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Autore: Lady1990    23/06/2019    4 recensioni
Ashwood Port, situata sulla costa del Massachusetts, vanta circa ventimila abitanti. Tre anni dopo la sua fondazione, risalente al 1691, fu teatro di un grande processo per stregoneria, mentre alla fine dell'Ottocento, durante la Guerra Civile, ospitò una sanguinosa battaglia. Al giorno d'oggi deve la sua popolarità a un florido commercio di pesce.
Le persone conducono una vita normale, spesso noiosa, perché nulla di sensazionale accade mai ad Ashwood Port.
Regan, sedici anni, erede dell'agenzia di pompe funebri McLaughlin, ha iniziato il liceo con un chiaro obiettivo in mente: stare lontano dai guai. Ma quando Teresa Meyers scompare senza lasciare traccia all'inizio dell'anno scolastico, Regan capirà di non avere altra scelta che lasciarsi coinvolgere nella follia che infesta Ashwood Port.
Infatti, quella di Teresa sarà solo la prima di una serie di impossibili sparizioni che, assieme ad altri eventi sinistri, si abbatteranno sulla tranquilla cittadina.
Tra fantasmi, streghe, licantropi, cacciatori, incubi e inganni, Regan si impegnerà per svelare il mistero. Ma a quale prezzo?
Anche se si è nati nell'oscurità, perdersi in essa è più facile di quanto si pensi.
[IN REVISIONE]
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Ed eccoci alla fine di questo primo libro (per chi non lo sapesse, è una saga, ergo ci sarà il sequel)! Fatevi avanti e ditemi cosa ne pensate della storia, apprezzo anche le critiche (purché costruttive)! Siete taaaaanti <3 Non abbiate paura, non vi mangio ^^ 
Sulla mia pagina di Facebook ho anche aggiornato l'album della storia con le foto/immagini di molti dei personaggi (i principali e anche alcuni dei secondari). Se siete curiosi, andate a farci un salto!
Buona lettura ^^








 
Qualcuno gli sollevò il capo con una mano e pronunciò un gentile “Bevi”. Prigioniero in uno stato di dormiveglia delirante, Regan riconobbe a stento la voce di Deirdre. Schiuse la bocca per chiedere dove fosse, cosa fosse successo, perché i suoi arti pesassero come macigni, e perché diavolo avesse degli aghi conficcati nella carne. Ma forse quest’ultima era un’allucinazione, poiché gli aghi sembravano cambiare posizione non appena la sua mente si focalizzava sui punti in cui credeva fossero infilati. Non riuscì ad articolare nessuna di quelle domande. Invece, esalò un flebile rantolo.

“Shhh. Va tutto bene.”

Vetro freddo venne premuto sul suo labbro inferiore e una sostanza liquida e densa scivolò oltre il muro di denti, irrorandogli la gola. Il gusto ferroso del sangue gli esplose sul palato, il suo odore divino gli riempì le narici. Le sue membra vennero pervase da un piacevole formicolio e un tiepido calore germogliò nel suo stomaco. Inghiottì avidamente. Quando finì, Deirdre guidò di nuovo la sua testa sul cuscino e gli scostò alcuni riccioli dalla fronte.

“Riposa. Ti sveglierò tra un paio d’ore per farti bere ancora.”

Regan fiutò la scia di gelsomino e miele farsi più forte, più vicina. Poi percepì il fantasma di un bacio sulla tempia sinistra e un fiato caldo, quasi bollente, sulla pelle gelida. Quando il peso del corpo della nonna lasciò il letto, Regan accolse per l’ennesima volta il sonno.

Quella routine andò avanti per un po’, forse ore, forse giorni, Regan non ne era sicuro. Lo scorrere del tempo sfuggiva dalle maglie della sua coscienza ogni volta che si addormentava. Il lato positivo era che si sentiva sempre meno spossato ad ogni bicchiere di sangue che Deirdre lo costringeva a bere. Sognare il lupo dal manto color caramello contribuì ad accelerare il processo, poiché pareva che la sua mera vicinanza fosse capace di rimpinguare le energie di Regan senza alcuno sforzo.

Riaprì gli occhi una sera. Il sole era già tramontato oltre l’orizzonte e i lampioni illuminavano le strade. Capì che il peggio era passato nel momento in cui si accorse di riuscire a muoversi senza avere l’impressione di venire triturato da uno schiacciasassi. Le palpebre erano ancora pesanti, il torpore si stava dimostrando riluttante a liberarlo dalle sue spire, ma Regan si fece forza e si sedette.

Era nella sua camera. Respirò a pieni polmoni l’odore che la permeava, un misto di cellulosa, detergente alla lavanda, eau de Poe, gelsomino e miele. Captò anche un vago sentore di cane bagnato e capì che Roman doveva aver trascorso ore assieme a lui mentre dormiva. Qualcuno, probabilmente Deirdre, aveva fatto ordine sulla scrivania e pulito da cima a fondo. Regan notò pure che indossava il pigiama. Quanto doveva essere stato stanco per non svegliarsi nemmeno mentre veniva cambiato?

Le sue orecchie registrarono il battito cardiaco della nonna al piano di sotto. Il rumore di stoviglie e di acqua corrente gli dissero che era in cucina a lavare i piatti. Annusò l’aria: patate lesse, pomodori, fagiolini e filetti di merluzzo fritti. Il suo stomaco gorgogliò.

Posò i piedi nudi a terra e si alzò. Il mondo vorticò pericolosamente per qualche attimo. Strizzò gli occhi e trasse profondi respiri. Aggrappandosi ai mobili e ai muri che incrociava lungo il cammino, si trascinò fuori dalla camera e giù per le scale.

Non appena si affacciò in cucina, Deirdre si voltò di scatto e lanciò un piccolo strillo.

“Regan, mi hai spaventata! Che ci fai in piedi?”

“Ho fame…” gracchiò.

“Oh. D’accordo. Siediti.”

Regan fece giusto in tempo a sedersi sulla sedia più vicina prima che Poe gli saltasse sulle ginocchia con un miagolio.

“Hey, tu.” lo salutò, accarezzandogli il pelo con lievi carezze, e sorrise quando Poe cominciò a fare le fusa.

Riportò lo sguardo su Deirdre. Vedendola tirar fuori una siringa di sangue dal frigo, la fermò.

“No, intendevo… non sarebbe male qualcosa di solido. Tipo, un panino.”

Deirdre gli rivolse un sorriso dolce e annuì. Gli fece un panino con prosciutto e formaggio e tagliò una grossa fetta della torta al limone che aveva preparato il giorno prima. Poi si accomodò di fronte a lui e passò i successivi minuti a osservarlo divorare il cibo come se non mangiasse da una settimana. Il che, ora che ci pensava, non era lontano dalla realtà: Regan si era nutrito solo di sangue in quei giorni e sapevano entrambi che non bastava a sostenerlo, gli serviva sia quello che il cibo solido per ricaricare le energie. Con una piccola smorfia, Deirdre si rimproverò per non averlo costretto a bere anche un po’ di zuppa calda insieme al sangue.

Terminato il pasto, Regan la guardò, carico di aspettativa. La nonna colse il messaggio e iniziò a raccontargli cosa si era perso.

La prima cosa che gli disse fu che era rimasto in una specie di coma per cinque giorni, salvo i momenti in cui Deirdre lo aveva svegliato per farlo bere. Oggi era domenica. Deirdre aveva chiamato la scuola mercoledì mattina per avvertire che era ancora malato. Venerdì, Lorie, assieme a un paio di amiche, aveva raccolto dagli insegnanti i compiti di recupero per Regan ed era passata a consegnarli a Deirdre, quindi non doveva preoccuparsi di rimanere indietro nel programma.

Per quanto concerneva la notte di martedì, la sostanza era che il demone era stato bandito e Steno, dopo aver ucciso i cacciatori, era fuggita. Aveva fatto i bagagli e lasciato la città subito dopo una telefonata con il capo dello staff della Fondazione e ricercatrice storica, Wilhelmina Jeoffrey, in cui diceva di avere un’emergenza in famiglia e di non sapere quando e se sarebbe tornata. Aveva affidato la cura della Fondazione a Wilhelmina e fatto perdere le sue tracce. La mostra era stata smantellata in due giorni e i reperti erano stati rispediti al mittente.

Tamara Sinclair aveva fatto irruzione nel bunker intorno alle quattro del mattino, poco dopo il massacro della Gorgone. Una volta aver messo a letto i suoi ed essersi assicurata che nessuno avesse chiamato la polizia a causa del boato del singolo proiettile che uno dei cacciatori era riuscito a sparare, Tamara aveva riaccompagnato Regan a casa in macchina per lasciarlo alle cure di Deirdre ed era tornata indietro per occuparsi dei cacciatori. O ciò che ne restava. Li aveva fatti a pezzi e ammonticchiati in un angolo del giardino. Per fortuna, i colpi di martello non avevano attirato attenzioni indesiderate, e nessuno aveva visto niente, perché tra il bunker e la strada c’erano delle siepi abbastanza alte a fungere da muro. Poi Tamara aveva sotterrato temporaneamente tutte le armi dei cacciatori, in attesa di capire come disfarsene in modo appropriato, e ripulito il giardino e il bunker da ogni traccia di attività sospetta.

Roman, Vincent e Sean si erano ripresi giovedì. Stavano bene, anche se erano ancora un po’ sotto shock. Roman era passato a trovare Regan più volte per sapere come stava, e spesso era rimasto a vegliare per ore al suo capezzale. Anche Vincent era passato. Lui e Deirdre avevano parlato a lungo di quanto successo e accettato di convivere pacificamente in quello che ora, con la dipartita dei cacciatori, era il loro territorio. Inoltre, l’alfa le aveva fatto capire, attraverso mezze frasi e giri di parole, che era in debito con Regan per averli salvati e che la sua porta sarebbe rimasta aperta per i McLaughlin per qualsiasi cosa.

“Li hai davvero colpiti tutti, leprotto.” commentò orgogliosa.

Regan sorrise. All’improvviso, gli tornò in mente una cosa e tornò serio.

“Hai poi ricevuto il mio messaggio? Quello in cui ti pregavo di non venire?”

“Mh? Oh, sì. Anche se non c’era bisogno che me lo scrivessi, non mi sono mai mossa di casa.”

“Come?”

“Quando ho accettato la chiamata, ho sentito un sibilo in sottofondo. Ho capito subito che era una trappola, ma sono stata al gioco per non peggiorare la situazione.” spiegò ammiccando, “Tua nonna non è stupida.”

Regan la fissò con aria incredula per un secondo. Quello dopo, scoppiò a ridere. Deirdre ghignò.

“E il terremoto? Nessuno si è allarmato?”

“Quale terremoto?” domandò Deirdre.

“Quello… beh, se non l’hai sentito, suppongo fosse circoscritto…”

“Non c’è stato alcun terremoto, leprotto. Lo saprei, visto che sono rimasta sveglia tutta la notte. Comunque, tornando a noi, rimane un’unica incognita per ricostruire il quadro generale degli eventi. E cioè, la statua della donna nel bunker. Chi era?”

“La signora Greenwood.” rivelò Regan.

Deirdre boccheggiò allibita, poi ammutolì e assunse un’aria pensierosa.

“Ora che ci faccio caso, non l’ho mai vista in questi giorni. Perché era lì? E perché sembrava più giovane?”

“Era una ninfa di boschi, una… Vila? Derek le ha chiesto di assorbire i miei poteri per rendermi umano. Mentre li assorbiva, è ringiovanita.”

Deirdre impallidì: “Una Vila?! Bontà divina… quelle sono cattive. Folklore slavo, se non erro. Come ho potuto non…? Ci ho passato insieme ore intere per anni e non ho mai…”

“Beh, finalmente sappiamo perché sembrava sempre in ottima salute, nonostante l’età avanzata. La cosa che mi stupisce, come hai detto tu, è che nessuno abbia mai sospettato nulla.”

“Sapeva nascondersi bene, evidentemente.” Deirdre fece spallucce, un gesto che indicava il suo desiderio di accantonare l’argomento, “Ora dimmi, cosa è accaduto di preciso quella notte? Ho già ascoltato la versione di Tamara, Vincent e Roman, ma vorrei conoscere la tua.”

Regan le riassunse per sommi capi gli eventi. In pratica, era andato tutto storto. Aveva sottovalutato il potere del demone, un errore che aveva messo i tre lupi in mortale pericolo. Regan sentiva che avrebbe dovuto prevedere la catastrofe e si dava la colpa per aver peccato di arroganza. Deirdre gli fece notare che alla fine, nonostante gli intoppi, l’esito era stato positivo: il demone non c’era più, il portale era stato distrutto, Steno lo aveva ripagato uccidendo i cacciatori e la signora Greenwood, e nessuno “dei buoni” era morto. Regan annuì mesto e andò avanti.

Le raccontò del confronto diretto con Aeshm, avvenuto in una dimensione onirica. Cercò di riferirle al meglio la loro strana conversazione e anche come era riuscito ad attingere alla sua parte demoniaca per sconfiggerlo. Quando approdò alla descrizione dell’aspetto che aveva assunto, le parlò della visione che aveva avuto ad Athens, in cui si era ritrovato faccia a faccia con la sua parte vampira e con quella che, adesso, sapeva essere la famosa parte demoniaca.

Deirdre si fece perplessa. Infatti, l’aspetto di Regan non sembrava mostruoso, almeno a parole. Cioè, non era come Aeshm, o come presumeva fossero in generale i demoni. E i gioielli? E quella sottospecie di corona?

“Se provo a immaginarti in quelle sembianze, piuttosto mi fai venire in mente…”

Deirdre lasciò la frase in sospeso e si corrucciò. Poi scosse con veemenza la testa per scacciare l’idea, come se la ritenesse troppo assurda per prenderla anche solo in considerazione.

Regan la fissò interrogativo e aspettò che elaborasse. Appena comprese che non lo avrebbe fatto, riprese a narrare gli eventi. Lei lo stette ad ascoltare in silenzio finché Regan non giunse all’entrata in scena della signora Greenwood.

“Ciò che ti ha fatto mi preoccupa. Come ti senti, leprotto?”

“Debole. Stanco.” ammise.

“Hai bevuto il sangue senza problemi, perciò sei ancora in parte vampiro. Avverti la magia dentro di te? O, sai… la terza parte?”

“Appena mi rimetterò in sesto, controllerò. Che fine hanno fatto i resti dei cacciatori? Sono ancora nel giardino dei Sinclair?”

“No, sono stati gettati in mare venerdì. Di notte, seguendo il mio consiglio, i Sinclair si sono intrufolati nelle loro case, hanno inscenato una partenza improvvisa e bruciato le valige nel mio forno crematorio. Per adesso, nessuno ha fatto domande.”

“Nessuno? E l’FBI è ancora qui? Zia Hillary che dice?”

“L’indagine sulle scomparse è stata archiviata proprio questa mattina. I familiari delle vittime non ne sono stati contenti, stanno ancora protestando di fronte alla centrale, ma la polizia non può fare più niente. L’FBI è ripartita nel pomeriggio per Quantico.” protese una mano e la poggiò sulla sua, “Basta parlare di questo, adesso. Va’ a chiamare Roman, era molto in pensiero.”

Regan assentì. Si alzò da tavola e risalì in camera con la stessa gioia di vivere di uno zombie. Quando si sedette sul letto, la tentazione di raggomitolarsi sotto le coperte si fece più pressante. La ignorò in favore del cellulare. Era spento e in carica.

Appena lo accese, una valanga di messaggi e chiamate perse apparvero sullo schermo. Vide i nomi di Mike e delle ragazze, ma non quello di Roman, probabilmente perché sapeva che Regan non avrebbe risposto. Aprì la lista dei contatti e lo chiamò. L’amico rispose al secondo trillo.

“Hey, lupacchiotto.”

“Regan! Regan!”

“Sì?”

“Regan!”

“Roman.”

“Sei sveglio! Oh mio Dio, sei sveglio. Arrivo subito! Non muoverti!”

“E dove vuoi che vada? Anzi, stavo per tornare a dormire, sono stanchissimo.”

“Non importa, vengo lo stesso. Non muoverti!”

Regan sbuffò divertito e riattaccò. Decise di andare in bagno a farsi una doccia, nella speranza di tenere lontano il sonno ancora per un po’. L’acqua calda scivolò sul suo corpo in rivoletti rigeneranti e ridiede vita ai muscoli intorpiditi. Aveva ancora dolori qua e là, ma il malessere stava lentamente svanendo. Si insaponò per bene, si risciacquò e tornò in camera con l’asciugamano legato in vita.

Il fatto che non avesse udito Roman arrivare, salutare sua nonna e correre su per le scale la diceva lunga sullo stato in cui era ridotto, nonché sul tempo che aveva impiegato per farsi una semplice doccia. Lo trovò seduto sul suo letto, le dita intrecciate in grembo e la schiena rigida.

Un paio di passi oltre la soglia fu tutto ciò che Roman gli concesse prima di saltargli addosso. Regan si sentì avvolgere dalle sue braccia, avvertì il suo respiro caldo sul collo e la morbidezza della sua felpa sulla pelle nuda, e rabbrividì. Rilasciò d’un fiato l’enorme bolla d’ossigeno che non si era reso conto di stare trattenendo e strinse Roman di rimando, incurante dei lievi tremori che scuotevano il corpo dell’amico.

Rimasero abbracciati a bearsi della rispettiva presenza finché Regan non sbadigliò sonoramente. Allora il lupo si staccò e lo guidò fino al letto, dove lo aiutò a stendersi e infilarsi sotto le coperte. Regan si sfilò l’asciugamano, accettò i pantaloni della tuta che l’altro gli porse e li indossò con movimenti goffi.

Senza attendere il permesso, Roman si sdraiò dietro lui e cinse il busto nudo di Regan in una morsa gentile e al contempo ferrea, quasi avesse paura di vederlo scomparire. Regan non protestò. Si addormentò pochi istanti più tardi, cullato dal calore emanato dal corpo di Roman e dalla tacita promessa che mai lo avrebbe abbandonato.

 
*

Martedì, Roman venne a prenderlo in macchina per portarlo a scuola, insistendo che Regan non “era ancora in condizioni di pedalare”. Regan apprezzava la sua preoccupazione, ma era anche parecchio seccato che qualcuno decidesse per lui quando avrebbe riavuto indietro la propria autonomia. Se non fosse stato per l’alleanza che il lupo aveva stretto con Deirdre, si sarebbe incaponito finché Roman non avesse ceduto.

I popolari gli tesero un’imboscata nel parcheggio. Appena aprì la portiera dell’auto, lo acciuffarono e lo condussero in trionfo all’interno dell’edificio, sotto gli sguardi sbigottiti degli altri studenti e dei professori. Regan si concesse una risata.

Mike, Lorie e le rispettive corti lo sommersero di gesti affettuosi e scherzarono sulla sua presunta influenza, dicendogli che temevano di averlo perso per sempre. Gli fecero promettere di indossare sciarpa e cappello sino all’arrivo della primavera. Roman finse di offendersi, perché il ruolo di mamma chioccia era suo e nessuno aveva il diritto di rubarglielo.

Siccome si era perso la partita della settimana scorsa, Mike fece giurare a Regan che sarebbe venuto alla prossima. Lo obbligò pure a metterlo per iscritto con tanto di firma. Regan disegnò anche un cuoricino e un “Forza Ashen Gulls” sulla pagina del quaderno di Mike.

Come si aspettava, gli chiesero che fine avesse fatto Derek. Regan si inventò che si era trasferito in Europa con la famiglia. Grazie a un minuscolo uso del controllo mentale, la questione cadde subito nel dimenticatoio.

Charlotte rimase sulle sue, ai margini del gruppo, assieme alla migliore amica. Jennifer aspettò che la folla si disperdesse, Roman incluso, prima di avvicinarsi a Regan. Rassicurò Charlotte con un cenno e la guardò andar via. Quindi si affiancò a lui e gli rivolse un debole sorriso.

“Hey.”

“Non sono arrabbiato con te.” le disse Regan, prima che potesse aprire bocca.

Jennifer rimase impalata a fissarlo per un qualche secondo, poi sbuffò e scrollò la testa.

“Ma io sì. Con me stessa. Non avrei mai dovuto attaccarti in quel modo al centro commerciale, so di avere sbagliato. Devo imparare a controllare meglio i miei istinti più… primitivi. Sean dice che sto facendo progressi.”

“Hm-mh. E con Roman come va?”

Jennifer esalò un sospiro afflitto.

“Il rifiuto fa ancora male, non lo nego, però ho capito di non avere il diritto di prendermela con te. Per questo, ti chiedo scusa. Non garantisco che non farò altre scenate di gelosia in futuro, perché il mio lupo continua a considerare Roman un potenziale compagno, ma prometto di non reagire più con violenza. Non è colpa tua se non gli piaccio.”

“Scuse accettate. Se può aiutarti, immagina che io abbia appeso al collo un cartello che dice ‘Fragile: Maneggiare con cura’.”

“Farò del mio meglio per visualizzarlo.” ridacchiò.

“Senti, hai per caso detto a qualcuno che io sono…?” fece un gesto vago con la mano, “Insomma, hai capito.”

“No, non l’ho fatto.”

“Okay. Bene.” Regan sospirò di sollievo, “Ti prego di non dirlo a nessuno, nemmeno a Charlotte. So che siete amiche e che vi dite tutto; tacere una cosa del genere con lei sarà difficile per te. Il punto è che non ti ho affidato il mio segreto per farne ciò che vuoi, ma per tenerlo al sicuro. È il mio segreto, capisci?”

“Giuro che terrò le labbra cucite, anche con Charlotte.”

Regan dubitava che Jennifer riuscisse a mantenere effettivamente la promessa, ma per ora si fece bastare le sue rassicurazioni.

Proseguirono lungo il corridoio in silenzio. Giunti davanti all’aula di Chimica, Jennifer lo fermò.

“So quello che hai fatto con…” si piegò verso di lui per bisbigliare, “… il demone e i cacciatori. Ti siamo tutti grati. Sei stato grande.”

Regan fece una smorfia alla “che vuoi che sia, non è stato niente di che”. Jennifer sbuffò una risata incredula e roteò gli occhi. Entrarono insieme in classe e, sedendosi ai rispettivi banchi, si scambiarono uno sguardo d’intesa. Charlotte li osservò con sospetto.

La tregua era temporanea, lo sapevano entrambi, ma almeno era un inizio.

 
*

Venerdì pomeriggio, dopo essersi messo in pari con i compiti, Regan riaprì per la prima volta il quaderno in cui erano contenuti i grimori dei Morgan. Avrebbe voluto riprendere i test da dove aveva interrotto, ma senza una guida sarebbe stato pericoloso.

Deirdre si offrì di insegnargli gli incantesimi più semplici, avendoli visti con i suoi occhi quando ancora viveva con la sua congrega in Irlanda. Tuttavia, non avendo poteri, c’era un limite all’aiuto che avrebbe potuto fornirgli. Sfogliarono insieme in grimori e segnarono gli incantesimi più banali e fattibili, di modo da tornarci sopra quando Regan si fosse ricaricato del tutto.

Tanto per provare, evocò il fuoco davanti a Deirdre. Ci vollero quattro tentativi prima di riuscire a materializzare una fiammella sul palmo di una mano. Da lì in poi, però, gli venne sempre più facile. Tanto che, a un certo punto, deliziò la nonna con uno spettacolino da giocoliere con delle piccole sfere di fuoco.

Seduto a gambe incrociate sul pavimento, con Poe a sorvegliarlo come una guardia carceraria dal bracciolo del divano, Roman osservò colmo di meraviglia la scena. Regan gli lanciò un bacio sottoforma di scintille incandescenti. Il lupo squittì sorpreso e fece una capriola all’indietro per scansarsi.

Roman ormai trascorreva più tempo dai McLaughlin che a casa sua, ma né a Regan né a Deirdre dispiaceva la sua compagnia. Lo stanzino in cui in passato aveva dormito Derek era diventata la cameretta del licantropo, anche se la brandina veniva raramente usata: Roman aveva espresso subito la sua preferenza a dormire con Regan, nel suo letto o sul pavimento, perché diceva che il suo odore e il suo battito cardiaco lo aiutavano a rilassarsi.

Durante i suoi frequenti soggiorni, Regan e Deirdre, spesso e volentieri, si divertivano a stuzzicare Roman o a usarlo come cavia per degli esperimenti con intrugli dall’odore nauseabondo, con somma gioia di Regan che, finalmente, poteva concedersi un po’ di pace dalla vena creativa di Deirdre. Roman subiva tutto con invidiabile classe, salvo poi esigere coccole e tonnellate di cibo per il disturbo.

Sino all’ora di cena, Deirdre istruì approfonditamente Regan sulle rune. Una volta acquisita la necessaria dimestichezza, lo condusse in giro per la casa a rafforzare quelle protettive che lei aveva già disegnato su stipiti e infissi.

Regan percepì lo sbalzo di energia sulla pelle quando impregnò di potere l’ultima runa. Era come se un muro invisibile si fosse eretto attorno alla proprietà, poteva quasi vederlo con l’occhio della mente correre da un capo all’altro delle fondamenta. Informò la nonna che era una figata pazzesca.

Tornati in cucina, videro Roman, confuso e mezzo trasformato, accucciato sopra il tavolo apparecchiato con tutti i peli ritti e Poe avviluppato attorno alla sua testa a mo’ di elmo. Ridendo come matti, gli scattarono una foto.

Sabato pomeriggio, Deirdre uscì dicendo che doveva fare una commissione. Regan stava studiando altre combinazioni di rune seduto sul divano in salotto. Circondato da una miriade di palline di carta, Roman giocava con Poe sul pavimento: la sfida consisteva nel radunare più palline possibili prima che finissero. Poe stava vincendo.

Quando la donna rincasò un’ora più tardi, Regan spostò l’attenzione su di lei. Vedendola stringere in una mano la maniglia di una valigia di pelle rettangolare piuttosto grande, si irrigidì, riconoscendo la fodera di uno strumento musicale. Una fodera che non vedeva da anni.

“Ho un regalo per te, leprotto.” annunciò Deirdre.

Si sedette accanto a lui e gli sorrise eccitata. Non si era nemmeno tolta il cappotto, e la borsa era ancora appesa al braccio sinistro.

“Un regalo?”

“Un premio. Te lo sei meritato.”

Roman si sporse per vedere meglio. Poe, offeso dall’audacia del licantropo, che osava interrompere il gioco a suo comodo, gli balzò sulla testa e si spaparanzò sui suoi capelli, le zampe ben salde sul suo collo e sotto il mento, per mantenere l’equilibrio e ammonirlo con gli artigli se avesse provato a disarcionarlo. Il ragazzo lo lasciò fare, ormai abituato.

“Cos’è?” domandò curioso.

Non ricevette una risposta verbale. In compenso, l’atmosfera si fece satura di emozioni talmente forti che si trovò ad ammutolire.

Regan prese lentamente la valigia e la depositò sulle proprie ginocchia. Accarezzò la pelle trattata con una sorta di venerazione. Sapeva cosa si celava all’interno e non era sicuro di essere pronto.

“Coraggio. Aprila.” lo esortò Deirdre.

Regan inspirò profondamente. Le dita corsero alle chiusure di metallo e le fecero scattare verso l’alto. Spalancò il coperchio.

“Nonna…”

“Te lo sei meritato.” ripeté lei in tono dolce e gli stampò un bacio sui capelli spettinati.

I tiepidi raggi del sole invernale che filtravano dalle finestre si rifletterono sul sassofono. E non un sassofono qualunque, ma il suo. Era stato il regalo per il suo undicesimo compleanno. Lo aveva rotto a tredici anni in uno scatto d’ira, dopo aver scoperto di essere in parte vampiro. Deirdre lo aveva fatto riparare.

I polpastrelli sfiorarono il bocchino, scivolarono sul collo e indugiarono sulla prima chiave, per poi scendere sul perno e sulla parte bassa del fusto. Tanti ricordi erano legati a quello strumento, la maggior parte dei quali belli, sereni, risalenti a un’epoca in cui tutto ciò di cui doveva preoccuparsi era mantenere una media alta a scuola e aiutare Deirdre a innaffiare il giardino. Sollevò la campana ad altezza occhi e vide che all’interno c’era ancora il suo nome, vergato in un elegante corsivo.

“Sarà costato un visibilio…”

“Avevo già messo da parte i soldi, tranquillo.”

Roman assisté allo scambio sentendosi una specie di intruso. Se non fosse stato per Poe, avrebbe tolto il disturbo inventandosi una scusa. Così rimase seduto sul pavimento a guardare mentre il suo alfa sperimentava un gamma di emozioni tanto complessa che a malapena trasparivano dalla sua espressione. Il suo odore, invece, raccontava una storia ben diversa.

Regan estrasse il sassofono dal fodero, lo imbracciò e si alzò. Le dita presero posto all’istante, la postura si aggiustò da sola. Gli venne tutto naturale, come se non fossero passati tre anni da quando lo aveva stretto per l’ultima volta. Avvolse le labbra intorno al bocchino e riempì i polmoni di ossigeno. Poi soffiò.

La Vie En Rose, l’ultimo brano che aveva imparato a lezione, permeò l’aria, vibrò sui muri e sulle finestre e penetrò nel cuore di Deirdre, che non poté esimersi dal guardare il nipote con occhi velati di lacrime. Quando Regan suonava il sassofono, era come se venisse risucchiato in un mondo tutto suo, in cui era lui a dettare le regole attraverso il ritmo e le note.

Poe abbandonò Roman e saltò sul cuscino alla destra di Deirdre. Seduto sulle zampe posteriori, ascoltò rapito, gli occhietti gialli fissi su Regan. Roman appoggiò la schiena al divano e gli avambracci sulle ginocchia piegate e si lasciò trasportare pure lui dalla luce, dalla vita, dalla passione che l’intero corpo di Regan stava emanando.

All’esterno, una raffica di vento scosse le siepi e le fronde degli alberi. Nuvole dei colori del crepuscolo galoppavano nel cielo sopra Ashwood Port, sospinte dalle correnti ad alta quota. L’oceano era calmo, la bandiera rossa era stata abbassata. I gabbiani volavano sulla superficie delle onde in cerca di pesce. I pescherecci veleggiavano all’orizzonte, i loro ponti brulicanti di marinai desiderosi di rientrare in porto con un bel bottino.

Nel vialetto della casa sull’altro lato della strada, in cui una volta viveva l’eccentrica signora Greenwood, c’era un cartello con su scritto “VENDESI”. Ma finora nessuno aveva avanzato offerte, perché il giardino appassito e pieno di erbacce era davvero orribile.

Al di là della siepe di viburno intorno alla dimora McLaughlin, a sinistra, i Thompson erano fuori città per il weekend, mentre a destra, i Davis erano trincerati in casa con dei parenti, forse cugini o nipoti, con la televisione sparata a tutto volume.

Nessuno ebbe il privilegio di udire la musica prodotta dal sassofono, eccetto per una vecchia strega senza poteri, proprietaria di una ditta di pompe funebri, un gatto nero con un gusto spiccato per la carne umana e un ragazzo di diciotto anni che, quando gli andava, si ricopriva di peli e ululava alla luna.

 
*

Domenica mattina, Roman tornò a casa per trascorrere un po’ di tempo in famiglia. Il rapporto con suo padre non si era ancora ricucito, ma era migliorato dalla notte dell’esorcismo. Nei giorni precedenti non avevano parlato dei loro problemi, entrambi troppo orgogliosi o impacciati. L’unico conto in sospeso che avevano chiuso era quello che riguardava Jennifer: Vincent aveva promesso di non spingere più Roman verso di lei quando il figlio gli aveva detto chiaro e tondo che non era interessato e mai lo sarebbe stato. Gli allenamenti a cui Vincent continuava a sottoporlo erano sì sfiancanti, ma adesso erano conditi anche da consigli e dimostrazioni pratiche. Roman apprezzava lo sforzo.

A casa McLaughlin, Deirdre era impegnata a preparare un pranzetto coi fiocchi in vista della visita di Hillary. Regan apparecchiò la tavola e fece sparire le chincaglierie magiche e i libri esoterici da cucina e salotto, nascondendoli nell’armadio in camera.

Lo sceriffo arrivò puntuale a mezzogiorno, vestita con l’uniforme e sfoggiando la faccia di una che si era dimenticata cosa fosse un letto. Salutò calorosamente i padroni di casa, depositò la pistola d’ordinanza sul mobiletto dell’ingresso e si sedette a tavola con un sorriso stanco. Regan provò compassione per lei, assieme a una punta di senso di colpa.

Il fallimento delle indagini sulle scomparse era stato un duro colpo alla sua carriera, uno da cui Hillary faticava a riprendersi nonostante la buona volontà e il supporto dei colleghi e cittadini. Nessuno la biasimava davvero, a dispetto delle lamentele e delle vuote accuse dei familiari delle vittime, dato che nemmeno l’FBI era risultata di qualche aiuto. Infatti, se i federali non riuscivano a chiudere un caso con le risorse che avevano a disposizione, come poteva farlo una poliziotta di provincia? Hillary vantava esperienza, era addestrata e rispettata, ma tutti sapevano che c’erano dei limiti. Non era mica Sherlock Holmes. Eppure, a Hillary bruciava ancora.

“Fossi in te, celebrerei la fine della lunga serie di scomparse, invece di rimuginarci sopra.” le disse Deirdre, servendole tre fette di polpettone ripieno.

“Lo so! È che… c’è qualcosa che non quadra. E siamo davvero sicuri che il colpevole abbia lasciato la città?” insisté piccata Hillary mentre prendeva un altro sorso di birra, “La stampa sta marciando sulla teoria secondo cui l’FBI lo ha messo in fuga perché si stava avvicinando a scoprire la sua vera identità, e sono tutte puttanate!”

“Hillary!” la riprese Deirdre, scandalizzata.

“Lo sono! Okay, non nego che sia possibile. Ma allora non potrebbe tornare, che so, domani, approfittando dell’assenza dei federali?”

Regan si bloccò, folgorato da un’idea. Se fosse riuscito a giocarsela bene, avrebbe potuto prendere due piccioni con una fava e togliersi di torno un problema che, se non stava attento, sarebbe tornato a bussare alla sua porta a tradimento.

Estrasse di soppiatto il cellulare dalla tasca dei jeans e scrisse velocemente un messaggio con istruzioni precise. Pregò che il destinatario lo leggesse subito. Poi lo rimise in tasca e occhieggiò in direzione di Deirdre, che stava distraendo Hillary caricandole il piatto di piselli saltati e insalata russa.

“Hai sentito della partenza improvvisa dei Sullivan, dei Ferguson e dei Chou?” buttò lì Regan con nonchalance.

“Oh, giusto. Non sono in Europa?” chiese Hillary.

“Così si dice in giro, ma non sento Derek da molto prima e non so se siano realmente lì. Il suo cellulare è irraggiungibile, non ho più contatti da un po’.”

“Cosa stai insinuando?” indagò Hillary, in piena modalità sceriffo.

Deirdre fissò il nipote con un sopracciglio inarcato.

Regan finse di essere in difficoltà. Aprì e chiuse la bocca varie volte, aggiustando la postura sulla sedia, e posò la forchetta sul piatto.

“Beh… non te l’ho mai detto perché so che conosci i Sullivan e siete amici, diciamo. E Derek era mio amico, quindi non volevo pensar male di lui o… insomma. Il punto è che mi è capito di parlare con Derek delle persone scomparse. Volevo aiutarti a risolvere il caso e Derek, ehm, si prestava molto ad ascoltare le mie chiacchiere. Anche troppo. Anzi, spesso era lui a introdurre l’argomento, chiedendomi dettagli sull’indagine. Per fartela breve, ho notato che, quando ne parlavo, lui si irrigidiva. Sembrava teso, sul chi va là, come se stesse nascondendo qualcosa… e quando capiva che la polizia non aveva in mano niente, si rilassava…”

Hillary aveva smesso di mangiare e lo osservava con un’espressione a metà tra l’incredulo e il sospettoso.

Deirdre celò un ghigno dietro il tovagliolo e si versò da bere nel bicchiere.

Regan si schiarì la gola, simulando disagio: “Insomma, dico solo che forse una capatina a casa loro non sarebbe una cattiva idea. So che i Sullivan sono membri esemplari della nostra piccola comunità, tanto che nessuno oserebbe mai sospettare di loro, ma il modo in cui si comportava Derek mi ha fatto spesso pensare. Comunque, è solo una supposizione. Magari mi sbaglio. Spero di sbagliarmi. Perché se si scoprisse che i Sullivan, e per estensione i Ferguson e i Chou, loro amici stretti, erano coinvolti, mi sentirei così stupido…”

Infilzò un pezzo di polpettone con la forchetta e se lo portò alle labbra, sollevando lo sguardo innocente e preoccupato sulla zia.

I lineamenti di Hillary erano contratti in un’espressione meditabonda. Scrollò la testa, sbuffò e abbozzò una mezza risata. Subito dopo tornò seria e si lasciò riassorbire dalle congetture. Regan poteva quasi vedere le rotelle nel suo cervello lavorare a pieno ritmo.

“Confesso che mi riesce difficile crederci, la sola idea mi suona sbagliata, ma adesso non posso fare a meno di chiedermi…” sospirò e si strofinò la faccia con le mani, “Dannazione, Regan.”

“Sei stata tu a insegnarmi di non ignorare mai il mio istinto! Oh. Ora che mi ci fai pensare, ricordo che Gregory, Kevin e Derek hanno cominciato a comportarsi in modo strano sin dalla scomparsa di Teresa.”

“Mi servirà un mandato.” sancì Hillary.

Regan e Deirdre si scambiarono un’occhiata eloquente.

Il giorno dopo, muniti di toast e succo d’arancia, si sedettero sul divano per non perdersi il notiziario locale del mattino, che dedicò un buon quarto d’ora al caso delle scomparse.

A quanto pareva, la polizia aveva fatto irruzione nelle abitazioni delle famiglie dei Sullivan, Ferguson e Chou all’alba. Oltre a scoprire arsenali di armi non registrate, avevano rinvenuto anche oggetti appartenuti alle vittime, chiusi in delle scatole nei seminterrati. Senza contare i simboli occulti disegnati sotto i tappeti e le foto sconcertanti di parti umane amputate nei fascicoli nascosti nelle casseforti in ciascuna delle case, con tanto di prezzi accanto a ciascuna foto.

Regan agguantò il cellulare. Navigando su internet e sui social, notò che non si parlava d’altro. Nessuno sapeva cosa fosse successo alle vittime di preciso, ma l’immaginazione non mancava a nessuno e le teorie abbondavano. Tutti erano scioccati e pieni di rabbia.

Mentre la giornalista seguitava a riferire in diretta gli eventi, il cellulare di Regan squillò. Una veloce occhiata allo schermo e le sue labbra si aprirono in un ghigno. Accettò la chiamata e si portò il cellulare all’orecchio.

“Buongiorno, signor Sinclair.”

“Hai idea di quanta fatica abbiamo fatto per piazzare tutto come hai detto?! Abbiamo finito poco più di un’ora fa dopo una notte completamente in bianco!” sbraitò Vincent, “Potevano beccarci in flagrante! E sai quanto è stato difficile reperire gli effetti personali delle vittime? Rupert Gullon non tanto, ma gli altri sì! Le famiglie erano in casa, avrebbero potuto sentirci!”

“Ma non l’hanno fatto. Ottimo lavoro. Soprattutto con le foto e i simboli occulti, erano molto credibili.” si complimentò Regan.

“Ruby sa usare bene Photoshop, è un’artista molto dotata.” ammise con una punta di fierezza nella voce, poi si riscosse, “Si può sapere come diamine ti è venuta in mente un cosa del genere?”

“Geniale, vero?”

Vincent grugnì, suo malgrado colpito.

“Vi ringrazio, il vostro aiuto è stato fondamentale.” disse Regan.

“Abbiamo fatto tutto noi! E non mi sono neanche potuto godere il coniglio che mia moglie ha cucinato ieri perché tu hai pensato bene di scrivere quel messaggio mentre stavamo pranzando!”

“Il piano era mio.”

“Abbassa la cresta, moccioso. Sei invitato a cena domani sera, non mancare.”

“Un banchetto in mio onore?”

“Roman non fa che lagnarsi perché gli manchi e non mi va che passi troppo tempo da voi. Se glielo permettessi, dovrei pagare a Deirdre gli alimenti.”

“Ricevuto, signor Sinclair. A domani. E ancora ottimo lavoro!”

Riattaccò e rivolse alla nonna un ghigno cattivo. Deirdre esplose in una risata sguaiata. Dal calorifero sotto la finestra, Poe miagolò scocciato per essere stato disturbato durante il suo decimo pisolino.

A scuola, non si fece che parlare della svolta nelle indagini. In classe, nei corridoi, nei bagni, era il solo argomento che rimbalzava di bocca in bocca. L’armadietto di Teresa, sino ad allora dimenticato, si riempì subito di altre frasi sdolcinate, biglietti e fiori freschi.

A mensa, Regan si divertì ad ascoltare le teorie che ricamavano gli studenti, incuranti del pubblico o delle opinioni altrui, mentre Roman ciondolava al suo fianco mugugnando in continuazione “voglio dormire, letto, voglio dormire”.

Di comune accordo, le ragazze si misero a organizzare una festa su invito in onore di Teresa per dirle propriamente addio. James assunse un’aria depressa e restò muto per la maggior parte della giornata. Gli altri popolari mostrarono rispetto per il suo cordoglio.

Tornato a casa, Regan fece i compiti. A cena decise di cimentarsi in una ricetta vietnamita piuttosto semplice che gli aveva consigliato Lorie. Voleva fare una sorpresa alla nonna. Infatti, Deirdre aveva lavorato senza sosta nell’ultimo periodo: l’ospedale le aveva consegnato la quinta salma della giornata pochi minuti prima e i parenti avevano già telefonato per dire che la volevano pronta al più presto per il funerale. La povera donna si meritava una pausa.

Il fantasma di un vecchio signore vestito in giacca e cravatta stazionava accanto alle scale che portavano al piano di sopra.

Dalla porta accostata del seminterrato proveniva Sh Boom Sh Boom dei The Crew Cuts, un pezzo che Regan amava e odiava al tempo stesso, perché una volta che gli entrava in testa non ne usciva più. Poteva sentire Deirdre canticchiare a bassa voce leggermente fuori tempo e battere la suola della scarpa al ritmo della musica. Senza volere, pure lui cominciò a mugugnare tra i denti e muovere i fianchi.

Mise a cuocere gli spaghetti di riso, piroettò con eleganza attorno al tavolo e si focalizzò sul pollo adagiato sul tagliere, facendolo a striscioline. Lo saltò in padella con un pizzico di peperoncino, olio di semi di arachidi e un rametto di menta. Stava condendo le verdure crude con l’aceto, quando il campanello suonò.

Si fermò e aggrottò le sopracciglia, perché non riconosceva l’odore della persona fuori dalla porta. Che qualcuno avesse portato un’altra salma? Si pulì le mani e andò ad aprire.

L’uomo alto e palestrato che gli si parò davanti aveva un aspetto vagamente familiare. La mascella squadrata pareva opera di uno scultore esperto, le spalle erano larghe quasi quanto la porta e la giacca di pelle che indossava era stirata sul torace e i bicipiti. Furono gli occhi, però, ad attirare la completa attenzione di Regan. Erano gelidi, duri, privi di luce, incorniciati da borse scure e rughe che denotavano una stanchezza più che fisica, spirituale.

“Sì?”

“Sei tu Regan.”

Anche se non era una domanda, Regan annuì. Per qualche ragione, avvertì i peli del corpo rizzarsi e il cuore prendere a martellare nello sterno come un tamburo.

Un movimento rapidissimo della mano destra dell’uomo catturò il suo sguardo. Si ritrovò a fissare la canna di una pistola munita di silenziatore. E allora realizzò chi era l’uomo. Non aveva la divisa dell’FBI, per questo non lo aveva riconosciuto subito.

Campanelli d’allarme risuonarono a tutto spiano nel suo cervello. Pensieri come “chiama Deirdre”, “urla”, “togliti dalla linea di tiro” gli balenarono in mente simili a dardi infuocati, ma si persero nel caos provocato dal picco di panico che lo pervase.

John Bennett non gli diede nemmeno il tempo di respirare.

Serrò le dita attorno all’impugnatura della pistola e premette il grilletto.




 
“Life could be a dream, sweetheart…”
 
















Dan dan daaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaan! XD Ditelo che mi adorate <3
Grazie infinite per aver seguito le disavventure di Regan fin qui e non dimenticate di farmi sapere cosa ne pensate!
Il secondo libro è ancora work in progress, ci vorrà un po', ma conto di cominciare a pubblicarlo questo inverno.
Un bacione a tutti!
Lady1990
  
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