Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PeNnImaN_Mercury92    14/07/2019    1 recensioni
Anno 846. Claire Hares si unisce all'Armata Ricognitiva in compagnia della sua migliore amica Petra Ral. Un fato atroce che la attende a casa influenza la sua scelta, ma il suo animo audace, generoso e un po' istintivo la renderanno una magnifica combattente sul fronte. Claire ci racconta la sua vita dopo essersi unita al Corpo di Ricerca, le sue emozioni, le sue soddisfazioni, i suoi timori e il suo rapporto con i suoi cari amici e con un soldato in particolar maniera. Armatevi di lame e di movimento tridimensionale e seguitela nelle sue avventure!
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio, Petra Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Wings of Freedom Series '
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33. Epilogo


I felicissimi ricordi condivisi da un gruppo di amici.

Il diario che stringo tra le mie mani infreddolite, vicino al cuore confortato.

L’amore eterno che, malgrado le disavventure, le disgrazie, le difficoltà, ho sempre coltivato giorno dopo giorno.

Il mio ventre un po’ gonfio.

Non riesco a fare a meno di pensare ad altro mentre, scrivendo ad occhi chiusi, senza avvedermi della calligrafia, mi sento parte del meraviglioso paesaggio invernale che mi circonda.

Sospiro, stringendo una sciarpa attorno al mio collo, domandandomi se la stessa possa mai eguagliare il calore che emana quella rossa di una mia giovane conoscenza.

Qualche fiocco di neve cade sulla mia nuca, facendomi rabbrividire. Il freddo mi stuzzica, eppure non fa altro che accrescere la mia gioia. La gioia che mi procura, in gran parte, la dolcissima memoria dei primi passi che ho mosso da ricognitore, soldato curioso, combattivo, inarrestabile.

Gunther, Petra, Erd, Oruo sono vicini a me. Non posso fare a meno di udirli chiacchierare dalle cose più disparate alle faccende decisamente più serie di un soldato autoritario, nel mezzo della natura quieta e pacifica che mi circonda.

Parlano ridendo mentre io racconto di loro in questo memoriale. La loro risata cristallina, le loro voci sono più forti che mai, e non resisto dalla voglia di piangere di gioia; merito un piccolo momento di tranquillità dopo i tanti eventi accaduti. Perdonami, caro lettore, se mi astengo dal parlartene; probabilmente li conoscerai così bene che sarebbe inutile sprecare tante pagine per raccontarti un fatto di così tanta fama.

Sappi che il mio racconto è in procinto di raggiungere la sua conclusione. La mia storia potrebbe terminare con uno spensierato ballo serale che, nel remoto anno 846, aveva dilettato l’estenuata Armata Ricognitiva. Potrebbe finire col ricordo di quattro leali amici intenti a scherzare in mia compagnia con una ragazza di ancora vent’anni appena promossa di grado.

Ma il paesaggio invernale di una natura infinita, privata dalle struggenti mura di cui fino ad ora ho parlato, mi induce a raccontare l’ultimo ricordo che custodisco con gelosia di quella prima fase di giovinezza turbata, complessa, eppure di pura meraviglia.

Mi risulta così semplice immedesimarmi in quell’attimo; posso ancora sentire la mano di Levi prendere cautamente la mia, dopo che ci eravamo incontrati fuori la stalla della caserma. L’altra mano era intenta a sistemare il fazzoletto bianco legato attorno alla mia testa che mi copriva gli occhi. Per la prima volta, dopo tanto tempo, avevo temuto di perdere l’equilibrio e di cadere dal mio destriero durante la trottata.

-Oggi non lavori. Non è il tuo giorno libero? – mi aveva detto sarcasticamente prima di partire, quando gli avevo domandato il motivo per cui proprio quella mattina aveva deciso di sospendere qualsiasi mia attività in caserma.

Al contrario di me, Levi aveva una giornata ricca di impegni, davanti a sé. Che fosse stato Erwin a fare di tutto per vedere mutare il burbero atteggiamento dello scontroso e innamorato caporale, concedendogli qualche ora di riposo?

Dopo avermi aiutata a scendere da Edmund, al termine del viaggio a cavallo, mi ordinò di non sciogliere il nodo della benda, con modi tutt’altro che gentili.

-Che tu venga mangiato da un gigante di venti metri. Sto per diventare cieca! – protestai, sbuffando, sempre più incapace di mantenere quel pezzo di stoffa davanti agli occhi.

-Potresti evitare di comportarti da mocciosa per almeno un secondo? – ribatté, senza lasciare la mia mano. -Come se tutto ciò lo stessi facendo solo per me.

Sorrisi. -Potresti anticiparmi qualcosa? Non ho idea tantomeno di dove mi trovi. Oppure… - ammutolii, concentrandomi sui lievissimi suoni nelle vicinanze; udii il canto degli uccellini, addirittura captai i minuscoli passi di uno scoiattolo percorrere il tronco di un albero non troppo distante. -Ci troviamo in un luogo deserto. Immerso nella natura. Non avverto presenza umana.

Brontolò: -E allora? Era tanto difficile da prevedere?

-E io che posso saperne? – ridacchiai. -Non ho idea di cosa aspettarmi da te, stavolta. Forse non lo sai nemmeno tu.

Sentii la sua mano stringere di più la mia. Mi lasciai completamente guidare da lui, da colui di cui mi sarei sempre fidata.

-Levi – proferii, dopo aver evitato una brutta caduta inciampando su un sasso che egli non ebbe l’accortezza di farmi deviare, -Quanto ti amo.

Susseguirono attimi di silenzio. -Cosa c’entra con tutto questo?

-Volevo dirtelo. Pare tanto strano? – risposi.

Levi sarebbe ammutolito, continuando a camminare senza aggiungere parola mentre potevo ascoltare chiaramente il suono dei nostri passi.

Poco dopo, però, egli, con rapidità, si lasciò scappare un debolissimo: -Anche io.

E mi si riempì il cuore di gioia, ma non ebbi ulteriore tempo per manifestare il mio affetto perché mi avvertì di essere arrivati a destinazione.

Il Caposquadra Mike ci teneva affinché affinassi ulteriormente la mia speciale abilità “sonora”, motivo per cui avevo iniziato a sottopormi all’ennesimo, ulteriore addestramento, quest’ultimo non incentrato tanto sul perfezionamento della gestione del movimento o della rapidità, ma solo ed esclusivamente sull’ intercettazione dei suoni. Non l’avevo ancora reso chiaro a tutti, ma solo nella precedente uscita ricognitiva, mi ero perduta nei boschi perché intenta a rilevare e ad assimilare i segnali dei nostri nemici per meglio prevenire il loro arrivo.

Ecco, quindi, che pensai a quanto egli potesse essere stato orgoglioso di sapere che, durante quella passeggiata in compagnia di Levi, mi resi conto subito che il corvino mi aveva condotto proprio davanti a uno spazio chiuso, al quale si poteva magari accedere attraverso una porta posta proprio davanti a noi.

-Che posto è? – chiesi curiosa.

-Rompiscatole del cazzo, con te è impossibile fare una passeggiata in santa pace – giudicò lui.

-Faresti prima a dirmi o mostrarmi cosa c’è davanti a noi – sbottai. -Qui sei tu l’unico rompiscatole.

-Visto che non ti degni nemmeno di aspettare… - lo sentii aprire una porta cigolante. Sospirò, rimase qualche istante in silenzio, chiedendomi infine se fossi pronta.

Col cuore a mille e un sorriso inebetito, risposi di sì, sperando di sciogliere il nodo di quel ridicolo fazzoletto attorno alla mia testa quanto prima.

Levi prese delicatamente entrambe le mie mani con le sue, facendomi muovere i miei primi passi su un pavimento in legno.

-Puoi aprire gli occhi, se vuoi – mi avvisò, lasciandomi.

Come appena ebbi rimosso la benda che mi copriva la visuale, osservai l’interno di una modesta casa interamente costruita in legno, arredata umilmente ma, per quanto un po’ consumata dal tempo, affatto trascurata. Anzi, ebbi come l’impressione di aver appena fatto il mio ingresso nella dimora di qualcuno, date le finestre miracolosamente lucide e una libreria limpida interamente vuota.

-Mi spieghi? – gli chiesi dolcemente, per quanto confusa.

Sospirò ancora, a braccia conserte. Conoscendolo, non mi parve difficile comprendere che quell’atteggiamento come sempre chiuso in quell’occasione fosse più dato dall’imbarazzo, che dalla vera indifferenza. -Non ti viene in mente niente?

Scossi il capo. -Non ho idea nemmeno di dove ci troviamo. Fuori il Wall Rose? Dentro?

-Non ha importanza – rispose lui. -Siamo comunque abbastanza distanti dalla caserma.

-E con ciò? – aggrottai le sopracciglia, prima di notare proprio la mia chitarra riposta esattamente dietro di lui su un piccolo piedistallo rigorosamente in legno.

-E lei che ci fa, qui? – domandai, sempre più convinta che lo strumento mi appartenesse; d’altronde, erano già passati diversi giorni dall’ultima volta in cui mi era capitato di tenerla tra le mani, a causa dei miei svariati impegni: Levi avrebbe potuto senz’altro prenderla in quell’arco di tempo. -E’ la mia, vero?

-E’ così. E credo sia meglio tenerla qui in casa sua piuttosto che in un armadio polveroso che tu e Petra non avete mai l’accortezza di liberare dalla sporcizia.

Iniziai a ridacchiare in maniera nervosa. -Sto perdendo la pazienza, Levi… Mi spieghi dove ci troviamo? “Sua” di chi?

Una piccola smorfia si impossessò del suo volto, dopo che ebbe chiuso per qualche attimo le palpebre. -Questa casa apparteneva fino a poco tempo fa di un vecchio contadino vedovo senza figli, morto qualche mese fa. Quest’uomo viene dal villaggio in cui è nato Erwin, lo conosce sin da quando era bambino. Qualche giorno fa Erwin ha reso visita ai suoi compaesani e gli hanno comunicato la morte del povero vecchio, la cui casa era rimasta abbandonata. Per puro caso, Erwin me ne ha parlato. Dopo averla vista e pulita, ho pensato potesse essere un posto tranquillo e accogliente dove potessi sistemarti durante i giorni di ferie senza doverti recare dai genitori di Petra, e considera che non è nemmeno tanto lontano dalla caserma.

Per quanto, come del resto accadeva ogni volta, Levi cercasse disperatamente di non lasciarsi contagiare dalle emozioni che tendeva a reprimere nei meandri più remoti di se stesso, impostando il solito discorso dal tono indifferente e alquanto freddo, egli riuscì a farmi toccare il cielo con un dito: mai mi sarei aspettata di ricevere tanto affetto nella mia vita, ma quel giovane corvino che nemmeno troppi mesi prima avevo incontrato per la prima volta mi aveva serbato quell’ennesima dimostrazione di amore puro. E non nascondo che, di nuovo, mi resi conto di quanto io gli fossi debitrice.

-Levi, ti ringrazio infinitamente – mormorai tremolante, dopo essermi avvicinata a lui. -Però, non penso di poter accettare.

Mi guardò confuso, un cenno di delusione si impadronì del suo volto. -La casa è destinata ad essere abbattuta se non viene occupata. Non ti costa niente… - provò a farmi ragionare.

-Me ne rammarico tanto, Levi, ma non potrei mai viverci – strinsi il palmo della sua mano. -Non se tu non la condividi assieme a me.

Nell’esatto momento in cui gli sorrisi, i suoi occhi brillarono di luce propria. -La caserma è diventata la mia casa, ormai.

-E’ anche la mia, di casa – ribadii. -Ma se questo deve essere un luogo di riposo per me, allora devi esserci anche tu.

Mi rivolse un piccolo, affettuoso sorriso. Un po’ incerto, mi scoccò un bacio semplice sulla guancia tale da farmi avvertire un fuoco divampante nel petto.

-Senza di te, chi pulisce qui dentro? Ci avevi pensato? – lo schernii.

-Per me puoi vivere anche in mezzo ai maiali. È la condizione che ti spetta per aver disobbedito a non so quanti miei ordini.

Scoppiai a ridere. -Sono un tenente, di certo non ho più bisogno dei tuoi assurdi provvedimenti disciplinari.

-Difatti, sono una perdita di tempo – ribatté. -Ho visto che farti pulire il refettorio da cima a fondo è solo uno spreco di sapone e di tempo. Sei incapace di fare fuori un misero batterio.

Smisi improvvisamente di ridere, andando a sedermi su una delle sedie che componevano il modesto tavolo in legno, che iniziai ad osservare in maniera distratta, le mani serrate lungo le cosce.

Levi mi si avvicinò, un po’ preoccupato. -Non intendevo…

-No, non me la sono presa! – lo tranquillizzai. -Levi, non hai idea di quanto ti voglia bene per questo regalo meraviglioso!

-E’ quello che hai sempre voluto, non è così? – sedette anche lui. -Non è fuori dalle mura, e nemmeno molto lontano, ma…

-Va benissimo, non devi preoccuparti affatto – ripetei. -Basta che ci sei tu.

Le labbra serrate di Levi si schiusero, gli occhi si spalancarono più del solito.

Ciò che fece subito dopo mi lasciò pietrificata: si inginocchiò davanti a me, chinò la testa cercando le mie mani. Le mie dita leggermente più lunghe delle sue vennero stritolate dai suoi palmi.

Sentii la sua voce soffocare nel tentativo di proferire parole mute.

La posizione che aveva assunto mi ricordò quella di tali personaggi che popolavano il mondo di fantasia delle storie raccontatemi dai miei genitori. Tali cavalieri che giuravano fedeltà ai re, magari analogamente a quanto capitava nel mio mondo con i soldati di alto rango nei riguardi del monarca.

E il pensiero che Levi, a suo modo, mi stesse promettendo in quell'esatto momento la sua lealtà non poté che riempirmi il cuore di gioia.

Anche io fallii nel tentativo di rendere udibile la mia voce.

Per qualche strana motivazione, il ricordo di quel momento risulta piuttosto dissipato, ora che mi accingo a raccontarlo.

Ho memoria di quella sensazione di gratitudine che solo il mio più grande amore poteva farmi provare.

Ho memoria del mio cuore che batteva forte perché, in un modo o nell'altro, egli mi dava la forza di amare ancora la vita, per quanto potesse essere stata crudele nei miei riguardi.

Ma ora sono convinta di poter interrompere la mia narrazione, e beato colui che è riuscito a non lasciarsi annoiare eccessivamente dai miei lunghi discorsi, le miei futili riflessioni, arrivando a questo punto!

Caro Levi, per quanto tu possa detestare letture tanto melense e sciocche come lo è stata la mia, so che sei giunto fino a qui. Sorpassando qualche pagina da te giudicata inutile, sei qui a leggere le ultime righe di questo mio scritto.

E sei proprio tu la persona a cui voglio indirizzarmi prima di staccare la penna da questo ultimo foglio.

Non mi dilungherò nel raccontare i restanti episodi della mia, anzi, della nostra vita. Molti di essi sono ancora più angosciosi di quelli narrati in queste memorie, tu ed io lo sappiamo bene. Eppure, malgrado siano passati già diversi anni, sappi che chi è stato in grado di farmi trovare il desiderio, seppur minimo, di vivere sei stato tu.

Il dolore provato nella mia breve vita avrebbe dovuto spingermi a farla finita per sempre; e così sarebbe stato senza di te.

Perciò, ti scrivo un sentitissimo grazie. Perché fino al mio ultimo respiro sei ciò che di più bello potesse capitarmi.

Grazie, per avermi spinta a trovare ogni volta un senso a quell'esistenza che io reputavo misera.

Grazie, per avermi spinta a trovare le ali della libertà che io, nonostante tutto, porto ancora con orgoglio.

E che bella vita che è questa, Levi.
 


Spazio Autore: e con questo breve epilogo si conclude la mia prima storia su un anime che ho adorato fin dal primo episodio, che ho odiato per la sua crudezza e per l'indifferenza nei riguardi di quei personaggi eccezionali protagonisti delle sue vicende, ma che mi ha segnata nel profondo per la musica, per la storia, per i disegni, i dolori e le speranze dei personaggi stessi.
Ringrazio tutti coloro che, nel corso della pubblicazione su EFP, hanno recensito e apprezzato questo racconto; spero di ritrovarvi tra qualche giorno, quando inizierò a pubblicare la seconda parte di questa serie incentrata sul mio OC Claire Hares. 
Infine, mi scuso ancora per il lungo periodo di "silenzio" di questi ultimi mesi che ho preferito dedicare solo ed esclusivamente allo studio. 
Vi saluto.

PeNnImAn_MeRcUrY




 
  
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