Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi
Segui la storia  |       
Autore: AlsoSprachVelociraptor    08/08/2019    1 recensioni
Lloyd Richmond, giovane film-maker dal fisico fragile, la mente contorta, il cappello della Planet Hollywood calato sui suoi cinici occhi azzurro ghiaccio e il fidato coltellaccio appeso alla cinta, è pronto a tutto per diventare il regista che ha sempre sognato di essere.
Anche essere mandato dalla BBC a Ronansay, un'isola sperduta a nord delle fredde coste della Scozia e bagnata del tremendo mare del Nord a indagare su un misterioso hotel che si dice essere infestato dai fantasmi.
All'albergo, tuttavia, Lloyd troverà segreti ben peggiori di uno spirito; scheletri nell'armadio, doppiogiochisti pericolosi, destini segnati nel sangue, porte chiuse a chiave, il mare del Nord affamato che chiederà sempre più sacrifici umani.
E sì, anche un fantasma.
.
.
.
[Storia liberamente tratta alla serie tv "Two Thousand Acres of Sky" della BBC, anche se NON c'è bisogno di conoscere la serie per leggere la storia, dato che ne è solo ispirata. Anzi, se non la conoscete è molto meglio]
Genere: Comico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

https://www.youtube.com/watch?v=2iUfn5vJI7Q 
The North Sea sings "Won't you come to me?"
 


Le casette tutte uguali lo accompagnarono nel suo viaggio verso il porto, dove il suo traghetto lo stava aspettando.

Si era dovuto far aiutare da due o tre marinai che quel giorno stavano ridacchiando nel pub dell’hotel per portare tutte le valigie e gli attrezzi sulla nave, ma ancora Lloyd non era salito. 

Il suo sguardo era verso l’isola.

Era un giorno perfetto. 

Il cielo si stava tingendo di un meraviglioso blu elettrico su un mare nero che risplendeva di verde brillante come un gioiello prezioso, a ogni onda riflettendo una faccia diversa di quel diamante scuro. Tra una casa e l’altra, dove poteva vedere oltre, la sperduta piattezza dell’isoletta non era misurabile. Davanti a Lloyd, un orizzonte verde, di alberi millenari che avevano resistito a ogni incursione naturale e umana e muri antichi che ancora rimanevano in piedi e verde, verde e verde. Dietro di lui, l’infinito orizzonte piatto del mare del Nord, che non poteva vedere come un nemico, qualsiasi cosa dicesse la sua mente. 

Caricò la sua macchina fotografica su un panorama e lentamente, girandosi su sé stesso, scattò una foto che, sarebbe stato sicuro, l’avrebbe fatto piangere un giorno di quelli.

-Richmond!- gridò Alister, il capitano del traghetto, un uomo che aveva superato la cinquantina ma rimaneva fiero e imponente, più coraggioso dei ciuffetti pallidi tra i suoi capelli ramati da tipico scozzese. -Non sali? Stiamo per partire!-

-Sì, un attimo…- borbottò disinteressato Lloyd.

Non sarebbero partiti senza di lui, con tutti i soldi che aveva pagato la BBC per quel viaggio…

In realtà non erano molti, ma per gli standard di quei poveracci non c’era paragone. 

Il mondo sembrava ricoperto da un filtro blu e Lloyd si sentiva bene, e malinconico, un po’ come quel paesaggio.

Non sapeva cosa stava smuovendo nel suo stomaco quel mare, dove la luce non aveva il coraggio di dichiararsi al mare del Nord e rimaneva quieta, nascosta dietro le nuvole come un velo di una sposa o di una vedova.

Arrivederci, Kenny.

Grazie di tutto, Ronansay. Fottiti, Ronansay. Non aveva sentimenti precisi per quell'isola, ma aveva sentimenti e a lui tanto bastava.

Reggendosi alla balaustra in metallo, Lloyd diede le spalle all’isola e si issò a fatica su per le scalette di ferro del traghetto, un Lloyd diverso da quello che era arrivato. 

Da Ronansay alla costa della Scozia del Nord ci sarebbero volute più di cinque ore di navigazione, e poi un’altra mezz’ora per arrivare all'aeroporto che l’avrebbe riportato a Londra e tre ore e mezza per l’aereo verso Heathrow senza contare le ore di cambio tra uno scambio e l’altro, passate in completo silenzio e solitudine. Per qualche motivo, la cosa non gli piaceva. Di solito era felice di starsene per conto suo, ma ora…

Premette la mano sulla maniglia della cameretta che gli avevano affibbiato per il viaggio. Avrebbe dormito, magari. 

Forse avrebbe sofferto meno.

Ma dentro la stanza c'era qualcuno, e delle voci imbecilli che venivano da lì dentro lo provavano.

Un mormorio più forte degli altri.

-Shh, vuoi farci scoprire?-

-Non ho fatto niente!

-Non tu, lui!-

Lloyd era diverso ma non uno del tutto dissimile dal suo io passato. Il suo coltellaccio era ancora nella tasca della sua tuta. Con una mano sull'elsa e una sulla maniglia, entrò cautamente nella stanza buia.

Accese la luce e sfoderò il coltello e tre voci diverse intonarono un “NO!” pieno della medesima disperazione.

Un testone biondo spuntò da dietro il letto, lunghi capelli castano scuro dondolarono da dietro l'armadio e una lunga treccia rossa sbucava da quello che a prima vista sembrava una sedia piena di vestiti sporchi.

-Alfie, Charley, Jo, cazzo ci fate qui?!- sbraitò Lloyd, fuori di sé.

Il cumulo di vestiti sul letto che sarebbe dovuto essere Jo si mosse sgraziatamente, e il volto accaldato e arrossato della ragazza più giovane era a malapena visibile sotto i troppi strati di maglioni, giacche e giacconi che portava. La sua voce era ovattata e più bassa e incomprensibile del solito. -Noi… volevamo…-

Lloyd si accorse di aver ancora il coltello in pugno dallo strano silenzio degli altri due ragazzi. Raccogliendo il fodero e facendo slalom tra una valigia e uno scatolone, si sedette sul letto al fianco di Jo.

Lei sorrise appena sotto la sciarpa attorno al suo viso, e rispose Alfred per lei, buttandosi a capofitto sul letto che sarebbe dovuto essere matrimoniale ma sembrava di tutt'altra dimensione. -Non poteva uscire dall'ospedale ancora, aveva da fare altri accertamenti, ma…- Appoggiò una mano pesante sulla testa della sorella minore e le aggiustò il paio di cuffie che le avevano messo in testa. 

-E siamo riusciti a scappare dalla mamma- provò a parlare Jo, anche se Alfred subito le serrò la bocca con una sciarpa. -No scema, ci ha lasciati andare. Da lei non saremmo scappati, lo sai. Mamma ha anche cacciato Rob, ci ha voluto fare una possibilità..-

-Non è quello- lo fermò Lloyd, prendendo il  lungo treccione rosso di Jo tra le mani e strattonandolo. La ragazza si lasciò scappare un gridolino e cercò di tirargli un debole schiaffo, mancandolo e non di poco. 

Amava stuzzicarla. -Non mi interessa di Abby. Ma voi? Dove state andando?-

-Ti seguiamo a Londra.- rispose Charley, più sicura del solito. Aveva ancora un occhio nero, malamente coperto dal fondotinta. 

Jo si abbassò appena una delle sciarpe dalle labbra. -Papà mi ha promesso che avrei visto Londra se non fossi annegata, e io sono qui ora, io devo… no, noi dobbiamo venire con te!-

Il mondo cadde addosso a Lloyd.

Faranno la fine di Lucy.

-No, non potete venire con me- sbottò il ragazzo moro, alzandosi in piedi. Charley si era appena seduta al suo fianco quando lui schizzò in piedi, lasciando tutti e tre straniti. Jo confusa e gli altri due semplicemente delusi. -Non sono la persona che voi credete io sia.-

-Ma hai detto a Kenny le nostre scuse!- sbraitò Alfie. -Mi hai protetta da nostro padre- continuò Charley. Jo non parlò, perchè quello che Lloyd aveva fatto per lei era tutto il fulcro della questione, dello stacco, del cambiamento. Non sapevano tutta la storia gli altri due, però. 

-Non posso. E basta parlare, io…-

Kenny era così fiero dei suoi cambiamenti, dei suoi miglioramenti, e sarebbe ancora sprofondato in quella sete di rabbia e violenza che non sembrava mai placarsi nel suo cuore e nei suoi muscoli. Non voleva farsi odiare da Kenny...

Charley si alzò sulle gambe ancora traballanti. Quella giornata, quella che cambiò tutto a Ronansay, Robert le aveva tirato un calcio così forte da slogarle la rotula. Era stata anche lei in ospedale per una giornata assieme alla sorella minore.

Riuscì comunque ad avvicinarsi a Lloyd e ad abbracciarlo, e il ragazzo rimase immobile mentre Charlotte affondava la fronte nell’incavo del suo collo, dove arrivava. Non era particolarmente alta.

-Ti giuro che non graveremo su di te, non ti daremo fastidio… Troveremo un lavoro io e Alfie e una casa e Jo starà con noi. Vogliamo solo il tuo sostegno…-

Charley era più vecchia di Lloyd, e Alfie anche più di lei. Eppure contavano su di lui.

Nemmeno Lloyd contava su sé stesso.

-Non voglio tornare in quella casa, ti prego, abbiamo solo te…-

Charley stava piangendo contro di lui. 

Cosa doveva fare in questo caso?

Cosa avrebbe fatto Kenny? Quale comportamento avrebbe reso Kenny fiero di lui?

Rigidamente, cercò di abbracciare la ragazza a sua volta. -Io voglio sostenervi- disse con un suo solito tono freddo. No, non andava bene. Cercò di modulare la voce, rendere il tono almeno un po’ simile a quello gentile che aveva Kenneth. -Io vi sosterrò.- ripeté con più sicurezza nella voce. -...e vi proteggerò.-

Poteva sentire il sorriso di Kenny, se fosse stato lì avrebbe sorriso con così tanta gioia che la stanza si sarebbe illuminata.

Charley continuò a piangere, questa volta supponeva per gioia. Alfie si alzò a sua volta e abbracciò entrambi, in una morsa decisamente dolorosa.

Dopo un po’ di tempo, quanto le serviva per alzarsi in piedi con quei chili di indumenti addosso, li raggiunse Jo, avvolgendoli con le sue lunghe braccia e sovrastando tutti e tre in un abbraccio che Lloyd non era sicuro di volere. O forse sì? 

No, probabilmente no.

Si divelse da quelle strette e con qualche scusa uscì di nuovo sul ponte del traghetto, deserto.

La solitudine… 

Ne aveva avuta così poca a Ronansay, e ora sembrava quasi un bene prezioso più che una condizione a cui abituarsi, com’era stato per tutta la sua vita.

Solo il rumore dei suoi passi e l’infrangersi delle onde del mare del Nord sulla nave riempivano quel silenzio.

Lloyd si appoggiò al parapetto e rimase a guardare il paesaggio.

Non c’era nulla.

La costa di Ronansay era ormai un miraggio grigio sul mare verde scuro, freddo e lucente. L’altra costa non si poteva vedere, era troppo lontana ancora e troppe ore lo dividevano da casa.

Ma cos’era casa, ora?

Cos’era casa se non il sorriso di Kenny, quella cameretta freda ma ospitale, Jo che gli cambiava gli asciugamani e il perenne rumore della suoneria dei messaggi di Charley e la risata sguaiata di Alfie e…

Kenny, il suo pensiero tornava sempre a lui.

Socchiuse gli occhi nel vento del mare, gelido come uno schiaffo. E come uno schiaffo il vento lo colpì in viso, facendo volare in aria il suo cappello e Lloyd, come in trance, rimase fissarlo volare nel cielo come un albatross migrante che andava in contro al suo destino. 

Si adagiò sul mare del Nord e quel dio crudele prese anche quello.

Lloyd sentì gli occhi bruciare, pizzicare, e finalmente le lacrime uscirono dai suoi occhi. Il suo cappello, il suo Kenneth, la sua vita e la sua gioia.

Perchè non poteva avere niente, nella vita?

Perchè era cattivo, perchè non poteva essere come tutti?

Un singhiozzo scappò dalle sue labbra strette in una smorfia, e poi un altro e un altro ancora. Non riusciva più a trattenersi, si sentiva vuoto e senza uno scopo. Non sapeva che farsene dei tre ragazzi che l’avevano seguito, non sapeva che farsene della sua carriera e dei brutti istinti e pensieri che abitavano la sua mente.

Appoggiò la fronte al parapetto e continuò a piangere come un bambino, picchiando i pugni sul metallo della balaustra e sbattendo i piedi sul pavimento di legno. Da bambino non aveva mai pianto, e piangeva ora, a ventitré anni.

Ridicolo, patetico, razza di…

Una mano gelida si posò sulla sua nuca, stringendo con delicatezza ma con mano sicura.

Lloyd non aveva nemmeno più le forze per contrastarlo. Un marinaio idiota? Uno stupido scherzo di Alfie?

-Alfie, cazzo, te l’ho detto, non sono in vena di…-

-Mi ricorda qualcosa, questo discorso.-

Una cosa scura calò sui suoi occhi. Un cappello. Un cappello? No! Il suo cappello, della Planet Hollywood di Cannes, vecchio e sporco ma pieno di ricordi e… 

Il suo cappello, quello caduto in mare?

Le mani di Kenny sulle sue spalle erano forti e delicate allo stesso tempo, e la sua figura era sfocata.

Passò un pollice sotto l’occhio di Lloyd e lui istintivamente chiuse le palpebre, come un bambino dopo aver fatto i capricci.

Pulì le sue lacrime e Kenneth ritornò splendente e visibile e bellissimo. Ma gli occhi di Lloyd avevano deciso di non smettere di piangere, e sentì un altro singhiozzo salirgli in gola.

Era lì… Kenny era lì. Era lì con lui. Cosa doveva fare? Come doveva sentirsi?

Non fece semplicemente nulla. Strinse il bordo della sua maglia e rimase a testa bassa, respirando rumorosamente e tirando su col naso. 

Fortunatamente per Lloyd, Kenny esisteva, e sapeva bene come esistere. Una sua mano gentile si spinse sotto la zazzera corvina di Lloyd, alzandogli la testa.

Si abbassò tanto bastava per premere le sue labbra alle sue, sempre gelide e sempre morbide, in un bacio che Kenneth aspettava da troppo, e Lloyd…

Beh… Non era mai stato un tipo da baci e romanticismo, ma con Kenny nulla era comune.

In primis perchè era un fantasma.

-Anche io- sussurrò contro le sue labbra, mentre Lloyd cercava di riprendere fiato da quel bacio inaspettato, voluto e quasi disperato. -Eh?-

Il sorriso di Kenny non lasciava nessun dubbio, e il più giovane sentì un brivido lungo la spina dorsale, sotto la mano di Kenny che ancora accarezzava la sua nuca. 

-Ti ho sentito, ieri.-

Oh.

Il mare.

Lloyd impallidì, poi arrossì, poi si sentì gelare e bollire e poi entrambi tutti assieme perchè Kenny aveva sentito tutta la sua confessione. L’aveva sentita!

Lloyd non rispose e Kenneth rise ancora con quella risata cristallina come le onde che il giorno prima l’avevano colpito, accolto e cullato nelle sue parole così troppo genuine. -Voglio venire a Londra con te, vivere con te e…-

-Sì, ho capito- lo interruppe il ragazzo, finalmente risvegliato. Il fantasma sulle prime rimase stupito dalla sua ripresa, ma poi le sue spalle si rilassarono, il sorriso tornò sul suo bel viso e le sue mani si intrecciarono dietro alla sua nuca. -Mi sei mancato, sai?-

Lo stava prendendo in giro? Non importava. Lui poteva.

Appoggiò le mani sui suoi fianchi e si appoggiò al suo petto, e Kenneth fece lo stesso con lui, l’uno contro l’altro, in silenzio e sorridenti. La testa di Lloyd era appoggiata al suo corpo, e anche se non sentiva il suo respiro e il suo cuore non batteva, era più vivo che mai, con le sue mani gentili e amorevoli sulla sua schiena e sulla sua nuca e i suoi muscoli gentili e rilassati contro il corpo magro di Lloyd…

Un cigolio, la porta che si apriva, e un gridolino di gioia.

-Papà!- gridò Jo, cercando di avanzare senza poter però piegare le ginocchia.

Lloyd decise di staccarsi da Kenny perchè l’uomo non apparteneva solo a lui, e questo era arrivato lentamente ad accettarlo e ad amarlo.

Perchè lui amava Kenneth.

La ragazza si lanciò tra le braccia del padre, e lui, come se non fosse una diciottenne di un metro e ottanta e più novanta chili di peso più chissà quanti strati di vestiti la sollevò come un fuscello e la abbracciò con forza, dondolandola tra le sue forti braccia, mai aggressive, sempre gentili. -Verrai a Londra con me? Vedremo Londra assieme?- continuò, ancora meno comprensibile di prima. Lei stava già piagnucolando, ma come poteva darle torto? Anche gli occhi di Lloyd erano lucidi. Kenny annuì.

-Come hai fatto?-

-Le cose sono più difficili di quanto quel libro racconti- rispose con una semplicità disarmante l’uomo dai capelli rossi scuro, riappoggiando la ragazza sul pavimento. Sia Lloyd che Jo si erano messi a fissarlo, in cerca di risposte. Non avrà creduto che quella risposta sarebbe servita a placare le loro domande… e invece così sembrava, perchè i suoi occhi si dilatarono e boccheggiò per qualche istante.

-Io… ehm…- iniziò, con insicurezza. Nemmeno lui lo sapeva bene. -Non credo c’entri col mio cranio o con la mia non-cremazione. C’entra col mare. Il mare mi voleva, il mare voleva Jo… ma ora che ha preso tutto il mio corpo, credo si sia sfamato. Non ha più fame. Credo sia soddisfatto, e… ora sono qui. Mi ha permesso di venire con voi.-

-Niente sonno eterno per la tua anima?- Continuò Jo, superando in velocità Lloyd. Kenny alzò le spalle, cercando di sorridere. Ora come ora c’era tanta rassegnazione sul suo viso gentile. -Non sono così fortunato da averlo. Dovrò ronzarvi attorno per un altro po’, se non vi dispiace.-

A Lloyd non dispiaceva affatto.

Lo sguardo di Kenny vagò lontano, oltre Jo. Dietro di lei, precisamente.

Charley e Alfie erano aggrappati alla porta che portava sul ponte del traghetto come se fosse uno scudo contro un drago, ma il drago gentile dagli occhi color mare li accolse a braccia aperte invece di sputare loro fuoco addosso.
E le sue fiamme erano blu e non facevano nemmeno caldo quando le si toccavano. Sembravano più timidi spifferi di aria fredda da una finestra malandata.

Il primo a buttarsi fu Alfie, che non aveva mai passato del tutto il lutto. Si fiondò tra le sue braccia come il bambino di tredici anni che era stato all’epoca della morte di Kenneth, e lui lo abbracciò senza segni di vergogna per l’età, perchè non c’è nessuna vergogna nel lutto di una persona vicina. Rimase pazientemente ad aspettare che Charley si facesse avanti, ma per lei era abituato ad aspettare.

Le ci volle un po’ ad avvicinarsi ma quando prese coraggio, forza e abbastanza lacrime, si buttò come un treno in corsa verso Kenny.

-Dunque ora lo vedete?- chiese Lloyd. -Com’è possibile?-

-Credo… credo c’entri con Jo. Ora che il mio corpo è completo io sono completo e… c’entra qualcosa con l’avere cambiato idea, modo di vedere le cose e…-

Che spiegazione confusa. 

Lloyd lo interruppe sventolando una mano, stanco di sentire quelle pause e quelle parole incerte. -Alcune cose devono rimanere un mistero, ora taci e goditi il momento.-

Alfie e Kenny annuirono, Charlotte era ancora persa nel suo pianto, mentre Jo rimase pensierosa. Lloyd le tirò una gomitata, ma probabilmente non sentì niente sotto i quattro maglioni e i due giacconi che portava. -E tu piantala di fare stronzate.-

-Io?-

-Chi ha rubato un libro di magia strana e ha portato un teschio in mezzo al mare?-

Charley ancora piangeva contro il petto di Kenny mentre cercava di consolarla, ma nessuno sapeva se le sue lacrime erano di gioia o di tristezza. Probabilmente un brutto mix che lei si era portata dentro per troppi, troppi anni.

-Perdonatemi- sussurrò Kenneth, più scuro in volto. Lloyd non sopportava di vedere quel buio nei suoi occhi color mare, quel dolore nel suo sguardo che non ne meritava altro… -Ho invitato io Robert a Ronansay. Vi ho condannati io a quel destino, e io vi ho lasciati da soli.-

-Cosa?- quasi gridò Alfie, con Jo che cercava di fargli abbassare il tono di voce. Era meglio non attirare l’attenzione, non in compagnia di un fantasma imbarcato senza biglietto. O di un fantasma in generale.

-Tu, scusarti?- rispose Charley, quasi con rabbia, aggrappandosi e tirando con forza la maglia di Kenneth. -Tu ci hai voluto sempre bene! Tu sei stato l’unico padre che io e Alfie abbiamo mai avuto! Ci hai sempre aiutato e sostenuti e… io sapevo che non ci avevi abbandonato!-

Questa volta, il fantasma non ebbe risposta. Abbassò la testa e abbozzò un mezzo sorriso, gli occhi lucidi e bagnati e ancora più adatti a quel colore marino delle sue iridi.

-L’importante- disse Kenneth, con un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire da tutti e quattro i ragazzi, ma non troppo da passare oltre le porte e farsi udire dal personale del traghetto, ora più convinto, più vivo, -è che siamo tutti qui. Assieme. Per ricominciare da capo una vita nuova come una famiglia unita e felice. Abbiamo tutti una seconda possibilità.-

Lloyd si strinse il proprio cappello al petto mentre Alfie e Jo annuivano felici, e Charlotte si riprendeva dal suo pianto esagerato. Le sue guance erano colanti di trucco, e Kenny stava cercando di pulirle il viso con pazienza.

Il ragazzo moro rimase a osservarli con curiosità e una nuova consapevolezza in corpo, di appartenere a qualcosa, e di avere una nuova possibilità nella sua vita.

Sarebbe stato una persona migliore, non avrebbe più fatto soffrire nessuno, e avrebbe aiutato Charley e Alfie e Jo.

Si sarebbe scusato con Lucy.

Avrebbe montato un bel film e Dennis sarebbe stato felice, fiero di lui.

Con al suo fianco Kenneth, Lloyd avrebbe potuto migliorare, imparare, essere un regista e una persona migliore. Con Charley e Alfie e Jo sarebbe potuto essere più sicuro, felice.

Sì, ora Lloyd ne era sicuro.

Ce l’avrebbe fatta, ce l’avrebbero fatta tutti loro, tutti assieme.





 

È finito. 

Sono a metà tra l’orgogliosa e il triste, devo ammetterlo. Non credevo che la fine di una storia scritta e pubblicata da me mi avrebbe ferita così tanto! 

È come se un periodo della mia vita fosse finito, finalmente e tristemente. 

Un ringraziamento speciale va ovviamente a tutti voi, che avete letto e commentato e mi avete sostenuta così tanto, e senza di voi non ci sarebbe davvero nessun Hotel Infestato. Una storia esiste quando viene letta, raccontata e amata, e voi l’avete fatta esistere.

Spero il finale non vi abbia lasciato l’amaro in bocca. Ho la fama di essere abbastanza crudele nelle mie storie, ma ahimé, amo i lieto fine. 

È stato un bel viaggio, in bella compagnia. Piccola, ma splendida: pochi ma buoni!

Magari ci rivedremo sotto qualche altra mia o vostra storia in futuro. Nella vita si viaggia sempre, ed esistono tante strade in questo mondo.

Grazie di tutti e ricordatevi, ora che è estate e si va in vacanza, di stare attenti al mare!

 

-MoS

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi / Vai alla pagina dell'autore: AlsoSprachVelociraptor