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Autore: Ilenia_DiBella    13/08/2019    0 recensioni
Una ragazza dai capelli neri come la notte.
Un ragazzo dai capelli dorati come i raggi del sole.
Lei nasconde, nel suo io più profondo, l'oscurità più totale.
Lui non sa di avere nell'animo una luce in grado di illuminare il buio più nero.
Una lotta tra i mondi dei non visti, quelle creature che voi umani ritenete siano solo frutto della vostra fantasia. Ma se vi svegliate la notte sudati e con il cuore a mille, pensando di aver fatto un incubo strano con creature altrettanto strane, sappiate che non erano immagini prodotte dalla vostra mente dormiente. Era tutto reale. Vi volevano solamente far credere fosse il contrario.
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"Lykaios, parola greca connessa alla parola lyke (λυκη), luce, ma associabile anche a lykos (λυκος), lupo.
Così veniva chiamato Zeus nelle zone boscose e più remote dell'Arcadia: Zeus Lykaios; infatti assumeva caratteristiche sia di divinità lucente sia lupina."
Genere: Fantasy, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Madre e padre russi, Aleksandra Marie Volk, o almeno così diceva di chiamarsi, era sempre stata una donna combattiva e testarda. Ma quei pochi anni di calvario l'avevano resa debole e ipersensibile. All'età di vent'anni conobbe Peter Jacob Mitchell, ragazzo di cinque anni più grande di lei, pieno di vita, capelli di un marrone cioccolato, occhi più scuri dell'ebano, mascella possente e fisico atletico, un ragazzo bello, giovane e innamorato. Aleksandra aprì un negozio di libri, Peter invece aprì un'agenzia immobiliare tutta sua. Passò un anno e durante una passeggiata serale sul lungo mare, Peter s'inginocchiò sulla sabbia umida e, con occhi luminosi, le aveva chiesto di sposarlo. Dopo un mese di preparativi erano uno legato all'altra dalle fedi nuziali e divennero quindi il signor e la signora Mitchell. Un mese dopo Aleksandra scoprì di essere incinta. Nacque così Kassandra Megan Mitchell, una bellissima bambina dai capelli di un nero corvino, occhi di un verde smeraldo e labbra candide e rosee. Totalmente diversa dal padre e dalla madre. Kassandra, crescendo, diventava sempre più bella, combattiva e testarda: un fuoco furente che illumina le tenebre. Peter aveva sempre notato qualcosa che non andava nel comportamento della moglie riguardo la figlia, fin quando, dopo due anni dalla nascita di Kassandra, Aleksandra gli disse parte della verità, che gli bastò per cominciare ad ubriacarsi e a frequentare cattive compagnie. Qualche tempo più tardi, Aleksandra scoprì, nella valigetta ventiquattro ore del marito, chili di cocaina. Avevano litigato spesso ed era sempre finita con percosse e abusi da parte di lui, ubriaco e strafatto e, nonostante lei avesse più di un modo per difendersi, Aleksandra non aveva mai reagito, perché l'aveva sempre presa come una sorta di punizione. Non aveva mai attribuito la colpa al marito: era soltanto lei che aveva causato il tutto. Se lei non avesse commesso quello sbaglio, sarebbero ancora una famiglia felice. Se solo fosse riuscita ad essere più forte e più matura. Certo, non sarebbe nata Kassandra, ma avrebbero ancora festeggiato felicemente i diciotto anni di matrimonio e non con rancore e sensi di colpa. Aleksandra si risvegliò dai ricordi nel sentire il clacson della macchina dietro, che la intimava a passare finché il semaforo fosse ancora verde. Arrivata al negozio diede un sguardo alla spiaggia dorata e brutti ricordi si insinuarono veloci nella sua mente. Angosciata si mise una mano sulla fronte e con l'altra fece poi quel gesto per allontanare i pensieri, lo stesso che si fa quando si cacciano le mosche. Parcheggiò l'auto sul retro, scese dalla macchina, frugò nella borsa e cercò qualcosa che al tatto fosse freddo. Nel prendere le chiavi, urtò con il gomito un uomo che stava passando lentamente dietro di lei e le caddero a terra con un fragoroso suono metallico. Si piegò per prenderle ma l'uomo fu più veloce di lei. Le lunghe dita di lui indugiarono sul palmo morbido di Aleksandra quando le porse le chiavi recuperate. Lei alzò lo sguardo: era un uomo alto più di un metro e ottanta, un cappello nero con la visiera metteva in ombra quasi metà della faccia, inoltre vi erano gli occhiali da sole che impedivano a Aleksandra di poterlo guardare negli occhi, ma un sorriso smagliante aveva fatto arrossire la donna. Lei sorrise incantata da quell'uomo affascinante -Grazie, è stato veramente gentile, mi perdoni per averle dato una gomitata nello stomaco. Non l'avevo vista.- Ma nel momento in cui l'uomo si tolse le lenti scure che gli coprivano gli occhi, mostrando due iridi verde smeraldo, con pagliuzze verde chiaro, un forte senso di angoscia crebbe nel cuore di Aleksandra. Lo stupore le fece schiudere la bocca e la paura le fece venire la pelle d'oca. -Non sei cambiata affatto Accalia- le disse con il suo sorriso ammaliante mostrando denti bianchissimi. -Ma tu... tu eri morto... tu... eri morto!- l'uomo sorrise vedendola sgranare gli occhi e la prese dai polsi -Beh, lo avresti voluto... forse. Ma invece eccomi qui. Perché non mi chiedi come sto? Dopo che... - l'uomo si abbassò lo scollo della maglietta mostrando una grossa cicatrice nel punto esatto dove era situato il cuore - ...mi ficcasti quel pugnale dritto al cuore. Sai, non sei stata molto gentile Accalia, almeno, non dopo quello che avevamo fatto. Poco coerente direi, Accalia-. Aleksandra sibilò a denti stretti -Non chiamarmi con il mio secondo nome! Solo chi è degno può chiamarmi in quel modo, dovresti sempre tenere a mente il nostro codice d'onore! E te la sei meritata quella pugnalata! Non capisco come... IO TI HO VISTO MORIRE SOTTO I MIEI OCCHI! Come, come può essere? Come fai ad essere ancora vivo? E come hai fatto a trovarmi?- La zittì -Shhhh, non ti agitare. Avevo sospettato del cambio di identità. Anzi, ne ero certo, cosa troppo ovvia. Aleksandra Marie Volk. Suona bene, già. Dà quel tocco francese, cultura che tu ami tanto. Ma ormai eravamo tutti abituati al lunghissimo Aleksandra Accalia Petrovna Volkov. Davvero, non c'era bisogno che cambiassi anche la tua identità per quello che è successo. Ti perdono. Tutto apposto! Stai tranquilla... solo... voglio sentire, ancora una volta, il tuo modo di pronunciare il mio nome. Avanti! Dillo! Filtiarn! Dillo con lo stesso tono dolce di quando stavamo assieme o meglio, diciassette anni fa, sulla spiaggia dorata, proprio di fronte questo negozio... -rise indicando il mare a qualche decina di metri da loro - ...l'ultima volta che ci siamo visti, poco prima che tu mi pugnalassi, lo dicesti ansimando. GRIDASTI IL MIO NOME DI PIACERE PRIMA CHE.... - Aleksandra non stette più ad ascoltare e si perse nell'oblio dei suoi ricordi: La scia di baci caldi lasciati leggeri sul proprio collo la faceva impazzire. La barba di due giorni strofinava sulla sua pelle candida, dandole una sensazione di piacere. Le dita callose di Filtiarn percorrevano dolcemente e con una estenuante lentezza i suoi seni pieni e le curve dolci dei fianchi. Il vento trasportava via gli ansimi e i gemiti. I due si invocavano a vicenda, si chiamavano con una passione mai vista. Le onde del mare che si frastagliavano irregolari sulla spiaggia e sugli scogli accompagnavano la danza della coppia. Aleksandra però, non aveva perso tutta la sua lucidità. Ancora una parte di lei sapeva cosa fosse la cosa giusta da fare, però voleva godersi quegli ultimi momenti con il suo amato. Dopo che lui si poggiò sui seni morbidi, lei lo cullò dolcemente con la dolcezza dei suoi baci, i suoi ultimi baci, fino a farlo addormentare, si tirò su senza svegliarlo e guardando la luna riflessa nel mare si rivestì silenziosamente. Estrasse, avvolto in un fazzoletto di seta, un piccolo pugnale dalla lama d'argento che Fangluin le aveva dato. Su essa si poteva vedere il sangue bianco di fenice. Il coltello scintillava alla fioca luce della luna che illuminava due piccole perle che rigavano lentamente il volto di Aleksandra. Guardò Filtiarn riposare sereno, i capelli scuri gli ricadevano irregolari sul viso e danzavano assieme al vento. Aleksandra si mise in ginocchio davanti a lui e lo guardò con gli occhi carichi di lacrime. Si avvicinò al suo viso e lasciò un lieve bacio sulle labbra morbide di lui. Strinse saldamente l'impugnatura in avorio del pugnale e alzò le braccia in direzione del cuore di Filtiarn. Le mani cominciarono a tremare. Le lacrime continuavano a rigarle il volto e una di esse cadde sulla palpebra del dormiente, che si svegliò dal suo sonno e aprì pigramente gli occhi. "Ora o mai più" si disse Aleksandra; abbassò violentemente le braccia verso il petto di Filtiarn. Lei, in quella frazione di secondo, cercò di non guardare l'espressione di angoscia, l'espressione di chi ha capito di esser stato tradito. Il coltello affondò con violenza nel petto dell'uomo. Aleksandra si alzò velocemente da terra, si mise una mano sulla bocca e cominciò a singhiozzare. Non avrebbe mai averlo voluto fare, ma era per evitare altre morti. Era la cosa giusta da fare. Filtiarn gridava per il fortissimo bruciore che non solo l'argento della lama gli provocava, ma anche il sangue di fenice che fungeva da antidoto per prosciugare quel terzo di sangue che lo rendeva così forte e così irrimediabilmente cattivo. Aleksandra cercò di non ascoltare quelle grida. E quando finalmente cessarono, dei lamenti, molto più strazianti delle prime, presero il loro posto. Piano piano le forze stavano abbandonando il suo corpo. Lei si avvicinò e si buttò sulla sabbia. Gli accarezzò la guancia mentre le sue lacrime ricadevano per terra senza alcun suono. Gli sussurrò parole di scuse e parole di chi, aveva messo la salvezza di tutti prima dell'amore ingiustificato verso quell'uomo. Ma le sussurrò troppo piano per far sì che il ragazzo sentisse. Filtiarn le diede un ultimo sguardo privo di espressione prima di muovere lentamente la mano verso quella di Aleksandra. La strinse leggermente con le sue ultime forze e dopo aver preso il suo ultimo respiro... la sua anima svanì nel vento. Grida di una donna distrutta sovrastavano il rombo delle onde. Una figura scura si avvicinava lentamente ma lei aveva la vista appannata per le lacrime e non gli diede molta importanza e non diede neanche molta importanza neanche che quell'improvvisa stanchezza, pensando fosse dovuta dovuta allo sforzo fatto. Filtiarn sbraitò e fece sussultare Aleksandra -TI HO DETTO DILLO!NON FARMI ARRABBIARE ACCALIA! DILLO! FILTIARN! FILTIARN!-. Scosse violentemente Aleksandra e lei ringhiò mostrando i denti che si stavano deformando. -Oh lupacchiotta, non mi pare il caso di trasformarti qui, anche perché sai benissimo che sono molto più forte di te-. Senza neanche accorgersene, si ritrovò schiacciata contro la porta dai pettorali massicci di lui, con i polsi bloccati dalla presa ben salda e il suo seno era pressato contro il vetro freddo della porta del negozio. Il petto dell'uomo, premuto sulla schiena, saliva e scendeva e Aleksandra rabbrividì quando il fiato caldo di lui gli accarezzò dolcemente la guancia, spostandole un ricciolo biondo cenere che si ribellava a essere contenuto nella coda. -Diciassette lunghi anni dall'ultima volta che ci incontrammo come sta tua figlia Kassandra Megan Mitchell? O dovrei dire nostra figlia. Sai... le avrei dato un secondo nome diverso, non da umana. L'avrei chiamata... l'avremmo chiamata Kassandra Hel Lykaios. Hel: regina degli inferi, che dissemina morte e distruzione, d'altronde come suo fratello Fenris, è un ...- le stava sussurrando in un ringhio con disprezzo, ma Aleksandra lo interruppe -Non so di cosa tu stia parlando. E lasciami andare o... o...-. Gli occhi di lei mutarono: la pupilla era attorniata da un cerchio argenteo e nei suoi occhi azzurri, le venature più scure si stavano colorando di un rosso vivo, la mascella stava diventando più pronunciata, lui la interruppe -O cosa? Chiamerai il tuo maritino pucci pucci? Mi fai ridere, sei patetica. Ah, mi è venuto un dubbio... ti ricordi cosa hai fatto a Fenris? A nostro figlio Apollon Fenris Lykaios vero? Dai tuoi occhi vedo che ricordi bene come lo hai ucciso! Non eri una buona madre, non sei una buona madre e non lo sarai sempre, Accalia! Per giunta, oltre ad aver ucciso il mio bambino, mi hai abbandonato e poi hai conosciuto Peter Jacob Mitchell. Un umano, che si è sposato con una... DIO! Come si fa a sposarsi con un umano! E come se non bastasse, quando ci rincontrammo, quando ti misi incinta, hai cercato di uccidermi. Oh Accalia!Questa non è la donna che conoscevo- Le sue labbra accarezzarono il lobo delicato di lei. Aleksandra inspirò bruscamente e una scintilla di divertimento si accese negli occhi verdi dell'uomo, ma dei passi in lontananza lo misero in allerta. -Ci vedremo lupacchiotta-. Di colpo, il peso che le pressava lo sterno svanì e prese una grossa boccata d'aria, si voltò ma non vide nulla. -È tornato- Aveva sussurrato carica di odio al cellulare, prima di riprendere tremolante le chiavi che le erano nuovamente cadute a terra, e si morse il labbro per trattenere le lacrime amare. Aleksandra sperava fosse un incubo, ma non lo era affatto, purtroppo era la realtà . ~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~ Kassandra leggeva sul letto, con le gambe accavallate e si perdeva nei mondi mistici della mitologia greca. Da piccola aveva sempre sognato di essere una musa ed esser apprezzata da tutti. Fare il bagno in un lago ogni notte per poi specchiarsi nella luna, perdendosi nei contorni dei piccoli crateri per dimenticare la vita infelice. Suo papà non era mai stato un buon padre con lei, anzi non era neanche un buon 'estraneo': non la degnava neanche di uno sguardo. Si dicevano l'essenziale, o almeno, era solo Kassandra che parlava anche se con molto timore: "la cena sarà pronta tra poco", "Mamma deve ancora arrivare", "Hai ricevuto una telefonata". Kassandra aveva molta paura di lui: spesso aveva scatti d'ira per via della droga che lo rendevano sempre irascibile, nervoso. In pratica, Kassandra aveva paura che potesse farle lo stesso male che faceva a sua mamma, "Magari è un pensiero egoista, ma devo salvaguardarmi, e l'unico modo... è stargli il più lontano possibile" erano questi i pensieri di Kassandra, pensieri di pura "autoconservazione" . Così li definiva. Mille perché le riempivano la testa da farla esplodere, ma potevano racchiudersi in tre domande: sua madre come faceva ad amarlo ancora nonostante tutto? Come mai non lo aveva ancora denunciato? Che aveva fatto sua madre di così grave da meritarsi tutto questo? Peter non era mai stata una buona persona, non era mai stato un buon padre: sempre a drogarsi o a ubriacarsi. Si alzava la mattina presto, spesso picchiava sua madre senza un motivo preciso, probabilmente perché era in astinenza, poi usciva da casa per andare a lavorare: era un agente immobiliare, vendeva case, spesso a chi già si drogava, un lavoro perfetto per coprire il traffico illecito. Ritornava poi la sera, come se tutto fosse tranquillo e quando era l'ora di cena si sedeva a tavola con un sorriso stanco. Il telefono le squillò distraendo la sua immaginazione. -Synn che c'è? Stavo leggendo... - piagnucolò come se stesse perdendo attimi di vita preziosi -Kassy la devi finire di fare la secchiona, non esci mai da casa, l'estate sta per finire, la scuola sta per cominciare ed io non ti ho mai visto andare in discoteca!- sbuffò l'amica dall'altro capo del telefono. -Lo sai cosa pensa mia madre delle discoteche, alcool, droga, stupri...- stava rispondendo Kassandra ma l'amica la interruppe -Ma se stai descrivendo tuo padre!-. Di colpo calò il silenzio. -Scusa, scusa, perdonami, non intendevo quello. Cioè sì, ma non era mia intenzione dirlo...- -Ma l'hai fatto- la interruppe Kassandra prima di chiudere la telefonata. Prese il libro e lo lanciò sulla parete. A seguire del tonfo procurato dalla caduta del libro, pianti e singhiozzi risuonarono nella stanza. Una scintilla viola carica di rancore le pulsò negli occhi verdi. I suoi occhi avevano sempre avuto la particolarità di cambiar colore, non solo in base al tempo atmosferico, ma anche in base agli stati d'animo. Aprì la finestra, fece un piccolo salto e atterrò su uno dei rami del salice affrettandosi a trovare un appiglio che le permettesse di non cadere. Aggrappandosi a uno dei rami si sedette e lì si addormentò cullata dal tiepido vento estivo. Un leggero solletico le fece arricciare il naso. Aprì gli occhi infastidita e vide due occhi azzurri che la fissavano. -SYNNOVEA!- gridò sobbalzando. L'amica sorrise e continuò a solleticarle la punta del naso con una foglia. -Come sei salita qui?- le disse sorpresa. La porta di casa era chiusa e il salice era molto alto. Un'alzata di spalle fu la semplice risposta della ragazza bionda con gli occhi azzurri. Kassandra si alzò, andando a sbattere contro uno dei rami, tra il dolore e il divertimento, fece un salto e raggiunse la finestra. Synnovea la seguì -Senti mi dispiace per quello che ho detto. A volte... sai che non filtro i miei pensieri-. Kassandra annuì con un flebile sorriso, accettando le scuse dell'amica. Il brontolio della sua pancia fece ridere Synnovea. -Hai mangiato? Sono le tre passate!- . -Cosa? Quanto ho dormito? Erano le dodici e mezzo circa quando mi hai chiamata- quasi urlò Kassandra. -Andiamo allora, offro io...- Synnovea la afferrò per un braccio ma poi la squadrò da capo a piedi -...ehm aspetta forse dovresti cambiarti- le disse infilando il dito dentro il buco della maglietta azzurra sporca di erba.
   
 
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