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Autore: Kore Flavia    22/07/2019    1 recensioni
Gabriele ha un potere speciale ed è quello di vivere attraverso gli altri. Ciò che vedono gli altri lo vede anche lui e ciò che risentono gli altri lo risente anche lui. Conosce la vita di un mucchio di gente, quindi, ma ciò non viene senza sacrificare qualcosa e nel caso di Gabriele a fare da agnello sacrificale è la sua di vita. A 35 anni Gabriele si ritrova però privato di questa capacità ed è perciò costretto a vivere nel proprio corpo. Giostrarsi in un’esistenza completamente vuotata di rapporti e senza risultati degni di nota non è però così semplice. Tra suo fratello che lo odia, sua madre che lo vede come un fallimento personale, Anna che vive a centinaia di chilometri di distanza e Giulia che non l’ha mai veramente provato a capire, sua nipote Francesca è l’unica a stargli accanto.
In questo clima Gabriele si racconta e attraverso sé stesso rivela le difficoltà che le relazioni presentano e la paura onnipresente della solitudine e della propria incomunicabilità. Il tutto senza mai smettere di provare a costruirsi in quanto persona e a ritrovare quel rapporto all’altro che fino ad allora aveva rifiutato.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Il mondo non è bello se non veduto da lontano”
-Giacomo Leopardi
 
 
 
 

 

 

Prologo
 
 
Avevo vissuto tante vite nel corso della mia esistenza.
Avevo vissuto quella di Salvo, che si svegliava alle sette ed usciva alle nove fumando una sigaretta, quella di Melissa, che aveva tanti, troppi gatti e che era innamorata di tante, troppe persone. Avevo vissuto quella di Licia, i cui genitori l’avevano costretta a fare l'avvocato e che ora, nonostante la giovane età, era grigia in volto come tra i capelli, e quella di Giorgio, che a sua volta viveva per quella della sventurata e che scriveva lettere per il cassetto della scrivania. Ma avevo vissuto le vite di Paola, di Giovanni, di Valerio e di Sara, la parrucchiera, di quel ragazzo col berretto rosso e di quella ragazza dalla gonna rosa e lunga, di quel l'anziano cinico e di quella coppia di innamorati. Avevo persino vissuto la vita di quel gatto che pascolava tra i san pietrini e acchiappava più sole possibile, e di quel cane, nutrito da qualche buonanima e che abbaiava, scodinzolava e tornava da dove era venuto. Avevo persino vissuto la vita di quella lucertola, di quel geco e di una mosca e una lumaca, di quell'uccello e di questa formica e di un fiore.
Come un lettore avevo vissuto quel libro immenso e magnifico che era la vita, quel libro che contiene tutto: la gioia, la rabbia, i bambini e gli adulti, la sofferenza e l’amore, soprattutto quest’ultimo che sembra far girare il mondo e fermarlo, ogni tanto.
Avrei potuto vantarmi in giro di essere un grande lettore, forse il più grande al mondo e poi spiegare perché, in casa, non avessi alcuna libreria. Una spiegazione che non sarebbe stata creduta da nessuno e che, fortunatamente, nessuno avrebbe mai chiesto. Perché per vivere le vite degli altri devi sacrificare la tua, dimenticarti della tua casa bianca e vuota, del divano che da secoli ti dicono di comprare e che da sempre dici di scordare, quando la verità è un’altra: a te non interessa riempire quella casa di te perché di te non esiste nulla da tempo. Devi dimenticarti delle amicizie e rimanere ad osservare da lontano, poggiato ad un albero. Vederli giocare a palla e cadere e rialzarsi e urlare e fare cose che tu solo appunti su un quaderno e non pratichi.
Se me l’avessero chiesto, però, perché mi autoproclamassi il più grande lettore di tutti i tempi con la libreria più spoglia mai esistita, be’, in quel caso avrei risposto che invece di leggere i piccoli caratteri neri che ricoprivano praterie bianche, io leggevo quel vestito a fiori della signora Sofia e quel guinzaglio di cuoio rosso che tanto stonava con la pelliccia arancio del cane. Avrei risposto che a leggere ero sì, bravo, bravissimo, ma che quello che leggevo era il libro più grande e completo di sempre. Un libro senza buchi di trama o mancanza di caratterizzazione dei personaggi, ma pieno dei cliché che tanto piacciono alla gente. O così credetti di vivere -o, meglio, di non vivere- per lungo tempo. Fino ad ora, per lo meno.
 
Fino ai miei primi trentaquattro anni di vita avevo vissuto quattro volte, “le quattro volte più belle della mia volta” oserei dire, ma anche le uniche. Posso, però, almeno vantarmi di ricordarle tutte: cosa che chi vive ogni singolo giorno non potrà mai fare. Durante queste quattro volte ho avuto la fortuna di riscontrare la bellezza della vita. Pensa che delusione decidere di vivere qualche minuto, mettere da parte le vite altrui e aprire gli occhi su un mondo che non ne vale la pena. E forse proprio per questo ho deciso di non vivere oltre la mia vita, per conservare quei quattro ricordi e non perderli nei meandri dell’esistenza. Per non coprire di tristezza e sofferenza quel mondo che da lontano sembrava tanto bello quanto crudele. Fu dal trentacinquesimo anno, però, che qualcosa si inceppò e io mi trovai costretto a vivere. A posteriori non mi rammarico di questa rottura, ma tutto ciò deve aspettare il suo tempo.

Note d'autrice: Ho cominciato a scrivere questa storia nell'agosto 2016 e l'ho terminata a Capodanno 2018 e solo ora mi decido a pubblicarla da qualche parte.
Avendola terminata verrà aggiornata una volta a settimana.
Per il resto: Grazie a chiunque la stia leggendo: significa tutto per me.
Grazie a chi la recensirà: ogni consiglio è il benvenuto, perché il desiderio di perfezionarla è sempre presente.
Grazie. 
Flavia 
 
   
 
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