Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran
Ricorda la storia  |      
Autore: fra_is_a_weasley    26/06/2019    0 recensioni
Kate era abituata a vivere giornata per giornata chiusa in quella casa famiglia da quando Lui se ne era andato.
Intanto Ed Sheeran si era guadagnato tutto ciò che desiderava, fama, fan, però gli mancava qualcosa. Da quando era scappato da quella casa- famiglia e aveva abbandonato Lei non era completo. In ballo c'era solo una stupidissima promessa.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Kate era abituata ad affrontare la nuova giornata come se fosse l’ultima, con tranquillità ma apprensione, era abituata ad essere da sola nessuno le era rimasto, solo lei e qualche foto di quella che un tempo era tutta la sua vita. Viveva in una casa- famiglia, un modo carino per dire che viveva da orfana con tanti altri come lei, nessuno però la voleva con se, forse per la sua camera singola situata in angolino all’ultimo piano, forse perché ormai a 17 anni non servi a niente o forse perché dopo ciò che accadde quasi due anni fa lei si chiuse in se stessa Se li ricorda ancora quei bei giorni, solo loro due, la sua chitarra ed il vecchio pianoforte in sala ricreativa, le risa si sentivano in tutta la casa, chiunque li conosceva anche nel vicinato quando scappavano di nascosto per andare a prendere un frappè nello Sturbucks all’angolo, lei prendeva il caramello, le piaceva pensare a lui diceva. Lui prendeva la vaniglia, bianca, cremosa, dolce con però delle macchiette nere che le davano il tono di imperfezione he tutti hanno. Erano abituati a scattarsi delle foto a cui avrebbero affidato i loro ricordi, tutto per loro, solo loro. Capitava che la governante, una certa signora Fitz, li trovava nella camera di lei abbracciati a dormire beati, a ridere o a suonare. Erano gli unici ricordi positivi di Kate finché lui non se ne andò, lui era la sua Casa e se ne era andato, una notte di quell’estate calda lei si era svegliata con un senso di vuoto, il tempo di vedere l’ora che la trovò, una polaroid di loro due che sorridevano la era in cui erano andati tutti in campeggio, dietro solo una frase “Aspettami che torno a casa”, un piccolo ciondolo, lo Ying, e una lettera, che anche oggi la ragazza non è riuscita a leggere, solo questo. Si era alzata d era piombata nella sua camera, sicura che fosse solo uno stupido scherzo da parte del suo amico, lo avrebbe trovato lì, nel suo letto come al solito, rideva, non voleva crederci ma era così. Lui non c’era più, non c’era più Nigel, la sua chitarra risposta di solito nell’angolo vicino alla finestra, il suo letto era intatto, il suo armadio vuoto. Lui non c’era più, l’aveva lasciata lì, da sola, le lacrime iniziarono a rigare il viso della giovane, i ricordi iniziarono ad invaderle la testa, non riusciva a pensare e allora gridò, gridò più forte che poteva, perché la aveva abbandonata, glielo aveva promesso, ci sarebbe stato per lei, sempre. Glielo aveva detto una sera quella prima che lui se ne andasse, prima che la lasciasse, nella 6 strada sotto un lampione e lei di tutta risposta gli aveva sfiorato le labbra, un gesto azzardato ma troppo giusto per non essere fatto si ripeteva. Adesso però a distanza di un anno ancora non era uscita dalla stanza, ancora non era riuscita a riaccendere il cellulare per avere sue notizie, in cuor suo sapeva però perché lo aveva fatto, scappare, intendo, per inseguire il suo sogno, il loro sogno, erano sognatori loro due, solo questo, solo sognatori. Forse proprio per questo non era ancora riuscita ad aprire quella lettera, il ciondolo però lo aveva sempre con se, era come se tutto fosse rinchiuso li, le risate, i pianti, le grida, i silenzi, le chiacchere ed il pensieri, tutto. Poi c’era la foto, quella stramaledetta foto che conteneva una promessa mai mantenuta, solo parole buttate al vento a cui lei aveva creduto e a cui credeva ancora, perché ogni giorno si affacciava nella sua stanza sperando di veder comparire la sua testa arancione tra le lenzuola bianche. Si ostinava a credere che sarebbe tornato con la sua faccia da cane bastonato e una scatola di gelato per farsi perdonare, ma non sarebbe successo, in cuor suo lo sapeva però continuava a tenere quella piccola polaroid nella sua tasca posteriore dei jeans così lui sarebbe stato sempre con lei. Aveva bisogno di rivederlo, di rivedere i suoi occhi dal colore indefinito, il suo sorriso, le sue lentiggini spruzzate sul suo naso, i suoi capelli arancioni sempre scompigliati, lui. Forse è stata proprio questa sua necessità di rivederlo a spingerla ad aprire la busta:

Cara Kate,
A volte amare fa può far male, però una delle poche cose che so è che quando diventa difficile, perché a volte è così, è l’unica cosa che riesce a tenerci vivi. Magari potremmo intrappolare il nostro amore in una fotografia e tenere questi ricordi fatti per noi, perché i nostri occhi non sono mai chiusi, il tempo è fermo lì ed i nostri cuori stanno bene. Se vorrai potrai portarmi con te nella tasca dei tuoi jeans strappati, almeno finché i nostri occhi non si rincontreranno e non sarai più sola. Aspetta il mio ritorno a casa. Amare può guarire e medicare la tua anima e, purtroppo, questa è l’unica cosa di cui sono sicuro, ti giuro che andrà tutto bene, devi solo crederci, crederci con ogni cellula del tuo corpo perché questo è tutto ciò che porteremo con noi quando moriremo. Però potremmo usare un foto per racchiudere il nostro amore, tenere tutto per noi, gli occhi così sono sempre aperti, i cuori sono ancora intatti e il tempo è congelato, focalizzato su quel momento. Quindi portami con te nella tasca dei tuoi jeans logori, tenendomi vicino fino al nostro incontro e ti prometto che non sarai più sola. E se mi ferirai allora va bene perché ci sarà di peggio, io so che tra queste righe tu i terrai con te e sappi che io non lascerò che tu te ne vada. Aspettami ti prego, sto tornando a casa, sto tornando da te. Chiedo solo questo, conservami nel ciondolo che ti ho regalato all’età spensierata e felice che sono i 16 anni, accanto al tuo cuore proprio dove vorrei essere adesso, tienilo a contatto con la tua anima e sarà come se io fossi li con te. Se mi griderai contro non importa perché potresti fare di peggio, ti prego solo di ricordarmi tra queste righe e sappi che non ti lascerò mai andare. Quando sarò via mi ricorderò di come mi hai baciato sotto il lampione dietro la sesta strada e di come, quando eravamo in punizione mi sussurravi al telefono.
ASPETTA CHE TORNI A CASA,
Tuo Ed
 
Forse era la sua grafia frettolosa che la fece piangere, o le sue parole che esprimevano un’emozione indefinita o forse pensare che l’aveva scritta per lei, che l’aveva pregata di aspettarlo. Ormai però il tempo è scaduto, tutto finisce dopo un po’ e anche il tempo che Kate doveva attendere per rincontrare Ed era finito. Magari doveva scappare anche lei e cercarlo o continuare ad aspettare almeno finché avrebbe potuto, perché come già detto tutto ha una scadenza e lo stesso valeva per Ed che l’aveva abbandonata. Nella lettera diceva “E se mi ferirai non importa” eppure era stato proprio lui che inconsapevolmente aveva ferito lei, non solo ferita, aveva affondato una spada nel suo stomaco e bucato. Quando era piccola le dicevano che l’anima si trovava all’altezza proprio dello stomaco, quindi era come se Ed le avesse squarciato l’anima e solo lui avrebbe potuto ricucire quella ferita, nessun’altro, solo lui che però non c’era, era chissà dove a fare chissà cosa, magari si era solo dimenticato, magari sarebbe tornato tra 10 anni ricordandosi improvvisamente di quella ragazza di nome Kate con cui aveva condiviso tutto e a cui aveva fatto una promessa ma nel tentativo di mantenerla avrebbe scoperto che quella ragazza non c’era più. Perché così si sentiva Kate, era sola, non aveva una famiglia, non aveva degli amici, le rimanevano solo quelle fotografie e tanti ricordi.
 
Erano in camera di lei quel pomeriggio autunnale, Kate era stesa sul letto a leggere e Ed era sul davanzale della finestra “Sai…mi piace guardare le foglie autunnali che cadono giù è come se si addormentassero, quando cadono danno il posto ad un’altra, ad un’altra vita da far invecchiare, ispirano il silenzio, la tranquillità, sono come piccole stelle che cadono” Lei lo ascoltava, gli piaceva quando rifletteva ad alta voce, quando esponeva i suoi pensieri la faceva stare bene. Ed poi si era girato verso di lei “Ti sei mai chiesta se le stelle cadono per noi?” “In realtà no, loro cadono e quando succede vuol dire che qualcosa è accaduto li su” disse lei per poi chiedergli “Ed ti ricorderai di me tra 6 mesi? E tra 6 anni?” “Certo Kat, non potrei mai dimenticarmi di te, lo sai” lei sorrise e riprese la lettura, Ed si stese accanto a lei iniziando a carezzarle il capelli ed osservali scivolare tra le dita. Passarono così il pomeriggio, lui che la osservava e lei che leggeva. Così passavano tutti i pomeriggi d’autunno, amavano questa stagione li calmava, era il periodo dei pensatori e proprio durante l’autunno Ed componeva le sue canzoni più belle e le faceva sentire tutte, o quasi, a Kate con cui poi improvvisava duetti dopo cena ogni domenica. Era una specie di tradizione che portavano avanti da anni e che di sicuro non sarebbe finita presto.
 
Così era convinta Kate, ma lui qualche mese dopo era andato. Lei non cantava più, non suonava neanche il piano che avevano fatto spostare in camera sua, perché nonostante ci avesse provato era come se una parte di lei mancasse e quindi finiva per piangere o per colpire il povero strumento come se fosse colpa sua ma si sa che alla fine si attribuisce la colpa a ciò che risveglia i ricordi.

“Sono esausta” disse lei sorridendo all’amico, “A chi lo dici”, li avevano portati al mare per tutta la giornata e loro come previsto avevano passato la giornata a fare il bagno, costruire castelli di sabbia, farsi la coda da sirena con la sabbia… diciamo cose che non si facevano tutti giorni e ne erano usciti esausti e entrambi con una bella bruciatura sulla schiena. La sera invece l’avevano passata al pianoforte che Kate si era fatta portare in camera. Suonavano lui con la chitarra e lei con il piano qualche canzone dei Beatels, a volte si affacciava qualche bambino più piccolo e si fermava sulla soglia della porta ad osservarli. “Ed?” chiese lei “Dimmi Kat” rispose lui “Mi insegnerai a suonare la chitarra?” “Certo, ma non adesso, non sei ancora pronta. Facciamo l’anno prossimo?” “Perché non sono ancora pronta?” “Un giorno lo scoprirai Kat” e la abbracciò.

L’estate dopo però lui non c’era, se ne era andato lontano da lei. L’aveva colpita e poi era andato via come quella vecchia bruciatura del sole. Forse dovevano mettersi la crema solare.
Mi manchi
Era tutto ciò che aveva scarabocchiato su un foglio di carta. Lui lo sapeva che lei non era paziente e allora perché lo aveva fatto? Lui lo sapeva che non lo avrebbe aspettato.

Solo una notte come le altre, o forse no. Era un mese che se ne era andato, un mese intero senza di lui, un mese passato da sola a guardare le stelle. “Ehi Ed…dove sei?” chiedeva guardando le stelle. Di una cosa era sicura, erano sotto lo stesso cielo, magari adesso anche lui stava parlando alle stelle come lei. Aveva sempre pensato che attraverso loro si potessero trasmettere messaggi, anche dall’altra parte del mondo, perché erano le stesse in America, a Londra, in India, in Italia, in Germania… sempre tutte le stesse stelle, le stesse che guidano i marinai verso la via di casa. Sempre loro. Una lacrima le rigò il volto e allungò un braccio come a poterlo toccare. Perché lei se lo sentiva che anche lui stava facendo la stessa cosa, lui una volta glielo aveva detto che se lei avesse allungato i braccio verso il cielo stellato ovunque lui sarebbe stato avrebbe afferrato la sua mano e l’avrebbe guidata da lui. Le stelle li avrebbero guidati a casa. “Ed? Si vedono le stelle da dove si tu? Io ti perdono sappilo, però torna, ti prego” Lo aveva perdonato. Non sapeva se lo aveva ammesso a se stessa o a lui, forse cercava solo di convincersi che l’avrebbe
rivisto e in cuor suo lo sperava, più di ogni altra cosa.


Anche oggi le capitava di guardare le stelle all’orizzonte e sperare che anche lui lo stesse facendo con lei. Due anni, due fottutissimi anni che lui non c’era.
Non riusciva più neanche a piangere, forse, se esiste un limite di lacrime, lei lo aveva raggiunto e usato anche la scorta, eppure le sembrava così giusto piangere, perché tutti i ricordi si trovavano nelle lacrime e lei non riuscita a trattenersi dal far spazio ai ricordi più felici. Forse era anche un bene, magari non doveva ricordarsi di lui attraverso i ricordi tristi ma attraverso quelli felici, un po’ come dicono ai funerali dei tuoi nonni nei libri. Magari funziona, però a lei i ricordi felici facevano male, troppo male proprio perché erano felici. Erano lì nella sua memoria, a volte le capitava di rifugiarsi sotto il letto e pensare. A loro piacere pensare dove sarebbero andati quando sarebbero usciti da lì, magari in America. Era il loro sogno, avrebbero potuto cantare insieme, avrebbero potuto fare tutto insieme. Questi erano i loro programmi, però a quanto pare solo una di loro sarebbe uscita da lì. Forse sarebbe andata da sola in America, lo avrebbe incontrato in qualche bar squallido a bere birra e a parlare con la sua chitarra e gli avrebbe tirato uno schiaffo per poi abbracciarlo subito dopo. Ormai tanto al suo compleanno mancava meno di una settimana, avrebbe spento le candeline per l’ultima volta e sarebbe uscita da quell’edificio grigio e poi avrebbe vissuto la sua vita felice o forse no, ma non importava, si sarebbe presa la sua libertà e come un aquilone sarebbe andata dove il vento la portava e magari l’avrebbe portata proprio da lui. A casa.



ED
*4 anni dopo*
Lo stadio di Wembley oggi ospitava uno dei più grandi artisti di questo periodo. Ed Sheeran il noto cantautore che si era guadagnato la fama solo grazie alla sua semplicità e la sua chitarra. Era lì che si trovava lui ora. Su quel palco, fin troppo piccolo per qualcuno grande come lui, circondato dai suoi fan che cantavano a squarciagola le sue canzoni. Ed era felice, si trovava in uno dei più noti stadi del mondo ad esibirsi sold-out, eppure sembrava che gli mancasse qualcosa, in particolare quella sera, continuava a guardarsi intorno tra le facce dei fan per cercare la sua; sperava che venisse. Aveva inviato dei biglietti alla casa-famiglia dove stavano un tempo specificando di darglieli, la risposta però non l’aveva mai ricevuta. Sperava solo che lei li avesse ricevuti, magari aveva un impegno e non poteva… continuava a ripetersi cose del genere per convincersi, eppure era particolarmente preoccupato. Aveva un brutto presentimento e non capiva perché. Lasciò stare e annunciò la prossima canzone: “Questa l’ho scritta per qualcuno di speciale, qualcuno che ricorderò per sempre e che avrà sempre una parte del mio cuore. Signore e signori Photograph” e un urlo seguì. Iniziò a registrare la base con la loop station e la chitarra e dei pensieri, come sempre, fecero capolino nella sua mente. L’aveva scritta per lei questa.
Loving can hurt, loving can hurt sometimes
But it's the only thing that I know
When it gets hard, you know it can get hard sometimes
It is the only thing makes us feel alive


Erano le parole della lettera, la lettera d’addio che le scrisse prima di scivolare giù da quella finestra e scomparire nel buio.

We keep this love in a photograph
We made these memories for ourselves
Where our eyes are never closing
Hearts are never broken
And time's forever frozen still


Le foto, le aveva tutte, erano chiuse in una scatolina nascosta sotto il cassettone del suo letto, le guardava spesso e ogni volta che succedeva una lacrima solitaria gli rigava il viso.

So you can keep me
Inside the pocket of your ripped jeans
Holding me closer 'til our eyes meet
You won't ever be alone, wait for me to come home

Forse anche adesso una lacrimuccia scendeva dolcemente sulla sua guancia.
Loving can heal, loving can mend your soul
And it's the only thing that I know, know
I swear it will get easier
Remember that with every piece of you
Hm, and it's the only thing we take with us when we die


Era immerso tra i suoi pensieri e non si accorse che il palco si era spento. Le casse non suonavano e lui continuava a cantare.

Hm, we keep this love in this photograph
We made these memories for ourselves
Where our eyes are never closing
Hearts were never broken
And time's forever frozen still

So you can keep me
Inside the pocket of your ripped jeans


Tutto lo stadio aveva iniziato a gridare il suo nome e lui allora aveva aperto gli occhi, non capiva cosa stava succedendo. Odiava essere interrotto mentre cantava e soprattutto se cantava QUESTA canzone. Stuart, il suo manager gli fece segno di avvicinarsi a lui e disse con un tono sofferente e dispiaciuto “Ed, ti ricordi di quella ragazza di cui ci avevi chiesto notizie?” annuì “Kate…” gli faceva uno strano effetto pronunciare il suo nome “Ed, l’abbiamo trovata, però…” disse il manager con voce triste “Però…” disse Ed con voce rotta “Si è ammalata di leucemia 2 anni fa e…” questa volta non solo una lacrima scese sulla guancia di Ed “Non ce l’ha fatta. Mi dispiace tanto, l’abbiamo appena saputo, pensavo volessi…” “Grazie Stu…” disse il cantautore prima di alzarsi e ritornare al centro per recuperare la chitarra, appena ne toccò il manico migliaia di emozioni gli andarono contro, non se la sentiva di continuare a cantare, il tempo di rialzarsi che si accasciò sul pavimento del palco scosso dal pianto. Ed Sheeran era lì, sul palco del Wembley Stadium a piangere davanti a 80.000 e passa persone, non riusciva a rialzarsi, i ricordi erano troppi, troppi e difficili da contenere. Il rimpianto si faceva strada nel suo petto accompagnato dalla disperazione e la tristezza dell’aver perso quella che era tutta la sua infanzia, la sua Casa, la sua famiglia, tutto. Non seppe ne quando ne perché ma sentì il braccio di qualcuno circondargli le spalle, lo spinse ad alzare la testa e a guardarla negli occhi. Era una ragazza, dal pubblico probabilmente, e le somigliava così tanto… di impulsò la abbracciò e lei fece lo stesso. Non disse nulla quando il cantante si alzò poi però le chiese il nome “Katherine”, così simile a quello SUO. La fece scendere e accomodare sotto il palco, lasciò che un’ultima lacrima gli rigasse il viso, guardò in cielo e disse “Ehi Kat, tanto lo so che mi vedi… Sappi che ti voglio bene e non ti ho mai dimenticata e sappi anche che prima o poi ti insegnerò a suonare quella stramaledetta chitarra” sorrise e riprese a cantare. Forse aveva perso Kate, la sua famiglia, il suo sogno e la sua Casa, però era riuscito ad avere tante altre persone che lo amavano, non lo aveva mai capito prima di ora e invece era così. Le persone che lo circondavano, chi lo sosteneva ogni giorno e la ragazza che lo aveva abbracciato, loro erano la sua famiglia e lui li amava così come amava Kate, si accarezzò lo Yang che portava al collo e preso da un impulso disse “Un giorno insegnerò a tutti voi a suonare la chitarra”.
 

The End
 
 

Ciao a tutti! Questa è la prima one-shot così lunga e soprattutto così triste che scrivo. Spero possa piacervi e spero anche che possiate recensire per farmi sapere cosa ne pensate. Sappiate che è stato molto complicato scriverla e che è ispirata a più canzoni di Ed. Potrete anche individuare dei testi che ho camuffato. Ok. Ripeto che spero possa piacervi e vi saluto!
Fra x
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran / Vai alla pagina dell'autore: fra_is_a_weasley