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Autore: Sabriel Schermann    29/07/2019    0 recensioni
Era l’alba quando Dante mise piede per la prima volta a Sparta.
Una ragazzina dal volto giovane e fresco lo osservava con gli occhi spalancati, brillanti alla luce notturna.
Per un istante gli balenò nella mente il pensiero, come un ricordo sfocato, che la avesse già vista da qualche parte prima d’allora.
«Bimbetta mia…»
[Fanfiction classificata al quinto posto al contest "A zonzo nel tempo!" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dante Vale, Zhalia Moon
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Appena vide l’acqua, luccicante alla prima luce dell’alba, Dante si precipitò ai bordi del fiume, trangugiandone più che poté, sentendosi improvvisamente rinvigorito, come rinato.
La giovane si sedette sulla riva, immergendo i piedi in acqua. Lo osservò togliersi delicatamente la corazza che gli proteggeva il petto, scoprendo un ventre possente quanto le spalle massicce. Si slacciò i saldali e si tolse la cintura, restando completamente denudato. Lo vide immergere le caviglie nell’acqua fresca, poi i polpacci, le natiche e infine la schiena bianca.
Esaminò il suo modo di scrollarsi l’acqua di dosso, di immergere completamente la testa e lasciare che tante piccole gocce gli scivolassero tra le ciglia, sulle guance, raggiungendo le labbra piene.
Anche se non lo avrebbe mai ammesso, avrebbe voluto succhiare quelle labbra fino a farle bruciare e accarezzare quei capelli rosso fuoco, tirarli, annusarli e stringerli fra le dita. Per la prima volta da quando erano giunti in quel posto, l’uomo si voltò a guardarla, avvicinandosi lentamente.
Quando fu abbastanza vicino, lei mosse i piedi nell’acqua, schizzandolo e ridendo quando l’uomo cercò di proteggersi inutilmente, rischiando di annegare. Quando si riprese, la ammonì: «Sei terribile, bimbetta».
In tutta risposta lei continuò veemente, costringendolo ad allontanarsi. Poi la ragazza si rabbuiò improvvisamente, sdraiandosi sul suolo, gli occhi rivolti al firmamento e i piedi ancora immersi nell’acqua. L’uomo, incurante della sua nudità, si distese accanto a lei.
Il sole cominciava a illuminare il cielo e un nuovo giorno stava per cominciare, ricordando loro quanto la vita fosse effimera e talvolta angosciosa.
«Immagino tu voglia tornare dalla tua famiglia» fu la ragazza a rompere il silenzio, ma solo per poco. L’uomo si mise a sedere, osservando l’acqua in cui era stato immerso fino a poco prima.
«Io so come fare» disse la giovane, tirandosi in piedi, guardandolo in volto. I loro sguardi si incrociarono ancora e l’uomo poté constatare quanto i suoi lineamenti fossero delicati, la pelle color caramello splendeva alla luce dell’alba e degli splendidi capelli scuri ne risaltavano la bellezza. «Ci vediamo qui domani al tramonto» decretò, prima di correre via sulla strada di casa.

 

˜

 

Quando Dante riaprì gli occhi si trovò di fronte una scena inverosimile: la schiava gli stava tamponando la guancia ferita con un panno, intingendolo in dell’acqua fresca.
I loro volti si trovavano così vicini che Dante poteva sentire il soffio sottile del suo respiro sulla pelle. Seppur con un occhio malandato, da quella distanza la donna era ancora più attraente. I capelli lucenti le ricadevano sulle spalle, solleticando dolcemente il volto dell’uomo. Dante allungò una mano e li carezzò, stringendoli a sé, assaporandone la morbidezza.
«E tu avresti combattuto la guerra?» lo provocò lei con un sorriso. La guancia gli bruciava, ma non si lamentò. Quella era la prima vera volta che la ragazza gli rivolgeva la parola. La sua voce era melodica e calma, come una strana sinfonia nascosta nella memoria.
«Vieni da Sparta, vero?» chiese l’uomo sollevandosi su un gomito. Lei si voltò, intingendo nuovamente il panno nell’acqua. «Sei molto brava» asserì, tastandosi l’addome reduce dal pugno ricevuto qualche ora prima.
Lei abbassò lo sguardo. «Perdonami» sussurrò, «io pensavo che…».
Dante la interruppe, prendendole il viso tra le mani. La vide arrossire violentemente, la sua pelle scottava sotto i suoi palmi e gli occhi brillavano di una luce nuova e sconosciuta. Le carezzò la testa e improvvisamente venne pervaso da un intenso istinto protettivo. Lei posò lo sguardo sul suo viso e Dante sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
«Bimbetta mia…» sussurrò sfiorandole le guance. Lei si strinse al petto dell’uomo, sentendo le sue mani scivolarle dolcemente sul volto, sui capelli, sul collo, lasciando che i loro corpi si abbandonassero a quel pugno di ricordi che erano riusciti a salvare dalla polvere della memoria.

 

˜

 

Camminarono per tutta la notte e per tutto il giorno successivi, permettendosi solamente qualche breve pausa durante il viaggio. Quando finalmente videro Corinto, il sole stava calando sul mare, pronto a inghiottirlo. Quando capirono di aver raggiunto la destinazione ambita, si presero per mano e corsero per tutta la città, fino al porto, dove quella notte una nave diretta a Corcira, più vicina ad Atene che a Sparta, avrebbe portato clandestinamente il soldato ateniese in salvo, lontano dai nemici.
«Perlomeno hai una possibilità di sopravvivere» mormorò la ragazza osservando il trireme in lontananza. «Se ti unirai a loro, nessuno ti caccerà», proseguì con fermezza, «non possono permettersi di rifiutare un paio di braccia in più» terminò.
Il sole tingeva l’acqua d’oro. Esausta, la giovane si accovacciò a terra. Avevano sete, erano affamati e avevano terminato tutte le provviste che era riuscita a portare con sé. L’uomo prese subito posto accanto a lei.
«Dimmi come posso ringraziarti» disse in tono serio, quasi come un’ammonizione. La ragazza alzò gli occhi verso il cielo, che appariva sempre più scuro all’orizzonte. L’ora della partenza si stava avvicinando.
«Noi dovremmo essere nemici» disse in un sussurro. Poi, come memore di qualcosa, si tirò in piedi con uno scatto. «Trova la salvezza, ateniese» si volse verso il guerriero un’ultima volta, ma lui la fermò: «Dimmi almeno il tuo nome».
«Gli dei hanno voluto che mi chiamassi Zhalia» rispose la donna, correndo via verso la città, con ben altri piani in mente che tornare verso la propria madrepatria. Ciò che l’uomo ignorava era che non avrebbe avuto affatto bisogno di evitare di svelare la propria identità. L’equipaggio del trireme sapeva bene di chi si trattasse, ma aveva preteso, in cambio della sua ospitalità sull’imbarcazione, la vendita di una schiava. Quella schiava era una ragazzina spartana di buona famiglia, con il desiderio di poter prendere posto, un giorno, tra le fila di atleti allo Stadio di Olimpia.

 

˜

 

393 a.C.

 

Dante riusciva a scorgere una decina di donne dalla postazione in cui si trovava, in cima alla collina. Poteva distinguere chiaramente i giudici, rigorosamente donne, sedute sull’esedra², attendendo l’inizio della gara.
La prima disciplina del pentathlon sarebbe stata la corsa, per questo motivo le atlete si erano radunate all’inizio della pista sterrata, pronte a partire. Tra di loro, la donna che lo aveva salvato, tempo prima, da una fine in tutta probabilità atroce, pronta ad esaudire il suo sogno indossando il chitone³ e gli splendidi capelli corvini raccolti in una fascia bianca.
Le donne si misero in posizione e Dante la vide fluttuare nell’aria, riportando alla memoria in un istante il momento in cui la vide correre per la prima volta, prima che si allontanassero per sempre da Sparta, insieme, quando gli chiese di combattere e lui rifiutò per risparmiare le energie, quando si incamminarono e lei gli raccontò di come fosse fuggita prima di incontrare il suo futuro sposo quella stessa mattina, e lui si abbandonò di rimando ai ricordi del mestiere del padre, che, fiero del proprio figlio, batteva lo scalpello sul legno ricavandone dei veri capolavori.
Accoccolato sull’erba verde e fresca, pensò che nonostante la sua famiglia fosse morta a causa della peste durante la guerra, l’aveva in parte ritrovata in quella donna spartana, su quell’isola che aveva imparato ad apprezzare fin da quando ci mise piede la prima volta.
La storia dei due amanti sopravvisse nei secoli, divenendo così popolare da modificare per sempre il destino dell’isola in cui essi videro sbocciare il proprio amore, Zacinto, successivamente ribattezzata Zante, dall’unione dei nomi dei due sposi che tuttora riposano, stretti l’uno all’altro, nel suo ventre più profondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

² Esedra: piattaforma di pietra sulla quale sedevano i giudici durante i Giochi Olimpici nell’Antica Grecia.

³ Chitone: tunica di stoffa leggera senza maniche comunemente utilizzata nell’Antica Grecia.


   
 
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