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Autore: Bloody Wolf    06/08/2019    4 recensioni
Questa storia partecipa alla Stucky Bingo Challenge del mese di Agosto/Settembre del 2019; Il prompt che ho sviluppato è stato il numero 82 - Sirene.
Dal testo:
La farfalla era di un colore che mai aveva visto nella sua corta vita, sembrava blu ma pareva quasi essere fatta di pura elettricità ogni qualvolta che sbatteva le ali per muoversi da fiore in fiore, Steve la seguì spostandosi assieme a lei, meravigliato.
Si nutriva di quel polline e poi ripartiva verso altro cibo mentre il bimbo la seguiva silenzioso e rispettoso con occhi di chi pare non aver mai visto nulla di così bello nella sua vita.
| Mermaid!AU | Stucky | Pirati | Parole: 8023 |
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Natasha Romanoff, Sam Wilson/Falcon, Steve Rogers
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa alla Stucky Bingo Challenge del mese di Agosto/Settembre del 2019; Il prompt che ho sviluppato mi è stato dato dalla mitica Fuuma EFP. Ti ringrazio perché mi hai fatto scrivere una storia su qualcosa che mai avrei pensato di andare a sfiorare ma, come ho già detto in passato, la Stucky mi pare la ship delle prime volte per me XD

Altra menzione importante anzi importantissima va a Roby R che mi ha betato il capitolo e che mi ha dato un primo parere quindi grazie <3

Spero che sia di vostro gradimento perchè io mi sono divertita a scriverla ma soprattutto a cercare idee sul bellissimo mondo delle sirene e dei tritoni!

Lasciatemi un commentino per farmi sapere se vi è piaciuta o se vi ha fatto andare al bagno, ditemi cosa ne pensate e che altro dirvi se non buona lettura?

ciao ciao!

 

| Mermaid!AU | Stucky | Pirati | Parole: 8023 |

 

Parte 1 | Parole: 3693 |

 

“Steven! Vieni via da lì!” 

Il bimbo si spostò da quella scogliera rientrando verso casa con passo svelto e divertito, sua madre lo osservava apprensiva e meravigliosa in quel suo lungo abito azzurro con le mani conserte sotto il seno, cercando di sembrare minacciosa.

“Quante altre volte dovrò chiederti di stare lontano da quella scogliera? Steve sai che ho una paura folle di vederti scivolare giù… ti prego…”

Aveva dieci anni e mai avrebbe voluto ferire la madre ma spesso e volentieri la curiosità lo portava su quella scogliera, a guardare quell’immensa distesa di acqua che si estendeva verso quella palla infuocata che scaldava i loro corpi e i loro campi.

Abbassò il capo annuendo alla madre seguendola verso casa, si fermò comunque a voltarsi per osservare quella roccia fredda e solitaria da cui avrebbe dovuto stare lontano trovandola, però, estremamente interessante, come se ci fosse qualcosa che lo richiamava lì come una nenia.

Sua madre lo prese tra le sue braccia e lo accarezzò delicatamente, gli spostò quelle bionde ciocche corte e passò anche un dito su quei bellissimi occhioni dal colore del cielo.

“Mamma oggi posso andare a giocare con Natasha e Sam? Posso?”

La donna annuì mostrando su quel volto alcune delle prime rughe, forse dovute alla stanchezza del dover crescere un figlio da sola o forse dovute alla preoccupazione di avere un marito disperso in quel mare che le aveva tolto tutto ciò che amava.

“Certo che puoi tesoro, ma mi raccomando, l’oceano nasconde segreti che devono restare tali quindi stategli lontani.”

 

………………………………….

 

La farfalla era di un colore che mai aveva visto nella sua corta vita, sembrava blu ma pareva quasi essere fatta di pura elettricità ogni qualvolta che sbatteva le ali per muoversi da fiore in fiore, Steve la seguì spostandosi assieme a lei, meravigliato. 

Si nutriva di quel polline e poi ripartiva verso altro cibo mentre il bimbo la seguiva silenzioso e rispettoso con occhi di chi pare non aver mai visto nulla di così bello nella sua vita.

Sbatteva le ali muovendosi armoniosa e silenziosa, gli volò intorno per poi iniziare a salire verso il cielo blu e verso quell’oceano che sua madre temeva.

Iniziò a correre ridendo felice fino ad accorgersi di essere sul ciglio di quella scogliera da cui doveva stare lontano, osservò quella farfalla svolazzare incurante che sotto di sé ci fosse solo l’oscurità dell’acqua....

“STEVEEEEEE!!!”

Si voltò notando troppo tardi che la roccia sotto di sé aveva iniziato a cedere, lasciandosi andare con piccoli sassi assieme a lui, cercò un appiglio con le mani ma l’unica cosa che riuscì a fare fu guardare il volto di sua madre rigato dalle lacrime e pensare a quanto fosse stato sciocco a seguire quella farfalla bellissima.

Il senso del vuoto che lo accolse mentre cadeva gli aveva tolto il fiato, lo aveva zittito impedendogli di urlare per farsi sentire, il suo corpo si mosse per inerzia fino al momento dell’impatto.

L’acqua era gelida e dura, mai avrebbe pensato che quella sostanza che sembrava non avere nè peso nè colore potesse essere così dolorosa contro di sé, attorno a sé.

Avvertì quella sostanza risucchiarlo, ghermirlo centimetro dopo centimetro insinuandosi dentro di lui, attorno al suo corpo e nei suoi polmoni.

Non gli erano rimasti molti ricordi di quell’oceano che pareva volerlo morto, tutto nella sua testa sembrava confuso come se avesse preso un colpo alla testa ma era certo di ciò che aveva visto, quella lunga coda da pesce assieme a quei due occhi azzurri che lo fissavano curiosi. Ricordava perfettamente quelle mani che, fredde ma non troppo, si posarono sul suo volto mentre la bocca di quella creatura si posava sulla sua per dargli ossigeno.

Ricordi confusi e vaghi seguirono quel momento prezioso, quel corpo ricoperto di squame era forte e scattante contro il suo che, quasi immobile, pareva quasi morto.

Riaprì gli occhi ed iniziò a tossire avvertendo quel liquido che prepotente cercava di uscire dai suoi polmoni, tossì vomitando acqua e girandosi sul fianco guardando con i propri occhi quel paesaggio che gli ricordava una spiaggia, le sue orecchie avvertirono il richiamo dei gabbiani ed infine il suo palmo si chiuse su quella sabbia avvertendola calda e asciutta.

La tempia gli pulsava e quando portò due dita a toccarla ci trovò del sangue che, lento, andava a colare sulla palpebra e sulla guancia. 

Spostò lo sguardo curioso verso quella distesa che, per poco o tanto tempo non sapeva dirlo, lo aveva afferrato e aveva cercato di trascinarlo giù come aveva fatto con suo padre anni addietro.

Una testa sbucava dall’acqua, quelli erano gli stessi occhi che aveva intravisto nell'acqua sotto alla scogliera, quella creatura era veramente lì a filo dell’acqua, ad osservarlo...

Tossì nuovamente fissando quella creatura curioso, sembrava avere la sua età e forse era anche più piccolo, lo guardava con il capo chino come confuso da ciò che si era ritrovato a trascinare fuori dal suo regno.

“Mi hai… salvato… Grazie. Da dove vieni?”

Steve lo stava guardando, poteva leggerglielo in volto che si stava sforzando di capire cosa stesse dicendo ed era meraviglioso per il giovane Steve poter vedere quel mezzo pesce così vicino, avrebbe solo voluto comunicare con lui, innocentemente perchè in fondo erano solo due bambini appartenenti a due mondi completamente differenti ma vicini.

La creatura aprì la bocca rivelando una serie di piccoli denti acuminati, cercò di imitare i suoni che aveva prodotto l’altro gorgogliando, incapibile.

Il volto di Steve si spalancò radioso di fronte a quel tentativo da parte della “bestia”, poteva davvero chiamarlo così dopo che lo aveva salvato da quella caduta che, sicuramente, gli sarebbe risultata letale?

Non poteva essere un mostro.

Steve si alzò da quella sabbia che gli si era appiccicata addosso e mosse qualche passo verso di lui, in acqua, in maniera cauta ma curiosa, allungò una mano e sorrise divertito e meravigliato da quella presenza.

Il tritone indietreggiò appena ringhiando in modo appena udibile, doveva essere il suo primo contatto con un umano, era insicuro ma allo stesso tempo curioso e Steve si fermò, rispettoso di quella paura, tornò ad allungare una mano verso di lui prima di parlargli con tono basso ma speranzoso.

“Come ti chiami? Io sono Steve, possiamo essere amici se vuoi…”

Il giovane osservò la creatura mentre guardava quella mano che lui gli stava tendendo per poi portarsi le mani di fronte al volto curioso di quell’usanza, si stava studiando le proprie mani che risultavano palmate e scure rispetto alle sue...

Steve lo vide spostare il capo da sinistra a destra assottigliando gli occhi, dolce e confuso prima di cercare di sorridere e aprire la bocca per sibilare una B poco udibile e poco chiara.

L’enorme coda si mosse uscendo dall’acqua e mostrandosi in tutto il suo splendore agli occhi del bambino che si bloccò con la labbra spalancate a formare una leggera O per lo stupore; l’intero corpo era squamato con colori che andavano dal grigio all’azzurro per finire sul nero e sul rosso sotto all’ombelico. Le sue mani erano nere, palmate e con artigli acuminati che, sul suo corpo mentre lo trasportava, non avevano lasciato alcun segno.

Era uno spettacolo, era bellissimo e quello doveva essere uno di quei segreti che sua madre tanto proclamava, uno di quelli che sarebbe dovuto restare un segreto invisibile, una leggenda da non conoscere.

Steve non potè fare a meno di sorridere, spontaneo e infantile di fronte a quella creatura che lo guardava con la sua stessa curiosità.

Fece un altro paio di passi trovandosi in acqua fino alla vita vicino a lui, allungò una mano toccando quella dell’altro che, d’istinto, si ritirò quasi timoroso ma che, dopo pochi secondi, si ritrovò a far combaciare i loro palmi, curiosi di capirci qualcosa in più, l’uno dell’altro.

“Ti chiamerò Bucky se a te va bene, almeno fino a quando non riuscirai a dirmi il tuo nome.”

La sensazione di averlo vicino era strana, il contatto con la loro pelle era fresco ma non gelido come le acque in cui viveva la creatura, non era viscido al tatto ma era ruvido e Steve si ritrovò, dopo tutte queste considerazioni, a sorridere nuovamente felice.

Bucky cercò di sorridere stirando le labbra e cercando di alzare quelle labbra in modo naturale fallendo miseramente in quello che doveva essere un sorriso, risultando più un mezzo ringhio… 

Steve annuì a quel tentativo, era un primo approccio e lo adorava già.

Bucky si avvicinò a lui, curioso, muovendo il naso come se lo stesse annusando prima di poggiare le labbra sulle sue in un tocco leggero ma sicuro.

Steve arrossì a quel contatto facendo ridacchiare il tritone che mosse la coda schizzandolo felice, come poteva essere così semplice capirsi nonostante quel mezzo pesce non parlasse la sua stessa lingua? 

Un fischio arrivò dal mare e subito Bucky si mosse scattando e voltandosi verso quella distesa, attento e quasi spaventato da quel semplice fischio.

Steve si ritrovò a stringere quella mano che si era intrecciata inconsciamente con la sua, lo sguardo del tritone si spostò sollevato a quel contatto mentre emetteva una specie di fischio con la gola. 

Si guardarono per alcuni secondi prima che un altro suono raggiunse le sue orecchie, Bucky si mosse poggiando la propria bocca sulla fronte del ragazzo, proprio sul punto in cui il sangue non aveva ancora smesso di gocciolare.

Si allontanò mostrando quel magnifico corpo prima di inabissarsi con un movimento abile e silenzioso in quell’abisso scuro in cui lui, poco prima, stava per morire.

Si portò istintivamente una mano al capo tastando quel punto in cui le labbra si erano posate per quella seconda volta, la ferita non pulsava più e il sangue aveva smesso di uscire. Le sue dita scesero ad accarezzarsi le labbra, scioccato ma piacevolmente colpito da quel comportamento.

Si accorse di avere freddo e di essere ancora in acqua, scosse il capo per riprendersi prima di tornare a riva scosso ma vivo.

Si fermò sulla spiaggia girandosi ad osservare per un’ultima volta quella distesa che, in quegli ultimi minuti, si era colorata di rosso, si era tinta di un tramonto mozzafiato che Steve non guardava perchè troppo preso da quell’oceano che nessuno poteva realmente vedere.

“Ti ritroverò Bucky, ti cercherò fino alla fine dei miei giorni.”

 

…………………………………………

 

I giorni passarono, seguiti dai mesi e dagli anni, si susseguirono lentamente assieme alle stagioni mentre Steve cresceva, si faceva forte e in gamba.

Non raccontò mai a nessuno di Bucky tranne che a Natasha ma solo perchè lei lo trovò una sera su quella stessa spiaggia, lo seguì fin lì per qualche giorno fino a quando lui non fu pronto per parlargliene.

“Nat chi avrebbe mai creduto ad un ragazzino di soli dieci anni, appena caduto da una scogliera che aveva visto un tritone uscire dall'oceano per salvargli la vita… mi avrebbero preso per matto.”

La ragazza gli aveva sorriso, stranita e incredula. Steve si era mosso estraendo dalla propria tasca dei fogli stropicciati, erano disegni, ogni singola parte del corpo di quella creatura era stata riportata su carta, ogni espressione e movimento che aveva compiuto durante quel breve, anzi brevissimo tempo che avevano passato insieme.

“Dimmi Nat come può un bambino fantasticare con questa precisione e ricordarsi questi dettagli anche a distanza di anni.”

La ragazza lo aveva guardato incredula mentre sfogliava quei fogli, uno dopo l’altro, quella era arte, preziosa arte che Steve nascondeva al mondo per una paura più che concreta.

“Steve non puoi pretendere sul serio che io ci creda…”

Steve la guardò con sguardo deciso e sicuro, aveva come unica prova una piccola cicatrice sulla testa oltre ai suoi ricordi e si ritrovò ad afferrare una mano della ragazza e portarla sul capo fino a farle toccare quella parte.

“Quando sono tornato al villaggio aveva il volto ricoperto di sangue, avevo la maglia ricoperta di rosso ed era mio, avevo piccoli graffi qua e là ma nessuna ferita che avrebbe spiegato tutto quel sangue… sei stata la prima a vedermi quel giorno.”

Nat aveva spalancato gli occhi ricordando quel giorno con meticolosità… 

 

Stava giocando al limitare del villaggio, amava starsene lì perché non c’era mai nessuno e da lì vedeva tutta la costa con le spiagge, amava quel posto.

Stavano tutti cercando Steve, il suo amico, l’unico con cui si sentiva sé stessa e sua madre le aveva detto che si era perso e che era per quello che lo stavano cercando… 

Natasha aveva capito che stava mentendo, l’aveva capito dal volto disperato che Sarah, la madre del suo amico Steve, aveva in viso, quella era disperazione non paura.

Era partita alla sua ricerca, aveva camminato fino a quando lo aveva visto,  traballante su quelle gambe magre, aveva visto il sangue che lo ricopriva assieme ai brividi che colpivano quel piccolo corpo ad intermittenza.

“Steve…”

Si era lanciata verso di lui ad abbracciarlo ed aveva urlato richiamando qualcuno, chiunque per aiutare quel ragazzino dai capelli color del grano.

“Non è nulla Nat… Sto bene.”

La bambina aveva trattenuto le lacrime perchè mai sua madre le avrebbe permesso di piangere ma aiutò quel bimbo senza fare domande.

 

“Lui mi ha guarito. Penso che la febbre che ho avuto sia stata una specie di reazione a qualsiasi cosa mi abbia fatto ma… Natasha mi ha trascinato fuori dalle onde e ti assicuro che poteva essermi letale.”

La guardò curioso, non sapeva che cosa aspettarsi da lei ma ci credeva, erano cresciuti assieme, sapevano l’uno i segreti dell’altra e mai avrebbe dubitato di lei.

La ragazza spalancò la bocca per parlare ma la richiuse annuendo e sospirando prima di guardarlo negli occhi e parlare con tono sicuro e tosto.

"È per questo che vuoi partire quindi? Quando avrai finito di sistemare la nave di tuo padre?"

Steve annuì con, negli occhi, una scintilla che non ammetteva alcuna obiezione, quel ragazzo era nato per muovere le masse con le parole, non conosceva la cattiveria ma solo la giustizia.

“Ci crederò solo se mi porterai con te, ti conosco Steve, potranno chiamarti pirata quanto vorranno  ma tu combatterai per ciò che considererai giustizia. Hai bisogno di una sveglia come me nella tua ciurma.”

Lei si alzò e Steve la seguì con lo sguardo, si ritrovò a fissare la mano che lei gli tendeva orgogliosa di aiutarlo in quell’impresa.

“Se non lo troveremo mai o se invece lo troveremo sarà indifferente fino a quando saremo insieme a guardarci le spalle a vicenda.”

Il biondo era consapevole del perché quella ragazza se ne volesse andare da quel posto, sapeva della madre che, violenta, la pestava per qualsiasi errore lei commettesse, l’aveva venduta più volte a pirati che passavano in quell’isola come un semplice pezzo di carne e forse, nella testa di Steve, erano queste le ingiustizie che lui voleva combattere. 

“Natasha se vogliamo partire dobbiamo iniziare a sistemare la nave, te la senti di aiutarmi?”

Erano ragazzini, quindici o forse sedici anni, volevano evadere da quel posto e lasciarsi tutto alle spalle, alla ricerca di quel futuro che poteva solo che essere migliore di quel loro passato.

 

……………………………….

 

“Steve! Steve! Tua madre non sta bene!”

Il giovane aveva mollato tutto, aveva guardato i suoi due migliori amici, Sam e Clint, e aveva semplicemente iniziato a correre senza fermarsi fino a casa sua.

Aveva il fiatone quando arrivò alla porta dove il medico uscendo gli batté una mano sulla spalla scuotendo il capo invitandolo a salutarla prima che essa passasse a miglior vita.

Entrò in casa con gli occhi carichi di lacrime, il pensiero di perderla e di rimanere solo faceva male come poche altre cose in quella sua vita fatta di lotte.

“Madre…”

La donna era distesa sul letto, stava tossendo sangue e tremava, sofferente. Gli sorrise sicura prima di invitarlo vicino a sé, di chiamarlo con un filo di voce a sedersi per l’ultima volta sul suo letto come faceva quando era solo un bambino.

“Sei cresciuto Steve… ho avuto paura di non riuscirci senza tuo padre ma invece eccoti qui, forte e splendente come lui…”

Il colpo di tosse la obbligò a smettere di parlare per piegarsi di lato e soffrire in silenzio mentre Steve le accarezzò la schiena amorevole senza sapere cosa fare.

“N-non sforzarti madre.”

Lei negò accarezzando il volto del figlio mentre calde lacrime lasciavano gli occhi di entrambi, calde gocce che cadevano a terra come frutta matura.

“Figlio mio, so che vuoi partire e so che comunque ti avrei perso tra quelle onde perchè, anche tu come tuo padre, non siete in grado di resistere al richiamo di esse. Vai e trova la tua strada…”

Steve si ritrovò a piegare il capo poggiandolo sulle loro mani unite, perderla era qualcosa che non aveva nemmeno considerato, aveva sempre pensato di partire per solcare l'oceano ma aveva anche sempre avuto la percezione di poter tornare a casa per riabbracciarla.

"Mamma… non lasciarmi."

La donna tossì ancora portando la mano libera alla bocca per coprire quella spiacevole vista al suo Steve…

“...per favore.”

Aprì la bocca guardando quegli occhi che erano così simili ai suoi, la gente del villaggio continuava a dirgli che i suoi avevano una leggera sfumatura di verde, una sfumatura che lui non aveva mai visto ma che ora, su quel letto di morte, riscontrava in quelli della madre.

“Sei forte Steve… lascia che sia il tuo cuore buono a guidarti, sempre. Qualsiasi cosa succeda non smettere di essere te stesso. Vattene ora...”

Le sorrise mentre si staccava da quella presa debole, la vide sistemarsi alla meglio su quel capezzale prima di sussurrargli le ultime parole, le ultime che avrebbe speso verso di lui, il suo amato ed unico figlio.

“Vai figlio mio, corri su quella spiaggia che tanto adori e restaci fino al suono delle campane.”

Steve annuì, consapevole del peso di quelle poche parole, avrebbe ubbidito a malincuore a quella richiesta silenziosa di non restare lì, in quella stanza con lei e vederla morire. Avrebbe fatto come gli aveva chiesto, avrebbe corso per lei e avrebbe atteso anche per giorni se quello era il suo ultimo desiderio.

Uscì dalla casa e guardò il medico posandogli delicatamente una mano sulla spalla e sorridergli cercando inutilmente di trattenere quelle lacrime che presuntuose cercavano di sfuggirgli dalle ciglia già umide.

Natasha lo raggiunse con le braccia conserte, cercò di sfiorargli la schiena ma lui semplicemente si voltò, scansando quel leggero tocco ed iniziando a correre…

Corse fino a quando non avvertì i polmoni bruciargli per lo sforzo, fino a quando le gambe tremarono e cedettero su quella spiaggia in cui era come rinato con occhi differenti.

Le sue ginocchia si scontrarono con quella sabbia morbida e i suoi occhi lasciarono cadere tutte quelle lacrime che si erano tenuti per sé, goccia dopo goccia caddero a bagnare quel terreno mentre il suono del mare copriva i suoi singhiozzi.

Si trascinò fino all’acqua, si rialzò e camminò fino a quando l’acqua non gli ricoprì l’intero corpo, era gentile rispetto a quella volta in cui lo aveva ghermito e trascinato in basso, sembrava quasi sfiorare il suo corpo in una sottile carezza materna, quasi che quello fosse lo spirito di sua madre che, in un ultimo e dolce tentativo, lo cullava come quando era solo un infante.

Pianse anche mentre l’aria iniziava a scarseggiare nei suoi polmoni allenati, doveva solo superare la cosa, doveva solo pensare alla sua missione e a quella promessa...

“...ti cercherò fino alla fine dei miei giorni.”

 

……………………………………

 

Camminò su quella spiaggia, al tramonto come era solito fare, mise le mani in tasca e si godette quella pace che, da sempre, sembrava circondarlo solo in quel posto magico.

Si sedette grattandosi il capo con imbarazzo, ridacchiò alzando quello sguardo verso il promontorio da dove era caduto, osservò quella riva che li aveva visti così vicini e così lontani, si ritrovò a parlare senza nemmeno accorgersene, non parlò verso quella creatura ma quella volta si ritrovò a parlare a quel luogo.

“Domani mattina all’alba partiremo, siamo riusciti a sistemare quel relitto di nave e l’abbiamo resa la nostra nuova casa…”

Afferrò un pò di quella sabbia scura tra le mani e la osservò mentre, granello dopo granello, cadeva al suolo riunendosi a quell’immensità nera.

“Mi mancherai spiaggia, questo posto mi mancherà ma sono quasi certo che non ti dimenticherò mai perchè sono nato e rinato qui, con occhi diversi.”

Lì, sulla battigia c’era una conchiglia solitaria, era bianca e affusolata, Steve se la portò alla bocca prima di soffiarci dentro quella stessa promessa che fece al mare per quel giovane tritone, la ripetè un altro paio di volte prima di portarsela al cuore e chiudere gli occhi riposando lì per quell’ultima volta sulla terra ferma.

Era una promessa che, ormai, troppe volte aveva detto al mare ed ora, a distanza di anni, era giunto il momento di partire, di lasciare quell’arcipelago sicuro per affrontare quell’oceano pericoloso.

Se fosse morto in quell’impresa almeno poteva dire di averci provato, aveva tentato, oltre a tutto il resto, di ritrovare quella creatura dagli occhi di ghiaccio.

 

“Ammainate le vele! Si parte.”

Clint, Natasha e Sam lo guardarono orgogliosi di lui, il resto dell’equipaggio gioì festoso ed eccitato per quell’esclamazione.

Erano pirati ma con le migliori intenzioni, avrebbero rubato distruggendo fortezze e navi ricche per portare un pò di giustizia in quel mondo fatto di balordi e di giullari.

Aveva scelto ogni singolo membro dell’equipaggio, li aveva scelti in base al loro modo di pensare, puro e razionale esattamente come il suo ed era certo che non poteva chiedere di meglio!

C’erano tre donne su quella nave ma nessuna sarebbe mai stata vista come un oggetto da usare, c’erano anche due ragazzi che non avevano nemmeno la forza per spostare un baule ma non per questo venivano sfruttati come mozzi… 

Steve si toccò distrattamente il pettorale sinistro, là dove teneva il ritratto che aveva fatto del tritone, l’aveva perfezionato negli anni immaginandolo cresciuto: un ideale, un sogno, un mito, una promessa.

“Sto arrivando.”

Lo sussurrò avvertendo quel lieve rumore di carta vicino al suo petto, non sapeva dire con precisione quanto tempo ci avrebbe impiegato per trovare anche solo qualcuno a cui chiedere ma se lo sentiva sotto pelle che quella era la giusta via da percorrere.

 

[To Be Continued…]

 
   
 
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