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Autore: Meiling    01/08/2019    0 recensioni
"Avrebbero riso quella sera, perché non li avrebbero capiti, imbrigliati in una dimensione di cui con fatica sarebbero riusciti a comprendere le leggi, si sarebbero abbandonati ad una risata liberatoria intrisa di disagio e di imbarazzo. E Mia avrebbe sguazzato in quelle risa ingenue, senza pretese, sperando di staccarsi anche lei dalle sue sovrastrutture e accettare quel muro di incomunicabilità che la imprigionava lontana da tutto e da tutti."
Mia è un pagliaccio che fa fatica a sorridere, Virgilio un mimo che non ha fiducia nelle parole. Tuttavia, nel momento in cui tutti i sorrisi si spengono, solo i pagliacci sono capaci di riportare la luce, con i gesti, con il cuore e con la voce.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mia osservava il suo riflesso nello specchio, aveva le guance umide di lacrime e le righe del mascara le contornavano il viso. Si passò un’ultima volta il fazzoletto sul naso, sbatté le palpebre per mettere a fuoco la serie di pennelli e trucchi disposti davanti a lei, afferrò un panno e si ripulì per bene.
Le tremavano le dita, la sua schiena era scossa da singulti, faticava a trattenere le lacrime ma non poteva perdere altro tempo; lo spettacolo sarebbe cominciato nel giro di un quarto d’ora e doveva sforzarsi di essere presentabile, entrare nel personaggio. Si passò una mano sulla fronte scompigliandosi la frangetta, improvvisò un sorriso, cercando di ritrovarsi in quel volto gonfio e annichilito dal pianto; inclinò la testa prima da un lato e poi dall’altro e i capelli le pizzicarono le orecchie. Mia si appoggiò contro lo schienale della sedia e sollevò lo sguardo verso il soffitto, da dove pendevano cinque farfalle di cartapesta, trasse un profondo respiro e tese le orecchie per ascoltare i rumori intorno a lei.
Gli spettatori si stavano accalcando all’ingresso, sentiva le strilla dei bambini che si sbracciavano per avere un po’ di zucchero filato, mentre gli altoparlanti annunciavano l’inizio imminente dello spettacolo.
Trasse un profondo respiro e si tirò su per cominciare a truccarsi: prima distribuì il cerone bianco, poi intrise il pennellino in un accecante colore azzurro per disegnarsi una lacrima sotto l’occhio sinistro; si passò il rossetto sulle labbra e dipinse il naso di rosso, indossò i suoi occhiali rotondi e tornò ad indagare quel volto in cui non riusciva a ritrovarsi, complici forse le lenti spesse come fondi di bottiglia e gli occhi stanchi dal tanto piangere. Amava il suo lavoro, ma tirar fuori sorrisi convincenti quando dentro di sé si sentiva morire era un’impresa alla lunga estenuante. Quella lacrima che aveva l’abitudine da qualche tempo di dipingersi sotto l’occhio le serviva da monito, per ricordarsi che era sì un pagliaccio, ma non ci sarebbe stata risata a strapparle un genuino sorriso. Il trucco era la sua maschera, accentuava le sue espressioni, amplificava la sua gestualità, la faceva sembrare un fantoccio privo di voce e armonia, non molto diverso da ciò che talvolta era convinta di essere.
La porta dietro di lei si aprì all’improvviso senza che qualcuno si annunciasse, ma Mia sapeva perfettamente di chi si trattasse. Si voltò e i suoi occhi rimpiccioliti dalle lenti degli occhiali incrociarono lo sguardo disteso e allegro di Virgilio, già pronto per entrare in scena.
Si accorse subito che qualcosa non andava, spalancò le braccia e, aggrottando la fronte, le lanciò un’occhiata perplessa.
Mia sdrammatizzò con un rapido gesto della mano “Ho fatto, se sei venuto per vedere a che punto stavo”.
Virgilio sollevò un sopracciglio e mise le braccia conserte, quella risposta non lo aveva convinto per niente.
“Giuro!” insistette Mia.
Sbuffando sonoramente, Virgilio prese posto di fianco a lei e si cominciò a sistemare i capelli nel tentativo di non far sfuggire i suoi riccioli alla presa della coda, senza però smettere di scrutare l’amica attraverso lo specchio.
Virgilio non parlava, per protesta, perché a quanto aveva lasciato intendere nessuno sembrava comprenderlo. In realtà, prestando attenzione ai suoi gesti, al ritmo del suo respiro, alle cose che guardava e al modo in cui le guardava, non era difficile comprendere cosa avesse da dire. E Mia prestava parecchia attenzione, forse per questo sapevano capirsi e la loro intesa sul palco era invidiabile da altri artisti del settore.
“Che c’è? Vuoi sapere come sto?” sbottò Mia incrociando le gambe “Per questo mi fissi?”.
Virgilio diede in una stretta di spalle e smise di osservarla, con grande cura e precisione, prese a riscaldare il suo corpo, per prepararlo a lasciarsi leggere e comprendere. Strabuzzò gli occhi, sollevò le labbra e allargò le narici, il suo viso cominciava a sembrare la carta spiegazzata di un giornale, solcato da rughe d’espressione così profonde simili a tratti che componevano le parole. Mia lo osservava assorta e sospettosa, perché lui sapeva essere indecifrabile a volte. Era capace di non lasciarsi emozionare completamente durante uno spettacolo, preferiva farsi da parte per lasciare che gli spettatori si sforzassero di entrare nel suo mondo.
“Sto bene,” disse Mia tornando a guardare il suo riflesso “Sto bene”.
Virgilio sospirò, la conosceva abbastanza bene da riconoscere subito quel tremore nella voce, segno inequivocabile di nervosismo.
“Rideranno stasera” soggiunse Mia, imbronciata ma con tutta l’intenzione d’essere rassicurante “Le luci sono così forti che neppure se ne accorgerebbero”.
Virgilio si voltò di scatto e si picchiettò la tempia con il dito indice, il suo modo per chiedere: “Cosa?”.
Mia prese a tormentarsi le mani “La mia tristezza”.
Dopo qualche istante di totale immobilità, Virgilio le sollevò delicatamente il viso, cercò di strapparle un sorriso pizzicandole le guance e Mia non provò neppure a reagire; quello era il modo che aveva di interagire con lei, di provare a scacciare il suo malessere, ci aveva fatto l’abitudine. Virgilio aveva scelto come far parte del mondo, e la sua parola, la sua voce, non erano qualcosa che avrebbero fatto parte né di lui né degli altri. Accettare il suo silenzio era stato il primo passo per volergli bene.
“Grazie,” gli disse Mia gettandogli le braccia al collo “So che sei passato per sapere come stavo”.
Avrebbero riso quella sera, perché non li avrebbero capiti, imbrigliati in una dimensione di cui con fatica sarebbero riusciti a comprendere le leggi, si sarebbero abbandonati ad una risata liberatoria intrisa di disagio e di imbarazzo. E Mia avrebbe sguazzato in quelle risa ingenue, senza pretese, sperando di staccarsi anche lei dalle sue sovrastrutture e accettare quel muro di incomunicabilità che la imprigionava lontana da tutto e da tutti.

-Spazio autrice-

Saltimbanco è una parola che a lungo è stata connotata negativamente, il saltimbanco è un perditempo, un artista che vive d'illusioni. In questa storia, saltimbanco è la chiave antifrastica per comprendere la complessità delle vicende che vedono coinvolti i protagonisti. Spero vi piaccia.
   
 
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