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Autore: koan_abyss    08/08/2019    2 recensioni
Tom Ludlow, investigatore privato, tende a gettarsi nei suoi casi con tutto se stesso, e quando Maria Butler lo assume per ritrovare il padre scomparso, si sente immediatamente legato alla vicenda. Ma sembra che ci siano anche altri interessi in gioco e Tom si ritrova presto avvolto in più trame e strattonato in più direzioni.
Genere: Angst, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIII Capitolo


Non solo gli avevano dato del ghiaccio da mettere sul naso, ma l’efficiente dottore e la sua nerboruta infermiera avevano insistito per ridurgli la frattura.
Tom chiamò la stazione di polizia con due tamponi di cotone idrofilo infilati nelle narici e una borsa del ghiaccio in mano, in attesa che l’infermiera preparasse le stecche e il cerotto per tenerle in posizione.
‘Dio, che male…’ piagnucolò tra sé e sé.
Non ricordava che fosse così doloroso.
Chiese del tenente Kuntz, sperando che non gli rispondessero che se n’era andato a dormire. In quel caso, Tom sarebbe andato a svegliarlo a revolverate.
Ma Kuntz c’era.
Dopo essere tornato al lavoro dopo il loro incontro non aveva più lasciato la stazione di polizia, probabilmente per scoprire il più in fretta possibile quali dei suoi uomini erano sul libro paga di Collins.
Tom si interrogò oziosamente sui suoi mezzi, mentre aspettava che l’agente al centralino passasse la chiamata all’ufficio di Kuntz.
“Non mi aspettavo notizie così presto, Ludlow. Sono colpito,” gli disse Kuntz con sarcasmo, quando finalmente si mise in comunicazione.
L’infermiera fece cenno a Tom che la medicazione era pronta per essere applicata, sottintendendo che doveva farsi una mossa. Avevano vite da salvare, loro.
Tom rabbrividì al pensiero delle stecche sul suo povero naso.
“Ho ben altro che notizie. Ho tutto il pacchetto. Vuoi sapere dove?” rispose a Kuntz. Non poteva sapere chi stava ascoltando, perciò si mantenne sul vago.
Kuntz si fece immediatamente serio.
“Dove sei?” chiese in fretta.
“Io sono in uno studio medico a farmi rimettere in sesto. Quello che cercavamo è in un magazzino nella zona ovest.”
“Vengo subito. Posso portare…vediamo, sei o sette uomini, così, all’improvviso. Servono ambulanze?”
“Direi un paio. Ma dì agli autisti di essere discreti,” rispose Tom.
Non c’era nessun bisogno che accorressero a sirene spiegate. Nessuno degli uomini nel magazzino ne avrebbe tratto alcun beneficio.
Kuntz rispose che aveva capito.
Tom gli diede l’indirizzo esatto e fece per chiudere la comunicazione.
“Fatti trovare lì,” gli ordinò Kuntz, in tono perentorio. “Dobbiamo ricostruire la dinamica dell’azione.”
“Dove pensavi che me ne andassi? A caccia di farfalle? Ho fatto anch’io l’accademia di polizia, almeno a grandi linee so come funziona il gioco.”
Kuntz grugnì qualcosa in risposta e attaccò.
Tom si fece steccare il naso, dando pessima prova di sé.
“Sembra di sentire un gatto che piange!” sbuffò l’infermiera, per niente impietosita dal suo dolore.
Nemmeno un po’ partecipe.

Tom lasciò lo studio medico e si affrettò al magazzino.
Kuntz aveva intenzione di ricostruire la dinamica della sparatoria, ma non sarebbe certo stato facile, in quel labirinto infernale, pieno di anfratti e metallo su cui i proiettili avevano potuto rimbalzare decine di volte.
L’unica ragione per cui nessuno era stato ferito da un rimbalzo doveva essere la scarsa forza di penetrazione dei calibri 45, e la loro gittata relativamente modesta.
Inoltre, tutti avevano usato lo stesso modello di pistola e le stesse munizioni.
Le analisi balistiche sarebbero state un vero incubo.
Quando Tom arrivò al magazzino individuò tre macchine della polizia, parcheggiate in disparte e con i lampeggianti spenti. Le ambulanze non dovevano essere ancora arrivate. Un paio di agenti stazionavano davanti alle saracinesche, tutt’ora abbassate.
Tom si diresse verso di loro e mostrò il tesserino: “Vi ho chiamati io. Il tenente Kuntz mi sta aspettando”
Uno dei due uomini lo scortò fino alla porta da cui era entrato in precedenza. All’interno, diversi poliziotti stavano frugando il pavimento in cerca di bossoli, altri stavano compilando rapporti accanto ai cadaveri degli uomini che Tom aveva ucciso. Non era un bello spettacolo. Il corpo di Smitty soprattutto.
La sua vista fece fare una capriola allo stomaco di Tom, che dovette stringere i denti per continuare ad avanzare verso Kuntz, impalato in mezzo alla zona di carico, con gli occhi puntati fissi sull’investigatore.
“Ti hanno rovinato quella tua bella faccia?” lo apostrofò il tenente, dando un’occhiata al suo naso.
Tom sapeva di avere anche la camicia coperta di sangue secco e un paio di escoriazioni su fronte e tempia.
“Davvero mi trovi bello?” domandò con finta allegria.
Kuntz scosse la testa, a indicare che ormai era un caso disperato.
“Che cazzo di casino hai combinato, Ludlow. Ma che è successo?”
Tom prese una sigaretta e se la infilò con cautela tra le labbra: “Ho fatto quello che mi hai chiesto,” cominciò, parlando lentamente.
Uno degli uomini di Kuntz ˗erano tutti agenti semplici, tranne il sergente Bayles, che Tom notò solo in quel momento˗ stava coprendo il corpo del tipo che James aveva preso per il collo.
“Ho cercato un posto dove si potessero nascondere quelle armi,” continuò Tom. “Ho fatto una lista di posti e ne ho controllato qualcuno, stasera. Dopo qualche tentativo a vuoto, ho trovato questo magazzino e visto che c’era del movimento ho pensato di dare un’occhiata da vicino. Tombola, c’erano due uomini che stavano caricando quel camion e due che li tenevano d’occhio. Volevo uscire e andare a cercare un telefono per chiamarti, quando uno dei due tipi più eleganti ha fatto il nome di Butler. Mi sono avvicinato per sentire cosa dicevano. L’hanno fatto uccidere perché aveva la bocca troppo larga, secondo loro. Temevano che gli scappasse qualche parola di troppo con la persona sbagliata.”
Kuntz annuì: “E ti hanno visto?”
Tom soffiò un po’ di fumo: “Sì. Avevo estratto la pistola, per sicurezza, e quando quel tipo lì, il piccoletto,” indicò il corpo appena nascosto da un telo bianco, “mi ha visto ha lanciato un grido. Gli altri si sono messi al riparo, lui è rimasto fermo e mi ha sparato contro. Ho risposto.”
Kuntz gli chiese in che punto era nascosto e Tom glielo mostrò. Poi raccontò il resto della sparatoria come si era svolta, fino ad arrivare alla colluttazione con Smitty. “Abbiamo lottato per prendere la sua arma. Ho pensato che non ci sarei riuscito,” disse Tom. Inclinò la testa da un lato per far ammirare a Kuntz i segni del calcio della colt. “Ma alla fine mi sono ritrovato con la pistola in mano e l’ho colpito al petto.”
Kuntz annuì di nuovo e si avvicinò al cadavere di Smitty, inginocchiandosi a terra. Studiò il foro d’entrata della pallottola.
“Hai detto che stavate lottando. Eravate a terra?” chiese.
Tom si irrigidì un istante.
“No,” rispose dopo una leggera esitazione. “Ho preso l’arma e mi sono alzato in piedi. Lui è indietreggiato. Era in piedi davanti a me, a un metro, un metro e mezzo.”
Kuntz osservò ancora il corpo, poi gli schizzi di sangue.
“Va bene,” disse infine, alzandosi. “Mi sembra tutto normale. Mi servirà la tua pistola.”
“Cosa? Vuoi mandarmi in giro disarmato?” fece Tom.
“Perché? Hai in mente di andare a ficcarti in qualche altra sparatoria, per stasera?” lo rimbeccò l’altro. Fece cenno a un agente. “Su, da bravo, consegna la pistola all’agente Morris.”
Tom, rassegnato, lasciò cadere la pistola nel sacchetto che l’agente teneva aperto di fronte a lui, per non mischiare le proprie impronte a quelle già sull’impugnatura dell’arma.
“Posso andare?” chiese Tom.
Kuntz non gli rispose, gli occhi che vagavano per il magazzino.
“È un bel colpo, no?” fece Tom, evitando di fissare gli uomini a terra. “Hai recuperato le armi, diversi delinquenti sono stati tolti di mezzo…direi che la nomina a capitano è piuttosto probabile, no?”
“Peccato non avere la possibilità di interrogare nessuno di questi uomini. Uno di loro avrebbe potuto fare il nome di Collins: lo avremmo collegato a questo casino e lo avremmo tolto dalla circolazione una volta per tutte. Ma tu hai il grilletto facile,” gli rispose Kuntz.
“Direi piuttosto che ho un innato senso di autoconservazione. Mi avrebbero fatto fuori. È stata legittima difesa!” replicò Tom, con la mascella contratta. “Inoltre,” continuò, sforzandosi di usare un tono leggero, “non è detto che la proprietà del magazzino non si possa far risalire a Collins stesso, se ci fosse un collegamento tra il gangster e il proprietario.”
“il magazzino appartiene quasi certamente a un prestanome,” concordò Kuntz.
Tom continuò: “Per quanto riguarda gli uomini di Collins…tutti i presenti erano armati con le armi rubate. Forse tutta la banda lo è.” Smitty aveva esplicitamente detto che tutti si erano armati con le armi di Encino, già dall’assassinio di Andy Butler. “Quindi, se arresti qualcuno, con una scusa, magari, e gli trovi addosso una colt M1911…”
“Posso incriminarlo per complicità nell’assalto del convoglio militare, nella ricettazione delle armi trafugate e nell’omicidio di Butler. Non insegnarmi il mio mestiere, Ludlow,” riepilogò Kuntz.
Tom alzò le spalle.
“Volevo essere d’aiuto.” Rifletté un istante, prima di domandare: “Sai dove potresti pescare Collins?”
Kuntz diede un paio di indicazioni ai suoi uomini, prima di rispondere: “Sì, conosciamo un paio di nascondigli abituali. Ma non abbiamo la certezza di trovarci Collins. È un tipo furbo, si sposta in continuazione. Se ci presentassimo ad armi spianate a suonargli alla porta e lui non fosse in casa ci saremmo giocati la possibilità di prenderlo di sorpresa. Cambierebbe giro, cambierebbe aria, come ha fatto con i depositi che usava prima qualcuno dei miei fosse così gentile da avvertirlo che ci erano noti.”
Tom alzò gli occhi, studiando il soffitto mentre fingeva di riflettere. Finì la sigaretta, la gettò a terra e la spense con il tacco. Quando riportò lo sguardo su Kuntz, l’uomo lo stava fissando a sua volta.
“E se…andassi a dare un’occhiata io, per appurare se Collins è in casa?” disse.
Kuntz rispose parlando lentamente, con apparente riluttanza: “Se lo facessi, ho paura che ti dovrei davvero un grande favore.”
“Oltre a quello che mi devi per aver trovato questo posto.”
“Meno quello che ti sei giocato per non essere riuscito a farmeli prendere vivi.”
Tom sbuffò, con indignazione: “Ma va a cagare.”
Kuntz ghignò.
“E comunque, dove pensi di andare a cercarlo, Collins?” domandò, accendendo a sua volta un sigaro.
“Ho le mie fonti. Voi dove lo cerchereste?”
“Il nostro amico ha un paio di club, in città. Chissà perché i delinquenti si trovano tanto a loro agio in mezzo ai festaioli,” si domandò il tenente.
“Beh, anche loro lavorano sodo e si divertono sodo, credo. C’è altro?”
Kuntz fece cenno di sì: “Collins non è propriamente in ristrettezze economiche. Ha un paio di case, anzi direi delle ville, che un uomo onesto come me potrebbe solo sognare.”
‘Onesto e sensibile…’ commentò acidamente Tom con se stesso.
Stava diventando più maturo, se riusciva a tenersi certe sciocchezze per sé.
“Entrambe le ville sono abitate, c’è sempre un gran via vai di gente: scagnozzi, guardie del corpo, donne, anche persone del bel mondo: se hanno i soldi, sono tutti nella stessa barca. Comunque, in tutto questa confusione, sapere dov’è Collins è difficile,” concluse Kuntz.
“Dammi gli indirizzi. Controllerò stanotte stessa,” disse Tom.
“Stanotte? C’è qualche motivo per avere tanta fretta?”
“Stai scherzando? Questi tirapiedi stavano spostando parte delle armi. Probabilmente dovevano consegnarle a qualcuno che non le ha ricevute. Quanto credi che ci metterà Collins a venirlo a sapere?”
Kuntz gli si fece più vicino: “Lo so perfettamente, principessa. Intendevo dire se tu hai qualche motivo particolare per avere fretta di scoprire dove sta quel gangster.”
Lo fissò con sguardo penetrante. Aveva fiutato qualcosa.
“Certo che ho un motivo. Sono stato assunto, e non da te per primo, se ben ricordi,” gli rispose Tom.
Kuntz era convinto che lui lavorasse per i militari di Encino? Be’, che lo credesse anche quando faceva più comodo a Tom.
“Tra l’altro,” continuò, “mi farebbe piacere avere una copia dei rapporti di stanotte, il prima possibile.”
“Perché?” chiese Kuntz, indispettito dalla sua riposta elusiva.
“Per amor di completezza. Sai, mi piace avere i miei dossier sempre in ordine.”
“Voi checche, sempre fissate con l’ordine. È per i militari sì o no?” esplose Kuntz.
“Ma certo che è per i militari!” rispose Tom, alzando gli occhi al cielo. “Se proprio vuoi saperlo, domani in tarda mattinata si riunisce una commissione di inchiesta sull’incidente. In attesa della tua comunicazione ufficiale alla base di Encino sul ritrovamento delle armi, pensavo di presentare i miei rapporti e rendere conto di quello che ho scoperto.”
Kuntz si arrese: “E va bene, avrai i dannati rapporti. Vedrò di farteli consegnare in tempo da un uomo di fiducia al tuo ufficio, o in quel locale dove praticamente vivi.”
“Mi pedini, Abel?”
“Ma fatti furbo. Prima di venire da te mi sono guardato attorno, ovviamente. Andrai a cercare di individuare Collins?”
Tom annuì: “Lo farò. Mi farebbe comodo un’arma, visto che hai sequestrato la mia.”
“Scordatelo,” lo gelò Kuntz.
“Cosa?!”
“Io ti ho chiesto un pedinamento. Non ti serve nessuna arma.”
“Ma è per precauzione!”
“Forse, ma se tu andassi a farti ammazzare con una pistola fornita dalla polizia statale io passerei un’infinità di guai. Limitati ad osservare: chissà che il fatto di essere disarmato non ti insegni ad usare un po’ di prudenza. Almeno un po’ di più di quella che hai usato qui. E comunque, scommetterei che tieni un’altra pistola nascosta nella giarrettiera.”
Kuntz dichiarò chiusa la discussione voltandogli le spalle e tornando a dirigere l’azione dei suoi uomini sulla scena del crimine. Se c’era una cosa buona, di Abel Kuntz, era che non ti lasciava mai il dubbio di dover aggiungere qualcosa.
Quando vide le saracinesche alzarsi per permettere alle ambulanze di avvicinarsi e portare via i corpi, Tom si decise ad andare. Uscì dalla porta secondaria che ormai gli era ben nota, superando un poliziotto messo a sorvegliarla. Una volta fuori si incamminò verso la sua vecchia Olds.
Cominciava ad essere parecchio tardi. Così aumentavano le possibilità di sorprendere Collins nel sonno, ma doveva sbrigarsi per riuscire a far tutto.
Giunto alla macchina salì, e subito cercò nel vano portaoggetti nascosto la sua arma di riserva. Era una piccola beretta da usare in caso di emergenza. Un’abitudine che gli aveva dato Butch.
“La macchina è un rifugio di sicurezza: se la raggiungi, puoi filare via o difenderti, a seconda di cosa richiede la situazione. Ma bisogna essere sempre pronti,” gli diceva a volte.
Saggie parole. Tom sorrise al pensiero, infilando la beretta nella fondina sotto al suo soprabito.
Si toccò con cautela il naso, come per controllare che gli facesse ancora male (sì, eccome, se faceva ancora male), gemette sonoramente e infine mise in moto, diretto al club ‘Lions’.

Non è che avesse un piano preciso, a differenza di quello che aveva detto a James.
E non moriva neppure dalla voglia di precipitarsi nella tana del drago nel tentativo di far secchi tutti quanti prima che facessero secco lui. Non a così poca distanza dall’avventura nel magazzino. Inoltre, la cosa probabilmente gli avrebbe procurato un sacco di casini con Kuntz.
Raggiunse subito il ‘Lions’ club, ignorando gli altri indirizzi che il tenete gli aveva fornito: l’uomo a cui aveva permesso di scappare aveva detto che avevano appuntamento con Collins al ‘Lions’ per riferire delle attività della nottata.
Tom fu colto dal pensiero improvviso che quel tipo avrebbe anche potuto essersi precipitato al club e aver avvertito Collins e tutti i suoi guardaspalle di quello che era successo, e che un investigatore aveva chiesto proprio del suo nascondiglio per quella notte.
Ma no, non era probabile: tanto per cominciare, l’uomo avrebbe dovuto ammettere di essere stato lui a permettere a Tom di entrare nel magazzino e di avergli dato l’indirizzo preciso a cui trovare Collins. Tanto valeva spararsi un colpo in bocca. Era molto più ragionevole pensare che fosse fuggito e si fosse tolto dalla circolazione per un po’.
Tom parcheggiò in una via deserta a quell’ora di notte, a poca distanza dal retro del club, dopo aver fatto un giro dell’isolato per studiare l’edificio. Stando alle sue informazioni, c’era un’entrata autonoma per l’appartamento dietro il locale. Da quello che aveva visto, riteneva che potesse trattarsi di una porticina in metallo in cima a tre gradini di cemento.
Non c’era nessuno a guardia della porta, ma la recente esperienza gli aveva insegnato che non vedere nessuno fuori non significava che non ci fosse nessuno dietro la porta, all’interno dell’edificio. Preferiva non entrare da lì.
Scese dalla macchina e si diresse verso la porta, camminando con indifferenza. Oltrepassò la porta, deciso a dare ancora un’occhiata. Poco oltre i tre gradini, a una trentina di centimetri dal pavimento stradale, si vedeva una finestrella. Probabilmente una finestra dello scantinato del locale.
Tom continuò ad avanzare. A un paio di metri dalla prima ce n’era una seconda, nascosta alla visuale dalla porta da alcuni bidoni della spazzatura.
Ci si accucciò dietro, valutando le possibilità di aprire il vetro senza romperlo. E quella di riuscire a calarsi nello scantinato senza rimanere incastrato con le braccia da una parte e i piedi dall’altra. Sarebbe stato difficile da spiegare, e molto imbarazzante, anche.
Era fortunato: la finestra era abbastanza grande, sicuramente per far entrare più luce possibile nei locali usati come magazzino costruiti sotto il livello della strada. Non era un problema neanche aprire il vetro: gli infissi erano vecchi e usurati, gonfiati dall’umidità e pieni di crepe. Non fu difficile far scattare la maniglia interna, chiusa male.
Con poche spinte Tom riuscì ad aprire la finestra, scalfendo senza rumore il legno dell’intelaiatura in corrispondenza della serratura. Con qualche sforzo, e strappando di nuovo il suo soprabito, riuscì a calarsi nel seminterrato del club ‘Lions’.
 Rimase immobile nel buio, guardandosi attorno e aspettando che i suoi occhi si abituassero all’oscurità prima di muoversi. Non voleva inciampare in qualcosa e provocare dei rumori sospetti. A poco a poco cominciò a distinguere casse di bibite e alcolici, vecchi arredi del locale e scaffali di barattoli.
Individuò la porta che portava al piano terra e salì silenziosamente. Per l’ennesimo inaspettato colpo di fortuna, la porta del seminterrato non era chiusa a chiave.
Tom sospettava che dopo quella notte la sua scorta di fortuna si sarebbe esaurita una volta per tutte. Sperò tuttavia che durasse almeno fino all’alba.
Aprì la porta di pochi centimetri e spiò nel corridoio.
Non c’era molto movimento: il locale doveva essere ormai quasi vuoto.
Vide passare un cameriere con un vassoio pieno di bicchieri e stoviglie da lavare. L’uomo gridò qualcosa in una lingua che Tom non riconobbe e dalla cucina qualcuno lo invitò a sbrigarsi. A quanto pareva il servizio era concluso, e i camerieri e il resto del personale si erano riuniti in cucina per una cena tardiva.
Il cameriere aprì le porte basculanti della cucina e un improvviso chiasso di gente che mangiava e chiacchierava lo investì. Quando fu entrato le porte oscillarono ancora per qualche secondo e quando si accostarono definitivamente il rumore si ridusse a un leggero brusio.
Tom aprì la porta dello scantinato e avanzò nel corridoio, in cerca di una rampa di scale. Difficile che Collins fosse al piano terra: l’appartamento doveva essere ai piani superiori.
Percorse il corridoio verso sinistra, in direzione opposta alla cucina. Vide l’entrata della sala: il ristorante era deserto, mentre qualcuno tirava tardi nella zona cabaret, sulle note raffinate di un piano. Passò oltre velocemente.
Raggiunse le scale e salì senza produrre alcun rumore sul tappeto di velluto rosso che le ricopriva. L’ambiente era decisamente lussuoso: il mancorrente era di legno e ottone, le pareti tappezzate di carta da parati damascata, nei toni del rosso e dell’oro. Tom incoerentemente ripensò all’appartamento di Winnie, che aveva colori simili.
Al primo piano lampade a muro e lampadari di cristallo illuminavano un altro corridoio, molto ampio, quasi come quello di un albergo. Porte di legno scuro si aprivano ad entrambi i lati del passaggio. Mobili barocchi e console con grandi specchi decoravano l’ambiente.
Tom si abbassò sulle scale, per non essere scorto da una delle porte, ma erano tutte chiuse. Una si aprì all’improvviso e uno scoppio di risate si riversò nel corridoio, insieme a una bella ragazza con indosso solo biancheria intima bianco panna e una cascata di gioielli d’oro. Un uomo con espressione ebete uscì dietro di lei. Era grosso come un armadio e a giudicare dal rigonfiamento sotto la sua giacca doveva trattarsi di una delle guardie del corpo di Marcus Collins.
‘Chissà, forse è la sua serata libera’, si disse Tom seguendo con lo sguardo lui e la ragazza correre verso un’altra porta e rinchiudersi dentro.
Con cautela, sperando che non ci fossero altri movimenti improvvisi, Tom avanzò, chiudendosi con cura il soprabito per nascondere la camicia macchiata di sangue e sbirciando alternativamente le porte alla sua destra e alla sua sinistra.
Passò oltre le prime due: troppo vicine alle scale per essere il rifugio del boss. Più probabile che Collins dormisse in fondo al corridoio. Ma chissà dov’era che conduceva i suoi affari…
Un’altra porta si aprì, giusto alle spalle di Tom e lui si voltò di scatto, per ritrovarsi a fissare un’altra ragazza che indossava un abito da sera nero. La ragazza gli rivolse uno sguardo moderatamente curioso, mentre si accendeva una sigaretta, poi assunse un’aria completamente indifferente.
“Non ti conosco,” gli disse, soffiando la prima boccata di fumo.
Rimise l’accendino dove lo aveva preso, in una delle coppe del reggiseno. Rivolse a Tom un sorriso professionale, aspettando una sua reazione.
“Sono nuovo,” le ripose Tom.
Kuntz aveva parlato di belle donne che frequentavano le case di Collins, e la ragazza in questione era davvero molto bella. I capelli erano foltissimi, una criniera di boccoli castani lucidissimi. Doveva essere abituata e vedere uomini conciati male, perché non fece una piega alla vista del naso rotto di Tom, né commentò le sue ecchimosi.
“E cosa ci fai qui, novellino?” chiese all’investigatore, sbirciando al tempo stesso il proprio riflesso in uno specchio.
Ne parve soddisfatta.
“Sono qui per lavoro,” rispose Tom, non riuscendo suo malgrado a toglierle gli occhi di dosso. Notò che era a piedi nudi. “Sto cercando il capo,” continuò. “Sai dirmi dov’è? Ci aspettava.”
Lei scosse la testa: “È andato a dormire, per quel che ne so. È importante?”
“No, volevo solo dirgli che è andato tutto bene. Nessun problema.”
“A giudicare dalla tua faccia, direi che qualche problema c’è stato,” commentò lei, scrutandolo con occhi attenti.
Soffiò dell’altro fumo.
Tom si toccò il naso, per riflesso: “Nah, questo è per un’altra faccenda. Non farci caso.”
“Se lo dici tu,” replicò lei, indifferente. “Comunque, Marcus dorme. Odia essere svegliato e tu sei già abbastanza conciato. Vuoi compagnia mentre lo aspetti?” gli chiese, ammiccante.
“Mi piacerebbe. Ma dato che il capo dorme, meglio approfittarne. Devo portarmi avanti per una cosa che mi ha chiesto. Non sarebbe felice di sapere che ho sprecato la nottata,” le ripose Tom, con la giusta dose di rammarico.
“Non sarebbe sprecata,” gli fece sapere la ragazza, ma non insisté.
“Aspetterò il capo nello studio. Pensi vada bene?” le domandò Tom, accennando vagamente con il capo al fondo del corridoio.
Era un azzardo, ma ci provò.
“Non so, penso di sì. Solo, non farti trovare sulla sua sedia,” rispose la ragazza.
Gli voltò le spalle, dimenticandolo all’istante.
Tom rimase a fissarla ritornare da dove era sbucata e chiudere la porta. Poi si girò e proseguì lungo il corridoio. Accostò l’orecchio ad ogni porta, cercando di captare qualche suono che gli desse un’indicazione utile per trovare lo studio di Collins. Dietro una porta sentì un respiro regolare, dietro un’altra le voci di un gruppetto di uomini che giocava a carte senza troppi schiamazzi. Magari non volevano svegliare il capo. Se era vero, forse la stanza che occupava Collins era quella attigua, e lo studio poteva essere la stanza accanto.
Tom mise una mano sulla maniglia e ascoltò attentamente. Non sentì nulla. Abbassò la maniglia di una frazione di centimetro, preoccupato che emettesse qualche rumore molesto.
Con infinita cautela, un millimetro alla volta, fece scattare la serratura e aprì di una fessura la porta, sentendosi come ne ‘il cuore rivelatore’ di Edgar Allan Poe. Il silenziò parve dilatarsi attorno a lui, quando si ritrovò a fissare una strisciolina di buio. Era impossibile distinguere alcunché.
Fece entrare un po’ più di luce e riuscì a vedere lo schienale di una poltrona rivestita di pellame pregiato, posta dietro quello che sembrava uno scrittoio antico. Ce l’aveva fatta, aveva trovato lo studio.
Entrò in silenzio, richiudendosi la porta alle spalle con ancora più attenzione di quella usata per aprirla.


Note:
Mmmmh, anche qui Tom riceve informazioni da un comodo personaggio femminile...non mi fa impazzire questa soluzione, ma erano gli ultimi giorni del NaNo, dovevo essere molto stanca XD
Ho deciso di postare assieme gli ultimi due capitoli perchè non sono molto soddisfatta della divisione che creano, ma un solo capitolo di più di 9000 parole sarebbe stato troppo....
   
 
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