Film > Captain America
Ricorda la storia  |       
Autore: Miss Rossange Stucky    18/07/2019    4 recensioni
La storia parte dalla fine di Endgame, con una scena "post credits" un po' particolare. Ma se di addio doveva trattarsi allora che fosse un vero addio...o un arrivederci?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ho deciso di pubblicare questa ff in tre piccoli capitoli (poco più di 1000 parole), perché ho la sensazione che ne faciliti la lettura. Spero di non aver fatto la scelta sbagliata.
I capitoli verranno pubblicati settimanalmente.
Buona lettura e…buona suspence!
 
 
“Certo che non ce l’ho con te, Pun-…Steve, come potrei? Hai fatto la tua scelta, ed è stata una decisione che ti ha reso felice…più felice di come eri…insomma, più felice, no?”
 
Le rughe attorno agli occhi del vecchio Rogers si approfondirono e si moltiplicarono. Stava sorridendo? James non avrebbe saputo dirlo: quel volto che si trovava davanti apparteneva sicuramente a Steven, anche se gli sembrava così estraneo, e probabilmente era lo stesso che gli avrebbe visto, un giorno, se la vita fosse stata tanto generosa con Bucky da permettergli di viverla accanto a lui, invecchiando insieme.
 
Ma così non era stato e, a ben pensarci, non era stata la vita ad essere ingenerosa. Era stato Steve a decidere di cambiare tutto e correre da Peggy. Quindi sì, un po’ ce l’aveva con lui, ma non glielo avrebbe mai rivelato, non poteva.
 
“…e soprattutto non te la senti di prendertela con un vecchietto indifeso, non è così?”
 
Le sue elucubrazioni gli avevano fatto perdere almeno la metà della risposta di Rogers, ma quelle ultime parole le aveva sentite e forse erano vere: che senso aveva prendersela con lui, ormai? Una cosa, però, stonava nelle parole di Steve…
 
“Tu non sei mai stato indifeso, Punk”
 
Quel nomignolo gli uscì spontaneo. Prima lo aveva censurato perché non lo riteneva rispettoso nei confronti di un uomo anziano…il marito di Peggy Carter, uno sconosciuto. Ma, per quanto la cosa gli sembrasse assurda, quello era Steve, o almeno lo era stato.
 
Rogers accennò una risata sommessa, scuotendo la testa.
 
“Non sono più lo stesso di allora, James”
 
Quell’affermazione, fatta con tanta leggerezza, lo irritò.
 
“Hai ragione. Non lo sei.” - replicò freddamente, poi si pentì della propria reazione e addolcì il tono della voce.
 
”Beh, ora ti saluto: gli altri mi stanno aspettando”. Era vero? Forse no, ma cosa importava?
 
Si alzò, porgendogli la mano per una stretta cordiale ma impersonale, Rogers invece usò quella presa forte per alzarsi dalla panchina ed avvicinarsi a Bucky per abbracciarlo.
 
James rimase impietrito a quel gesto inatteso, quindi non si allontanò, e fece in tempo a sentire le parole che l’altro sussurrò al suo orecchio.
 
“Non ti ho abbandonato, Jerk. Presto capirai. Ho fatto l’unica scelta possibile”
 
Stava per rispondergli “Hai scelto lei”, ma in quel momento sentì che quel corpo stretto contro il suo si faceva pesante, sempre più pesante, come se non potesse più sostenere il suo stesso peso.
 
Bucky si allarmò, lo scostò di poco e vide che aveva chiuso gli occhi, mentre un’espressione serena e distesa si andava diffondendo su quel viso rugoso e pallido…mortalmente pallido.
 
“Steve!”, la realtà di quello che stava accadendo lo colpì come un secchio d’acqua gelida in pieno viso, “No! No! Steve…Stevie, hey, non fare scherzi…no! Maledizione, no!”
 
Le sue parole disperate non ebbero il potere di rianimare Rogers, che lentamente scivolava verso il basso, il capo reclinato, le braccia ormai inerti lungo i fianchi.
 
Affranto, gli occhi sbarrati, James tentava di tenerlo in piedi, rifiutandosi di accettare la realtà. Ma non poté fare altro che rassegnarsi e accompagnarne la discesa, sorreggendolo delicatamente fino ad adagiarlo sul prato.
 
Gli si inginocchiò accanto e piantò, con tutta la forza che aveva, i pugni nel soffice terreno vicino al corpo, ormai senza vita, di Steve.
 
Lanciò un’imprecazione urlando il suo dolore verso il cielo, ma dalla sua gola uscì un suono inarticolato, come il verso di un animale ferito. Affondò con rabbia e disperazione il viso nelle mani, per impedire alle lacrime di cadere e per tentare di riprendere il controllo.
 
Quando ci riuscì il suo viso non mostrava più alcuna emozione. Il cuore stretto in una fin troppo familiare morsa di gelo, sistemò la salma nella posizione più dignitosa possibile, la guardò un’ultima volta, poi si alzò, prese il telefono e formò il numero di Sam.
 
---
Le esequie solenni sembrarono la replica di quelle organizzate per Stark.
 
Una breve ma intensa cerimonia nel grande cimitero, tra prati verdissimi e lapidi bianche, un gran numero di figure vestite di nero a capo chino, intorno ad un feretro coperto da una bandiera a stelle e strisce; l’unica differenza erano i fiori disposti a formare una piccola copia dello scudo più famoso del mondo, il cui originale era ormai parte dell’armatura di Sam.
 
James se ne stava in disparte, osservando tutto quel dolore come se non lo riguardasse, come se stesse guardando un film. Si sentiva troppo confuso ed estraneo per partecipare…in un certo senso non era neanche sicuro di sapere al funerale di chi stesse assistendo.
 
Si diede dell’idiota e del mostro una decina di volte, prima di decidere di allontanarsi da lì senza farsi vedere, tornando nell’oblio da cui proveniva, quello stesso oblio che lo aveva tenuto prigioniero per anni e di cui ancora portava dentro i segni, così come il suo corpo ne mostrava le cicatrici.
 
Raggiunse il Grattacielo e salì all’ultimo piano, aprì la porta dell’appartamento che aveva diviso con Steve e si diresse senza indugi verso il guardaroba. Ne estrasse un anonimo borsone e vi gettò dentro a caso un po’ dei suoi vestiti. Chiuse la zip con un gesto rabbioso, si caricò il misero bagaglio su una spalla e si apprestò a lasciare quel posto per sempre.
 
Aveva deciso: sarebbe sparito senza lasciare traccia, in fondo era la cosa che sapeva fare meglio, oltre ad uccidere.
 
Gli Avengers non avevano bisogno di lui, il mondo non aveva bisogno di lui, e poi…se il grande Captain America aveva potuto mollare tutto, perché non poteva farlo lui? In fondo lui non era nessuno, e di certo nessuno avrebbe sentito la sua mancanza.
 
Nell’ingresso, un attimo prima di uscire, il suo sguardo fu attratto da una foto lasciata apparentemente a caso sul tavolino accanto alla porta. La prese e la guardò perplesso, poi si ricordò: era una vecchia foto di loro due subito prima della guerra, che Steve voleva incorniciare.
 
Gliel’avevano scattata la sera che lui aveva portato Steve in un locale a Brooklyn, per festeggiare la sua partenza. Buck era in divisa, sorridente, col berretto di traverso e un braccio attorno al collo di Steve, che invece non sorrideva affatto, indossava il suo solito “vestito della festa” ed era… – una lacrima premette contro l’orlo della palpebra di James – …era “il suo” Stevie, quello a cui non era stato ancora iniettato niente. Quello che aveva combattuto mille battaglie, ma senza lo scudo di Captain America; l’unico vero Steve che il suo cuore era, in quel momento, disposto a riconoscere e a ricordare.
 
Infilò la foto nella tasca interna del suo giubbotto e uscì, sbattendosi la porta alle spalle.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: Miss Rossange Stucky