimenticare quello che sta accadendo, o per lo meno cercando di interpretarlo nel modo migliore possibile.

 

Al mio risveglio, il sole è presente come sempre. È la solita alba, ma il frastuono che rimbomba nella Città Santa rende questa mattinata alquanto insolita.

Sono un po’ frastornato quando mi lascio trasportare fuori dal dormitorio comune dai miei compagni, anche loro svegli. Tutti quanti assieme, questa volta.

Ancora mezzi nudi ci affacciamo al portone di legno e facciamo a spintoni per osservare i gruppi armati che stanno marciando per le pacifiche strade di Gerusalemme; guerrieri di tutti i tipi, chi porta la Croce impressa sulla cappa bianca e chi veste ferro o oro. Vengono da tutto l’Occidente e dall’Oriente cristianizzato.

Mi vesto in fretta e mi lascio travolgere dal movimento delle persone armate, un flusso continuo che sta invadendo la città. Non mi chiedo cosa sta succedendo… ormai, travolto dagli eventi, non posso far altro che assecondarli. E continuare a sperare e a pregare.

Ma per cosa, poi? Tante armi possono solo portare la guerra. Una nuova e improvvisa crociata, nonostante la longeva e prospera pace che ci lega agli infedeli, una pace forzata che ha fatto bene a entrambi, permettendoci di prosperare? Proprio ora, che il nemico sembra ormai disinteressato al dominio su Gerusalemme?

Non ho risposte, so solo che ho paura.

Le mie braccia sono strumenti di Dio, come il mio umile e miserabile corpo, ma non voglio combattere qualcosa di fondamentalmente ingiusto. Mi sento in dovere di pregare, e lo faccio, nonostante tutto questo frastuono inaspettato.

   
 
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