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Autore: Shakethatangstforme    07/07/2019    0 recensioni
Raccolta delle fanfiction che scrivo per la "A Stucky a Day Challenge", indetta nel gruppo Facebook "till the end of the line - Steven Rogers / Bucky Barnes - Stucky"
Ogni giorno un modo diverso per parlare dell'amore che c'è fra Steve Rogers e Bucky Barnes.
Da una delle OS: [...] A volte Bucky è convinto che tutti gli altri sappiano che lui è completamente innamorato di Steve, lo confida allo stesso che risponde con un semplice: “Pensi che si mettano contro Captain America?” [...]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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IL PUNTO DI VISTA DI SARAH ROGERS
 
4 luglio 1918, senza dubbi il giorno in cui Sarah Rogers scoprì la vera felicità. Il giorno in cui poté, finalmente, stringere fra le braccia quel bambino che aveva tanto desiderato, un bambino gracile, che sembrava senza capelli tanto era biondo, ma che per lei era un angelo fra le proprie braccia.
Guardare quel bambino crescere giorno dopo giorno era una sfida, una continua incertezza, perché il piccolo Steve Rogers, per tutti, era un bambino davvero inadatto alla vita. Non per Sarah, no, per lei quello che teneva così stretto a sé era un piccolo guerriero – solo un neonato ma con un desiderio di combattere e resistere incommensurabile. Vedeva tanto di Joseph, in quel bambino, Sarah.
Il suo amato Joseph non ha poté mai conoscere quel figlio che tanto aveva desiderato, ma Sarah sapeva che ne sarebbe stato fiero. Un piccolo guerriero dai grandi occhi blu e il sorriso sempre gentile sulle labbra.
 
E il piccolo Steve non dovette mai smettere di combattere per la vita, una vita che, nonostante tutto, quel bambino sembrava voler vivere fino alla fine, senza limitazioni… e di limitazioni ne aveva parecchie. Che fosse asma o un problema al cuore, Steve accettava la situazione e non demordeva. Niente avrebbe mai fermato quel bambino, e Sarah ne era così orgogliosa. Bastava sentirlo ridere per lasciarsi passare addosso, con una scrollata di spalle, tutti i commenti acidi che sentiva, quei commenti che descrivevano il suo piccolo amore come un peso, quasi uno spreco di soldi, perché era ovvio che non avrebbe vissuto a lungo.
Voi non conoscete il mio Steve.
Non che Sarah si illudesse, sapeva bene che la salute di quel bambino era perennemente al limitare di un baratro, una febbre nel momento sbagliato e avrebbe rischiato di non svegliarsi l’indomani – ma anche consapevole di ciò, avrebbe lavorato ventiquattro ore al giorno tutti i giorni, se questo avrebbe significato dare a Steve la vita che si meritava di vivere.
 
Nonostante la sfortuna nella salute, Steve aveva subito rivelato un carattere davvero deciso, con una morale di ferro, nel corpo gracile di un bambino di sei anni.
Più basso dei bambini della sua età, Steve comunque usciva di casa il pomeriggio dopo la scuola per andare a giocare con gli altri bambini, all’inizio Sarah pensava che fosse sbadato, ma era bastato seguirlo per dieci minuti, dopo averlo mandato a giocare, per scoprire che quando Steve tornava a casa con qualche graffio, livido o ginocchio sbucciato era perché aveva difeso qualcuno, che fosse un bambino a cui avevano fatto uno sgarbo di troppo o una bambina a cui veniva rubata la merenda. Quando era tornato a casa, dopo la scoperta, Sarah non se l’era sentita di rimproverarlo – dopotutto, che aveva fatto di male? Perché mai avrebbe dovuto zittire la sua voce che invece si stava ribellando ai prepotenti? Però gli chiese di fare attenzione, Steve si era imbronciato un po’, riflettendo, poi aveva annuito e le aveva fatto un gran sorriso. “Sì, mamma”.
 
A un paio di settimane da quella promessa, Steve stava ritardando nel tornare a casa e nella mente di Sarah vi erano già i peggiori degli scenari, stava cercando il proprio cappotto, pronta a uscire per cercarlo, quando sentì delle risate, l’inconfondibile voce di Steve e una a lei sconosciuta. Cercando di dissimulare la preoccupazione, andò ad aprire la porta.
La scena che si trovò davanti era quella di Steve con un ginocchio sbucciato, appoggiato e sorretto da delle braccia di bambino, più alto di lui, ma non più grande d’età a giudicare dall’aspetto. Era Steve a sembrare più piccolo.
Non appena la donna si chinò per essere all’altezza dei due bambini, si ritrovò davanti un sorriso sdentato e due grandi occhi dal colore indefinito, dipende da come il bambino si muoveva erano tanto grigi quanto azzurri.
In ogni caso, il bambino non le diede l’opportunità di chiedere per prima chi fosse che lui già le tese la mano con fare educato. “Salve, signora mamma di Steve”, le disse, con tono solenne, come se si stesse presentando a qualche persona di grande spicco. Sarah strinse la mano del bambino.
“Ciao…”, lasciò la frase in sospeso, aspettando che il bambino si presentasse, ma a quel punto intervenne Steve, fece lui. “Ma’, lui è James, James, lei è ma’”.
James parve convinto e soddisfatto delle presentazioni e annuì, come se il sapere che lei era la mamma di Steve fosse la migliore delle garanzie.
“Ho accompagnato Steve a casa perché gli fa un po’ male la caviglia, dopo essere caduto”, spiegò il bambino, a cui Steve riservò un’occhiata come se il rivelare questa cosa fosse il peggiore dei tradimenti e non un gesto tanto semplice quanto bello. “Ma non si preoccupi, l’ho difeso, nessuno gli farà più male, lo prometto”, aggiunse con grande fierezza.
Sarah allungò una mano per fare una carezza sulla guancia del bambino, accogliendo allora Steve fra le braccia. “Sono certa che lo terrai al sicuro, James”, una frase semplice ma che accese ancora di più lo sguardo del bambino.
“Adesso io torno a casa, altrimenti la mia mamma si arrabbia”, disse il bambino, guardando più Steve che Sarah. “Ci vediamo?”, Steve annuì entusiasta e Sarah poté giurare che per James fu uno sforzo immane quello di non saltellare dall’entusiasmo.
“Arrivederla, signora mamma di Steve”, fece un saluto con la mano, prima di allontanarsi.
“Sarah va bene”, fu naturale dire, nonostante l’appellativo signora mamma aveva un che di adorabile.
“Signora Sarah”, disse il bambino più che altro fra sé, ridacchiando, come se fosse il più divertente degli scherzi. Sarah lo seguì con lo sguardo fino alla fine della strada, fino a quando scomparve dalla sua vista.
 
Da quel momento non esistette più Steve, quanto l’unione SteveeJames, ogni giorno Steve per un motivo o per un altro spariva di casa per pomeriggi interi, passati con quel bambino che sembrava aver preso davvero sul serio la sua promessa di proteggere Steve.
A cena, ogni sera, Steve raccontava a Sarah le avventure del pomeriggio. Così, la donna venne a sapere che James aveva più di un fratello ed era il più grande, andava nella stessa scuola di Steve, ma un anno più avanti. Se non giocavano, studiavano, venne fuori che James riusciva a eccellere in tutte le materie, ma, secondo Steve, non sapeva disegnare neanche un po’ – su questo Sarah si fidava, il piccolo Steve aveva dimostrato fin da subito una grande propensione per l’arte, lei non lo ha mai frenato, anzi, per le disponibilità che avevano gli ha sempre comprato colori e matite per lasciare sfogo all’immaginazione del bambino.
 
Ma Steve non è un bambino sano, James ci mette poco più di un anno a scoprirlo, purtroppo.
Sarah, come ogni volta, cercava di dimostrarsi forte, perché non poteva permettersi di far perdere a Steve neanche un briciolo di speranza, ma era difficile. Il suo bambino rimase disteso a letto per giorni senza la forza di alzarsi, Sarah per badare a lui stava perdendo anche parecchi soldi di stipendio, non potendo andare al lavoro, ma non le importava, non quando c’era il suo piccolo angelo ad aver bisogno di lei.
Steve dormiva, ogni tanto si svegliava di soprassalto per un qualche incubo dovuto alla febbre troppo alta, nei momenti di coscienza passava il tempo accoccolato a Sarah scusandosi – così piccolo e con così tanti sensi di colpa per la malattia. Le si spezzava il cuore.
In questo scenario, dopo circa quattro giorni, Sarah sentì bussare alla porta di casa. Lei era in cucina, Steve dormiva, aprì senza farci troppo caso. In un primo momento pensò a uno scherzo di cattivo gusto, ma si rese conto subito, abbassando di poco lo sguardo, di chi aveva bussato. 
“Signora Sarah, Steve è in punizione e per questo non viene più da me?”, una domanda posta con una tale sincerità negli occhi e tristezza nei tratti del volto che le si strinse il cuore.
“No, James, Steve sta male, per questo non può uscire di casa”.
Preoccupazione, fu quello che sostituì la tristezza del bambino. “E gli posso dire ciao?”
“Temo di no, tesoro, non vorrei che ti ammalassi pure tu”.
“Oh…”, il bambino abbassò lo sguardo, Sarah non seppe quale fosse l’emozione, ma poté giurare che rimase deluso dal non poter salutare il proprio amico. “Quando sta meglio può chiedergli di venire a cercarmi, allora?”
“Certo, sono certa che non vede l’ora di riabbracciarti”, questo accese di nuovo lo sguardo di entusiasmo, sebbene di poco. Aveva davvero un sorriso sincero, quel bambino.
“Anche io”, confessò, senza alcun tipo di vergogna nel mostrare i propri sentimenti. Forse ancora troppo innocente e privo di malizia, o forse solo davvero sincero nell’affetto. “Allora arrivederci, signora Sarah”.
“Ciao, James”.
Ma Steve, anche quando si riprese, non era molto in forze. Sarah gli riferì le parole del bambino, ma farlo uscire con quel vento era follia, le doleva il cuore, ricordava la tristezza di James e vedeva in ogni istante l’insofferenza di Steve a stare chiuso in casa.
 
Dopo una settimana, Sarah venne di nuovo sorpresa da quel bambino che sembrava aver preso tanto a cuore suo figlio. Quella volta, però, non era solo.
Quando infatti aprì la porta, si trovò davanti una donna sua coetanea, che somigliava davvero troppo a James per non essere sua madre.
“Signora Sarah, Stevie sta ancora male? Ho fatto una torta con la mia mamma, proprio come quella che lei fa a me quando io sto male!”, annunciò ancor prima dei saluti. Sua madre lo guardò con un sopracciglio sollevato, Sarah non capiva, ma il bambino sembrò comprenderla con il solo sguardo. “Non so quale sia il cognome di Steve, ma’”.
Sarah ridacchiò, porgendo la mano alla donna: “Sarah Rogers, è un piacere”.
“Winifred Barnes”, si presentò la donna, stringendole la mano… chissà se sa quanto il suo sorriso è simile a quello del figlio, si ritrovò a pensare spesso Sarah, tutte le volta che la donna sorrideva.
“Bucky Barnes”, allora si intromise il bambino – che ogni volta che Sarah lo vedeva, si convinceva sempre di più che fosse nato per stare al centro dell’attenzione, volontariamente o no.
“Bucky?”, fu sua madre a chiedere.
“Me lo ha proposto Steve, è meno comune di James, dice che è speciale”, spiegò il bambino, come se stesse parlando a persone troppo dure di comprendonio per capire cose così ovvie.
“E tu non vedi l’ora di essere sempre speciale, vero, Bucky?” lo stuzzicò sua madre, sollevando poi lo sguardo sull’altra donna e spiegando: “Il secondo nome è Buchanan”. Be’, sicuramente aveva più senso come diminutivo di Buchanan che di James.
Sarah si limitò ad annuire, spostandosi un po’ dall’uscio: “Volete accomodarvi? Sono certa che Steve non veda l’ora di mangiare un po’ di torta”.
“Allora sta bene?”, chiese il bambino, entrando senza aspettare la madre, cercando l’amico con lo sguardo. Winifred sospirò, scusandosi per l’invadenza del figlio, mentre lo seguiva, Sarah le assicurò che per lei era solo un piacere sapere che il suo bambino aveva un amico che ci teneva così tanto.
“Sì, ma con questo tempaccio è meglio non farlo uscire, non vorrei che si ammalasse di nuovo”.
Il bambino annuì, con lo sguardo di uno che la sapeva lunga nella sua esperienza da bambino di otto anni.
“Te lo vado a chiamare”, si scusò un attimo Sarah, dopo aver fatto accomodare i Barnes nell’umile cucina di casa Rogers.
Trovò Steve tutto intento a disegnare, si vide ritratta mentre lo abbracciava. Sorrise, il cuore pieno d’amore per quel bambino. “Ehi, angioletto, c’è un certo Bucky che ti ha portato una cosa”, gli disse, aspettando la sua reazione, che non si fece attendere, infatti, il bambino mollò la presa sulla matita, alzandosi dal pavimento della sua cameretta per andare a cercare Bucky.
Steve era ancora in pigiama, ma nessuno fece accenno alla cosa, in compenso la prima cosa che Bucky disse: “Wow, sembri un po’ morto”, seguito da un “James Barnes!” di Winifred.
Ma Steve rise, sembrò non accorgersi di niente se non dell’altro bambino: “Bucky!”, esclamò, aprendo istantaneamente le braccia, Bucky non se lo fece ripetere due volte, perché corse ad abbracciare Steve, come se fosse la cosa che desiderava fare più al mondo.
 
Né Winifred, né Sarah dissero niente, tagliarono la torta e la offrirono ai bambini, che sembravano chiusi nel loro mondo in cui esistevano soltanto BuckyeSteve, parlarono fra di loro, ma entrambe passarono il pomeriggio a guardare con tenerezza la nascita di un legame che pareva essere destinato all’eternità. Bastava guardarli negli occhi.
 
Sarah Rogers non dubitò mai, fino all’ultimo giorno della sua vita, che Bucky avrebbe mantenuto la sua promessa di proteggere Steve fino alla fine.
 
   
 
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