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Autore: koan_abyss    29/07/2019    2 recensioni
Tom Ludlow, investigatore privato, tende a gettarsi nei suoi casi con tutto se stesso, e quando Maria Butler lo assume per ritrovare il padre scomparso, si sente immediatamente legato alla vicenda. Ma sembra che ci siano anche altri interessi in gioco e Tom si ritrova presto avvolto in più trame e strattonato in più direzioni.
Genere: Angst, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI Capitolo


Una volta nel suo quartiere Tom lasciò come al solito la macchina nel parcheggio del ristorante di Tony. Passò un attimo dal suo palazzo, per vedere se il portiere avesse dei messaggi per lui e poi uscì per il pranzo. James non si era ravveduto, non si era pentito del suo comportamento e non gli aveva lasciato un messaggio di scuse. Cocciuto bastardo.
Passeggiò fino alla tavola calda. Comprò il giornale a un’edicola e diede un’occhiata all’articolo sul ritrovamento del corpo di Andrew Butler, scomparso dal mercoledì precedente. Il giornale non indicava elementi degni di nota.
Tom finì di leggerlo dopo essersi accomodato a un tavolo, prima di ordinare. Mabel, una delle cameriere, gli riempì una tazza di caffè e prese la sua ordinazione. Posato il giornale, Tom chiacchierò un po’ con alcuni vicini.
La tavola calda era un punto di ritrovo al pari della Pantera Blu, per gli abitanti del quartiere. C’era anche qualcuno che era stato cliente suo o di Butch, negli anni passati.
In pratica, la tavola calda era identificabile con un rifugio, per Tom, allo stesso modo del cinema, o del ristorante di Tony. L’intero quartiere era una casa per lui.
Fu quindi uno shock non da poco quando la sedia di fronte alla sua venne scostata di malo modo e il tenente Abel Kuntz si sedette di fronte a lui.
“Ho tenuto d’occhio il palazzo dove c’è il tuo ufficio, ma non ho lasciato messaggi. Spero che la cosa non ti crei problemi, Ludlow.”
“Kuntz?!”
“Pensavi che avrei sopportato una tua intromissione sulla mia scena del crimine senza dire neanche una parola?”
“Direi che ieri sera di parole ne hai spese parecchie,” fece Tom, appoggiando la schiena allo schienale della sedia, mettendo inconsciamente più distanza possibile tra sé e il suo avversario. “E comunque, non avevo idea che fosse la tua scena del crimine finché non ti sei girato e hai cominciato a fare il pazzo. Come funziona? Le scene con cadaveri occultati sono tue di diritto? Come le balene appartengono al re perché la regina abbia sempre stecche di balena di scorta per i corsetti?”
Kuntz si piegò sul tavolo, annullando lo spazio che Tom si era ritagliato.
“Sempre spiritosi, voi finocchi. Voglio sapere cosa diavolo sai di questa storia, e voglio saperlo prima di decidermi a sbatterti nella prigione della contea con gli stupratori e i violenti. Pensi che ti troveresti a tuo agio?” gli ringhiò in faccia.
Tom gli sorrise: “Ma ce l’ho già il mio uomo violento di fiducia, Abel. Non ti cambierei con nessuno al mondo.”
Kuntz fece scattare la mano e lo afferrò per il bavero della giacca, trascinandolo in piedi.
Mabel, la cameriera, lanciò un grido. Diversi avventori si alzarono in piedi, compreso un gruppo di quattro uomini seduti alle spalle di Tom.
“Tom, va tutto bene?” chiese uno di loro, Jeffrey Meier.
Aveva una ditta di costruzioni e si era rivolto a Tom dopo aver subito una serie di furti di attrezzatura nei suoi cantieri. Tom lo aveva aiutato a individuare i responsabili, due operai licenziati tempo prima, e a recuperare parte della merce trafugata. Si trovava alla tavola calda per pranzare con i suoi capicantiere.
Kuntz distolse lo sguardo dal viso di Tom e lo fece scorrere su tutti gli avventori del locale.
“Sei a casa mia, ora. E sbaglio, o sarebbe la seconda volta che perdi il controllo in un luogo pubblico?” gli sussurrò Tom.
Kuntz lo spinse indietro e tirò fuori il distintivo.
Lo sventolò alla folla, gridando: “Polizia! Si può sapere che cosa avete da guardare? Tornate al vostro pranzo! Non sta succedendo niente di niente!”
“Va tutto bene, Jeffrey, ti ringrazio,” disse Tom, sistemandosi la giacca.
L’uomo annuì e si sedette lentamente, imitato dai suoi dipendenti.
Quando Tom si fu seduto, Mabel, dopo un’occhiata insieme terrorizzata e furiosa a Kuntz, si slanciò verso il detective privato: “Signor Ludlow! Si sente bene?”
“Sì, certo, Mabel, non ti preoccupare. Come procede la mia ordinazione?”
“Arriva, signore!” rispose lei e scomparve in cucina.
Tom rialzò lo sguardo su Kuntz, ancora in piedi di fronte al tavolo, che fissava torvo ora Tom, ora gli altri avventori. Tom gli fece cenno di accomodarsi con la mano. Lentamente, senza smettere di cercare di fermagli il cuore con lo sguardo, Kuntz si sedette di nuovo.
“E così, da queste parti sei un grand’uomo, eh?” fece, sistemandosi la sedia.
Tom fece una smorfia esasperata: “Sei venuto perché volevi qualcosa, Kuntz? O sei davvero qui solo per litigare, ficcarti in qualche scandalo, e giocarti la nomina a capitano?”
Kuntz parve calmarsi: “Sarò presto al centro di uno scandalo. E proprio a causa di questo stramaledetto caso.”
Tom lo fissò con sguardo attento: “Di che si tratta?”
“Hai detto, ieri sera, che Andrew Butler aveva dei legami con il crimine organizzato. Da dove veniva questa informazione?” chiese Kuntz, invece di rispondergli.
“Ho le mie fonti. Una molto affidabile, corroborata da una non proprio raccomandabile. Hai fatto fare dei controlli più approfonditi?”
Kuntz si accese un sigaro: “Sì, li ho fatti fare alla mia squadra. Salta fuori che Andrew Butler era legato a Herbert Star, che a sua volta lavorava per Marcus Collins. Un pezzo grosso, che gestisce un sacco di traffici. Ha una rete di scagnozzi che ultimamente si sono dati alle rapine a mano armata. A volte arrestiamo qualcuno, ma sono sempre pesci piccoli e non riusciamo mai a collegarli a Collins e ai suoi luogotenenti.”
“E cosa hai fatto di queste informazioni?” gli chiese Tom.
Mabel gli servì in quel momento l’arrosto con verdure che aveva ordinato e Kuntz fece una pausa.
Il tenente riprese quando la ragazza si fu allontanata: “Alcuni di questi soggetti ci sono noti. Quando ho saputo che Butler aveva dei collegamenti con questa organizzazione, ho mandato i miei a fare qualche domanda e a invitare qualcuno da noi per la colazione. Ma non abbiamo trovato nessuno da pizzicare. Nessuno. Ci siamo mossi in fretta, ho mobilitato tutta la squadra, ma niente. Come se fossero stati avvertiti.”
“Chi può essere stato?”
“Solo uno dei miei. Nessun altro alla stazione era coinvolto o era stato messo al corrente di quello che avevo chiesto. L’unica spiegazione è che uno dei miei uomini ˗i miei uomini, capisci? ˗ abbia avvertito quella feccia di non farsi trovare.”
“Non puoi esserne certo…” obbiettò Tom, aggrottando le sopracciglia.
“Vuoi dire che non lo posso dimostrare. Ne sono certo eccome. Ci sono anche altri indizi, altre questioni, che mi hanno portato a questa conclusione. Per il momento, e sottolineo per il momento, non ci posso fare niente. Ma come posso indagare sul caso Butler se non so di chi posso fidarmi?”
“E sei venuto da me?” gli chiese Tom incredulo. “Aspetta, aspetta: tu sei venuto da me, a casa mia, per chiedermi aiuto, e mi hai preso per il collo?!”
Era un comportamento da pazzi, decisamente.
Kuntz sbuffò: “Quante storie. Avrai visto di peggio.”
“Spesso per merito tuo. Sei venuto per chiedermi aiuto?”
“Vuoi sentirmelo dire per soddisfazione personale?” ringhiò Kuntz.
“No. Intendo dire: perché proprio da me? Non ci sono altri colleghi di cui ti fidi?”
“Sono venuto da te perché stamattina ho letto il rapporto del dottor Thompson. L’arma del delitto è una colt M1911, il proiettile un calibro 45. L’arma in dotazione all’esercito.”
Tom finse di non aver già parlato dell’argomento con il medico legale solo un’ora prima.
“Un calibro militare, come avevo detto. Credi anche al resto?”
“Non ci credevo affatto. Un assalto a un convoglio! Sembra uno di quegli stupidi film, tipo Giungla d’asfalto. Ma dopo aver letto il rapporto del medico legale mi è venuto qualche dubbio. Ho chiamato un amico che lavora nell’ufficio dello sceriffo, giù nella contea di Encino. A quanto pare, la sera del 31 i militari si sono fatti portare via da sotto il naso un carico di armi e munizioni. L’ufficio dello sceriffo ha condotto le indagini nel più stretto riserbo, ma non hanno concluso nulla, né trovato uno straccio di pista da seguire. Ovviamente, l’opinione pubblica è stata tenuta all’oscuro di tutto. Purtroppo lo eravamo anche noi, che potremmo ritrovarci quelle armi nel giardino di casa.”
‘La sera del 31! Finalmente conosco la data di quel maledetto assalto!’ esultò tra sé e sé Tom.
Per l’eccitazione si sporse in avanti sul tavolo: “La notte del 31, Andy Butler era fuori città con il suo camion per fare una consegna non lontana dal confine della contea. Risulta dal suo ruolino delle consegne. Ecco tutti i collegamenti: il luogo, la data, l’arma del delitto. Andy Butler era l’autista che ha guidato il mezzo militare trafugato!”
“Poi le armi sono state trasferite sul suo mezzo e lui le ha portate in città. Ma dove sono ora? Abbiamo perquisito tutti i ritrovi noti di Collins e dei suoi e non abbiamo certo trovato armi militari. Non abbiamo trovato proprio nulla.”
“Se qualcuno li ha avvertiti, non hanno certo lasciato le armi perché voi le trovaste. Inoltre, se hanno una talpa nella tua squadra, già sapevano quali delle loro proprietà vi erano note. Non le avrebbero mai usate come magazzino,” fece notare Tom.
“Quindi devono essere nascoste da un’altra parte.” L’espressione di Kuntz si fece decisa: “Veniamo al punto, Ludlow! So che stai lavorando per quelli di Encino. Come avresti potuto sapere che cos’era successo, altrimenti? Quello che ti propongo è una collaborazione: trova dove sono nascoste le armi e io li arresto tutti. La base mantiene un ruolo defilato, possiamo fare passare tutto come una strategia per smantellare un’organizzazione criminale, invece che il maldestro tentativo di ritrovare quello che si sono fatti portare via come dei perfetti imbecilli. Tu vieni pagato, quelle armi non uccidono nessuno e…”
“E tu ti prendi il merito. Nessuno potrebbe toglierti la promozione a capitano,” concluse Tom.
Kuntz annuì: “Una volta ripulita la mia squadra, sì. E dividerei la gloria con l’investigatore che ha partecipato alle indagini.”
“Divideresti la gloria con me? Vieni a chiedermi aiuto, mi offri metà del profitto. Sei proprio tu, Abel?”
“Ti diverti tanto a farmi saltare i nervi, eh? Ti lamenti tanto quando ti metto le mani addosso, ma non pensi mai che te le cerchi?”
Tom reclinò la testa da un lato: “Potrebbero avermi già fatto qualche critica del genere, in effetti.”
“Allora? Quelli di Encino accetteranno?”
Che Kuntz credesse che Tom lavorasse per i militari era un comodo equivoco. Un discreto colpo di fortuna, davvero. Gli avrebbe permesso di tenere James fuori dalla faccenda.
“In realtà, non sono tenuto a dirti per chi lavoro,” disse a Kuntz, prendendo un sorso di caffè. “Ma ti serve tanto saperlo? Se accettano, sta pur certo che lo saprai. Altrimenti, che facciano pure la figura dei cretini. A me non importa più di tanto: sono più preoccupato di quello che gente come Collins potrebbe fare con quelle armi. Tu no?”
Kuntz rabbrividì: “Sì, anch’io. Non riesco a pensare ad altro che a fucili puntati contro i poliziotti, in strada. Se Collins stesse armando i suoi, il suo primo obbiettivo sarebbero quelli che gli hanno dato più fastidio: un sacco di bravi poliziotti. Potrebbe scatenarsi una guerriglia urbana. Sarebbe una catastrofe.”
Tom annuì: “Quindi siamo d’accordo. Bisogna trovare dove sono nascoste quelle armi. Suggerimenti?”
Kuntz si strinse nelle spalle: “Abbiamo già controllato i magazzini noti, di proprietà di Collins o dei suoi prestanome. Deve trattarsi di un luogo ampio, cui possa avere accesso un camion, come quello di Andrew Butler.”
Tom tamburellò le dita sul ripiano del tavolo in formica: “Ci penserò. E se trovo il posto?”
“Chiama. Arriverò con i rinforzi. Farò il possibile per individuare le mele marce dal mio gruppo da subito. Alla peggio, mi circonderò di agenti semplici. Sono troppo in basso perché qualcuno si prenda la briga di corromperli.” Kuntz si alzò: “Aspetterò notizie, Ludlow.”
Uscì senza aggiungere nulla. E senza neanche offrirgli il pranzo.
Tom osservò Kuntz uscire dalla tavola calda, incredulo della piega che avevano preso gli eventi.
 Il tenente Kuntz che si rivolgeva proprio a lui. E lui che accettava, e di buona grazia, per giunta. Indubbiamente, James sarebbe stato fiero di lui: pareva che la guerra tra Tom e Kuntz fossi finita. O quantomeno che si fosse stabilita una tregua duratura. Ecco un altro filo che si avvolgeva intono a Tom: stavolta il suo colore era il blu profondo delle uniformi della polizia, che lui non aveva mai indossato ufficialmente. Tom rifletté che ormai non avrebbe potuto svincolarsi e dimenticare la faccenda neanche se lo avesse voluto: dubitava che Kuntz glielo avrebbe permesso.

Tornò in ufficio.
Scoprì che Kuntz era passato di lì: di nuovo non aveva lasciato messaggi, ma ad attenderlo c’era un plico di fogli con il timbro della polizia statale infilati in una busta marrone. Salì fino all’attico per studiarli.
Si trattava dei rapporti delle attività della scorsa notte, con gli indirizzi dei nascondigli noti di Collins e dei suoi e il resoconto dei sopralluoghi compiuti da Kuntz e dagli uomini della sua squadra.
Tom non credeva che gli sarebbero stati tanto utili, ma almeno sapeva che cosa escludere dalla sua ricerca.
O forse potevano servirgli a qualcosa, si disse, colpito da un’ispirazione improvvisa. Agguantò le fotografie fatte nell’appartamento di Andy Butler e il suo ruolino delle consegne e passò diversi minuti a cercare, imprecando copiosamente, uno stradario della città di Los Angeles.
Quando finalmente lo trovò, si mise a confrontare tutti i documenti in suo possesso. Confrontando il ruolino di Andy e gli appunti trovati nel suo appartamento, aveva notato che le consegne in cui Andy aveva accumulato dei ritardi corrispondevano a quelle che l’uomo aveva evidenziato. Tom aveva supposto che lo avesse fatto perché erano quelle più vicine al luogo dove aveva consegnato la merce di contrabbando. Chissà se…
‘Cavolo, sì!’ esultò Tom.
Alcuni degli indirizzi visitati dalla squadra di Kuntz non erano molto distanti dal luogo delle consegne ‘speciali’ di Andy. In quei posti la polizia non aveva trovato nulla, ma non era improbabile che ce ne fossero altri che non erano noti agli investigatori, magari proprio nei dintorni delle consegne speciali di Andy.
Tom si preparò un elenco delle consegne da controllare, si armò di stradario per controllare gli indirizzi e si piazzò al telefono.
Telefono a un’agenzia immobiliare, il cui titolare era stato suo cliente in un caso di speculazione immobiliare. Chiese di Clive Crawford e attese che l’uomo venisse al telefono, arrotolandosi nervosamente il cavo del telefono introno alle dita.
Finalmente Crawford rispose. Per fortuna si ricordava di Tom.
Si trattava di un uomo sulla cinquantina, calvo e gioviale, il prototipo del perfetto agente immobiliare: ottimista, con la risposta pronta, capace di vendere un a villa da trecento metri quadri a una famiglia di tre persone. Era rimasto favorevolmente impressionato dal lavoro del detective Ludlow (e ci mancherebbe: Tom si era addirittura fatto sparare, per quel caso) e si dichiarò disposto ad aiutarlo fin dal primo momento.
Tom gli spiegò di cosa aveva bisogno: Crawford gli avrebbe reso un grande servizio se avesse potuto controllare se, nei dintorni degli indirizzi che Tom gli avrebbe fornito, c’erano dei depositi, dei magazzini o comunque delle proprietà di grandi dimensioni, e se gli avesse potuto fornire il nome dei proprietari di tali edifici.  
“Mi andrebbero bene anche fabbriche in disuso, o imprese fallite da qualche tempo. Più difficile che si tratti di locali commerciali aperti al pubblico, come falegnamerie o imprese edili, ma non si mai,” concluse.
Sperava di trovare qualche indirizzo promettente, adatto a nascondere un carico di armi. Dato che le consegne di Andy si concentravano nella zona ovest della città, anche le ricerche di Crawford avrebbero dovuto rivolgersi prima di tutto ai fabbricati sorti da quelle parti.
Andy aveva effettivamente consegnato parte delle armi nei luoghi che Kuntz aveva fatto controllare, ma aveva effettuato diverse consegne tutte nelle stesse zone: aveva avuto quindi la possibilità di spostare la merce, forse su consiglio della talpa nella squadra di Kuntz. O forse i gangster avevano finito per concentrare tutto il carico nello stesso luogo, se prima o dopo la morte di Andy Butler Tom non avrebbe saputo dirlo con certezza. Valeva la pena controllare.
Crawford promise che gli avrebbe fatto sapere tutto al più presto.
Tom lo pregò di farlo entro sera.
“Non c’è problema, signor Ludlow. Siamo molto orgogliosi della nostra efficienza,” lo rassicurò Crawford.
Tom lo ringraziò sentitamente, e attaccò il telefono. Ora non gli restava che aspettare. Sarebbe stato difficile, rimanere ad aspettare lo squillo del telefono. Aggiornò il dossier del caso Butler, includendo gli ultimi avvenimenti, compreso l’incontro con il tenente Kuntz, ma tacendo di quello con il dottor Thompson. Quello sarebbe stato incluso solo nella versione non ufficiale che Tom non avrebbe mostrato a nessuno.
I documenti ufficiali potevano servire a Kuntz, o agli uomini di Encino, una volta che tutto si fosse concluso.
‘O alla commissione, per dare una mano a James.’

A distrarre Tom dalla routine in cui era sprofondato dopo un’ora di attesa ˗guardare il telefono, sistemare un po’ di fogli, sistemarsi sulla sedia, guardare il telefono e così via˗ arrivò una cliente.
Era una donna sulla sessantina, con l’aria particolarmente seccata.
Tom la fece accomodare davanti a sé.
La donna lo ringraziò concisamente e chiarì che cosa l’aveva portata sotto gli occhi di Tom, distogliendolo dal riordino dei documenti del suo archivio (ma non dalla sorveglianza del telefono).
“Mio marito è morto,” annunciò la donna, con voce stentorea e tono piccato, come se la cosa, più che dolore, le procurasse tanti fastidi da non poterne più.
Tom le fece le sue condoglianze, in tono abbastanza neutro, perché gli sembrava evidente che la signora Wallowitz, questo era il suo nome, non era una vedova affranta in cerca di consolazione.
Tom, sebbene molto tentato di rifiutare l’incarico, promise alla fine che il lunedì successivo avrebbe cominciato a cercare il testamento di Arthur Wallowitz.
Accompagnò la signora Wallowitz, molto soddisfatta, ora, fino alla porta di ingresso e poi si precipitò di nuovo in ufficio, accanto al telefono.
E la stessa cosa fece dopo essere andato in bagno. Ma ancora il malefico aggeggio si ostinava a non strillare.
Tom si versò da bere e marciò per la stanza, per sgranchirsi le gambe. Ormai erano quasi le cinque e decise di ordinare la cena da asporto dal ristorante di Tony.
Gliela consegnò il ragazzino che si occupava della manutenzione della sua macchina.
Tom lo avrebbe immaginato riluttante di vederlo, dato che l’ultima volta gli aveva gridato dietro con l’intento di spaventarlo, ma quello sembrava piuttosto allegro e curioso.
“Non avevo mai visto il suo ufficio, signor Ludlow!” esclamò, facendo qualche passo nell’ingresso mentre Tom prendeva il portafoglio. “Deve incontrare un sacco di persone interessanti,” continuò, allungando il collo per curiosare in giro. “Per quanto riguarda la macchina, signore, io…” cominciò, quando Tom riapparve e gli cacciò i soldi in mano.
Poi prese in una mano la borsa che conteneva la sua cena, con l’altra agguantò la spalla del ragazzo e lo buttò fuori, quasi di peso.
“Tieni il resto!” gli gridò, chiudendo la porta.
Non gli piacevano i bambini, soprattutto quelli invadenti. E in ogni caso non era consigliabile che quel ragazzino ˗Manuel, gli pareva che si chiamasse˗ si comportasse con tanta confidenza. Le malelingue erano sempre pronte a scatenarsi e in quel caso il pettegolezzo sarebbe stato davvero odioso.
Aveva appena finito di cenare quando finalmente il telefono squillò.
Tom quasi si strozzò con il sorso di caffè che stava bevendo. Riuscì a rispondere tra un colpo d tosse e l’altro.
“P-Pronto?”
“Signor Ludlow? Si sente bene? Sono Clive Crawford, dell’agenzia…”
“Sì, sì, signor Crawford, va tutto bene. Aspettavo la sua chiamata. Cos’ha per me?” gli chiese, al culmine dell’impazienza.
“Beh, ho parecchie cosa per lei, signor Ludlow. Sette indirizzi compatibili con quello che mi aveva chiesto solo nella zona ovest, e una quindicina in tutto.”
Tom si sentì sprofondare: quindici indirizzi da controllare? Non ce l’avrebbe mai potuta fare entro il giorno successivo.
Nessuno gli aveva chiesto di farlo, ma nella sua mente l’incontro di James con la commissione d’inchiesta aveva assunto l’aspetto di un capolinea, di una linea rossa che segnava l’ultimo momento in cui era sicuro saltare dal treno.
Non che la cosa avesse un senso: in fin dei conti, l’autista del camion e Andy Butler non erano stati al sicuro neanche prima.
Ma Tom, inconsciamente forse (o forse solo non voleva ammetterlo ad alta voce), si sentiva come se lavorasse per James. Non più per Maria e non per Kuntz: la risoluzione del caso dal suo punto di vista era la salvezza dell’amico.
Non era il caso di abbattersi.
Quindici indirizzi erano molti, ma avrebbe cominciato da quelli nella zona ovest, i più promettenti. Tra quei sette ce ne sarebbe stato sicuramente qualcuno che il suo istinto gli avrebbe indicato come inutile e Tom si sarebbe affidato ad intuito ed esperienza.
Comunicò a Crawford che era pronto per prendere appunti e si segnò tutti gli indirizzi, con la descrizione che l’agente immobiliare gli fornì di ogni fabbricato, magazzino o rimessa di dimensioni sufficienti per ospitare dei mezzi pesanti.
Dopo che ebbe trascritto anche l’ultimo indirizzo, ringraziò Crawford per la collaborazione e gli promise che non appena ne avesse avuto il tempo lo avrebbe invitato a cena per sdebitarsi. Poi, con il fedele stradario alla mano si segnò con precisione tutti i luoghi cui aveva intenzione di rendere visita quella notte.
Come aveva previsto, il suo intuito si fece sentire immediatamente.
Alcuni dei posti indicati da Crawford erano affacciati sulle strade principali e Tom li escluse senza esitazione: non era pensabile che le armi fossero state scaricate in un magazzino che era visibile dalla strada. Anche a notte fonda, il rischio che qualcuno di passaggio notasse che il carico recava i timbri dell’esercito era troppo grande. Inoltre, scaricare delle munizioni richiedeva una certa prudenza. Era un lavoro da fare con la massima tranquillità.
Tra gli indirizzi rimasti, uno era stato controllato dagli uomini di Kuntz, e un altro era decisamente troppo vicino a quello noto alla polizia. Se Tom fosse stato un gangster, avrebbe evitato di possedere due edifici troppo vicini in cui stoccare la merce di contrabbando.
Gli ultimi due indirizzi sembravano perfetti per operazioni illegali e rischiose come il traffico d’armi: si trattava di una vecchia fabbrica in disuso, fallita circa cinque anni prima, che era stata acquistata da un certo Helmut Weimar da meno di dodici mesi; l’altro edificio era invece un magazzino di stoccaggio di vecchi container: il nome del proprietario anche in questo caso non diceva nulla a Tom.
Forse Kuntz ci avrebbe capito qualcosa, ma non era il momento di starci a riflettere più di tanto, era il momento di muoversi e dare una controllata.

Tom si preparò, prendendo la pistola e infilando nella tasca interna del soprabito lo stradario, anche se aveva ormai memorizzato l’ubicazione dei luoghi da controllare. Esitò un attimo, prima di uscire. Se avesse auto un collega gli avrebbe comunicato dove stava andando, affidandogli il compito di avvertire Kuntz se non fosse tornato entro l’alba. Ma lavorava da solo. E in quel momento la cosa gli pesava.
Dato che Kuntz sospettava una talpa nella squadra, Tom non poteva semplicemente chiamare la stazione di polizia e lasciargli un messaggio. Rimase un istante a pensare, poi prese il telefono e chiamò l’albergo di James, solo per sentirsi rispondere per l’ennesima volta in pochi giorni che il Maggiore Biggs era uscito. Riattaccò.
Uscì dal palazzo, salutando distrattamente un paio di vicini e si diresse da Tony.
“Mi serve la macchina, Tony, per favore. Un po’ in fretta,” gli disse serio.
Tony dovette capire che non era una serata in cui ci si potesse permettere di perdere tempo scherzando o ricordando il passato. Spedì immediatamente Manuel a prendere la vecchia Olds.
Il ragazzino parcheggiò la macchina sul marciapiede di fronte al ristorante a tempo di record, ma quando scese finse di non vedere neppure Tom. Probabilmente era offeso per il trattamento ricevuto solo poco prima.
Tom si complimentò con se stesso per l’ottimo risultato raggiunto e salì in macchina. Troppo tardi si ricordò che avrebbe potuto almeno telefonare a Winnie.
‘Oh, beh, se non mi vedranno tornare se ne faranno tutti una ragione,’ si disse, con in piccolo ghigno.

Scelse di controllare per prima la fabbrica acquistata l’anno prima dal signor Weimar. Aveva pensato che un colpo come quello realizzato da Marcus Collins e dai suoi uomini aveva sicuramene richiesto molta preparazione e lungimiranza: forse quei gangster, cui certo non mancava il senso degli affari, erano arrivati al punto di procurarsi apposta un nuovo magazzino in vista della necessità di nascondere le armi.
Secondo questa ipotesi, Helmut Weimar sarebbe stato un prestanome.
Lasciò la macchina sufficientemente lontana da non dare nell’occhio, nei dintorni di un negozio aperto ventiquattr’ore su ventiquattro dove avrebbe potuto trovare un telefono se ne avesse avuto bisogno.
Si incamminò a piedi verso la fabbrica, cercando di stare lontano dalla zona di carico e scarico merci, che avrebbe potuto essere affollata.
Fece il giro completo del perimetro del fabbricato, ma non vide nessun movimento, né luci. A quanto pareva, fuori non c’era nessuno di guardia.
Dato che l’interno era buio (non che l’esterno fosse illuminato in maniera soddisfacente), decise di arrischiarsi a sbirciare da una finestra. Le vetrate erano alte e dovette arrampicarsi su una pila di casse.
Uno sguardo all’interno lo lasciò quanto mai deluso: la fabbrica era completamente vuota. Tom aveva una visuale perfetta dell’ambiente principale dell’edificio e anche con la scarsissima luce che filtrava dalle vetrate poteva vedere che non c’erano né casse, né macchinari né alcun genere di materiale. Probabilmente il misterioso Helmut Weimar aveva acquistato la fabbrica solo i macchinari e le attrezzature, e non per utilizzarla come magazzino per i suoi amici mafiosi.
‘Beh, tanto meglio per Helmut Weimar e tanto peggio per me,’ si disse Tom, saltando a terra.
Si spazzolò la polvere dalle mani e rimase un attimo a fissare i muri di mattoni della costruzione, incredulo del gigantesco flop del suo sesto senso. Finalmente fece spallucce e si rincamminò verso la macchina.
Per fortuna non aveva perso troppo tempo. Guardò il suo orologio: le otto. Aveva ancora tempo.
L’indirizzo che gli era più comodo raggiungere da dove si trovava in quel momento era uno di quelli che aveva escluso facendo affidamento sul fatto che era troppo vicino a quello noto a Kuntz. Era di strada e anche se fosse stato un altro fiasco avrebbe quanto meno escluso con certezza un altro punto della sua lista.
Salì in macchina e raggiunse il posto in circa venti minuti. Ma anche in questo caso non ebbe fortuna: l’edificio era occupato e in pieno fermento, in totale antitesi con la fabbrica che Tom aveva appena controllato.
L’investigatore rimase un quarto d’ora ad osservare il via vai di persone e dovette alla fine arrendersi e ammettere che si trattava di una innocente e assolutamente onesta panetteria-pasticceria; i dipendenti si stavano dando alle pulizie e al rinnovo dei locali, nell’unico momento a loro disposizione, a quanto pareva.
Fumando e imprecando furiosamente Tom tornò di nuovo alla macchina. Cominciava a sentirsi piuttosto frustrato.
Decise infine per il magazzino dei container.
Ancora una volta lasciò la macchina abbastanza distante da non essere notata (anche se, in fin dei conti, un’auto come la sua in una zona industriale come quella poteva essere notata in ogni caso) e si avvicinò al posto a piedi.
Fu certo di essere nel posto giusto quasi subito.
Il magazzino era ancora più defilato degli altri che aveva controllato.
Aveva un piccolo parcheggio privato, vicino alla sezione riservata agli uffici, che ospitava un paio di macchine scure. Davvero improbabile che a quell’ora, le dieci e qualcosa, ormai, ci fossero ancora operai volenterosi. O che degli operai guidassero macchine come quelle.
Tom girò l’angolo e si avvicinò all’area retrostante, da dove poteva vedere la zona di carico e scarico merci. Le gigantesche saracinesche erano abbassate, ma da sotto di esse filtrava un filo di luce.
‘Bingo…’ fece Tom, sgattaiolando più vicino.
Cercò di rimanere il più possibile in ombra, camminando addossato alle pareti in cemento grezzo. Quando fu vicino alle saracinesche percepì dei movimenti all’interno del magazzino. Superò la zona di carico e scarico, in cerca di un’entrata. Poco più avanti trovò una porta che permetteva l’ingresso ai dipendenti a piedi.
Non c’era nessuno in vista, nello stretto budello in cui si era infilato.
Si addossò alla porta e provò la maniglia. Quella si abbassò.
Con cautela, Tom aprì la porta e scivolò dentro.

Quello che Tom si trovò davanti aveva un che di inaspettato, anche se forse la prudenza avrebbe dovuto indurre l’investigatore a mettere in conto l’evenienza che la porta fosse sorvegliata.
L’uomo di guardia si voltò a guardarlo con un’espressione leggermente stolida sulla faccia larga.
Aveva una sigaretta tra le labbra e si frugava la tasca interna del giubbotto da aviatore con una mano, in cerca dei fiammiferi. L’altra mano era tranquillamente infilata nella tasca dei pantaloni.
Anche lui doveva trovare la vista di Tom piuttosto inaspettata.
Ma Tom non gli diede il tempo di riprendersi: balzò in avanti e afferrò l’uomo, stringendogli un gomito intorno al collo, bloccandogli l’altro braccio dietro la schiena.
Quello strinse le labbra intorno alla sigaretta, prima di lasciarla cadere a terra, ma l’unico suono che ne uscì fu un gemito senza fiato.
Per sua fortuna Tom era più alto e riuscì a sollevare di peso l’uomo, appoggiandosi la sua schiena contro lo stomaco. Nel farlo, bloccò del tutto l’afflusso di ossigeno al cervello dell’uomo, che cominciò a dare segni di cedimento.
Quando smise di scalciare nel vuoto e si afflosciò tra le sue braccia, Tom lo depose silenziosamente a terra. Il pacchetto di fiammiferi tanto agognato scivolò fuori dalla tasca interna del giubbotto dell’uomo, ormai inutile.
Allarmato, Tom si guardò freneticamente intorno.
L’area centrale del magazzino era sgombra, ma lungo le pareti erano addossate decine di container, che creavano una serie di anfratti e corridoi che limitavano la visibilità. Da qui la necessità di posizionare un uomo di guardia alla porta, la quale tuttavia rimaneva nascosta dietro un container di metallo dipinto di colore arancione. Nessuno accorse ad armi spianate. I rumori che provenivano dalla zona antistante le saracinesche continuarono indisturbati.
Probabilmente nessuno aveva sentito nulla. E lui era riuscito persino a non perdere il cappello.
Tom cercò di tirare in piedi l’uomo svenuto, ma dovette accontentarsi di trascinarlo fino all’entrata del container vicino alla porta. Lo trasportò dentro e chiuse le porte metalliche cercando di fare il minor rumore possibile. Poi si girò e raccolse i fiammiferi e la sigaretta spiegazzata per poi infilarseli in tasca.
Avanzò verso i rumori e, badando di restare nascosto alla vista, sbirciò da un angolo per farsi un’idea della situazione.
Davanti alla saracinesca era parcheggiato un enorme camion, che un paio di uomini stavano caricando di casse voluminose e dall’aria molto pesante, a giudicare dai loro movimenti e dagli sbuffi e grugniti che emettevano.
A sorvegliare il loro operato stavano tre uomini, radunati intorno a una cassa di legno chiaro che veniva usata come tavolo o piano d’appoggio per delle carte. Ogni tanto uno di loro lanciava agli scaricatori un avvertimento o la raccomandazione di fare piano.
Tom si avvicinò ulteriormente, prendendo la pistola e sfruttando la fortunata posizione dei container e delle svariate casse sparse per il magazzino.
Infine si accucciò dietro un cassone abbastanza vicino da permettergli di vedere quello che stava cercando: la dicitura U.S. Army stampigliata sui contenitori che venivano caricati sul camion.
Aveva trovato il deposito usato dagli uomini di Collins per le armi sottratte al convoglio militare della base di Encino.
Si preparò a strisciare nuovamente verso la porta da cui era entrato per andare a chiamare Kuntz e i rinforzi che aveva promesso prima che il tizio che aveva stordito si riavesse.
Ma poi, uno dei tre uomini diede le spalle al camion e alle operazioni di carico per gettare uno sguardo cupo alle carte appoggiate al tavolo, e Tom riconobbe il Maggiore James Biggs.

Note:
Ehehehe. ScusateXD
   
 
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