Per Harriet.
Non cadere
Ma
perché diamine si era
lasciata convincere ad andare?
Le luci da
discoteca, che la
accecavano fastidiosamente alternando flash neri e bianchi, erano una
cosa.
Poteva quasi sopportarle, per quanto odiasse ballare.
Il fumo dei
falò era tutta un’altra
storia. Le irritava gli occhi, facendola lacrimare.
Non era neanche
riuscita a
sedersi vicina a Giacomo; il ragazzo era finito nel gruppo accanto al
loro.
Probabilmente era questo il vero motivo per cui era così
frustrata e irritata
col mondo, ma soprattutto con sé stessa. E dire che si era
ripromessa di
godersi quelle serate, finché poteva…
Come se il
ragazzo avesse
potuto risolvere i suoi problemi, tra l’altro. Eppure era
più forte di lei: pur
conoscendolo tutto sommato poco, se ne era sentita subito affascinata.
Come
attirare la sua attenzione, tuttavia, era un problema a cui non aveva
ancora
trovato risposta. Giacomo era così bello, forte,
simpatico… e circondato di ragazze,
pensò con una
punta d’amarezza distogliendo rapidamente lo sguardo che
aveva osato
rivolgergli.
Esasperata dalle
chiacchiere
dei suoi compagni di falò, decise di alzarsi. Non importava
se dopo avrebbe
dovuto rispondere a qualche domanda; magari non se ne sarebbero neanche
accorti. Persino Matilde e Leonora sembravano piuttosto prese
dall’ennesimo
gossip sul fidanzamento lampo di Valentina.
Senza
più esitare, raggiunse
la riva, fermandosi a un solo passo dall’acqua.
Già solo essersi sottratta al
fumo la fece sentire meglio.
Sospirò,
lo sguardo perso
nella distesa d’acqua salata che aveva di fronte. Stare un
po’ sola con i suoi
pensieri le avrebbe fatto bene. Da quand’era arrivata al
mare – quindici giorni
prima – i momenti di
pura solitudine erano stati pochissimi, per non
dire nulli.
Si era sentita un po’ soffocata.
Quando
avvertì uno
spostamento d’aria a pochi centimetri da lei
arrivò alla conclusione che
l’universo aveva stabilito che no, non poteva proprio avere
un momento tutto
per lei. Non durante quella vacanza, almeno.
Spiò
con la coda dell’occhio
l’identità dell’importuno di turno.
«Che
fai qui, Teo?»
borbottò, quasi troppo stupita per seccarsi.
«Potrei
farti la stessa
domanda», notò tranquillo il ragazzo. Ecco, adesso
era irritata.
«Magari speravo di stare un po’
da sola. Tu che scusa hai per essere
venuto proprio qui?» insisté, spietata.
«Sola,
eh?» ripeté Matteo,
mormorando. Non rispose alla sua domanda. «Mi sei sembrata un
po’ giù per tutta
la sera. Ti va di parlarne?» chiese invece.
L’irritazione
passò di
colpo. Le si seccò la gola; era certa che nessuno
avesse notato il suo malumore. Non se n’era accorta
Matilde, perché
Matteo…? Erano amici, ma non così
amici, in fondo. Non più di quanto non lo fosse con
Vittorio, Daniele o gli
altri ragazzi del gruppo.
«Non
è niente di che»
rispose, incerta.
«Senz’altro.
Se ti va, però,
ti ascolto lo stesso».
Non si aspettava
una
risposta del genere, ma quella frase così aperta,
genuinamente amichevole,
compì il miracolo. Qualcosa in lei si sbloccò,
le emozioni che tratteneva
dall’inizio dell’estate poterono finalmente
sgorgare.
Gli
raccontò tutto. Del
trasloco imminente, dei litigi tra i suoi, di come suo padre avesse
bisogno di
quel lavoro. Della sua frustrazione nel dover lasciare i luoghi
conosciuti, le
amicizie di una vita. Della sua paura per ciò che avrebbe
trovato dall’altra
parte, persino. Non tralasciò niente, a eccezione di Giacomo
– non perché
volesse nasconderlo, solo non le sembrava più
così importante, in quel momento.
Una cotta passeggera per il ragazzo amato da tutte, con cui aveva
scambiato
forse due frasi. Una sciocchezza, effettivamente. Forse aveva solo voluto innamorarsi, come distrazione da
tutto il resto. Fantasticare su un estraneo aveva un qualcosa di
affascinante,
anche se si sarebbe ben guardata dall’ammetterlo.
Matteo si prese
il suo tempo
prima di rispondere. Erika si chiese se non l’avesse
appesantito, con tutta
quella mole di informazioni. Che avesse esagerato?
Stava valutando
se scusarsi
quando lui parlò. «Dev’essere stata dura
gestire tutto questo da sola. Non
l’hai detto a nessun altro?»
Lei scosse la
testa, quasi
aspettandosi un rimprovero sulla linea di dovresti
aprirti di più, Erika. Parla con gli altri, siamo qui
apposta! Proprio quel
che le serviva…
«Capisco»
disse però,
semplicemente, lui. Le passò un braccio intorno alla spalla
– quel tocco la
fece sentire stranamente protetta. Da cosa, dal mondo? – e
rimase in silenzio.
Restarono
così per alcuni
minuti, nessuno dei due avrebbe saputo definire quanti.
Fu lei a
spezzare l’incanto,
alla fine. «Hai mai la sensazione di camminare
sull’orlo di un burrone, Teo?»
domandò seria. «Che basti un minimo errore per
perdere l’equilibrio e cadere di
sotto?». “È orribile”, avrebbe
voluto aggiungere, ma si trattenne. Le sembrava
di aver già detto fin troppo.
Matteo
rafforzò la stretta
sulla sua spalla.
«Aggrappati
a me e vedrai
che non cadrai. Non cadremo», asserì convinto.
Era ridicolo,
quelle erano
solo parole. Eppure… eppure, se ne sentì
confortata. Sentiva improvvisamente
caldo in tutto il corpo, e non era dovuto né alla notte
estiva né ai falò alle
loro spalle, realtà che ormai parevano distanti anni luce.
«Potrò
aggrapparmi anche
quando sarò nella nuova casa?»
Si
schiaffeggiò mentalmente.
Come aveva potuto pronunciare una domanda del genere? Che scema. Cosa
avrebbe dovuto
risponderle Matteo? Sorrise amaramente. Duecento chilometri non erano
una
sciocchezza.
«Certo».
Non fu la parola a
colpirla, quella quasi se l’aspettava – fu il tono
di serietà assoluta con cui
la pronunciò. «Siamo nel duemiladiciannove, non
sarà difficile tenerci in
contatto. Ogni tanto potrei venire a trovarti… anche se sono
certo che ti farai
subito dei nuovi amici. Dì un po’, pensi mica di
dimenticarmi, una volta lì?»
«Scemo!»
gli rifilò una
gomitata nel fianco, spezzando il suo mezzo abbraccio. Per la prima
volta
dall’inizio della conversazione, si girò verso di
lui per mostrargli la lingua.
«Dimenticarti? Ti piacerebbe!» esclamò,
piccata.
«Ehi,
ehi, calmati» protestò
lui, ridendo. «Tiri ancora fuori la lingua a chi ti sta
antipatico? Pensavo
avessi vent’anni, o mi sono sbagliato?» la
stuzzicò.
Erika
avvampò, ma non
arretrò d’un passo. «Qualcosa in
contrario?» ribatté. «E poi non la
mostro a
chi mi è antipatico», aggiunse abbassando di colpo
la voce.
«Ah
no?» inquisì lui,
avvicinando il viso a quello della ragazza.
All'improvviso lei urlò, spaventandolo.
«Che
ti prende? Non ho fatto
niente!».
«TU,
no!»
Agitata, Erika
indicò
davanti a sé. Un’onda si era spinta più
in là delle altre, lambendole i piedi
nudi.
Compreso il
reale motivo
dell’urlo, Matteo scoppiò a ridere.
Irrefrenabilmente. Non ci volle molto per
contagiarla con la sua allegria.
«È
assurdo» sbottò lei più
tardi. Erano entrambi sdraiati ad angelo sulla sabbia, ora. Le dita
della sua
mano sinistra sfioravano quelle della destra di lui. Era stranamente
confortante.
«Cosa?»
domandò lui. Nel
silenzio della notte avvertiva distintamente il suo respiro.
«Prima
di oggi avremo
parlato… forse tre volte? Senza gli altri, intendo. E
stasera ero di pessimo
umore, ma… sei arrivato tu». Si voltò
verso di lui, alzando leggermente la
testa per non insabbiarsi metà volto. Sarebbe stato
spiacevole. «Come hai fatto?»
«Basta
stare un po’ attenti,
spesso» rispose lui con una scrollata di spalle.
Allungò la mano a stringere la
sua. «Sono solo felice che tu me l’abbia
permesso.»
Più
tardi, un’Erika
completamente svuotata – ma contenta
come non si sentiva da tempo – si
lasciò
riaccompagnare a casa da Matteo. Avevano salutato gli altri solo di
sfuggita;
nessuno aveva prestato loro un’attenzione particolare,
neanche Giacomo.
Ma ormai questo
non le
importava più.
Sulla porta di
casa, si tese
sulle punte per posargli un bacio sulla fronte.
«Grazie»
gli sussurrò all’orecchio, prima di entrare.
«E buonanotte», aggiunse aprendo.
«Buonanotte»
rispose Matteo,
con il sorriso che aveva scoperto di amare solo poche ore prima.
NdA
Ho scritto questo spaccato per Harriet Strimell, a cui lo dedico con tutto il cuore.
Per scriverlo ho rielaborato un prompt e inserito una frase, entrambi forniti da lei.
Un abbraccio forte, tesoro ❤
Mari