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Autore: shilyss    02/08/2019    50 recensioni
Fable! AU La Sirenetta
Chiedere aiuto a Loki di Asgard è una follia. Lo sanno tutti, anche Sigyn. Ma l’amore, troppo spesso, fa fare cose folli, ci spinge a sacrificare ogni cosa…
Sbatté le palpebre, si alzò, riscuotendosi come da un sogno. “Mi sono persa. Perdonatemi.”
“Nessuno si smarrisce per caso e arriva fin qui, mia signora.” Un ghigno, gelido come i suoi occhi, gli si dipinse sul viso virile e bello. “L’ho stabilito io stesso.”
“Lo so. Dicono che non ci sia persona più abile di voi, col seiðr.”
“Ho un certo talento per i giochi di magia, sì,” rise l’Ase – risata secca, asciutta, priva di gioia. “Sai solo questo?” inquisì, sporgendosi verso di lei. “Narrano tante altre cose, su di me, mia sconosciuta ospite. A te quali hanno raccontato?”

[ ♦ Storia Vincitrice del contest “Villains against Heroes II Edizione”, indetto da missredlights sul forum di Efp, e e Vincitrice del Premio "Miglior Villain" ♦ ]
Questa storia partecipa alla Fables Challenge indetta da Il Giardino di Efp
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

Il pugnale

 

 

What if I'm wrong, what if I've lied

What if I've dragged you here to my own dark night

And what if I know, what if I see

There is a crack run right down the front of me

(If a be wrong, Wolf Larsen)

 

 

 

Questa è la storia di un inganno, di una bugia, di una trappola architettata con cura fin nei più piccoli particolari, di un conto in sospeso esistente tra gli dèi in un’epoca in cui questi erano ancora soliti camminare su Midgard.

Da molto tempo Odino non si mescolava più tra gli uomini, ma quando la giovane Sigyn sparì da Asgard lasciando Freya e Frigga e tutte le sue sorelle in lacrime, decise di indossare di nuovo le sue vesti stracciate, di viandante, per camminare, ancora una volta, sulle strade e i sentieri della terra degli uomini. Loki, però, gli venne incontro con passo sicuro, ostruendo il suo cammino.

“Restituiscila alla sua casa, alla tua casa,” disse Padre Tutto colpendo la terra brulla con il suo bastone nodoso, come se avesse la preziosa Gungnir tra le mani. “Questo non è il posto per lei, per voi.

Loki non s’impressionò affatto vedendo il genitore, anzi. Aspettava la sua visita da quando la figura sottile di Sigyn si era palesata alla sua soglia. Scosse la testa e sorrise, scoprendo i denti bianchi, con la stessa espressione sorniona di un grosso gatto.

“Non posso, Padre Tutto. Vorrei, ma non posso,” puntualizzò con falsa condiscendenza, allargando le braccia. Accanto al sovrano, immobile e severo, c’era anche il nobile Thor. Lo fissava con occhi torvi e preoccupati, ma rimase ugualmente in silenzio, in disparte. Da quella disputa voleva rimanere fuori. Loki gli lanciò uno sguardo fugace, brillante, senz’altro foriero di qualche trama crudele. L’ingannatore non faceva mai niente per niente e quel ciondolo che gli pendeva sul petto, esibito come un trofeo, ne era una prova, anche se non la più visibile ed evidente. Lingua d’Argento spostò di nuovo le iridi chiarissime su Odino e, lentamente, trasse dalla bandoliera, che la sua magia rendeva logora e umile, un foglio di pergamena arrotolato.

“La vostra preziosa Sigyn ha firmato con me un patto. Un regolare accordo, valido sotto tutti i punti di vista, rispettoso delle tue leggi, Padre.”

Lo sbeffeggiava. Lo provocava.

Il vecchio sovrano si avvicinò al contratto siglato e firmato da Sigyn. Strinse le labbra e lesse ogni riga e postilla, maledicendo il cuore incauto e tormentato dei giovani, che si lasciano travolgere dalle passioni, ingannare da una trappola agghindata come un aiuto.

Loki alzò il mento, continuando a sfidare il genitore. “Sapeva a cosa andava incontro,” sibilò rapido.

“Davvero?” Odino alzò il suo unico occhio, grifagno e terribile, su di lui, scuotendo la testa canuta. “Tu sei un ladro, figlio mio. Lo eri quando ti ho cacciato dalla mia casa e lo sei ora, con questa gabbia.” L’ingannatore impallidì. Sul suo volto il perenne ghigno spavaldo si spense, lasciando il posto a una smorfia irata.

“Hai preso al laccio lei, una ragazzina, quando il tuo vero e unico obiettivo sono io. Come sempre, del resto. Cos’è, questo, Loki? Una competizione, una gara? La dimostrazione che conosci i miei punti deboli, un tentativo meschino di attirare la mia attenzione?”

“Mi chiami ladro, credi che non sia capace di ottenere nulla senza ingannare, tradire, mentire. Ma questo è un valido patto, Padre. Formulato, siglato e firmato regolarmente. Credi di essere il centro dei miei pensieri, ma forse ti sbagli. Sigyn ha scelto – mi addolora che la sua decisione ti rechi tanta sofferenza – ma non l’ho costretta in alcun modo a venire da me, a chiedere il mio aiuto.”

La voce roca di Loki aveva, in sé, una punta d’ironia che il fabbricante di bugie non si stava neanche sforzando di camuffare. Era soddisfatto della piega che avevano preso gli eventi. Lo suggeriva il brillio fugace che gli illuminava gli occhi.

“Un accordo legale e leale, dici.” Padre Tutto posò la mano poderosa sulla carta vergata con la calligrafia del figlio, sulla firma rapida di Sigyn.

“Redatto a regola d’arte,” ribadì Loki. “Non puoi fare nulla. Persino il tuo seiðr è inutile, contro di me.”

“Contro il tuo patto,” puntualizzò Padre Tutto con voce secca. Era una minaccia velata? “Bada, figlio, a ciò che fai,” l’avvertì torvo.

Sigyn si palesò in quel momento. Aveva le mani gonfie e rosse a causa dei lavori domestici di cui si sobbarcava per rendersi utile; era visibilmente stanca e spossata. Della sua bellezza d’Æsinna, rimaneva l’immancabile coda lucente che tratteneva i suoi lunghi capelli color dell’oro in nome di un complimento antico, che l’aveva fatta arrossire. Era uscita dalla casa in cui dormiva – una capanna di legno, piena di spifferi, ammobiliata con qualche pelle d’animale, alcuni utensili e poco altro[1]. Il popolo di Erik viveva semplicemente in un agglomerato urbano ben lontano dallo sfarzo di Asgard e persino il figlio del conte dimorava in una casa in legno, anche se imponente e fortificata. Tutto ruotava attorno al porto che si allungava nel fiordo. Vedendo Odino si commosse e gli corse incontro; piangendo, prese le mani dell’anziano re e s’inginocchiò, nel tentativo di chiedergli perdono non per la sua fuga, ma per il dolore che aveva inferto a lui, a Frigga, a Freya e a tutte le sue sorelle. Padre Tutto la fece sollevare da terra, le accarezzò la fronte e la benedisse, ma lo fece con un tono amaro, disincantato, come se fosse in grado di vedere oltre il tempo o, semplicemente, stesse ricordando la profezia che le Norne avevano declamato quando Sigyn era venuta al mondo. Con voce atona si erano decise a proclamarla la dea della fedeltà e, sentendo tale annuncio, Odino aveva aggrottato la fronte.

“Che il tuo cuore ti mostri la via,” disse alla ragazza.

Detto ciò, riprese il suo cammino verso Asgard.

 

 

Che il tuo cuore ti mostri la via, aveva detto Padre Tutto. Ma, se è proprio lui a tradire, cosa fare? Come interpretarne i moti, se esso è bugiardo, esitante o s’infiamma al ricordo di un bacio incantato, di un abbraccio strappato? L’estate è una stagione magnifica, piena di colori, profumi, notti fresche e tiepide impreziosite da un cielo trapunto di stelle. Ogni volta che il sole s’inabissava nel mare, Sigyn si tormentava nervosa le ciocche bionde, pensando al tempo che le scorreva via tra le dita, sfuggendo al suo controllo. Lei, che era un’Æsinna con una vita lunga decine di secoli davanti, tremava al pensiero delle poche settimane che le rimanevano prima che l’autunno cacciasse definitivamente via la bella stagione. Tutto le sembrava vacuo, vano. In un certo senso, anche Erik era differente da ciò che si era sempre aspettata. Non amava più raccontarle storie ed era taciturno, sebbene sempre affabile e gentile. Le sembrava fosse perennemente con la testa altrove, impegnato com’era nella ricerca di una donna che ricordava di aver visto nei boschi vicino ad Asgard, ma che non poteva certo essere lei, perché aveva una voce melodiosa. Dov’era finito l’animo curioso e sagace che l’aveva stregata?

Colpa di Loki.

 

Le aveva infettato l’anima con le sue allusioni beffarde, il suo cinismo razionale, i ragionamenti arguti fatti il giorno in cui avevano stretto il patto e, soprattutto, dopo.

Viveva con lei, camuffato da artigiano. Con le sue belle dita abili, di mago, riparava utensili, spade, brocche; qualsiasi cosa. La sera si sedeva attorno al fuoco e pareva divertirsi immensamente nell’aggiustare ogni oggetto nato dall’ingegno umano. Era l’unica cosa di Midgard che gli piacesse e valutasse come interessante. Talvolta, se era d’umore particolarmente allegro e ben disposto[2], apportava persino qualche piccola miglioria all’arma o al manufatto.

All’inizio, Sigyn si era seduta nell’angolo più lontano della capanna con le gambe strette al petto. Non desiderava la sua compagnia. Non amava vederlo lavorare, non capiva quale gioia traesse nell’osservare i suoi fallimenti giornalieri con Erik. E poi, Lingua d’Argento era incapace di tenere per sé i commenti cattivi con cui giudicava l’intera situazione. Adorava criticare, valutare, analizzare ad alta voce, beffarsi di lei e della sua dabbenaggine. Aveva sacrificato la propria libertà per cosa? Per uno che sognava un’altra e non aveva memoria di lei. Certo, era un uomo gentile, nobile, affabile, con cui era piacevole trascorrere il tempo, ma non sapeva guardarla in altro modo che con occhi velati dall’amicizia e dalla pietà. Si sentiva in dovere di proteggerla, perché per lui non era altro che questo – una povera ragazza muta e graziosa. Nulla più.

Sigyn lo ascoltava con le ciglia umide e il mento fieramente sollevato, conscia della sua condizione, senza poter ribattere, parlare. La sua fermezza, la fede e la perseveranza che spendeva in quell’amore deciso dalle Norne erano la sua voce. Loki la guardava di sottecchi col suo sorriso sbieco che gli attraversava le labbra sottili e beffarde e, vedendo come le sue mani si erano sciupate lavorando, sentendola starnutire e tremare nonostante fosse piena estate, le rimproverava la sua scelta sciocca e irrazionale: lei era una nobile Æsinna, non una serva di Midgard. Erano gli uomini a doversi inchinare di fronte a lei, non viceversa. Ma la ragazza, quando giungevano a questo punto dell’orazione, distoglieva lo sguardo e si allontanava. Sarebbe tornata più tardi, perché il timbro roco del dio degli inganni aveva in sé qualcosa di stregato. Starlo a sentire, a volte, era piacevole e la calmava, facendole dimenticare quanto il tempo scorresse velocemente.

 

Fu mentre aggiustava un arco che Loki le concesse di rispondere alle sue battute. Aveva la sua voce sempre appesa al collo, del resto, chiusa nel ciondolo. Di fronte al suo muto stupore, stese le labbra in una smorfia perfida.

“Me l’hai stupidamente ceduta per essere un’umana. È mia, ne dispongo come voglio.”

Sigyn rimase colpita da quell’inaspettata novità. Comprese che il dio degli inganni aveva iniziato ad annoiarsi e desiderava parlare, litigare, scontrarsi con qualcuno che poteva ribattere punto per punto alle sue considerazioni, per non intavolare sempre e solo un discorso a senso unico.

“Adesso riesco a parlare,” mormorò, nonostante le bruciasse la gola.

“Solo qui. Solo con me,” puntualizzò lui. “Ora ti penti della tua scelta irrazionale?”

“L’ho fatto per amore, solo per amore,” ricordò fiera, alzandosi in piedi e stringendo i pugni.

Loki inclinò il capo da un lato, come per squadrarla meglio. “E sei ancora così innamorata di lui? Anche ora che lo conosci meglio? Lo rifaresti? La notte, dimmi, lo sogni?”

Fu come se l’avesse colpita in pieno viso con uno schiaffo. Sigyn impallidì e, nonostante avesse una momentanea occasione per replicare al figlio ribelle di Odino, non trovò la risposta adeguata da assestargli. Scosse la testa con sdegno e si allontanò in fretta, preferendo rifiutare immediatamente quel dono crudele, concessole da Lingua d’Argento unicamente per avere un’occasione in più per ferirla.

 

 

Le sere estive erano dolci, ma brevi. L’alba arrivava in fretta portando con sé sole e calore – un nuovo giorno che trascorreva, uno in meno da passare al fianco di Erik e del suo sorriso gentile, del suo abbraccio affettuoso e fraterno, ma non intenso come avrebbe dovuto essere.  

Che il tuo cuore ti mostri la via, le aveva detto Padre Tutto, ma quel pezzo di sé la ingannava, accelerando il battito con chi non doveva, calmandosi, invece, di fianco all’uomo per cui aveva sacrificato ogni cosa e che non riconosceva, per le Norne!

Sigyn e il figlio del conte avevano trascorso insieme pomeriggi e mattinate intere e lui si era aperto con lei come con nessuna, confidandole desideri e sogni, progetti e idee. Continuava a ritenerla un’amica fedele – la più fedele che avesse mai avuto – perché la menomazione che l’affliggeva rendeva ogni discorso sicuro. Sigyn ascoltava, annuiva, sorrideva e cercava di farsi capire con gesti e sguardi, ma quegli incontri, dopo un iniziale entusiasmo, la lasciavano semplicemente sgomenta. In Erik, nel suo sguardo celeste come il cielo mattutino, non riusciva più a ritrovare il guizzo sagace che aveva scorto sulla spiaggia proibita di Asgard, dove l’aveva salvato e medicato. Forse la terribile esperienza del naufragio e il passaggio tra un mondo e l’altro lo avevano cambiato. Loki, con il consueto disinteresse, aveva ipotizzato che una cosa del genere poteva essere plausibile, sì, ma mentiva palesemente. Era stato sincero, invece, quando le aveva spiegato il motivo della sua sfiancante e sempre maggiore debolezza.

 

La sera prima, come sempre, avevano parlato e litigato e lei era si era infervorata, appassionandosi a un discorso, a una teoria. A un tratto, però, la testa aveva preso a girarle vorticosamente, la vista le si era appannata e ogni cosa si era fatta grigia e sfocata. Lui era balzato in piedi lesto e le aveva impedito di cadere, sorreggendo il suo corpo esile, provato da una stanchezza ingiustificabile.

“Tu non possiedi il seiðr come me, come Odino. Il tuo spirito di Æsinna brucia e corrompe questo fisico debole, di donna umana,” le aveva sussurrato all’orecchio, senza smettere di tenerla tra le braccia. “Lo consuma. Ma era l’unico modo, per vivere qui, con questa gente cieca e stolta.”

“Persone che tu aiuti,” aveva boccheggiato Sigyn, aggrappandosi al suo braccio – e allora il suo cuore le era parso più leggero, il respiro si era fatto corto.

La tormentava una figura che non voleva chiamare per nome, con un paio di occhi brillanti e chiari.

Loki di Asgard aveva avvicinato le labbra alla sua guancia tanto da sfiorarla. “Gente che tu dici di amare al punto da sacrificare te stessa.” Era un’accusa.

Sigyn sbatté le palpebre, aggrappandosi alle spalle larghe dell’ingannatore. “Uno solo.”

“Sicura?”

Chi sognava lei, di notte?

 

 

Che il tuo cuore ti mostri la via, le aveva mormorato Padre Tutto, ma a Sigyn sembrava che il suo petto battesse al ritmo della più totale confusione. Nel dio degli inganni c’era spesso qualcosa di simile al guizzo sagace che cercava in Erik e anche di più. Uno sprazzo vitale al tempo stesso giocoso e profondo, luminoso e oscuro, irriverente e cortese, caotico e puntuale. La vedeva soffrire, struggersi per un amore non corrisposto e, per tutta risposta, raccontava, parlava e litigava con lei finché l’amarezza non scivolava via dal suo spirito e il sonno la cullava nel suo dolce oblio. In quei momenti, ritrovava all’improvviso il brivido che l’aveva fatta fremere tra le braccia del più bugiardo tra gli dèi. Non era altro che un cedimento naturale e comprensibile, scontato, provato dalla ragazza nei confronti dell’unica persona che, su Midgard, era a conoscenza di ogni risvolto del patto stretto. Questa era la spiegazione che Sigyn si dava. E poi, Loki non la consolava affatto. Tentava di piegarla, di dimostrarle che lui aveva ragione e lei si era illusa, confondendo una simpatia o un’infatuazione per un vincolo scarlatto tanto potente da unire le anime persino dopo la morte. Voleva vincere e aveva scommesso sulla sua sconfitta, per il gusto e il piacere di osservare la sua disfatta dalla prima fila. Del resto, si era persino abbassato a riparare le zappe, le spade e le pentole di un misero villaggio umano, pur di godersi appieno il momento della sua vittoria.

  

 

“Mi sposo, cara Sigyn. L’ho ritrovata. La donna che mi salvò mentre vagavo nel bosco. È lei. Si chiama Aslaug ed è la figlia di un grande jarl[3].”

La ragazza per poco non cadde, sentendo un simile annuncio. Le giornate si stavano facendo sempre più brevi e frizzanti, come l’aria di quella sera. Più l’equinozio si avvicinava, più il suo corpo si faceva debole e perdeva forza e resistenza. Senza l’amore del giovane figlio del conte, sarebbe morta come umana, tornando a essere un’Æsinna. E poi?  Il destino sancito dal patto stretto con Loki avrebbe avuto il suo compimento: sarebbe stata sua, per sempre vincolata a quel principe doppio e infido – al suo sorriso saputo e sferzante, alle sue labbra bugiarde che, talvolta, la sfioravano. Un brivido, rapido e profondo, la scosse: un misto oscuro di terrore, curiosità e qualcos’altro d’indefinibile e potente le serrò il respiro. Sentì nuovamente la testa girarle, la vista appannarsi. Fu Erik a sostenerla, stavolta, ma il suo cuore non rispose come avrebbe dovuto; provò nostalgia per un altro tocco, invece; uno proibito, estraneo e familiare a un tempo.

“Sei pallida. Stai bene?” Erik le prese le mani e si spaventò, perché le trovò eccessivamente fredde.

Lei annuì. Odino le aveva detto di seguire il proprio istinto, ma, di fronte alla confessione del midgardiano, Sigyn scoprì un dolore annichilente e sordo. Si era illusa. Gli aveva sacrificato ogni cosa e in mano, ora, non aveva nulla, se non una manciata di sabbia. A cosa era servito rinunciare a se stessa? Era rimasta vittima di un’illusione.

Loki aveva ragione.

 

Aslaug era bella. I suoi capelli erano ricci e rossi, gli occhi avevano una delicata sfumatura color foglia, ma non le assomigliava affatto. Raccontò con molti particolari di come avesse trovato Erik al limitare di una foresta, confuso e delirante, per poi parlare di una lunga febbre che lo aveva costretto a letto per giorni e di certi cacciatori che lo avevano portato via da lei e dalle sue cure, separandoli. Per fortuna, però, alla fine si erano rincontrati. Nel pronunciare tali parole, sorrise e intrecciò le dita con quelle del suo promesso sposo.

Sigyn li osservò a lungo. Loki era poco distante di lei, come sempre: un’ombra scura e beffarda che era in ogni luogo e in tutti. In quel preciso istante, ignorava totalmente la giovane coppia appena formatasi che sanciva, inevitabilmente, la sua vittoria. Indossava un mantello che gli copriva quasi del tutto il capo e, con un corno colmo di idromele in mano, raccontava qualche mito o leggenda di Asgard. Talvolta faceva così: si mescolava ai midgardiani quel tanto che bastava per affascinarli con i suoi racconti, facendoli sognare con storie di tesori e di draghi che avevano per protagonisti gli dèi di Asgard o guerrieri intrepidi e valorosi. Aslaug ed Erik si amavano. Lei possedeva una voce bassa e melodiosa e lui la fissava come se si trovasse davanti a una stella del cielo o a un’Æsinna. Sigyn, di fronte a questo pensiero, sorrise mesta e giocò con le punte dorate della sua bella acconciatura; cosa c’era tra lei ed Erik? Per lui aveva rischiato tutto e adesso l’intrepido navigante, al posto suo, guardava un’altra.

Aveva provato ad affascinarlo, a sedurlo, a rammentargli in ogni modo la spiaggia lontana del loro primo incontro, ma tutto era stato vano e, ormai, l’ultimo tramonto d’estate si avvicinava inesorabile. Cosa avrebbe dovuto fare, nella manciata di giorni che la separavano da quel momento? La data fatale coincideva, per un crudele scherzo del destino e delle Norne beffarde, al giorno delle nozze del figlio del conte.

Sigyn ne osservò il profilo regolare e virile, ascoltando per l’ennesima volta la storia del naufragio e della tempesta improvvisa e di come il drakkar dalla punta snella, su cui viaggiava assieme al suo intrepido e sfortunato equipaggio, si fosse spinto fino all’estremo nord, evitando agilmente scogli letali. Abbassando gli occhi e carezzando la mano della bella Aslaug, Erik rimpianse i compagni coraggiosi e, in particolare, l’abilità di uno di loro, esperto di rotte, tragicamente morto assieme agli altri. Ma dal male e dalla sventura, talvolta, nasceva il bene e l’uomo fu costretto ad ammettere che, senza quella disgrazia, non avrebbe mai incontrato la sua futura moglie. Il racconto fu tanto appassionato che persino Loki lo ascoltò in silenzio, con severa attenzione.

 

 

Odino aveva detto a Sigyn che avrebbe dovuto seguire il suo cuore, ma la ragazza era ormai convinta che nemmeno lui sapesse dove andare. Si sentiva smarrita, sgomenta, persa. Vedere Erik assieme ad Aslaug era stato terribile, ma gli sguardi che la coppia si era lanciata, i baci scambiati con dolcezza, avevano fatto capire a Sigyn che, nonostante il suo triste destino, non sarebbe stata capace di dividerli o di separarli. Non era nella sua natura farlo e, in fondo al suo petto, sentiva che non era nemmeno ciò che desiderava davvero. Avrebbe condannato un’altra al suo dolore, posto che, in qualche modo, nel giro di pochi giorni Erik s’innamorasse di lei come non aveva mai fatto durante tutte quelle settimane. Mordendosi le labbra e soffocando le lacrime, si era resa conto di essere rimasta vittima della peggiore delle illusioni: aveva creduto di essere innamorata di lui, quando invece non provava altro che una tenera amicizia. Si era infatuata del figlio del conte vinta dal suo aspetto o perché, salvandolo sulla spiaggia bianca di Asgard, aveva creduto di precipitare in una fiaba bella come quelle che raccontava alle sue sorelle. Dopo aver passato tanto tempo in sua compagnia, però, il sentimento che provava nei suoi confronti si era fatto sempre più tiepido e fraterno. Erik e Aslaug, decise, dovevano essere felici. Lei sarebbe rimasta in disparte, come quella sera – e non poteva fare altro, del resto, perché il cuore del figlio dello jarl non le era mai appartenuto.

Ecco perché il peso del patto che la tratteneva su Midgard fino alla fine dell’estate le sembrò, quella sera più di tutte, terribilmente amaro. Le sofferenze che aveva patito presso gli uomini e le lacrime inghiottite con orgoglio non erano servite a nulla. L’amore non esisteva e lei stessa si era ingannata circa la sua esistenza. Le Norne ridevano di lei e non avevano intrecciato nessun filo rosso con quello del giovane incontrato sulla battigia. Loki Laufeyson era solo stato terribilmente sincero – in fondo, lì sta l’abilità di colui che inganna: nel confondere, mescolando assieme, l’una con l’altra, menzogne e verità.

La giovane Æsinna si lasciò cadere sulla sabbia umida. La spuma del mare le lambì dolcemente la gonna di tessuto grezzo e robusto che indossava. Pensò alla sua casa, ad Asgard: al magnifico palazzo di Fensalir dove Frigga, amorevole come una madre, le insegnava i segreti di erbe e piante, alle sue sorelle che avevano tentato di spiegarle che Midgard non era sinonimo di felicità. Avrebbe voluto gridare, ma aveva ceduto la sua voce a Loki per inseguire un sogno. E lui l’aveva avvertita.

Cosa sarebbe successo quando, al tramonto dell’ultimo giorno dell’estate, avrebbe dovuto pagare al dio degli inganni il prezzo promesso in caso di fallimento? L’Ase era stato vago, ventilando, tra le varie possibilità, che lei rimanesse presso di lui, come una proprietà. Il pensiero di dover trascorrere la sua esistenza col dio degli inganni, come sua schiava, era qualcosa che aveva vissuto spesso nei suoi sogni, in quelle ultime settimane. Incubi strani da cui si risvegliava spaventata, confusa, infuriata. Rabbrividì, offesa e turbata anche solo dal pensiero di dover trascorrere la sua esistenza accanto all’Ase. Loki era crudele e lei lo sapeva. Al guizzo brillante dei suoi occhi quasi trasparenti, all’intelligenza spiccata e all’arguzia, occorreva accostare altro – il caos e il rancore che gli mordevano lo spirito, il bisogno di ferire chi aveva accanto con la sua lingua affilata, la naturale propensione a ingannare e a tradire che l’avevano allontanato da Odino. Era il suo trofeo e si sarebbe stancato della sua presenza fin troppo presto, dimenticandola per dedicarsi ad altri progetti, vendette, trame. E allora, decise, meglio essere la spuma del mare o il riflesso dorato del sole al tramonto.

 

Un paio di stivali di pelle si avvicinarono a lei con passi rapidi, decisi. Sigyn osservò, alla luce della luna, le onde lambirne appena le punte logore solo all’apparenza. Lo aveva riconosciuto e sapeva anche perché fosse lì. Desiderava compiacersi ancora una volta delle sue disgrazie.

Se non avesse barattato la propria voce in cambio della possibilità di inseguire un amore che si era rivelato vano, lo avrebbe cacciato, perché non aveva affatto bisogno delle sue considerazioni perfide. Si tirò su, rifiutando sdegnosa la mano che l’Ase le tendeva – era falsamente cortese, nient’altro – e lo guardò dall’alto in basso, fiera com’era sempre stata, tentando di cancellare il resto. Nel giro di una manciata di giorni, forse sarebbe diventata la sua schiava, un giocattolo da dimenticare, ma, fino ad allora, era e sarebbe rimasta Sigyn. Fino alla fine.

Alla luce della luna, il volto di Loki pareva ancora più affilato. Un vento marino pungente s’infilava tra le pieghe del suo mantello, nelle ciocche scure che gli ricadevano sulle spalle.

“Ho vinto. La sposerà e non potrai fare niente per fermarlo,” annunciò sicuro. “Forse nemmeno lo vuoi,” decise. “Non lo ami, in fondo, come lui non ama te. Ti sei accorta di aver inseguito per tutto questo tempo una chimera, il fantasma di qualcuno che non esiste. Avevo ragione. Nessuno dei due è stato capace di vedere oltre all’apparenza, mia piccola, dolce Sigyn. Ti trovava carina, ma non abbastanza da amarti, da innamorarsi.”

Che vuoi, ancora, da me? Sigyn non poteva parlare, non aveva voce, ma fissò Loki a testa alta, con quella domanda muta negli occhi.

“Ho vinto,” ripeté l’ingannatore. “È stato facile. Non basta un bel viso, per poter rubare un cuore, ma la voce forse sì, era indispensabile.”

Una lacrima orgogliosa rigò la guancia di Sigyn, scendendo calda sulla sua pelle. Nel buio della spiaggia notturna, Loki levò un braccio e le sfiorò la gola con la punta delle dita e poi salì all’altezza delle labbra, restituendole momentaneamente ciò che le aveva sottratto – che la sventurata Æsinna aveva barattato in cambio di una possibilità. Un brivido basso e violento la scosse a quel contatto inaspettato. Ecco l’ombra che abitava i suoi incubi, di notte.

“Sei soddisfatto? Mi hai privata di ciò di cui avevo più bisogno. E lo sapevi.”

L’Ase increspò le labbra in un ghigno soddisfatto. “La soddisfazione non è nella mia natura, temo. Ho vinto. Te l’ho dimostrato. Ti ho sottratta a Odino nella maniera più legale possibile, dimostrandogli che non mi serve rubare ciò che gli appartiene.” Fece una lunga pausa, come se volesse scegliere le parole più adatte, sfiorandole di nuovo il viso con una carezza leggera che la fece sussultare – l’ennesima.

Sigyn sbatté le ciglia nere, mentre un pensiero nuovo e terribile si affacciava nella sua testa: com’era stata ingenua! Il dio degli inganni l’aveva usata per fare un torto a Odino, promettendole un aiuto che si era rivelato una trappola. Si morse le labbra che lui aveva appena accarezzato, quasi volesse scacciare ogni prova esistente di quel tocco – o, viceversa, per via di qualche oscuro incantesimo che l’irretiva, ritrovarne il sapore.

“Ecco perché ti propongo una via d’uscita onorevole, Sigyn,” proseguì Loki, implacabile e fiero come sempre. “Tra tre giorni il tuo tempo su Midgard si esaurirà, ma io ho già vinto.”

“Vuoi rompere il nostro patto? Propormi qualche altro inganno?”

L’Ase assottigliò le palpebre. “Nessun inganno. Tu sapevi, tu hai scelto.”

“Lo so.”

“Ma lui deve pagare per il tuo dolore,” le suggerì, facendole scivolare tra le dita un pugnale intarsiato. Sigyn saggiò il peso di quell’arma affilata. L’elsa era decorata con le insegne dell’ingannatore in persona ed era stata forgiata, come la lama scintillante, dai Nani fabbricanti di gioielli[4]. “Bagnalo col sangue dell’uomo che ami, per cui hai sacrificato ogni cosa: considererò il tuo debito saldato. Prima che il sole tramonti sull’ultimo giorno dell’estate, colpiscilo, rendi rosso l’acciaio. Sarai libera di tornare dalle tue sorelle, a Fensalir.”

Alla luce della luna, Sigyn guardò il coltello che Loki le aveva dato e pensò alla perduta Asgard, alla famiglia che piangeva la sua triste sorte, a Erik e ad Aslaug, alle parole di Odino.

“Non posso, non riesco,” boccheggiò. “Perché lo fai?”

Loki le rivolse un’occhiata torva. “Te l’ho detto. È stata una vittoria facile.”

“Non ti credo. Cosa vuoi dimostrare?”

“Dillo tu a me.”

“Che l’amore è un inganno e non l’ho mai amato,” ammise. “E, per liberarmi, io che l’ho salvato e mi sono scontrata persino con Padre Tutto, arriverei persino a ucciderlo.”

“Brava ragazza. L’alternativa, del resto, è smarrirti per l’eternità o diventare mia schiava,” le rammentò tetro, piegando le labbra in un sorriso laterale e crudele.

 

 

C’è un momento in cui non è più giorno e non è ancora sera e la luce e le tenebre si confondono tra loro. Il sole aveva quasi smesso di rosseggiare e si stava definitivamente inabissando nel mare, le stelle ancora non si erano affacciate nel cielo. Sigyn camminava sulla spiaggia di Midgard. Tra le mani, stringeva il pugnale che Loki le aveva dato. Non era riuscita a usarlo e l’estate era finita. Nel giro di una manciata di minuti, il suo destino si sarebbe compiuto.

Anche Loki osservava l’ultimo tramonto concesso a Sigyn. Aveva ripreso il suo consueto aspetto principesco e fiero e teneva le mani incrociate dietro la schiena. Attese che la ragazza si avvicinasse, colse il baluginìo della lama tra le sue dita.

“Avresti dovuto seguire il mio consiglio,” l’apostrofò severo. Le melodie allegre che accompagnavano la festa per le nozze di Aslaug ed Erik giungevano fino alla spiaggia isolata, ma c’era, in loro, una tristezza sottesa, nascosta, pari solo al dolore che affliggeva il cuore spezzato di Sigyn. Eppure, nonostante avesse perso ogni cosa, i suoi occhi grigi grandi e rotondi scintillavano carichi di una fierezza e di una forza che Loki non comprese. Le poggiò una mano sul collo e la ragazza, come sempre, s’inarcò, tendendosi, come se volesse offrirsi a lui. Le dita dell’Ase indugiarono sulla pelle calda e morbida della ragazza; scesero appena a lambirle le scapole e le spalle, in un contatto non necessario, ma, in quel momento bramato.

“Hai vinto. Pagherò per le mie scelte,” boccheggiò Sigyn.

Il dio degli inganni avvertì la punta del pugnale premergli sul fianco. Ghignò, sentendo l’acciaio a contatto con la corazza di pelle intrecciata. “Avresti dovuto infilzare Erik, con questo,” notò.

La ragazza scosse il capo. “L’uomo che amo sei tu.”

Loki di Asgard s’irrigidì, sorpreso da quell’ammissione, ma non mutò atteggiamento. “Allora, se verserai il mio sangue, stupenda principessa, sarai libera,” suggerì, sardonico e crudele.

“Cercavo, in Erik, qualcosa che lui non possedeva. Ma l’ho ritrovato in te,” spiegò l’Æsinna con la sua voce recuperata. “E ciò che sento nel mio cuore, che ho tentato di soffocare, esiste perché è stato alimentato dai nostri discorsi, litigi, racconti. La seduzione vera, l’innamoramento, riguarda l’anima, non l’aspetto. L’ho capito tardi. L’uomo che amo sei tu, Loki, ma non posso usare su di te questa lama.” Dalle ciglia le scese una lacrima, una sola. “E tu, tu non mi darai un bacio di vero amore prima del tramonto.”

“No,” confermò il dio degli inganni. “Non lo farò. E il tuo tempo è già finito.”

Sigyn guardò il mare e il cielo e perse le forze. La lama le scivolò di mano e cadde sulla sabbia. Barcollò e l’ingannatore, di nuovo, la sostenne, la prese tra le braccia.

“Quando mi hai tolto la voce, tu mi hai baciata…” rifletté.

“Eri infatuata di un’ombra. Non avrebbe avuto effetto.”

“Della tua?” Era una domanda, una speranza, un sospetto concretizzatosi quando ormai il giorno si era esaurito e la notte era scesa su di loro. Il corpo mortale di Sigyn soffriva e il suo sguardo, grigio e febbricitante, cercava solo una conferma.

Che gusto c’è a ingannare, se poi non si può svelare la propria trama? Questa è la storia di come il dio dell’inganno riuscì a raggirare gli dèi di Asgard grazie a uno dei suoi molti, perfidi, imbrogli. Sa di salsedine e vento, il racconto. “Erik partì con un equipaggio di nove uomini. Uno di loro era un esperto di rotte. Lui li condusse ad Asgard, attraverso una rotta nota a lui solo. Il drakkar naufragò a causa di una tempesta. In otto morirono. Due si salvarono.”

“Eri tu.” Sigyn chiuse gli occhi. Pensò al giorno in cui era andata a chiedere aiuto all’ingannatore e alle mappe che aveva scorto nel suo studio. “Perché?”

“Odino mi ha bandito dalla sua casa, ma Frigga non ha fatto lo stesso con Fensalir. Nel suo palazzo, sono un ospite gradito, nonostante tutto. Ti ho sentita raccontare molte delle mie storie. Eri brava. Sottrarti ai tuoi cari sarebbe stato interessante. Il resto, credo che tu l’abbia capito: Padre Tutto e io avevamo un conto in sospeso – dice, di me, che sono un bugiardo e un ladro. Posso tollerare la prima affermazione,” ammise con un ghigno, “ma la seconda no. È un’accusa indegna.”

“Sei sempre stato tu,” mormorò Sigyn. “La mia voce ti appartiene perché tu l’hai saputa e la sai ancora ascoltare. Ecco perché hai vinto, ma sei stato crudele,” disse. “Hai vinto, ma l’amore esiste, Loki. Lo sai anche tu.” Poi, perse i sensi e sognò di essere la spuma del mare o uno spirito dell’aria. La notte, ormai, era scesa su Midgard.

 

 

 

Ogni sera, al tramonto, Sigyn s’incantava a osservare il sole che s’inabissava nel mare, le onde che si infrangevano implacabili, col loro moto perenne, sulla scogliera che proteggeva il fiordo di Asgard. Il palazzo del dio degli inganni aveva una vista magnifica, tale da smuoverle il cuore. Respirò l’aria marittima, pungente e fresca, sorridendo alla massa azzurra che si tingeva di blu e d’argento. Al petto, le scintillava un ciondolo dorato e lucente.

 “Sei di nuovo qui.” La frase di Loki la raggiunse dall’interno della stanza. Si voltò nella sua direzione. Era poggiato contro lo stipite della porta e la corazza di pelle intrecciata era slacciata, lasciando intravedere il torace tonico e scolpito. Le si avvicinò e anche lei gli andò incontro.

Non c’era modo di spezzare il vincolo che la univa al dio degli inganni. Nemmeno Odino in persona, con tutta la sua sapienza, poteva riuscire a sciogliere i nodi di un patto così vincolante e ben strutturato in ogni sua parte; l’inganno perpetrato da Loki alla base non lo inficiava abbastanza.

Le cinse la vita, l’attirò a sé, carezzandole i capelli color dell’oro, le cercò le labbra strappandole un bacio sfacciato, avido, intenso, profondo. Una spallina dell’abito sottile scese, scoprendole la pelle e parte del seno.

“Cosa sono diventata, Loki? Il trofeo che sfoggi con Odino, la tua schiava preferita?” mormorò Sigyn, mentre l’Ase posava le labbra sottili e beffarde sulla pelle appena scoperta. “Avresti voluto baciarmi, su quella spiaggia. Ma dovevi vincere, non è vero?”

Chiuse gli occhi, buttò indietro la testa offrendogli il collo. Gli apparteneva. Aveva siglato un contratto col proprio sangue, consapevole delle clausole terribili che vi erano scritte. Le loro anime erano legate dal filo rosso delle Norne.

Loki l’afferrò per i fianchi e la sollevò, deponendola, senza troppa grazia, sul letto poco distante; fu subito sopra di lei per imprigionarle le braccia, continuare a baciarla, slacciarsi i pantaloni. Farla sua. “L’amore non esiste,” le ricordò. “Non sarebbe servito.”

Lei vibrò e si tese di fronte a quell’intrusione improvvisa e desiderata. Boccheggiò stupita, tentando di liberare almeno una mano per afferrare i capelli scuri del mago, stringerli tra le dita, carezzarli mentre il suo corpo rispondeva agli affondi decisi del dio degli inganni.

 Il vincolo non prevedeva esplicitamente anche questo, ma era successo e continuava a capitare. Entrambi non potevano farne a meno. Perse il controllo – era passato, ormai, il tempo in cui cercava fieramente di contenersi, di frenarsi, di non fargli sentire quanto le piacesse far l’amore con lui. Loki la raggiunse pochi istanti dopo, incapace di trattenersi oltre, per poi rilassare i muscoli ancora tesi su di lei, calmare il respiro rotto.

“Tu mi ami,” mormorò Sigyn. “Sei un bugiardo, un impostore.”

Lo aveva capito quando lui l’aveva raggiunta sulla spiaggia, mentre lei, distrutta dal dolore e col suo pugnale ancora tra le dita, singhiozzava, i piedi bagnati dalla spuma del mare.

“Tu sei mia. Per contratto, sei mia. E lo sarai per sempre,” puntualizzò Loki con voce feroce.

L’Æsinna sorrise. “Anche tu.”

 

 

The night expands, I am expanding

I watch your hands like butterflies landing

All among the myths and the legends we create

And all the laughing stories we tell our friends

Close the windows, clear up the mess

It's getting late

It's darker and closer to the end

(Push the sky away, Nick Cave and the Bad Seeds)

 

 

 

Fine

 

 

 

Note Autore

Caro Lettore,

Ebbene sì: “Prima che il sole tramonti” è una rivisitazione in chiave norrena della bellissima fiaba de La Sirenetta. Si tratta di una storia che ho scritto per il contest “Villains against Heroes” indetto sul forum di Efp. La particolarità del pacchetto che ho scelto sta nel fatto che, alla fine, dovevano vincere i cattivi, cioè Ursula/Loki. Solo che questa è una Loki/Sigyn e Loki, come sappiamo, ama sbancare. Si è preso una rivincita con Odino, con Sigyn e, alla fine, si è preso pure Sigyn stessa. Come Ursula, ha giocato sporco, prendendo, all’inizio della storia, il posto del vero Erik, per poi lasciare che Sigyn lo salvasse.

Quattro erano gli elementi che dovevo utilizzare da regolamento: la storia è ambientata per metà su Midgard, precisamente in Danimarca; come nella versione Disney, Loki rinchiude la voce di Sigyn all’interno di un ciondolo – che usa a suo piacimento, concedendo, talvolta, alla ragazza di poter parlare. Nel testo sono presenti alcune battute del corpus MCU (in particolare le battute di Loki in Thor: The dark world) e quelle di Ursula del classico film Disney, tra cui il “forse potrei aiutarti” richiesto. La coda di Sigyn non è di pesce (sarebbe stato un dettaglio inutile, qui) ma è un’acconciatura di capelli, visto che nel mio canone una delle caratteristiche del personaggio è di avere una bellissima capigliatura dorata (del resto è una dea vichinga).

L’estate invece è il periodo in cui è ambientata tutta l'azione.

La mia versione è un mix tra quella Disney e l’originale di Andersen: ecco dunque che ricompare il pugnale presente nella fiaba danese e il concetto della fiaba stessa. Scusate lo spiegone, ma tra le varie letture che è possibile fare di questa fiaba non facile (ha diversi archetipi dietro) c’è quello che concerne la voce. È l’unico elemento dissonante della mia versione (Loki concede a Sigyn la possibilità di rispondergli). Il messaggio è che Erik non si può innamorare di Sigyn perché non può ragionarci insieme. Per amare davvero qualcuno, occorre conoscerlo, parlarci, confrontarcisi. Un bell’aspetto non basta. Ecco perché Loki ha bisogno di discorrere con Sigyn.

Se la storia vi ha colpito, utilizzate le liste: farete felice un’Autrice ♥ (Fa anche rima). La Fatina dell’Ispirazione necessita sempre delle vostre cure per poter spandere i suoi glitter!

Per ulteriori info e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina Facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss

Grazie per essere arrivati fin qui.

Dedicato a chi mi ha sopportata e a chi l’amerà.

Shilyss



[1] Il villaggio danese di Erik in cui Sigyn e Loki vivono ricalca quelli visti nella serie TV Vikings. 

[2] Ho scelto la grafia divisa, ma è corretta anche quella unita, così come espresso nei principali dizionari.

[3] Aslaug è un tipico nome norreno. Consideratelo un omaggio alla serie TV Vikings.

[4] “Nani fabbricanti di gioielli” è una formula ricorrente nell’Edda che indica, appunto, le abilità dei Nani.

   
 
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