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Autore: Ellery    04/07/2019    1 recensioni
Bucky batté le palpebre, osservando il cielo azzurro d’inizio estate, solcato da qualche nube e da stormi di rondini di passaggio. Il sole aveva da poco iniziato il declino verso l’orizzonte. Sollevò la mancina, stendendola davanti a sé ed osservando i graffi che dal dorso scendevano verso il gomito. Non aveva bisogno di alzare anche l’atra mano, per conoscerne le medesime condizioni. [...]
Una testa bionda invase il suo campo visivo. Il volto tumefatto mostrava del sincero dispiacere e preoccupazione. C’era una sfumatura verde nello sguardo azzurro, ormai contornato dal violaceo dei lividi che andavano rapidamente spuntando.
«Come stai?» gli chiese lo sconosciuto.
«Ho passato momenti migliori.» si sforzò di sorridere, ma ottenne solo di far sanguinare nuovamente e labbra spaccate.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Steve Rogers
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4.


Bucky scese i gradini a due a due, fiondandosi in strada dopo aver valicato in fretta l’androne del palazzo. Aveva scorto Steve attraversare di corsa l’incrocio e dirigersi verso la sua casa, salvo poi inciampare nel marciapiede e cadere tra due auto in sosta. Lo aveva scorto rannicchiarsi e colpire ripetutamente il paraurti, con rabbia e disperazione. I pugni chiusi che percuotevano la carrozzeria, mentre i singhiozzi scuotevano il petto magro. Che diamine stava facendo?

Superò la carreggiata, accovacciandosi accanto all’amico. Gli circondò le spalle, cercando allontanarlo dalle vetture. Vi riuscì senza alcuno sforzo: malgrado i diciotto anni appena compiuti, Steve era rimasto quel ragazzino gracile e malaticcio che aveva conosciuto. Nemmeno la pubertà sembrava aver avuto effetto. Non vi era stata che una blanda crescita, ma la struttura non si era minimamente irrobustita. Al contrario, lui era cambiato: aveva messo su peso e centimetri, allenando la muscolatura; la barba appariva già come un alone scuro lungo la mandibola e le guance.

«Steve!» chiamò, provando a calmarlo, a staccarlo dalle auto che l’altro si ostinava a colpire «Smettila. Ti farai male.» rimproverò, notando già le nocche sbucciate e coperte di sangue.

«Non mi importa! Lasciami stare!»

Lo vide girarsi in sua direzione e cercare di spingerlo via, senza successo; lo strinse maggiormente per impedirgli di fuggire.

«Calmati! Che stavi facendo?»

«è finita, non capisci? Finita!» sentì l’altro accasciarsi tra le sue braccia e nascondere il volto nell’incavo della sua spalla «Mia madre…» una serie di singhiozzi, di parole prive di significato, prima della verità «è tisi!»

Si sentì mancare il fiato. Sapeva delle condizioni di Sarah. Da dieci giorni, casa Rogers era diventata un viavai continuo di medici ed infermieri. Alla paziente, ormai allettata da diverso tempo, era stata diagnosticata una bronchite, evoluta poi in una forma più grave. Le condizioni erano peggiorate, nonostante le cure: gli antibiotici non sembravano funzionare e la donna perdeva gradualmente le forze. Sarah aveva lottato disperatamente per riuscire a rimettersi, ma senza successo. Il corpo, scosso dalla tosse e dalla febbre, aveva smesso di reagire e si era abbandonato ad un intorpidimento sempre più profondo. Alla fine, dunque, era giunta la conferma. La tubercolosi non lasciava scampo; guarire era quasi impossibile.

Colse una morsa al petto e si sforzò di ricacciare le lacrime che arrivarono a pungergli gli occhi. Il pianto di Steve era sufficiente per entrambi; almeno uno dei due doveva mostrarsi forte, anche se non sopportava il vedere l’amico così. Né poteva accettare l’idea che presto Sarah se ne sarebbe andata.

Sarah

Era stata quasi come una seconda madre per lui. Lo aveva accolto come un figlio e viziato altrettanto. Ricordava ancora le lunghe merende a base di torte appena sfornate e cioccolate roventi. Percepiva ancora il profumo della lavanda che nascondeva nei cassetti, tra i vestiti, ed il suono dolce della sua voce.
«Guarirà.» sussurrò con una nota testarda. Si morse il labbro inferiore, sforzandosi di sciogliere il nodo alla gola deglutendo a vuoto.

Steve fu sin troppo lapidario. Spazzò via le sue certezze con due semplici lettere:
«No.»

«Vedrai che se la caverà…» tentò di nuovo, ma l’altro si aggrappò maggiormente alla sua camicia, ormai copiosamente bagnata di lacrime.

«Non mentirmi, Buck. Non sono più un bambino.»

«Io…» il “sono ottimista” gli morì sulle labbra. Abbassò il capo, mentre la voce si spegneva lentamente. Chi stava cercando di rassicurare? Steve? O sé stesso? «…vorrei vederla.» disse infine, le braccia ancora a circondare le spalle dell’amico «Pensi sia possibile?»

«Il dottore non vuole che nessuno si avvicini.»

«Non mi serve il permesso di un medico, Steve. Mi serve il tuo.»

«Sì. Sarà felice di vederti. Solo…» una pausa e infine il viso scarno che si sollevava al suo «Stai attento, Buck.»

 

***
 

La camera era immersa in una inquietante penombra. Le tende erano tirate e le imposte chiuse, sì da impedire alla luce del giorno di disturbare l’inferma. All’interno aleggiava un odore di chiuso, misto a quello dei medicinali. Sul tavolino accanto all’ingresso erano posate alcune mascherine. Ne prese una, fissando i cordini dietro la nuca e schiacciandola sul naso e sulla bocca.

Avanzò di qualche passo, ben attento a non far scricchiolare troppo il parquet. Il mobilio era stato interamente spostato in un angolo; davanti all’armadio stazionavano lo scrittoio e la cassettiera, mentre il tappeto era stato arrotolato ed infilato tra il muro e lo specchio. Era stato fatto spazio per permettere agli infermieri di occuparsi al meglio della paziente. Quest’ultima giaceva sul letto, con tre strati di coperte di lana a nascondere il corpo martoriato. Sul comodino, accanto ad una bugia spenta, stanziavano barattoli di pillole e scatole di infusi. Vi era una caraffa, con un bicchiere d’acqua ancora colmo.

Si sporse appena, quando raggiunse la sponda del letto. Osservò il volto scavato e le occhiaie che solcavano le guance pallide; i capelli erano secchi e sporchi, sparpagliati sul cuscino come fossero stoppa. Le mani giacevano incrociate sul petto, dove le dita ossute si intrecciavano le une alle altre. Le labbra erano macchiate da piccole gocce di sangue, così come i fazzoletti gettati alla rinfusa sul pavimento.

Una coppia di lacrime pesanti gli solcò il viso, mentre un singhiozzo strozzato sfuggiva al controllo. Chi era quella donna? Era così diversa da Sarah Rogers. Che ne era di lei, ora? Di quella signora bionda, dai lineamenti morbidi e il sorriso smagliante. Che ne era degli occhi azzurri contornati dalle lunghe ciglia e marcati soltanto da un velo di ombretto color carne? Non vi era più nulla, in quella figura abbandonata su un vecchio materasso.

«Signora Rogers?» la chiamò appena.

La malata si mosse, riaprendo cautamente le palpebre avvizzite. Le iridi chiare erano segnate dal dolore e dalla stanchezza.

«Steve?» la voce era ridotta ad un filo spezzato e commosso.

«No. Sono James.»

Un debole tocco arrivò a sfiorargli le dita. Sarah le strinse piano, con delicatezza e amore:
«James.» ripeté, provando a sorridere «Non sono una buona padrona di casa, mi dispiace. Non ti ho preparato nemmeno la cioccolata.»

«Non si preoccupi, signora Rogers. Pensi a guarire.»

«Non si guarisce da certi mali…»

Lo sapeva, ma faticava ad ammetterlo. Non era un bambino ed era consapevole che da certe malattie non si usciva con uno schiocco di dita; eppure, più ci pensava e più riteneva impossibile che Sarah Rogers morisse così. Non se lo meritava. La donna forte e coraggiosa che conosceva, quella che aveva consacrato la vita al bene del suo unico figlio, giaceva semincosciente in un letto; parlava a stento e non riusciva a fare altro che accarezzargli continuamente le dita, in un contatto debole ma costante.
«Lei ce la può fare, signora Rogers.» sussurrò, ricevendo in cambio una risata stridula.

«Sei sempre stato un pessimo bugiardo. Ti conosco, James… e non c’è stata una volta in cui tu sia riuscito a mentire egregiamente. Sbagli ora come quando avevi tredici anni, anche se la tua voce è più matura e meno incerta. Sei cambiato tanto esteriormente, ma… dentro, sei ancora quel ragazzino sincero che ho incontrato sei anni fa.»

Scosse il capo, sforzandosi di ricacciare le lacrime e di non lasciar trasparire una nota spezzata nella propria voce. Fallì su entrambi i fronti:
«Non può lasciarci, signora Rogers. Che ne sarà di Steve?»

Si pentì immediatamente di quelle parole. Vide la donna spegnersi rapidamente. Le labbra si strinsero e un singulto arrivò a spaccarle il petto già scosso dalla tosse e dai conati. La mano scivolò via, abbandonando la sua e cadendo mollemente sulle coperte. Accadde tutto in un istante passeggero; poco dopo, Sarah si riscosse e tornò a sussurrare:
«Ricordi cosa ti dissi quella volta, James? Quando Steve tornò a casa dopo aver perso il suo blocco da disegno ed essere stato picchiato dai bulli. Lo ricordi?»

Annuì rapidamente. Non avrebbe mai scordato quelle parole.

«Mi disse che sarei dovuto essere sempre un passo avanti a lui, se desideravo proteggerlo; e, allo stesso tempo, essere pronto a coprirgli le spalle… E così ho fatto.» si concesse qualche attimo di silenzio, prima di riprendere «Sono rimasto ogni sera alla finestra, per vederlo rientrare a casa tutto intero; per controllare che Gideon Murray non lo spingesse tra due macchine e lo tempestasse di calci e pugni. L’ho sempre seguito per essere certo che nessuno lo colpisse mentre era girato. Ho lottato contro la sua testardaggine perché si accettasse, perché non cambiasse nemmeno una virgola di quello che è; perché, in fondo, non ha senso che cerchi di essere qualcun altro. Ha talento, coraggio ed è la persona più leale che abbia mai conosciuto. Perché desiderare di cambiare? Steve è perfetto così, ma fatica a comprenderlo.» scosse piano il capo, cercando nuovamente l’attenzione della donna «Ho fatto il possibile per onorare quella promessa, signora Rogers.»

«E ci sei riuscito. Non avrei potuto sperare in un amico migliore per lui.» la mano scarna tornò a sfiorare la sua con devozione «Non potrò mai ripagare quello che hai fatto per noi, James. Al contrario, però, devo chiederti un altro favore.»

«Tutto.»

«Non posso scioglierti da quella promessa. Ora più che mai, Steve avrà bisogno di te. Sei tutto ciò che gli rimane.»

«Non deve preoccuparsi, signora Rogers. Gli resterò accanto, glielo giuro.» sussurrò, portando la destra al cuore, quasi a sottolineare quell’impegno «Gli resterò accanto fino alla fine.»

 

***
 

Al funerale avevano partecipato in pochi. Soltanto metà delle navate era stata riempita da conoscenti stretti e qualche lontano parente. Terminata la funzione, dopo la sepoltura nel cimitero dietro la cappella, la maggior parte delle persone si era dileguata senza nemmeno un saluto. A parte qualche cenno dispiaciuto e qualche “condoglianze” appena abbozzato, Steve non aveva ricevuto altro.

«Ci penso io a riaccompagnarlo a casa.» aveva detto ai genitori.

«Invitalo da noi, James. Sono sicura che gli serva un po’ di compagnia e distrazione.»

Aveva salutato i suoi ed aveva atteso che scomparissero nelle vie vicine, prima di avvicinarsi all’amico. In breve, rimasero soltanto loro due, oltre i cancelli del campo santo.

Bucky picchiettò leggermente la spalla gracile, accucciandosi a propria volta sul basso muretto di cinta.

«Steve?» chiamò, fissando il volto inespressivo dell’altro «Dobbiamo rientrare.»

Colse solo un leggero frusciare delle vesti: la giacca leggera abbandonata sulle spalle e i pantaloni neri che erano decisamente troppo larghi per quelle gambe snelle.
Si affiancò al biondo, sforzando di modulare il proprio passo con quello lento e incerto del compagno, che stava cercando in tutti i modi di non crollare. Se avesse potuto accasciarsi e piangere, ne era certo, lo avrebbe fatto; ma Steve era ancora schiavo dell’orgoglio e si rifiutava di cedere, anche in quei momenti in cui le lacrime sarebbero state un giusto sfogo. Nessuno lo avrebbe giudicato, ma forse era proprio questo che lo infastidiva. Cosa avrebbero suscitato quelle sensazioni negli altri, se non pietà e compianto? La commiserazione altrui era l’ultima cosa che voleva. Era stanco d’essere additato come l’anello debole, pronto a spezzarsi alla minima turbolenza e Bucky riusciva a leggere quella cocciuta ed inutile determinazione negli occhi arrossati e stanchi.

«Steve…» sussurrò, cercando la di lui mano per stringerla con affetto «Non serve a niente questa maschera da supereroe. Non c’è nulla di sbagliato nel lasciarsi andare. Chiunque lo farebbe, al posto tuo…»

«Per cosa? Piangere non risolverà le cose. Se n’è andata, Buck. Se n’è andata per sempre.»

«Ti aiuterebbe a sfogarti.» riprese dopo poco «Non servirà a farla tornare, ma potrebbe attenuare almeno parzialmente il dolore che provi.»

«Sai a cosa servirebbe? A ricevere soltanto altra compassione. Mi fa già abbastanza schifo la tua pietà… non mi serve anche quella degli altri.»

Quelle parole lo colpirono come uno schiaffo. Rallentò, lasciando cadere la mano lungo il rispettivo fianco:
«Io…» attaccò, ma Steve non aveva ancora finito:

«E… che ne vuoi sapere tu del dolore? Di quello che provo? Non sai niente, Buck! Non ti azzardare a dire che mi capisci e ad elargire altri consigli stupidi.»

Chinò il capo, le labbra strette in una smorfia afflitta. Insistere non avrebbe avuto senso e l’avrebbe soltanto spinto a litigare con l’amico. Sapeva che questi aveva bisogno di tempo e, in cuor suo, sperava non credesse davvero a quelle taglienti parole che gli aveva appena rivolto. Sospirò piano, tornando a zittirsi e proseguendo verso lungo la strada. Ancora qualche passo e si sarebbe ritrovato davanti alla propria palazzina. L’idea era di superarla e tirare dritto fino alla casa dell’amico, per poi chiedergli di rimanere. Alla luce di quanto appena ricevuto, però, non era certo che Steve desiderasse ancora la sua compagnia. Probabilmente, era meglio lasciarlo solo e concedergli una notte per potersi sfogare e riprendere. Non poteva imporgli la propria presenza, ma il timore che l’altro facesse qualcosa di stupido, naturalmente, stagnava nella sua mente: conoscendolo, Steve avrebbe cercato di dimostrare a sé stesso che poteva badare a sé stesso, che non aveva bisogno di nessuno e che il dolore non lo avrebbe mai spezzato, né piegato.

«Scusa Bucky.» colse nuovamente il biondo al suo fianco e la sincera richiesta di perdono nella voce «Non volevo ferirti, non lo meriti. Non avrei dovuto essere così brusco.»

Aggrottò la fronte a quell’ammissione, accontentandosi poi di produrre un piccolo sorriso:

«Nessun problema.» rispose, l’animo già più sollevato. Era raro che Steve ammettesse i propri sbagli tanto rapidamente. Abbassò lo sguardo, osservando il marciapiede su cui stavano camminando. Presto le mattonelle si sarebbero fuse, sulla destra, con i radi ciuffetti d’erba del giardinetto pubblico, mentre a sinistra sarebbero state strette dagli pneumatici delle vetture parcheggiate. «Vuoi stare da noi, questa sera? Magari, un po’ di compagnia ti farebbe bene…»

«No, ti ringrazio.»

Si aspettava una risposta simile. Non insistette, tornando a camminare in silenzio, ancora per qualche attimo.
Poco dopo, fermò il passo, senza distogliere lo sguardo dal selciato.

«è iniziato tutto qui, quasi sei anni fa.» sussurrò, stendendo la mancina davanti a sé. Indicò con precisione un punto stretto tra due auto in sosta «Lì. È lì che ci siamo conosciuti, ricordi? Sam era nascosto dietro una ruota e tu stavi cercando di salvarlo da Gideon e altri tre idioti.»

«Come potrei dimenticarlo, Buck? Se ci penso, mi fanno ancora male le ossa. Ci avevano pestato per bene…»

«Già.» ammise laconico, mimando un ghigno sghembo e furbo «Ma noi siamo ancora qui, Steve. Io, te e Sam; e ci saremo sempre. Non importa cosa accadrà in futuro, né quante difficoltà dovremo ancora affrontare e superare. Magari un domani ci separeremo… tu diventerai un famoso artista e io… mi sposerò con quella ragazza carina dei tuoi disegni e vivrò con lei in una fattoria in Texas…»

«Perché proprio in Texas?»

«Non ne ho idea. Se preferisci cambio località.»

Steve gli colpì il petto con un debole pugno:
«Razza di scemo… finisci il discorso! Eri partito bene.»

«Sei tu che mi hai interrotto.» puntualizzò, scrollando leggermente le spalle «Steve, davvero… non importa cosa ci riserverà la vita. Io sarò sempre un passo avanti e uno dietro di te.» lo aveva promesso a Sarah e a sé stesso e per nulla al mondo avrebbe tradito quel giuramento.

«Ne sei sicuro, Buck?»

Riportò immediatamente lo sguardo sul viso altrui. Gli occhi azzurri dell’amico erano colmi di fiducia e affetto, mentre sulle labbra morbide aleggiava finalmente un leggero sorriso.

Annuì, senza distogliere l’attenzione:
«Sì.» sussurrò, senza che il dubbio o l’indecisione bagnassero quell’affermazione. Non avrebbe potuto esserne più certo «Ne sono sicuro. Io sarò con te fino alla fine.»

  
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