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Autore: Amelia Sweetedge    28/06/2019    1 recensioni
Succedeva, nelle notti insonni e statiche inframmezzate dal suo respiro irregolare e malato e dallo sciabordio delle onde lontane che non lo abbandonava mai, che Alec Hardy ripensasse alle ultime volte della sua vita.
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[Broadchurch S2] (Pubblicata inizialmente nel 2015)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Hardy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ai ritorni.


Le ultime volte di una vita

 
Per Alec Hardy, ritrovarsi a cercare il punto in cui finiva l'orizzonte era diventato un meccanismo fisico del tutto naturale e involontario.
Un meccanismo a cui i suoi occhi si erano abituati da tempo, precisamente da quando era scappato a Broadchurch, il primo nome che miracolosamente aveva catturato la sua già sopraffatta attenzione, mentre cercava di capire quale fosse il posto più adatto al mondo capace di contenere tutta quella rabbia, in silenzio.
L'orizzonte non finiva mai. L'aveva constatato quando, stanco, si chiedeva per l'ennesima volta il perché di molte cose nella sua vita, con una caparbietà infantile di cui si vergognava enormemente. E allora distoglieva lo sguardo e cercava di capire quando fosse stata l'ultima volta in cui non si era fermato a fare qualcosa di tanto banale come incantarsi, col suo perenne cipiglio preoccupato, a guardare i tramonti morire.
Fermo sul precipizio del mondo, Alec Hardy, saltava sui suoi pensieri come fossero massi irregolari qua e là in mezzo a un fiume in piena, ma non ci riusciva mai davvero a dimenticarli, mai a lasciarseli alle spalle completamente.
Si voltava, allora, con un'amarezza che sconfinava in secco odio, dando le spalle a quello sfondo di tramonti perché lo facevano pensare troppo, era sempre stato così. Perché senza nemmeno rendersi conto, si era probabilmente ritrovato sull'orlo di pianti disperati più volte da quando si trovava a Broadchurch che in qualsiasi altro posto si fosse mai trovato in vita sua.
 
Quanto ti distruggeva dentro la vita, constatava pateticamente amareggiato, più di quanto avrebbe mai ammesso persino a se stesso; quante energie sprecate a cercare di trovare una fine all'orizzonte, a quel cieco dolore dentro che si portava dietro fin da quando era piccolo: incanalato in scompartimenti impolverati da qualche parte nei suoi occhi di bambino.
Quel dolore che si era radicato in una regione all'altezza del suo cuore, ed era cresciuto con lui.
Scompartimenti: ecco, come si sopravvive.
In quel preciso posto del mondo, per lui, l'unico modo per sopravvivere era continuare a chiedersi dove finissero i tramonti, con la voce di sua madre che gli risuonava perennemente in testa come un rumore di fondo.
Ognuno ha la propria dannazione ripeteva sempre lei, recidiva, fatalista, quasi in modo automatico, scozzese.
Negli ultimi tempi era arrivato alla conclusione che probabilmente era sempre stata una questione di sangue, quella di avere un carattere testardo e chiuso che sconfinava automaticamente, alla fine, in una leggera tendenza a ritrovarsi col cuore a pezzi. Letteralmente. 
Alec Hardy la sua dannazione se la portava dietro da più di due anni, ormai. Anni in cui il mondo gli era crollato meticolosamente pezzo dopo pezzo addosso e lui aveva perso così tanto. Come se una mattina -ormai dimenticata chissà dove, in un punto imprecisato del suo passato- appena sveglio, tutto avesse iniziato a girare male intorno a lui e col passare del tempo non si fosse più fermato.
Quando era stata l'ultima volta in cui il mondo non gli era crollato addosso? Aveva mai vissuto un tale momento in vita sua, dove tutto era a pezzi e integro, davanti a sé?
 
Succedeva, nelle notti insonni e statiche inframmezzate dal suo respiro irregolare e malato e dallo sciabordio delle onde lontane che non lo abbandonava mai, che Alec Hardy ripensasse alle ultime volte della sua vita.
C'è qualcosa di potente negli ultimi gesti di una vita, pensava mentre fissava in silenzio il soffitto di un blu profondo illuminato dalle luci intermittenti del mondo al di là della finestra.
Quando era stata l'ultima volta in cui aveva preso in braccio Daisy? Quale giorno era stato, quello in cui la sua bambina era cresciuta e non aveva avuto più bisogno di lui per andare incontro alle cose?
Il momento in cui aveva appoggiato a terra sua figlia e non l'aveva più ripresa in braccio, se non quelle rarissime volte in cui si era addormentata in salone? Quando era stata l'ultima volta in cui non l'aveva data per scontata?
La sua Daisy, figlia di due mondi lontani e spesso egoisti; l'unico raggio di luce definitivo e costante della sua vita che ogni tanto gli ricordava che persino sorridere molte volte era inevitabile.
Una volta aveva fatto l'incauto errore di pensare che sua figlia sarebbe stata la sua perenne estensione nel tempo, ma lei non avrebbe avuto un briciolo di tutto il dolore che lui aveva dentro da una vita: lei doveva camminare senza voltarsi mai perché qualunque cosa sarebbe successa lui sarebbe sempre stato qualche passo indietro, a ripeterle che tutto passava. Tutto passava. Tutto passa.
Anche se lui non ci credeva per niente. Anche se alla fine l'aveva fatta soffrire ugualmente, la sua piccola Daisy.
Allora sospirava nel cuore della notte perché l'amore l'aveva spesso spezzato e non era mai facile -specialmente negli ultimi anni- amare con un cuore ricoperto di bende.
L'ultima volta in cui lui e Tess si erano guardati consapevoli di essere ancora una cosa sola, apparteneva ormai a un passato che a stento sembrava esistere ancora, da qualche parte nella sua memoria, sulla sua pelle.
Aveva questo ricordo di lei che lo faceva ridere di cuore con una battuta su sua madre, il salone sommerso di decorazioni natalizie da appendere, e non riusciva mai a capire se se lo fosse inventato la sua mente o era realmente accaduto. Ciò che riusciva a percepire davvero intorno a quel ricordo, tutte le volte che ci pensava, era il senso definitivo delle ultime volte.
Quella doveva essere stata l'ultima volta in cui l'aveva guardata negli occhi e si era sentito sereno e spaventato per qualcosa che non riusciva a spiegarsi.
 
Cosa ne era stato di quei giorni in cui riconosceva il suo dolore per quello che era e automaticamente riusciva a tenerlo a bada? Cosa ne era stata dell'ultima volta in cui si era fatto un bagno in mare e nella sua mente non era affiorato il ricordo di una piccola anima uccisa dal mondo?
Chiudeva gli occhi nel cuore della notte, per un lungo momento, rassegnato al fatto che non avrebbe preso sonno. Rassegnato al fatto che avrebbe sempre sentito premere sullo sterno il peso di Pippa Gillespie, così piccola, esile, vulnerabile, violata. Allora, le sue braccia si erano piegate nello stesso modo in cui le piegava quando prendeva in braccio Daisy per portarla a letto, anche se quella volta in quel bosco aveva sentito un dolore tanto grande da togliergli il fiato e non restituirglielo più per intero. 
Perché credeva di aver smesso di dover prendere Daisy in braccio e non capiva perché quel giorno, mentre portava tra le braccia la bambina di qualcun altro, gli occhi di sua figlia erano impressi a forza nella sua mente. Come se fosse lei la ragione che gli avrebbe dato il coraggio di proseguire e non fermarsi. Come se fosse stata lei quella volta a fargli da guida, a camminare davanti a lui, affinché non si perdesse completamente in posti angusti e oscuri della sua mente. Posti dai quali probabilmente non ci sarebbe stata mai più via di ritorno.
 
Non era mai stato facile disfarsi di quel dolore lì, dell'acqua e dei tramonti. Non era mai stato facile realizzare di aver perso praticamente tutto e nonostante questo dover andare avanti, continuare ad avanzare. Per Daisy, per Pippa, per quello in cui aveva creduto quando era giovane, nelle notti in cui l'insonnia era un incentivo a costruire dei progetti di vita grandi, impetuosi, ingenui e i batticuori erano di quelli sani.
Non essere così fiducioso nei confronti del mondo, Alec, avrebbe detto sua madre se solo avesse trovato il coraggio di farlo. Perché nonostante tutto quel pessimismo cosmico che la circondava, e che poi avrebbe impregnato gli occhi di suo figlio, in qualche modo lei credeva in lui anche se non aveva mai trovato il modo di dirglielo.
Aggrappato con tutte le forze a quegli appigli metafisici che lo distraevano dai troppi pensieri e dai troppi cieli, era in realtà cresciuto in una famiglia dove era sempre bastato solo l'essenziale nei sentimenti, nelle parole, nei gesti, persino nei sogni. Solo l'essenziale e non qualcosa in più. Viveva, senza sapere come, in modo automatico: evitando che le emozioni prendessero il sopravvento su di lui là fuori nel mondo crudele e scansando dal suo cammino tutto l'imbarazzo che gli si presentava dinanzi e che rischiava di ostacolarlo, perché era cresciuto in una casa dove, senza troppi giri di parole, gli avevano insegnato che tutta quella roba lì erano cose di cui farne anche a meno. 
Di cui vergognarsene, persino. 
 
Per questo era rimasto scosso quando era tornato a casa sua una mattina e aveva visto Ellie Miller cercare un pretesto per non mollare e, dal nulla, l'aveva come amata di un amore che probabilmente non era amore e che lui stesso non sapeva collocare da nessuna parte, ma l'aveva sentito, per un brevissimo momento: c'era stato. Aveva il timore, mentre la guardava parlare, che forse i suoi stessi occhi stanchi potessero avere voce per tradirlo e poi si era voltato, imbarazzato, e aveva scacciato quel ridicolo pensiero come si scaccia una mosca. Ridicolo.
Dopo tutto quello che aveva dovuto affrontare riteneva con una certa dose di coraggio e anche di torto che l'amore fosse qualcosa di banale e stupido e che quello era lui che, stanco, si lasciava trasportare da ciò che rimaneva del suo cuore, nient'altro. E poi qualche ora più tardi si era ritrovato a spingere il passeggino di Fred e a sorseggiare del té con lei, mentre il vento cercava il modo di spazzarle via, quelle due figure che viste da lontano non sarebbero mai apparse stanche, rotte dentro. Unite dalla rabbia.
 
Si considerava un uomo senza senso, Alec Hardy, pieno di contraddizioni. Ridicolo, sicuramente.
Ridicolo che dopo tutto credesse ancora in cose come gli sguardi, gli abbracci, le parole; che riuscisse ancora a cambiare idea su sciocchezze come l'amicizia, persino sul destino.
Ridicolo che pensasse che forse sua madre aveva sempre avuto ragione su tutto, anche su quello che non gli aveva detto mai.
Dio vi metterà nel posto giusto, era stata l'ultima cosa che aveva detto lei prima di morire. Anche se adesso non sapete qual è, aveva detto.
Non era mai passato un solo giorno, da quando si era ritrovato a Broadchurch senza capire come, in cui non si fosse voltato verso l'orizzonte aperto e vasto davanti a sé e si fosse chiesto: perché?
Perché sono ad un passo dalla soluzione, ma non riesco mai a guardarla realmente negli occhi? Perché tutto ciò che mi rimane sono le ultime volte della mia vita?
Perché, continuava a chiedersi quel bambino che scappava dai litigi e dall'indifferenza, con un cuore troppo piccolo per poter sopportare tutto.
Molte volte aveva voltato le spalle al cielo, stanco e spento contro i suoi colori vivi. Molte altre volte si era ritrovato a cercare la fine dell'orizzonte, conscio che il cielo non avrebbe mai potuto raccontare ciò che i suoi occhi tradivano.
L'orizzonte non finiva mai.









 

N.B. Questa One-Shot è stata scritta e pubblicata per la prima volta su questo account nel 2015. Nella ripubblicazione odierna sono state modificate solo piccole parti di natura tecnica.
In seguito, le note originali:


C'era qualcosa che non riuscivo a capire e che non mi faceva comprendere appieno la complessità di questo personaggio che amo e che mi manca terribilmente, nelle estenuanti pause tra una stagione e l'altra.
La sensazione di averlo finalmente capito, Alec Hardy, è giunta una domenica pomeriggio di marzo. L'ho subito scritto, cosa non riuscivo a comprendere, perché realizzare qualcosa può essere effimero e basta un suono o un'immagine d'intralcio e l'hai già perso.
Mi sono sentita arrabbiata.
In questa storia di ultime volte che avete appena letto è contenuta l'immagine che per un breve momento ho avuto davanti agli occhi, quel pomeriggio. Ho ancora paura di non aver reso giustizia a quest'uomo di carta e di notti solitarie: secondo Ann sembro avere una tendenza ad incaponirmi con personaggi non proprio semplici. Le ho risposto che l'alternativa io non la concepisco e che è perché mi fanno tenerezza.
Io, come faccio da una vita, c'ho provato comunque.
Sono felice che marzo sia finito.
Yours,
A. S.
 
PS: sono sicura di dover ringraziare Doctor Who per l'idea degli scompartimenti, anche se non ricordo bene, ma ho quest'immagine in testa di Capaldi che intenzionato ad insultare la memoria degli esseri umani mi fa invece riflettere e anche tanto. Oppure me lo sono sognato, non lo so, non fate caso a me.
   
 
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