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Autore: Neneko    05/08/2019    1 recensioni
Al termine della Guerra, Sora ed i suoi migliori amici ritornano sull'Isola. Non è perfetto come aveva immaginato.
Di come Sora si ritrovi a lottare con i ricordi del passato, un presente soffocante ed una cotta più grande di lui. Come al solito, è l'unico ad essere ignaro.
(canon divergence, aged-up!characters, spoiler KH3)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kairi, Riku, Sora
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Threesome, Triangolo | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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tags: (non graphic) panic attac, (very) light dub-con, inexperienced character, polyamour. Ho immaginato Sora come un diciottenne che non ha mai avuto il tempo di esplorare appieno la sua sessualità e che mantiene una forte componente naïve: l'avviso di dub-con va quindi letto in questa chiave. Sora sa di volere, ma non sa cosa vuole.




Quando torna nella stanza, Riku e Kairi si stanno baciando.

Sora ha passato gli ultimi dieci minuti raggomitolato in un nodo di puro panico sul pianerottolo in fondo alle scale, nell’esatto punto in cui era riuscito a trascinarsi prima che le gambe gli cedessero. Nel suo pugno serrato, il keyblade ha continuato ad apparire e svanire senza riuscire a mantenersi solido per più di qualche istante, rispondendo ad una richiesta d’aiuto di cui non si era nemmeno accorto, concentrato com’era sul rimbombare assordante del sangue nelle orecchie e sul suo respiro veloce, troppo veloce, non riesco a respirare…

Ha tentennato prima di decidersi a tornare; adesso vorrebbe non averlo fatto.

Per tutto questo tempo, la certezza che sarebbe bastato un po’ di ottimismo a salvare la giornata gli ha dato la forza per andare avanti anche di fronte a sfide più grandi di lui senza perdere il proprio sorriso; non credeva che una cosa così mondana potesse ridurlo in quello stato, nonostante il passato gli abbia già dimostrato che sono proprio loro, la sua più grande debolezza. Adesso, l’idea stessa di sorridere gli appare impensabile e vorrebbe solo strapparsi gli occhi per non vedere, scappare una volta per tutte... invece rimane lì, fermo, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi migliori amici le persone che ama , abbracciati sullo stesso letto che ha diviso per anni con Riku.

Il singhiozzo rotto che gli sfugge dalla bocca spalancata è la condensazione dei sentimenti confusi che si agitano dentro di lui: come può essersi sbagliato? È evidente che si sia sbagliato. Riku non l’ha mai voluto, e Kairi-- Si passa furiosamente il dorso della mano sugli occhi, ma le lacrime non si fermano. Riku sbuffa, tra tutte le cose; poi si volta, ancora in ginocchio sul letto, ed protende una mano verso di lui.

“Vieni qui, impiastro.” Il tempo si ferma. Sora è trascinato a quella notte di quattro anni prima: c’è un futuro sconosciuto ad aspettarlo, raccolto nella mano di Riku, e si chiede -sopra al panico, alla confusione, alla sorpresa- cosa sarebbe cambiato, se non l’avesse lasciato andare; se l’avesse stretto a sé e avessero combattuto fianco a fianco fin da subito, anziché schierarsi ai due lati opposti…

Sora l’afferra.

Riku lo stringe a sé, asciugandogli le lacrime ancora aggrappate alle ciglia e mormorandogli tra i capelli scusa e sei proprio scemo e due frasi tanto diverse non avrebbero il diritto di essere pronunciate con la stessa inflessione, tanto carica d’affetto che se le sente sulla pelle come una carezza fisica; ma è un pensiero subito cestinato, perché Riku gli prende il viso tra le mani e lo bacia.

Il loro primo bacio ha i contorni imperfetti della sua inesperienza, fatti di denti che sbattono e nasi schiacciati uno contro l’altro, ma sa di casa. Riku gli sorride sulle labbra, scuote la testa e poi scoppia in una risata che lo sconquassa tanto da farlo ricadere sul letto -non prima di averlo trascinato con sé con una mano stretta attorno al suo braccio. L’altra si allunga ad afferrare qualcosa alle spalle di Sora, ma lui è troppo impegnato ad evitare di crollargli addosso per preoccuparsi di cosa si tratti.

Un peso leggero ma improvviso lo schiaccia contro il materasso e mentre una seconda risata risuona nella stanza se la sente vibrare contro la pelle. Ecco cos’era! Kairi gli rotola pigramente di dosso sdraiandosi al suo fianco, e Sora si ritrova circondato da ogni lato. L’ondata di calore che gli infiamma le guance non ha nulla a che fare con l’agitazione.

“Era terribile! Terribile, ti dico! Kairi, puoi crederci?!” Sora non sa se dovrebbe offendersi o sentirsi lusingato per essere riuscito a farlo rilassare abbastanza da farlo ridere fino alle lacrime, anche se a costo della sua umiliazione. Da quanto non sentiva quella particolare risata -quella sguaiata ed insopportabile, che gli gratta i nervi come poche altre cose, ma che al tempo stesso è profondamente ed indissolubilmente Riku.

Il blocco da disegno è stato abbandonato aperto sul pavimento, i pastelli sparsi tutt’attorno. Ci sono tre figure abbozzate sul foglio ruvido; rosso, marrone e argento, tanto vicini da confondersi. Le stelle brillano, sul soffitto. Sora sporge il labbro inferiore, nascondendo il viso paonazzo nell’incavo di un gomito, e la sua voce suona petulante alle proprie orecchie. “Non vale, voi avete avuto più tempo per imparare!” Una parte di lui è ancora ferita dal fatto che gliel’abbiano tenuto nascosto.

Kairi gli pungola il fianco ed il suo respiro caldo gli solletica la spalla. Da quella distanza può sentire il profumo di salsedine che le è rimasto addosso; l’odore del mare sembra non abbandonarli mai del tutto. “Dovevamo allenarci per te, non potevamo certo farci trovare impreparati!” Il suo tono è troppo leggero per essere spontaneo. Anche se non può vederla dal suo nascondiglio improvvisato, la tensione è palpabile nel modo in cui nessuno dei due si muove o parla più, in palese attesa della sua prossima mossa.

Sora non risponde immediatamente, prendendosi del tempo per sbrogliare la matassa confusa dei suoi pensieri. L’idea che gli abbiano nascosto una parte così importante della loro vita -che l’abbiano escluso- lo ferisce più del tradimento vero e proprio, se lo può definire tale, ma… il fatto che ci possa essere almeno un po’ di verità nelle parole di Kairi, che si siano esercitati per lui come se baciarlo fosse una questione di tutto rispetto, pone quel segreto sotto una luce completamente diversa.

Sora alza la testa dall’incavo del proprio braccio quanto basta perché i suoi occhi tornino visibili e la tensione sembra dissolversi all’istante. Apre la bocca con l’intenzione di -non ne è sicuro, forse dirgli che sì, li perdona, o addirittura ringraziarli, ma Riku non gliene lascia il tempo. Il suo al contrario di Sora ha tutta l’aria della battuta premeditata, lanciata come un’esca al momento giusto. Sora, prevedibilmente, abbocca. “Smettila di ridere di me!” strilla più forte di quanto volesse, ed è grato che non ci sia nessun altro in casa -o che Riku non abbia vicini, perché di certo l’avrebbero sentito perfino loro. È già troppo tardi per accorgersi del ghigno compaciuto che gli stira le labbra.

Oh… non c’è nessun altro in casa. Nessuno che possa fermarli, e non sa come lo faccia sentire quella consapevolezza. Riku coglie il cambio di atmosfera con una facilità che non è giustificabile soltanto con il suo ruolo di dream eater, come se potesse annusare la sua incertezza (potrebbe davvero esserne in grado, con l’olfatto quasi sovrumano che si ritrova) o leggergli nel pensiero. “Non posso leggerti nel pensiero” dice, atono, e Sora fa un salto di mezzo metro. “Come--”“Sei trasparente, sciocco.” Il suo ghigno si fa meno affilato, sfumando in un sorriso divertito. È bello vederlo così vivo. Sora ha sentito la mancanza di quella parte di lui -vuole che torni a prendersi tutto lo spazio che desidera, lo sfidi e lo tocchi e--

“Stiamo ridendo con te” dice, strascicato e condiscendente. In un altro momento, Sora gli avrebbe risposto per le rime; adesso opta per afferrargli una ciocca di capelli alla cieca, soffocando il suo grugnito di dolore con la propria lingua prima di replicare sulle sue labbra un vittorioso ti sta bene che si spezza, quando Riku fa qualcosa con la sua lingua che gli fa capire di aver perso in partenza.

Riku gli si lancia addosso, schiacciandolo contro il materasso con tutto il suo peso e bloccandogli entrambi i polsi sopra la testa con una mano -senza la minima fatica, come se tenerlo bloccato con la sola forza fisica (nessun incantesimo o mossa speciale, soltanto la forza dei muscoli che guizzano in maniera ipnotizzante sotto la pelle) fosse una cosa da niente. Per quanto sforzi Sora faccia, per quanto si agiti e cerchi di sfuggirgli -più per provocazione che per reale volontà di scappare- la sua presa non vacilla di un millimetro, e woah.

È chiaro chi comandi tra loro, gli ricordano la sagoma in controluce che lo sovrasta, circondata da un’aureola dorata, e le dita serrate attorno ai suoi polsi; un perfetto sfoggio di autocontrollo, cento su cento, applausi dalla folla… potrebbe anche crederci, non fosse per l’espandersi e contrarsi rapido del suo petto, pressato contro quello di Sora al punto che ogni respiro è come se gli appartenesse e capire dove cominci lui e finisca l’altro diventa un compito impossibile, per il suo cervello sovraccarico.

Dura troppo, troppo poco.

Prima che Riku possa fargli davvero qualcosa, la razionalità di cui è tanto orgoglioso riprende il sopravvento e l’attimo dopo l’ha già lasciato andare, allontanandosi bruscamente. Sora si sente bruciare con ogni cellula del proprio corpo e può soltanto riversare il proprio disappunto nel lamento che gli rotola fuori dalla bocca spalancata; le mani che ritornano a circondargli il viso come se fosse inestimabile sono l’unica cosa che rende più sopportabile l’improvvisa distanza. Annaspa, il proprio respiro concentrato attorno alle due sillabe del suo nome, Ri-ku. C’è una richiesta nella sua voce, ma non saprebbe dire cosa stia chiedendo.

La bocca premuta contro la sua tempia, Riku replica con una singola parola -Kairi, la costante che traccia un percorso sicuro attraverso la palude di emozioni in cui è finito e che, al contempo, ha l’effetto desiderato di riportare l’attenzione su di lei. Le pupille di Kairi sono enormi, nella luce calda della lampada. Non si è dimenticato di lei, come avrebbe potuto, ma la sensazione del corpo di Riku contro il suo l’ha momentaneamente sopraffatto.

Chi vuoi prendere in giro, Sora?

No, la verità e che Sora è spaventato: se con Riku è facile fingere si tratti di una provocazione (evitare di leggerci dietro più di quanto possa sperare), non c’è modo di fare lo stesso con Kairi... L’ha idealizzata per anni, ponendola su un altare di purezza che va oltre il suo ruolo di Principessa, e ora ha il timore irrazionale di sporcarla con il proprio tocco. Non c’è niente di puro in quello che vorrebbe farle.

Lei però sa bene come spazzare via i suoi dubbi con un solo battito delle sue ciglia folte: le basta puntargli addosso due occhi da cucciolo e Sora, per favore, e quando mai ha potuto negarle qualcosa? Kairi è piccola, ma non è né fragile né sperduta. Gli afferra il mento con un dito e quando lo bacia, lo fa con la studiata meticolosità che mette in ogni cosa -che sia un allenamento nella Foresta Segreta o il tentativo di renderlo incapace di parlare.

La sua bocca morbida deposita baci impalpabili contro labbra screpolate dal vento e dal sale, lasciandolo sperimentare perché Sora si possa illudere di aver preso un po’ di confidenza... solo per strappargliela via l’attimo dopo, tenera candida Kairi gli stringe il labbro tra i denti facendolo mugolare di dolorepiacere ed affonda una mano nei suoi capelli per baciarlo più a fondo.

Incerto su dove gli sia permesso appoggiare le proprie, di quali siano i confini che non può superare (il suo mondo, che quella mattina stessa sembrava volersi richiudere su di lui fino a schiacciarlo, si è fatto immensamente più grande) Sora finisce per lasciarle sollevate a mezz’aria come un totale cretino.

È Kairi, nella sua infinita pietà, a decidere di venirgli in soccorso portandosele ai fianchi. La morbidezza della sua pelle al di sotto della camicetta lo riempie di meraviglia, sofficeaccogliente in un modo lontano anni luce dagli spigoli di cui è composto Riku -di cui sono composti entrambi- ma riesce ad essere altrettanto meraviglioso. Sora è la persona più fortunata dell’intero universo e vorrebbe sentirsi in colpa (sa di non meritarselo, è ingiusto) ma il rimpianto non riesce a farsi strada dentro di lui.

Le dita affondano spasmodiche nel tessuto, stropicciandolo tutto ed ottenendo come ricompensa un morso giocoso sulla guancia. Con la punta della lingua, Kairi gli percorre la linea della mascella e scende verso il collo. I suoi denti affondano nella carne, facendolo guaire. Sora ha il fiatone come se avesse corso per ore: se non fosse esaltante, probabilmente se ne vergognerebbe.

Riku si fa sfuggire un gemito da animale ferito che agisce come un richiamo, facendolo voltare verso di lui per scoprirne il motivo e trovandolo seduto con la schiena appoggiata contro la testiera del letto -quando si è mosso?! Beh, a sua discolpa, era giusto un po’ distratto… Sora cerca i suoi occhi, scoprendoli seminascosti dalle mani premute sul suo viso, due fessure che brillano attraverso gli spiragli tra le dita. Sembra che non si sia nemmeno accorto che quel suono sia venuto da lui.

Kairi segue la linea del suo sguardo ed il respiro seguente le si blocca in gola; è il peso di due paia d’occhi a riscuotere finalmente Riku dalla sua catalessi. “Siete-- non ce la posso fare, siete troppo---” Qualsiasi cosa volesse dire si perde in un secondo gemito ancora più sentito del precedente.

Tra i numerosi segreti di una vita passata all’interno di una bolla in cui c’era spazio solo per loro tre, ce n’è uno che hanno custodito tanto gelosamente da rischiare di dimenticarsene: Riku è sempre stato il più sensibile tra di loro, l’unico a sentire il bisogno di nascondersi dietro ad una maschera di arroganza per non esporre la propria fragilità agli occhi altrui… anche se la sua deleteria abitudine di trascurare i propri bisogni per assicurarsi che quelli dei suoi amici siano soddisfatti (di proteggerli anche a discapito di sé stesso) ha sempre finito per tradirlo. Non c’è da stupirsi che si sia rinchiuso in sé stesso dopo la guerra.

Adesso tocca a noi proteggerti, pensa Sora.

Basta un’occhiata perché si avvicinino in contemporanea, ed è insieme che gli allontanano le mani dal viso per poterci leggere qualsiasi emozione ci stia passando sopra; Riku ha le guance arrossate, le labbra gonfie, ed è semplicemente bellissimo. Kairi ridacchia, saputa, e lui si accorge di averlo detto ad alta voce. “Quasi meglio del tramonto, eh?”“Decisamente meglio del tramonto” replica Sora, e non gli importa quanto la sua voce suoni affannata, perché il modo vorace in cui Kairi si passa la lingua sulle labbra è altrettanto eloquente. Ha voglia di mordergliele e la realizzazione che può farlo, -possono fare tutto quello che vogliono- lo rende euforico e lo spaventa al tempo stesso.

Una mano scivola lungo il suo braccio; i polpastrelli ruvidi accarezzano il polso, là dove la pelle è più sottile e delicata. Sora ruota la propria con il palmo in su, le dita allargate, e con l’altra tira la manica della camicia di Kairi, una muta richiesta che viene subito accontentata da entrambi.

Per qualche secondo l’unico suono è quello perfettamente accordato dei loro respiri; Sora è tutto lì, nell’intreccio delle loro dita, colmo dalla pace più assoluta che abbia provato da… forse da sempre. Non riesce a credere che solo mezz’ora prima fosse convinto di aver perso di nuovo ogni cosa. Il desiderio di scappare si è quietato -Sora si trova nell’unico luogo in cui vorrebbe essere. Lascia libero sfogo alla risata che gli sgorga spontanea dalla gola; sta ancora ridendo quando schiocca un bacio sulla bocca di Kairi, uno su quello di Riku, e poi entrambi, insieme, fino a quando non saprebbe più dire chi stia baciando chi.

Kairi intrufola le mani sotto la sua maglietta, affonda i denti candidi nel lobo del suo orecchio come se avesse intenzione di morderlo ovunque le sia possibile. Le sue unghie gli percorrono lievi la spina dorsale in una promessa che non fa tempo a concretizzarsi, perché prima che possano affondargli nella schiena (lasciare una traccia visibile del loro passaggio e marchiarlo) Riku lo agguanta per la collottola, ribaltando le loro posizioni perché sia Sora quello premuto tra la testiera ed il suo corpo.

Sora gli si avviluppa addosso con le gambe e le braccia nella miglior imitazione del Kraken che gli riesca -ripetendogli tra un ansito e l’altro non azzardarti a lasciarmi per buona misura. Non può trattenere un verso di disappunto quando Riku fa esattamente ciò che gli ha chiesto di non fare e si allontana di nuovo, puntandogli perfino una mano sul petto per sfuggire dalla sua presa caparbia; disappunto che si fa meno intenso davanti al frettoloso solo un attimo, aspetta esalato direttamente sulla sua bocca, e ancor di più quando Riku afferra l’orlo della maglietta che indossa e se la sfila da sopra la testa, gettandola oltre il bordo del letto con una noncuranza che la dice lunga sulle sue priorità attuali. Il fruscio lieve con cui si adagia a terra gli pare un’esplosione.

Il corpo di Riku è una mappa dai contorni conosciuti a memoria, ma prima di allora non si era mai permesso di guardarlo liberamente. Anni di scorci rubati al sole di una giornata estiva alle sue cure dopo una battaglia non vuole pensarci adesso non l’hanno preparato alla visione gloriosa di tutta quella pelle nuda, esposta come un banchetto appositamente per Sora e Kairi. Ne conosce ogni cicatrice, eppure è come se lo vedesse per la prima volta.

Al centro del suo petto c’è una bruciatura che la magia non è riuscita a curare del tutto: la sua sagoma frastagliata spicca esangue in mezzo al rossore che si è esteso fin lì. Sora ci preme il viso contro e ne traccia il contorno con la lingua, cercando di assaggiare tutto ciò che può -il sudore fresco ed il sapore unico della sua pelle al di sotto, e se potesse anche l’anima stessa, vuole tutto di lui. “Oh, Sora...” Non è Riku a gemere il suo nome in quello che suona come un misto tra reverenza ed una promessa, una mano sul petto come se le mancassero improvvisamente le forze… no, è Kairi. Sono tre ingranaggi che si incastrano alla perfezione, ognuno mosso dai gesti dell’altro.

“Ancora” gli domanda Riku, e con un capezzolo dall’aria invitante a portata di lingua non ha certo bisogno di farsi pregare. Sora dà una prima lappata incerta e poi, curioso, azzanna la pelle appena al di sopra dell’areola rosata. Riku spalanca la bocca in un grido silenzioso -i suoi fianchi si scontrano con forza contro quelli di Sora una, due volte come se fosse incapace di trattenersi, e poi prendono ad ondeggiare ad un ritmo erratico che non fa niente per nascondere quanto sia eccitato (se spostasse il ginocchio di un niente sentirebbe che lui lo è altrettanto, se non di più).

Sora si strozza con la propria saliva e le sue mani corrono istintivamente a cercare rifugio nella morbidezza in grado di bilanciare lo sfregare asciutto e quasi doloroso dei loro fianchi. “Kairi--” Lei risponde alla sua chiamata, si fa strada tra il groviglio dei loro corpi fino a prendere il posto di Riku; che protesta a mezza voce, ma non la ferma. “Va tutto bene, Sora.” La voce di Kairi è spessa e dolce come melassa, dolce come la cedevolezza della sua coscia tra le gambe di Sora che non fa male, no, anche se i boxer sono diventati ormai una tortura.

Se lo stanno litigando (non che lui abbia la minima intenzione di lamentarsi), la loro sfida in netto contrasto con la tenerezza che ha sempre associato al loro rapporto, e quella contrapposizione ha il solo effetto di fargli desiderare di conoscere anche questo lato di loro fino a farlo suo.

Riku li fissa dall’angolo in cui lei l’ha momentaneamente costretto, le mani serrate attorno all’orlo dei pantaloncini come per impedirsi di toccarli; finché non decide di averne avuto abbastanza e solleva Kairi da sotto le braccia -l’abitudine evidente nella tranquillità con cui lei si accomoda sulle sue gambe come se quello spazio le spettasse di diritto, e perché non dovrebbe…?

“Osserva come si fa.” Glielo ordina senza guardarlo, già distratto dalla curva flessuosa della schiena di Kairi sotto le sue dita, del modo in cui gli si modella addosso -ma a Sora non importa, né potrebbe fare altrimenti. Guarda, rapito, la camicetta venire sbottonata dalle dita abili di Riku, e poi sollevata a scoprire gradualmente la schiena nuda e parte del seno, piccolo ed apparentemente delicato come tutto di lei. Non c’è niente al di sotto del tessuto, solo pelle nuda e liscia, e come ha fatto a non rendersene conto prima…? Due ghigni saputi accolgono la sua realizzazione.

“È scomodo dormire con il reggiseno, mi sono preparata di conseguenza” dice Kairi, e la sua provvidenziale scrollata di spalle fa sì che la camicetta scivoli a rivelare un’altra porzione di pelle su cui il suo ragazzo? soffoca una risata. “Come se fosse quella, la motivazione.” ”Non essere cattivo!” Sora può scommettere che il buffetto che si abbatte sul braccio di Riku sarebbe doloroso per chiunque altro. Nasconde un sorriso nel palmo della propria mano, meravigliato di come sappiano sempre quand’è il momento di alleggerire l’atmosfera con una battuta sciocca e quando invece spingerlo al limite, dandogli ciò che non sa nemmeno di volere.

Sta per replicare con una battuta quando fa il terribile errore di guardare in faccia Riku, ed ogni parola gli evapora dalla mente alla vista dell’espressione ferina che è ci è dipinta sopra. Per qualche ragione, quell’immagine gli ricorda la sua versione oscura, tanto affascinante quanto pericolosa -è così che appare, una creatura in grado di distruggerlo nel migliore dei modi.

Riku arriccia le labbra in qualcosa più simile ad una minaccia che ad un sorriso, qualcosa che gli fa venire voglia di scoprire il collo e sottomettersi all’istante (cosa può farci, trasformarsi in un leone ti cambia irrimediabilmente). “Oh, ma tu adori quando faccio il cattivo...” Lo dice come fosse un segreto rivolto a lei soltanto, ma è Sora che sta guardando, allo stesso modo in cui poco prima stava guardando Kairi ma parlando con lui, rimbalzando la sua attenzione da uno all’altro per assicurarsi che nessuno si senta escluso.

Sora è assalito dall’istinto di abbracciarlo, uno di quegli abbracci da far scricchiolare le ossa che durano all’infinito; una reazione magari inaspettata di fronte alla sensualità che si propaga da lui come ondate, ma non può trattarli come se fossero la cosa più importante del mondo ed aspettarsi che rimanga indifferente! È affamato di ogni briciola di sé che decida di regalargli -fortuna che Riku sia tutto tranne avaro.

Senza staccare gli occhi dai suoi -le iridi di quel colore indefinibile tra il verde e l’azzurro appaiono praticamente nere adesso, il colore inghiottito dalla pupilla- Riku afferra Kairi per la nuca, affondando sulle sue labbra privo di ogni riserva e venendo accolto con altrettanto entusiasmo. Sora dimentica il suo proposito per perdersi nel modo in cui le loro lingue si muovono, visibili attraverso quel bacio a bocca aperta; nei suoni umidi ed indecenti che sfuggono ad entrambi. C’è un sacco di lingua, commenta la piccola parte di sé aggrappata all’ultimo barlume di razionalità che gli è rimasto.

Vederli da quella distanza, sapendo che gli basterebbe avvicinarsi per essere invitato a partecipare -che parte del motivo per cui si stanno baciando è perché lui li guardi farlo- fa sì che, anziché sentirsi escluso, si senta parte di un tutto.

Un lampo bianco gli oscura la vista. Sora reagisce per istinto, afferrando a mezz’aria quella che scopre essere la camicia di Kairi, la stoffa inamidata ormai stropicciata in più punti -ogni piega il ricordo di un tocco diverso. “Ottimi riflessi.” Il commento di Riku fatica ad arrivargli alle orecchie, semisoffocato contro un lembo di pelle appena scoperto. Altri suoni umidi -le braccia di Riku, pallide contro la sua pelle dorata, le avvolgono le spalle nascondendola alla sua vista, ma è intuibile cosa stia facendo.

Piccoli gemiti, schiocchi sonori, il fruscio dei vestiti rimasti che sfregano tra loro...

Kairi gli rivolge un’occhiata da sopra la spalla, un sopracciglio inarcato. “Sei troppo vestito.” Non può darle torto: è l’unico ad indossare ancora la maglietta, ma anche con addosso solo la gonnellina spiegazzata e le calze al ginocchio, Kairi è a suo agio con la propria nudità più di quanto Sora possa dire di essere. Le sue dita esitano, strette attorno all’orlo della canotta. Non lo spaventa mostrarsi -è cresciuto su un’isola, insomma, ha passato metà della sua vita in costume!- quanto il significato di quel gesto. Cosa succederà se mi spoglio...?

“Sora.”

Sora alza la testa per incontrare gli sguardi comprensivi di entrambi. Il suo sguardo saetta sul seno esposto di Kairi, sul suo collo -dove c’e un livido, adesso lo vede chiaramente- prima di tornare sulle proprie dita serrate. “Non so se è una buona idea” comincia, interrotto dal dito che gli si posa gentilmente sulle labbra. Kairi gli carezza una guancia, gli scopre la fronte sudata. “Va tutto bene” ripete in un sussurro. “Abbiamo tutto il tempo del mondo” le viene in aiuto Riku, porgendogli la mano perché intrecci nuovamente le dita con le sue.

Sora lascia andare un sospiro di sollievo che non sapeva di aver trattenuto. Il rollercoaster emozionale della giornata lo colpisce in tutta la sua intensità, lasciandogli soltanto la forza di accasciarsi per metà contro Riku, per metà contro Kairi. È esausto, anche se felice. “Andiamo a dormire.” La proposta di Riku è accolta con entusiasmo da entrambi.

Mentre Kairi recupera il pigiama piegato sotto il cuscino, Riku pronuncia un incantesimo che Sora non ha mai sentito prima. La magia che gli scivola sulla pelle con un swoosh è una strana ma efficiente fusione di aero e fire ed idro che asciuga il pasticcio di saliva e sudore rimasto sulla sua pelle, senza lasciarne traccia, e spegne anche il moncherino di candela rimasto. Lo stupore è tale da impedirgli di sobbalzare, anche se le sue sopracciglia svettano verso l’alto.

“Non dirmi che non ci hai mai pensato prima...” Riku non appare impressionato. Lancia lo stesso incantesimo su Kairi ed attende che lei abbia indossato il sopra del suo pigiama prima di annuire, apparentemente soddisfatto, e riportare l’attenzione su di lui; il pigiama di Riku, che le pende da una spalla arrivandole a meta coscia. Adorabile.

“Di solito uso i fazzoletti” risponde asciutto, anche se l’angolo della sua bocca si arriccia traditrice nell’accenno di un sorriso. I fazzoletti sono sopravvalutati, è la replica immediata, e a quel punto Sora può solo ridere. È lui a spegnere la lampada -con le proprie mani, allungandosi in precario equilibrio per raggiungere la scrivania. Il buio li ricopre come un manto, assoluto ad eccezione della fioca luminescenza delle stelle sul soffitto.

Trovare una posizione che sia comoda per tutti necessita di una buona dose di manovre. Sora finisce al centro del letto a pancia in su, Riku sdraiato sul fianco alla sua destra con una gamba intrecciata tra le sue. Le proteste maggiori arrivano, del tutto inaspettatamente, da Kairi; dopo aver cercato inutilmente di sistemare il lenzuolo perché le arrivi alle spalle anziché coprirle la punta del naso, si arrende e scivola verso l’alto fino a posare la testa nell’incavo della spalla di Sora, borbottando dovevi proprio crescere così tanto anche tu?!

Riku ridacchia, solleticandogli la nuca con il suo respiro. “Piccoletta” le prende in giro in quel suo tono affettuoso; poi, con maggior sarcasmo “era ora che Sora si decidesse a crescere, credevo sarebbe rimasto un nanetto in eterno.” “Hey! Il fiore che sboccia nelle avversità è il più raro e prezioso di tutti!”

Riku boccheggia, scostandosi come se la sua semplice vicinanza l’offendesse profondamente. L’incredulità nelle sue parole è palpabile. “Hai appena citato l’Imperatore a sproposito?!” Sora fa spallucce, anche se non può vederlo. C’è uno sbuffo divertito contro la sua spalla sinistra. Non ci posso credere, borbotta Riku tra sé e sé. Ad alta voce, dice “A volte mi chiedo perché sono innamorato di te.” È il suo turno di boccheggiare; il suono che esce dalla sua gola non assomiglia a nessuna delle lingue parlate dell’intero universo. Kairi gli si spalma addosso, strofinandogli il naso contro la giugulare con un versetto rassicurante.

“Oh, adesso non farne una questione di stato…!”

La replica di Riku fallisce nel suo tentativo di suonare brusca, finendo soltanto per sottolineare il suo imbarazzo. Sora non può trattenersi un secondo di più. Districa con attenzione Kairi dalla loro stretta e gli si lancia tra le braccia, soffocandolo nell’abbraccio che non ha potuto dargli prima. “Ti amo” gli confessa sulle labbra, ricoprendogli il viso di baci ferventi. “Ti amo” sussurra, la fronte premuta contro quella di Kairi, “vi amo tantissimo.” Si sente come se il suo cuore fosse cresciuto di due taglie, troppo straripante d’amore per essere contenuto nei confini del proprio petto, e avesse trovato una via di fuga attraverso la sua gola riversandosi in quella frase che non aveva mai avuto il coraggio di pronunciare. “Io vi amo di più” replica Kairi, ed è una frase così da lei che Sora scoppia a ridere.

Sistemano il lenzuolo ormai aggrovigliato con gesti pigri, riprendendo la posizione di poco prima. Un silenzio piacevole cala su di loro, scandito dal ritmo dei loro respiri.

Il sonno fatica ad arrivare, nonostante la stanchezza. Sora osserva le costellazioni di plastica sopra la sua testa. “Non riesco ad usare la magia, mi sembra di fare qualcosa di sbagliato” confessa al soffitto, al buio quieto della stanza. Dare voce ai pensieri che ha nascosto dentro di sé per tutte quelle settimane sembra sollevarlo da parte del loro peso. Kairi sussulta contro il suo fianco e Sora si affretta a correggersi. “No, no, va tutto bene! È solo che… è diverso, no? Qui è tutto così normale...”

Riku fa un verso di assenso, stringendogli una spalla -Sora afferra la sua mano e posa un bacio sul palmo, tenendola stretta tra le proprie. Dopo un attimo di silenzio, Kairi prende la parola, esitante. “A volte mi capita di lanciare un reflect prima di andare a letto” un altra pausa; Sora annuisce per spronarla a continuare, “so che è stupido, ma mi fa sentire meglio.”

“Non è stupido” replica Riku, definitivo, e le labbra di Kairi si tendono in un sorriso che percepisce attraverso la canotta. Concentrandosi sulla luce sempre presente dentro di sé, Sora fa appello al proprio keyblade. La Catena Regale gli appare tra le mani all’istante, illuminandoli con il suo bagliore. Sollevandosi su un gomito, inclina il mento verso la serratura della porta, il keyblade puntato nella stessa direzione.

In un attimo i keyblade puntati contro la porta diventano tre. I singoli fasci di luce colpiscono la serratura unendosi e con un clic caratteristico la serratura si chiude, sigillata dall’interno. Allora è possibile farlo, pensa Sora, lasciandosi ricadere disteso con un sospiro soddisfatto.

Una serie di buonanotte vengono scambiati. Al momento di ricambiare, Riku gli pizzica una guancia e “vedi di non scalciare troppo” dice. “Veglierai sui miei sogni…?” Doveva essere una battuta, ma quando Riku gli risponde il suo conciso sempre è mortalmente serio. Gli posa un bacio lieve sulla spalla scoperta -la prossima volta dovrà portarsi un pigiama. Il piede di Riku traccia linee casuali lungo la sua gamba e quel movimento ritmico lo culla, gli rende le palpebre pesanti...

“Buonanotte” biascica, e si addormenta.

   
 
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