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Autore: Mari Lace    13/08/2019    3 recensioni
Per Harriet.
Al falò di ferragosto, Erika si allontana dagli altri per restare un po' sola con i suoi pensieri. Un approccio inaspettato porterà a una chiacchierata imprevista, ma niente affatto importuna.
«Che fai qui, Teo?» borbottò, quasi troppo stupita per riuscire a irritarsi.
«Potrei farti la stessa domanda», notò tranquillo il ragazzo. Ecco, adesso era irritata.
«Magari speravo di stare un po’ da sola. Tu che scusa hai per essere venuto proprio qui?» insisté, spietata.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per Harriet.

Non cadere




Ma perché diamine si era lasciata convincere ad andare?

Le luci da discoteca, che la accecavano fastidiosamente alternando flash neri e bianchi, erano una cosa. Poteva quasi sopportarle, per quanto odiasse ballare.

Il fumo dei falò era tutta un’altra storia. Le irritava gli occhi, facendola lacrimare.

Non era neanche riuscita a sedersi vicina a Giacomo; il ragazzo era finito nel gruppo accanto al loro. Probabilmente era questo il vero motivo per cui era così frustrata e irritata col mondo, ma soprattutto con sé stessa. E dire che si era ripromessa di godersi quelle serate, finché poteva…

Come se il ragazzo avesse potuto risolvere i suoi problemi, tra l’altro. Eppure era più forte di lei: pur conoscendolo tutto sommato poco, se ne era sentita subito affascinata. Come attirare la sua attenzione, tuttavia, era un problema a cui non aveva ancora trovato risposta. Giacomo era così bello, forte, simpatico… e circondato di ragazze, pensò con una punta d’amarezza distogliendo rapidamente lo sguardo che aveva osato rivolgergli.

Esasperata dalle chiacchiere dei suoi compagni di falò, decise di alzarsi. Non importava se dopo avrebbe dovuto rispondere a qualche domanda; magari non se ne sarebbero neanche accorti. Persino Matilde e Leonora sembravano piuttosto prese dall’ennesimo gossip sul fidanzamento lampo di Valentina.

Senza più esitare, raggiunse la riva, fermandosi a un solo passo dall’acqua. Già solo essersi sottratta al fumo la fece sentire meglio.

Sospirò, lo sguardo perso nella distesa d’acqua salata che aveva di fronte. Stare un po’ sola con i suoi pensieri le avrebbe fatto bene. Da quand’era arrivata al mare  quindici giorni prima  i momenti di pura solitudine erano stati pochissimi, per non dire nulli. Si era sentita un po’ soffocata.

Quando avvertì uno spostamento d’aria a pochi centimetri da lei arrivò alla conclusione che l’universo aveva stabilito che no, non poteva proprio avere un momento tutto per lei. Non durante quella vacanza, almeno.

Spiò con la coda dell’occhio l’identità dell’importuno di turno.

«Che fai qui, Teo?» borbottò, quasi troppo stupita per seccarsi.

«Potrei farti la stessa domanda», notò tranquillo il ragazzo. Ecco, adesso era irritata.

«Magari speravo di stare un po’ da sola. Tu che scusa hai per essere venuto proprio qui?» insisté, spietata.

«Sola, eh?» ripeté Matteo, mormorando. Non rispose alla sua domanda. «Mi sei sembrata un po’ giù per tutta la sera. Ti va di parlarne?» chiese invece.

L’irritazione passò di colpo. Le si seccò la gola; era certa che nessuno avesse notato il suo malumore. Non se n’era accorta Matilde, perché Matteo…? Erano amici, ma non così amici, in fondo. Non più di quanto non lo fosse con Vittorio, Daniele o gli altri ragazzi del gruppo.

«Non è niente di che» rispose, incerta.

«Senz’altro. Se ti va, però, ti ascolto lo stesso».

Non si aspettava una risposta del genere, ma quella frase così aperta, genuinamente amichevole, compì il miracolo. Qualcosa in lei si sbloccò, le emozioni che tratteneva dall’inizio dell’estate poterono finalmente sgorgare.

Gli raccontò tutto. Del trasloco imminente, dei litigi tra i suoi, di come suo padre avesse bisogno di quel lavoro. Della sua frustrazione nel dover lasciare i luoghi conosciuti, le amicizie di una vita. Della sua paura per ciò che avrebbe trovato dall’altra parte, persino. Non tralasciò niente, a eccezione di Giacomo – non perché volesse nasconderlo, solo non le sembrava più così importante, in quel momento. Una cotta passeggera per il ragazzo amato da tutte, con cui aveva scambiato forse due frasi. Una sciocchezza, effettivamente. Forse aveva solo voluto innamorarsi, come distrazione da tutto il resto. Fantasticare su un estraneo aveva un qualcosa di affascinante, anche se si sarebbe ben guardata dall’ammetterlo.

Matteo si prese il suo tempo prima di rispondere. Erika si chiese se non l’avesse appesantito, con tutta quella mole di informazioni. Che avesse esagerato?

Stava valutando se scusarsi quando lui parlò. «Dev’essere stata dura gestire tutto questo da sola. Non l’hai detto a nessun altro?»

Lei scosse la testa, quasi aspettandosi un rimprovero sulla linea di dovresti aprirti di più, Erika. Parla con gli altri, siamo qui apposta! Proprio quel che le serviva…

«Capisco» disse però, semplicemente, lui. Le passò un braccio intorno alla spalla – quel tocco la fece sentire stranamente protetta. Da cosa, dal mondo? – e rimase in silenzio.

Restarono così per alcuni minuti, nessuno dei due avrebbe saputo definire quanti.

Fu lei a spezzare l’incanto, alla fine. «Hai mai la sensazione di camminare sull’orlo di un burrone, Teo?» domandò seria. «Che basti un minimo errore per perdere l’equilibrio e cadere di sotto?». “È orribile”, avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne. Le sembrava di aver già detto fin troppo.

Matteo rafforzò la stretta sulla sua spalla.

«Aggrappati a me e vedrai che non cadrai. Non cadremo», asserì convinto.

Era ridicolo, quelle erano solo parole. Eppure… eppure, se ne sentì confortata. Sentiva improvvisamente caldo in tutto il corpo, e non era dovuto né alla notte estiva né ai falò alle loro spalle, realtà che ormai parevano distanti anni luce.

«Potrò aggrapparmi anche quando sarò nella nuova casa?»

Si schiaffeggiò mentalmente. Come aveva potuto pronunciare una domanda del genere? Che scema. Cosa avrebbe dovuto risponderle Matteo? Sorrise amaramente. Duecento chilometri non erano una sciocchezza.

«Certo». Non fu la parola a colpirla, quella quasi se l’aspettava – fu il tono di serietà assoluta con cui la pronunciò. «Siamo nel duemiladiciannove, non sarà difficile tenerci in contatto. Ogni tanto potrei venire a trovarti… anche se sono certo che ti farai subito dei nuovi amici. Dì un po’, pensi mica di dimenticarmi, una volta lì?»

«Scemo!» gli rifilò una gomitata nel fianco, spezzando il suo mezzo abbraccio. Per la prima volta dall’inizio della conversazione, si girò verso di lui per mostrargli la lingua. «Dimenticarti? Ti piacerebbe!» esclamò, piccata.

«Ehi, ehi, calmati» protestò lui, ridendo. «Tiri ancora fuori la lingua a chi ti sta antipatico? Pensavo avessi vent’anni, o mi sono sbagliato?» la stuzzicò.

Erika avvampò, ma non arretrò d’un passo. «Qualcosa in contrario?» ribatté. «E poi non la mostro a chi mi è antipatico», aggiunse abbassando di colpo la voce.

«Ah no?» inquisì lui, avvicinando il viso a quello della ragazza.

All'improvviso lei urlò, spaventandolo.

«Che ti prende? Non ho fatto niente!».

«TU, no!»

Agitata, Erika indicò davanti a sé. Un’onda si era spinta più in là delle altre, lambendole i piedi nudi.

Compreso il reale motivo dell’urlo, Matteo scoppiò a ridere. Irrefrenabilmente. Non ci volle molto per contagiarla con la sua allegria.

«È assurdo» sbottò lei più tardi. Erano entrambi sdraiati ad angelo sulla sabbia, ora. Le dita della sua mano sinistra sfioravano quelle della destra di lui. Era stranamente confortante.

«Cosa?» domandò lui. Nel silenzio della notte avvertiva distintamente il suo respiro.

«Prima di oggi avremo parlato… forse tre volte? Senza gli altri, intendo. E stasera ero di pessimo umore, ma… sei arrivato tu». Si voltò verso di lui, alzando leggermente la testa per non insabbiarsi metà volto. Sarebbe stato spiacevole. «Come hai fatto?»

«Basta stare un po’ attenti, spesso» rispose lui con una scrollata di spalle. Allungò la mano a stringere la sua. «Sono solo felice che tu me l’abbia permesso.»

Più tardi, un’Erika completamente svuotata ma contenta come non si sentiva da tempo si lasciò riaccompagnare a casa da Matteo. Avevano salutato gli altri solo di sfuggita; nessuno aveva prestato loro un’attenzione particolare, neanche Giacomo.

Ma ormai questo non le importava più.

Sulla porta di casa, si tese sulle punte per posargli un bacio sulla fronte.

«Grazie» gli sussurrò all’orecchio, prima di entrare. «E buonanotte», aggiunse aprendo.

«Buonanotte» rispose Matteo, con il sorriso che aveva scoperto di amare solo poche ore prima. «Ci vediamo domani».




NdA

Ho scritto questo spaccato per Harriet Strimell, a cui lo dedico con tutto il cuore.

Per scriverlo ho rielaborato un prompt e inserito una frase, entrambi forniti da lei.

Un abbraccio forte, tesoro

Mari


  
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