Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: _Lightning_    24/07/2019    2 recensioni
Con il Giorno della Promessa all'orizzonte, Roy Mustang si ritrova a pensare sempre più spesso a Ishval, ai propri errori, e a cosa gli ha lasciato quel luogo se non ricordi dolorosi e sensi di colpa. Si imbarca così in una lunga reminiscenza con l'aiuto di Riza, fidata compagna di vita, nel tentativo di mettere finalmente a tacere i demoni che gli mordono la coscienza.
Dal prologo: «C’è qualche problema, Colonnello?»
È formale, distaccata, anche se siamo soli. Una pantomima sterile e autoimposta, affinata con gli anni.Non possiamo cedere, mai, nemmeno nel buio cieco di un vicolo dimenticato, o finiremmo per tradirci alla luce del sole con mille occhi intenti a scrutarci. L’abbiamo concordato in silenzio, che è ciò che di solito parla tra noi. Per questo adesso mi sento quasi un profano a romperlo, a voler trasmutare in parole ciò che mi passa per la testa. Ombre dense, a cui non dovrebbe mai essere data forma.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maes Hughes, Nuovo personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Parte I
 
Quelle notti nere – di polvere e spari
 “Guardo l'orizzonte
che si vaiola di crateri
Il mio cuore vuole illuminarsi
come questa notte
almeno di zampilli di razzi.”

[Perché – G. Ungaretti]
 
 
 
.1.
 
 
 
 

10 Novembre 1908,
Distretto di Tiham,
18:35
 

Una coltre di fumo nero e denso risale incessante dalle macerie, velando il cielo screziato d’indaco.

Il bagliore delle fiamme riverbera ovunque, pulsante. Sento l'odore acre invadermi i polmoni già incatramati: oltre a legno carbonizzato, metallo fuso, calce e cenere, colgo il sentore di carne bruciata.

«Deshaw, ripulite l'area,» ordino lanciando un cenno a Charlie, che attendeva solo il mio segnale per passarlo al resto della truppa.

Sono sparpagliati tra le macerie biancastre, in uno spiazzo nudo e martoriato che fino a poco fa ospitava una mezza dozzina di case. Da dietro i tetti bassi superstiti, come un gigante silenzioso e cieco, fa capolino la cresta di una duna scarmigliata dal vento.
Charlie fa per tornare indietro e radunare i soldati, ma sembra ripensarci e si ferma dopo pochi passi, lanciandomi un’occhiata sbilenca da sopra la spalla.

«Gli uomini sono stanchi,» dice laconico.

Una nuvoletta di vapore esce dalla sua bocca mentre parla e vedo che il suo volto è irrigidito dal freddo; si stringe nel mantello lacero più che può. Sembra incurvato da un peso invisibile che avverto di riflesso al centro della schiena: è stata una giornata faticosa. Anche io sento le membra pesanti e i piedi gonfi, stretti negli stivali consumati.

Ruoto il capo e scruto con attenzione i resti di quello che un tempo deve essere un bel palazzo nobiliare, a giudicare dai fregi scheggiati che intravedo sui mozziconi delle mura. Bassorilievi sfigurati occhieggiano qua e là, colmi di visi severi e occhi smorti su cui guizzano le fiamme.

«Maggiore?»

Mi riscuoto, con la stanchezza che mi rallenta e il freddo che inizia ad entrarmi nelle ossa.

«Di' agli altri di mantenersi a distanza: do un altro paio di fiammate e torniamo al campo. Voi occupatevi dei prigionieri.»

Lui mi lancia un'occhiata grata prima di avviarsi verso le mura diroccate che fungono da riparo di fortuna alla mia truppa. Rimango in ascolto, guardando l'incendio e calzando la stoffa ruvida già perfettamente aderente alle mie dita. Sento due raffiche di spari ravvicinate dietro di me e solo allora sollevo la mano guantata. Dopo aver considerato brevemente il modo migliore per far crollare ciò che resta dell'edificio, sfrego la stoffa d'accensione.

Non sono concentrato: il getto di fuoco vira troppo a destra, senza centrare perfettamente il bersaglio, ma basta la scossa provocata dall'esplosione a far gemere le ultime travi ancora integre. La facciata resiste ancora qualche istante prima di collassare sotto il suo stesso peso in una nube di calce e cenere.

Per scrupolo, spazzo l'area circostante con un'altra fiammata rasoterra. Anche questa volta, calibro male la potenza e sento il calore sfiorarmi pericolosamente il volto; le falde del mantello schioccano investite dal getto d'aria rovente. Socchiudo gli occhi per schermarli dal bagliore, infastidito.

Devo essere più stanco di quanto pensassi. Lancio una terza fiammata, più per accertarmi di essere ancora nel pieno controllo delle mie facoltà che per un vero e proprio scopo. Stavolta la scia di fuoco saetta preciso oltre la pila di detriti, si insinua dentro una finestra dell'unica porzione ancora in piedi, e la vampata che si sprigiona al di là è perfettamente contenuta. Metà del tetto esplode in un'eruzione di calcinacci e tegole. Mi sembra di sentire delle urla, ma il fragore dell'incendio è così intenso che non posso esserne certo, e d’altronde il mio udito non è più così fino, dopo mesi di bombardamenti.

Volto le spalle alle fiamme e torno lentamente verso la mia truppa, pestando polvere calcinosa e frammenti marmorei. Gli uomini sono così esausti che molti si sono semplicemente abbandonati a terra e non si accorgono del mio arrivo; sono sicuro che sarebbero capaci di addormentarsi lì, nel mezzo del campo di battaglia.

In teoria dovremmo ancora tirar giù l'intero isolato, ma è dall'alba che non abbiamo un momento di tregua e riesco a sentire la stanchezza uscirmi dagli occhi. Trattengo un sospiro e raddrizzo lo schiena indolenzita dai crampi.

«Truppa Blaze!» li riscuoto, e la mia voce risuona roca per via del troppo fumo.

Alcuni scattano in piedi sull'attenti, e li riconosco come i nuovi cadetti arrivati pochi giorni fa. Mi fissano con un misto di timore e aspettativa oltre lo strato di sangue e fuliggine che impiastra i loro volti. Avranno al massimo tre anni meno di me. Gli altri si alzano prontamente, più composti, ma tralasciano il saluto militare, evidentemente più coscienti di quanto poco io tenga alle formalità.

«Si torna al campo,» annuncio, vedendo quanto siano stanchi e provati.

Dall'espressione di stupore e sollievo che si dipinge sui volti dei cadetti, capisco che probabilmente Haytham o Richard hanno rifilato loro qualche balla riguardo alla nostra linea d'azione per terrorizzare i novellini. Qualcosa come assaltare un altro distretto o perquisire Tiham da cima a fondo da soli. Lancio loro uno sguardo indagatore e il sorrisetto beffardo di Haytham lo tradisce.

Scuoto rassegnato la testa nella sua direzione mentre il gruppo si mette in marcia e lui si stringe nelle spalle, per poi pungolare malignamente il cadetto di fronte a lui con la baionetta. La mia espressione non è neanche vagamente minacciosa, anzi, devo camuffare il mio divertimento. Tormentare i nuovi arrivati offre qualche motivo di cinico svago a noi e fa capire a loro che questo non è più un esame finale dell’Accademia. Sospiro, facendo per incamminarmi in direzione della base, quando uno dei cadetti lancia un'esclamazione:

«Ehi, quello sta scappando!»

Subito molti mettono mano alle armi e io mi volto di scatto, la destra già pronta a trasmutare. Intravedo una figura barcollante che tenta di allontanarsi dalle macerie.
Alzo la sinistra per intimare l'alt alla mia squadra e sto per lanciare un getto di fuoco con la destra, quando uno sparo lacera l'aria. La figura si accascia a terra e inizia a dibattersi nella polvere, lanciando grida di agonia. Mi volto verso il tiratore, lo stesso cadetto che ha dato l'allarme. Lui sembra rimpicciolire sotto i miei occhi furenti.

«Bel colpo,» commento piattamente, prima di incamminarmi in direzione del fuggitivo. Dovrei frenare i miei passi e occuparmene a distanza come sempre, ma non trattengo i miei passi, rapidi ma pesanti.

Arrivo a pochi passi e la sagoma rannicchiata a terra prende i contorni di una donna, piuttosto anziana, che preme inutilmente una mano sulle reni dove la pallottola l'ha trafitta, contorta in una posa scomposta. Uno spiacevole formicolio mi avvolge la parte destra della schiena: so quanto fa male.

Alza su di me gli occhi rossi e annebbiati dalle lacrime e ringhia qualcosa nella sua lingua, fissandomi con odio. Sostengo il suo sguardo – non dimenticarli, non dimenticarli mai – e la fiammata la avvolge, abbacinante. Non ha neanche il tempo di urlare.

Torno verso la mia truppa, lasciandomi alle spalle il suo corpo fumante e carbonizzato, tutt’uno con le macerie annerite.

Il cadetto, poco più che un ragazzino, mi fissa spaurito e io mi limito a trapassarlo con lo sguardo. Riprendo la marcia, facendo cenno ai miei uomini di seguirmi. Qualcuno, passando, gli scaglia uno sguardo di rimprovero, ma la maggior parte della truppa si limita a ignorarlo. I nuovi arrivati sono visibilmente confusi.

Respiro a fondo per calmarmi. Odio i cadetti.

Mentre cammino sento un velo di stanchezza calarmi sugli occhi, e me lo scuoto di dosso battendo le palpebre gonfie. Il campo è vicino, ma non abbastanza da abbassare la guardia: Tiham non è ancora stato messo in sicurezza e il pericolo che una banda di guerriglieri Ishvaliani cali su di noi per farci a pezzi è reale, vicino e tangibile. O peggio ancora, qualche adepto del Sangue di Ishvala.

Aumento il passo e marcio in testa alla mia squadra cercando di non incespicare nelle macerie che invadono la strada. Il distretto è stato sventrato dalle mie fiamme e dai mortai, e quella che un tempo era una ricca zona residenziale è ora ridotta a una landa carbonizzata, dove gli incendi continuano a divampare da giorni. Il Comando ha detto che ho fatto un buon lavoro, che Tiham era una zona problematica, che andava ripulita con mano ferma e attacchi serrati per stanare le ultime sacche di resistenza.

Superiamo un palazzo completamente annerito, di cui rimane solo lo scheletro contorto delle travi. Davanti è segnata, con un drappo bianco, una delle tante fosse comuni per gli Ishvaliani. Acceleriamo istintivamente il passo.

Proprio un buon lavoro.

Charlie mi affianca con naturalezza, il fucile reclinato sulla spalla, la solita aria svogliata stampata in volto. Deve aver notato che non sono nel pieno delle forze. Anche lui ha l'aspetto di chi non chiederebbe altro che dormire tre giorni di fila, ma quattro occhi, seppur assonnati, sono meglio di due, soprattutto nel buio oscillante di fiamme.

È con un sospiro di sollievo che arriviamo alla piazza di scambio senza contrattempi. Al centro giace una statua di un qualche monaco di Ishval, abbattuta al suolo e sfigurata, il braccio proteso al cielo in un monito spezzato; delle robuste barricate con terrapieni si ergono a poche decine di passi, incuneate tra i palazzi ancora in piedi.

Noto che sono state rinforzate con del filo spinato durante la nostra assenza. Noto anche che i teli bianchi allineati da una parte sono aumentati. Spero che non mi chiedano di nuovo di bruciare i cadaveri, ma so anche che non possiamo permetterci un'altra epidemia.

Scorgo due coppie di soldati sugli stretti e bassi camminamenti, una per lato, che danno un segnale ai soldati a terra non appena ci avvistano. Il picchetto di guardia mi riconosce e si mette sull'attenti. Stasera è meno numeroso del solito: una mezza dozzina di uomini al massimo. Forse sarà una notte calma, ma non mi faccio illusioni. Il sottoufficiale in carica si fa avanti con una staffetta al suo fianco, in attesa del mio rapporto da consegnare al Quartier Generale.

«Maggiore Mustang.»

Sembra sollevato di vederci.

«Sergente Picard,» saluto a mia volta, circospetto.

«Il plotone di Goer non è rientrato,» mi annuncia, prima ancora che possa dire qualcosa. Dalla profonda ruga in mezzo agli occhi intuisco che qualche superiore deve essersi sfogato su di lui per l'assenza del suddetto plotone. Non mi stupisco. Picard, fin dal tempo delle trincee, sembra nato per essere il capro espiatorio degli altri, complice la sua figura mingherlina.

«Lo so,» rispondo accigliandomi a mia volta. «Li abbiamo trovati smembrati in una palazzina a qualche isolato da qui.»

L'agitazione che serpeggia tra i soldati è palpabile, soprattutto tra gli sfortunati della mia squadra che hanno fatto la macabra scoperta. Non dormiranno sonni tranquilli, stanotte.

«Tutti avevano gli occhi cavati,» aggiungo significativo.

«Sono arrivati fin qui?» sbotta uno dei soldati di guardia.

Picard cerca di non dare a vedere la sua perplessità, ma mi guarda interrogativo, con una smorfia incerta che gli fa tremare i baffi a spazzola. Sospiro tra me: la qualità delle informazioni che riusciamo a scambiarci tra i vari avamposti è imbarazzante. Mi sorprendo a rimpiangere di dover fare rapporto a Ironclad quando ero in città.

«Il distretto limitrofo di Hazari è sotto il controllo di un gruppo di ribelli. Si fanno chiamare il “Sangue di Ishvala” e sono quasi tutti monaci guerrieri ben addestrati. Oltre ad essere un flagello, mutilano i corpi dei soldati e ne catturano molti. Forse li tengono come ostaggi o…» esito brevemente, «… come sfogo

«Capisco,» annuisce gravemente lui, fingendo compostezza.

«Devi aver pestato i piedi a qualcuno d'importante, per farti trasferire qui,» commento infine, e lui evita il mio sguardo.

Sì, è decisamente qualcuno d'importante.

«Mi stupisco che non si sia sparsa la voce,» cambio argomento, ma in realtà non mi stupisco affatto, perché dubito che Bradley si scomoderebbe per una bazzecola come uno squadrone armato che va in giro a cavare occhi e mozzare arti e membri ai suoi soldati.

«Sono qui solo da due giorni e a Yazik non se n'era fatta parola. Ma sa com'era il Colonnello Sheridan,» aggiunge pungente, e replico con una tirata di labbra.

Ricordo perfettamente com'era, e ricordo anche di aver sperato più volte che una granata cadesse casualmente nel suo bunker.

«Comunque, ho raso al suolo l'edificio dove li abbiamo trovati e messo a ferro e fuoco le cantine. Non so chi ci fosse là sotto, ma nessuno è sopravvissuto. Abbiamo tirato fuori i corpi dei nostri, ma dovrete recuperarli lì,» concludo gravemente.

Picard si rilassa, ma continua a tormentarsi i baffi ingrigiti; non sarà lui a dover fare rapporto, ma il pensiero di una banda di guerriglieri assetati di sangue che si aggira nei dintorni turberebbe chiunque.

Faccio un cenno al messaggero, una cadetta riccioluta con una tracolla che probabilmente sarà ammazzata ancor prima di arrivare a destinazione. Ha all’incirca la stessa età di Riza, ed evito di guardarla in volto per non rilevare altre somiglianze.

«Riferisci tutto al Quartier Generale e cerca di far pressione perché la cosa arrivi ai piani alti,» ordino, poco convinto. «Vai, veloce,» la sprono seccamente.

Lei si mette sull'attenti e schizza via, sparendo subito nei vicoli limitrofi. I suoi passi echeggiano ancora per qualche secondo prima di svanire del tutto, inghiottiti dal buio delle palazzine esplose.


 
 

Note Dell'Autrice:

Cari Lettori,
con questo capitolo, entriamo direttamente nel vivo della guerra di Ishval, con un primo approccio che spero sia stato d'impatto. Tutti i nomi di luoghi, gruppi e persone menzionati troveranno riscontro e spiegazioni successivamente. Ribadisco che, per molti versi, questa storia può essere considerata un'originale, escludendo il contesto bellico specifico e il PoV Roy, che rimarrà comunque IC (o almeno proverò a mantenerlo tale); il tutto si basa comunque sul canon, quindi la maggior parte dei dettagli è coerente con esso. La differenza più sostanziale è che in questa storia Roy conosce la propria truppa; in questo capitolo oltre a Charlie compare Richard, uno dei pochi soldati citati esplicitamente nel volume 15 del manga.

La lunghezza dei capitoli sarà variabile, questo è uno dei più brevi; in apertura a ogni parte vi sarà una citazione che fa da filo conduttore, tratta da poesie rappresentative (la maggior parte di Ungaretti e Quasimodo, per motivi credo intuibili).
Ora la smetto di blaterare :) Grazie a chi ha letto, e se volete fatemi sapere che ne pensate!

-Light-

P.S. Piccolo avvertimento: non lesinerò su descrizioni anche molto crude quando necessario: non amo soffermarmi inutilmente su dettagli violenti, ma Roy è una persona estremamente analitica, e credo che questa scelta sia in linea col suo carattere, a maggior ragione se la storia è in prima persona. Nei prossimi capitoli fatemi sapere se, secondo voi, dovrei cambiare il rating da arancione a rosso.



 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: _Lightning_