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Autore: fedegelmi    25/07/2019    1 recensioni
Questa storia partecipa alla “Soulmate Challenge” indetta sul gruppo facebook “Il Giardino di Efp”
Ogni ferita inferta a uno compare anche sulla pelle dell'altro.
"Insomma, chi diavolo è che in otto mesi si ritrova per quindici volte con delle ferite di questo genere?"
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Cosa? Un coltello? Perché? Cosa vuoi fare?» chiede il mio agente allarmandosi.
«Vuole fare la prova del nove» gli risponde Davide guardandomi dritto negli occhi. «Magari per essere sicura di non essere impazzita» sorride.
«Mi sembra un po’ esagerato, no?»
Non nego e non confermo, mi ripeto e basta. «Fabio. Andresti a prendermi un coltello, per favore?»
In questo momento mi sento molto come uno di quegli psicopatici nei libri e nei film. Probabilmente ne ho letti e visti talmente tanti che ormai sono diventata come loro, sotto certi aspetti.
Fabio mi guarda ancora qualche secondo prima di alzarsi lentamente dal comodo divano.
Io tengo lo sguardo fisso su Davide, non so se per paura di distrarmi e rimanere scoperta e vulnerabile, o per il semplice fatto che mi sento attratta da questi occhi, da questo ragazzo.
Sento i passi del mio agente muoversi incerti verso la cucina, poi lo sento fermarsi e rovistare, probabilmente, in un cassetto colmo di posate. Il loro tintinnio mi innervosisce e mi ritrovo a pensare di non vedere l’ora che trovi un maledetto coltello.
Torna nel salotto con un coltello da portata e me lo porge.
«Fabio, accidenti!» esclamo infastidita dalla sua prudenza. «Se mi avessi portato una forbice con le punte rotonde sarebbe stato lo stesso. Puoi portarmi un coltello, per favore? Uno che tagli, possibilmente».
Sospira non muovendosi dalla sua posizione. «Non credo sia il caso di fare una cosa del genere».
Giro la testa verso di lui lentamente –ammetto di averlo fatto apposta per creare l’effetto psicopatico. «Bene. Me lo andrò a prendere da sola, allora» annuncio facendo per alzarmi.
Fabio mi mette una mano sulla spalla trattenendomi sul divano. «Ok, ho capito! Andrò a prenderti un coltello serio».
Lo guardo allontanarsi nuovamente verso la cucina e lo sento trafficare con il cassetto delle posate.
Quando torna, finalmente, ha in mano un coltello adatto.
«Ok, Davide. È il momento della verità, della prova del nove» dico solennemente, con la voce che mi trema appena.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare di dubbi, me lo diceva sempre mia mamma; e proprio ora comincio a pensare quanto sia assurda e complicata questa situazione. Voglio davvero farmi un taglio per scoprire che tutto questo è reale? Non ne sono più così sicura, mi fa paura il pensiero di scoprirlo. Quale conclusione potrei trarre dal fatto che sia vero? Che siamo legati? Per quale motivo? Il solo pensare di fare questo gesto, crea molte più domande di quante me ne fossi effettivamente mai poste.
Stringo in pugno il manico del coltello, le nocche bianche, il palmo sudato.
«Se vuoi posso farlo io» si propone Davide guardandomi.
«No» gli rispondo secca. Che io tema che possa farmi molto più male di quanto dovrebbe? Che io non mi fidi? No; non so come mai, ma l’istinto mi dice che potrei fidarmi. «Voglio farlo io» aggiungo, quindi, addolcendo il tono.
Sento lo sguardo di Fabio addosso, soffocante. Per la prima volta da quando lo conosco, vorrei che non fosse qui a guardarmi come se fossi una povera pazza: pronto a fermarmi se dovessi completamente impazzire e uccidermi con lo stesso coltello che stringo, pronta a farmi un piccolo taglio.
Ok, è il momento, penso.
Faccio un profondo respiro che rilascio lentamente, svuotandomi da tutti i dubbi e le ansie.
La mano mi trema, ma la indirizzo verso il mio braccio sinistro brandendo il coltello. Non mi sono mai fatta nemmeno un taglietto, prima, non so quanto io debba premere per far sì che la lama affondi senza procurarmi una ferita troppo profonda. Quanto è delicata la pelle di un essere umano? Quanto è penetrabile?
Appoggio il coltello sul braccio premendo leggermente: non percepisco nulla di più della sua presenza fredda.
Inclino la lama di poco e, continuando a premere, traccio una riga. L’effetto non è decisamente quello immaginato: alle estremità della linea la pelle si è solo sbucciata, ma al suo centro una goccia di sangue fuoriesce pigramente lasciandosi dietro una piccola scia vermiglia.
Alzo lo sguardo di scatto e lo volgo verso Davide. Mi mostra il suo braccio sinistro, identico al mio.
Trattengo il respiro mentre i battiti del mio cuore aumentano. Dio solo sa quante volte mi sia capitato solo oggi.
«E ora?» chiedo con un fil di voce.
«Ora capiamo il perché».
 
Quando mi sveglio il sole è già alto nel cielo e i rumori della città coprono qualsiasi altro suono. Forse per questo quando Fabio entra nella mia camera da letto sussulto.
Mi sfioro il braccio sinistro e sotto i polpastrelli sento il tessuto ruvido del cerotto con il quale ho medicato il piccolo taglio che mi sono fatta ieri sera. Il solo sentirlo sotto al mio tocco, mi fa rivivere tutti gli avvenimenti di poche ore fa.
Dopo la prova del nove, abbiamo deciso di dormirci su e di contattare qualcuno di competente per avere le risposte che ci spettano.
Mi sembra assurdo il fatto che come “competente” io intenda una specie di maga, quelle che credono di leggere il futuro, di prevederlo e tutte queste cose fuori dal mondo.
Ma a chi altro potremmo rivolgerci, d’altronde?
Quale professionista non ci prenderebbe per pazzi?
Non mi piace come idea, ma non abbiamo altra scelta.
Mi alzo a sedere stropicciando gli occhi assonnati.
«Ti ho portato qualcosa da mangiare» mi dice porgendomi un vassoio con un caffè e una brioche. Sa bene che non sono solita abbuffarmi appena sveglia.
«Grazie. Hai già sentito Davide per incontrarci?»
«Sì, ha chiamato lui un paio di ore fa e ci siamo accordati per incontrarci dopo pranzo, verso le due».
«È già mezzogiorno» commento guardando la sveglia digitale sul comodino.
«E io ho ordinato qualcosa da mangiare al volo tra un’ora. Ti consiglio di andare a farti un bagno e di rilassarti un po’. Sarà un pomeriggio impegnativo».
Esce lasciandomi sola nell’intimità della mia camera, che un tempo condividevamo.
Cerco di riordinare i pensieri mentre faccio colazione e con la testa sovrappensiero riempio la vasca, dove mi faccio un bagno rilassante buttando nell’acqua degli oli apposta. Sono ancora con la mente altrove quando Fabio bussa alla porta.
«Ehi, ci sei? È arrivato il cibo» mi comunica.
«Sì, mi asciugo e arrivo».
 
Fuori fa caldo nonostante siamo in pieno autunno: indosso solo una giacca di pelle sopra il vestito, e il foulard intorno alla parte bassa del mio viso serve solo per nascondere la mia identità insieme agli occhiali da sole.
Davide si trova già davanti ad un piccolo negozio in una zona poco affidabile della città, appoggiato al muro dietro di lui con le stampelle al suo fianco.
«Siete arrivati».
Ancora una volta, incrociando il suo sguardo, un brivido mi percorre la schiena.
Lo saluto con un cenno del capo, dirigendomi subito verso l’entrata del negozio.
Fabio mi apre la porta per facilitarmi il passaggio con le stampelle e finalmente sono dentro.
Il luogo è angusto e sento subito l’odore di polvere e muffa che mi infastidisce aggressivamente le narici facendomi starnutire.
Maledizione.
«Cari ragazzi!» esclama una donna sulla quarantina a braccia spalancate. «Venite, vi stavo aspettando».
Ecco la solita frase da veggente. Scontata, penso.
Ci sediamo su un piccolo divanetto da due posti, mentre Fabio rimane dietro di me.
«Mi faccia immaginare» comincio acida, nemmeno sapendo il perché di tanta diffidenza. «Lei sa già perché siamo qui e bla, bla, bla, insomma, quindi abbiamo già finito, giusto?»
«Percepisco molta tensione, questo è vero. Problemi di coppia?»
«Di coppia? No, certo che no! Ci siamo incontrati per la prima volta ieri!» esclamo sbuffando.
Il suo sguardo cade sulle stampelle che entrambi abbiamo, poi sulle gambe fasciate e infine sui nostri volti.
«Ora capisco» mormora facendo un sorriso complice.
«Cosa capisce? Sa il perché entrambi subiamo le stesse ferite se uno dei due si taglia o si rompe una gamba? Sa perché sembriamo in qualche assurdo modo collegati da sempre nonostante ci conosciamo da sì e no 17 ore?»
«Mia cara, carissima ragazza. Un motivo c’è. Voi siete anime gemelle».
   
 
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