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Autore: ChiaFreebatch    15/08/2019    9 recensioni
Storia ambientata nel periodo in cui Bucky si trova a Wakanda, dopo la criogenesi. In attesa di ricevere il nuovo braccio in vibranio, Steve si reca a fargli visita. Mini long in due capitoli si svolgerà in tutta la settimana che i due ragazzi trascorreranno assieme. Non tiene conto degli eventi di infinity war, quindi niente Thanos ma solo amore.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“You are my everything”

 

Dedico la mia prima Stucky a Linda che mi ha fatto scoprire questo magnifico fandom e ad Annina, una delle persone migliori che io conosca.

Vi voglio bene <3

 

La storia non tiene conto degli eventi di Infinity War. Niente Thanos e dolori vari... Solo amore.

 

Capitolo uno .

 

Regno di Wakanda.

 

Il sole stava tramontando sul Lago Turkana, la luce rossastra si rifletteva sulla superfice di quello che era il più grande lago alcalino al mondo.

James Buchanan Barnes se ne stava seduto sulla riva.

Il silenzio della natura lo avvolgeva.

L’eco della popolazione wakandiana insita nel villaggio poco distante.

Tese una mano sfiorando con la punta delle dita l’acqua.

Indugiò un poco percependola calda come sempre.

La osservò con sguardo perso.

Il fondale di sabbia scura rendeva invisibile la fauna acquatica.

Indice e medio si mossero quasi volessero tamburellare sulla superficie.

Inspirò a fondo portandosi il palmo dinnanzi al viso.

Qualche goccia scese lungo il polso della sua unica mano.

Le osservò scivolare lungo l’avambraccio e perdersi oltre il gomito. Le sopracciglia ben disegnate un poco corrugate.

Un fruscìo lo distrasse.

Si volse verso sinistra.

Nel canneto una coppia di fenicotteri si muoveva con lentezza.

Sorrise alzandosi in piedi.

La mano un poco umida sfiorò la spalla sinistra.

La placca che nascondeva il moncone del braccio coperta dalla stoffa blu.

La accarezzò pensieroso.

La settimana seguente aveva appuntamento con T-Challa e Shuri per la prova definitiva del suo nuovo braccio meccanico.

Una sorta di ansia e di aspettativa lo pervadeva.

Aveva trascorso mesi nel moderno apparecchio per la criogenesi dopo di che si era sottoposto alla terapia per porre rimedio al controllo mentale dell’Hydra .

Terapia scoperta da Shuri e dall’equipe medica wakandiana.

Terapia che aveva dato i suoi benefici riportandolo ad avere il pieno controllo di sé.

L’ultimo passo era quello dell’istallazione del nuovo braccio in vibranio.

Svariate prove erano state effettuate e la principessa riteneva ora d’essere arrivata alla soluzione definitiva.

Sospirò voltando le spalle alle acque placide.

Si incamminò sul terreno battuto raggiungendo la propria capanna poco distante.

Abbassò il capo attraversando la piccola porta d’ingresso.

La stanza lo accolse illuminata dalla luce di due grosse candele.

Si diresse verso un mobile scuro che fungeva da dispensa.

Ne estrasse le posate, un piatto ed un bicchiere.

Li posò sul tavolo grezzo e prese posto a tavola.

Scoperchiò la pentola ammaccata posta al centro ed inspirò il profumo che ne salì.

Si versò una dose generosa di riso e stufato di montone. Cibo che amorevolmente le donne del villaggio avevano la cura di portargli con regolarità.

Talvolta consumava i propri pasti in loro compagnia ma tendenzialmente preferiva ritirarsi nella propria capanna o in riva al lago.

La solitudine gli era amica, da quando aveva terminato la cura gran buona parte dei propri ricordi erano riaffiorati in maniera piuttosto lucida e così, amava starsene tranquillo a rammentare il tempo passato.

Si versò dell’acqua e ne bevve un lungo sorso.

Infilzò con una forchetta un pezzo di carne e prima di portarselo alle labbra restò a fissarlo.

Fissò quel boccone e sorrise per metà.

Nella mente gli apparve l’immagine di Steve. Il ricordo di un pranzo a Brooklyn quando abitavano nello stesso piccolo appartamento.

L’amico seduto a tavola con gli occhi spalancati intento a fissare lo stufato nel proprio piatto.

Sorrise di nuovo a quel ricordo e dette un morso.

Era cosa rara che potessero permettersi della carne. Era un cibo estremamente costoso e con il suo stipendio unito a quello dei lavoretti sporadici di Steve era pressoché impensabile.

Sebbene Rogers ne avesse avuto bisogno per la propria salute cagionevole, era con sommo rammarico che raramente riusciva a comprargliela.

Con tutta probabilità il ricordo di quel pasto riaffiorato nella propria mente era da attribuire al primo giorno di stipendio e di qualche offerta speciale al negozio di carni del signor Duncan.

Masticò lo stufato assaporando la varietà di spezie tipiche della cucina wakandiana.

Gettò un’occhiata al paesaggio oltre la finestrella.

Il sole completamente sparito all’orizzonte.

Il suo cuore mancò un battito rammentando che il giorno seguente Steve Rogers lo avrebbe raggiunto.

Rimestò con i rebbi della forchetta nel riso e si disse che quella sorta di ansia e di batticuore fossero ingiustificati.

Lo avrebbe rivisto dopo mesi ma non per questo si sarebbe dovuto emozionare come una ragazzina al primo appuntamento galante.

Deglutì a fatica il boccone avvertendo quella stretta allo stomaco non abbandonarlo.

Poche ore. Poche ore e Steve sarebbe stato dinnanzi a lui.

Chiuse gli occhi inspirando a fondo.

Il capitano per eccellenza si sarebbe intrattenuto tutta la settimana. A detta di T’Challa aveva preteso d’essere presente il giorno in cui il nuovo braccio gli fosse stato consegnato ed in aggiunta aveva fatto sapere di avere delle comunicazioni importanti da riferirgli.

Il Re gli aveva così proposto di trascorrere l’intera settimana al villaggio per potersi godere un poco della pace e dello spirito wakandiano ma soprattutto la compagnia di un vecchio amico.

Bucky posò la forchetta e si passò le mani sul viso.

Non sapeva se essere grato o meno alla pantera nera.

No.

L’idea di stare a stretto contatto con Steve per diversi giorni lo metteva in agitazione e la cosa lo faceva sentire incredibilmente stupido. Era o non era il suo più caro amico?

Sbuffò tamburellando le dita sul tavolo grezzo.

Lo era.

Da sempre, e sempre lo sarebbe stato ma… L’aver recuperato in quei mesi tutti quei ricordi lo aveva caricato di aspettative e gli aveva rammentato quanto bene gli volesse.

Tanto. Forse troppo.

Imprecò scostando il piatto non ancora vuoto.

Tanti ricordi legati al piccolo Steavie. Il gracile e malaticcio ragazzino che aveva protetto con dedizione ogni istante della propria vita.

Ricordi uniti a quelli della guerra. Quelli in cui il piccolo Roger si era trasformato in quello che per tutti era Captain America. Un uomo invincibile nel corpo e nello spirito. Un uomo imponente e bellissimo che celava dentro di sé tutte le caratteristiche di quel piccolo biondino di Brooklyn.

Bucky si alzò e rise di quella considerazione.

Inspirò a fondo cercando di scacciare dai propri pensieri l’attrazione che sapeva di provare verso di lui.

Raggiunse la finestra e si affacciò. Il gomito posato sul piccolo davanzale.

Le prime stelle della sera facevano capolino nella volta celeste.

Le osservò inspirando a fondo.

Sorrise e prese coscienza che quelle sensazioni erano al fine cosa buona.

Avrebbe riabbracciato il proprio amico. Avrebbero mangiato e dormito insieme.

Riso e chiacchierato proprio come un tempo.

Una cosa impensabile sino a pochi mesi prima.

Steve e Bucky di nuovo insieme.

Sì. Era decisamente una cosa buona.

……

 

Steve Rogers inspirò soddisfatto godendosi la bellezza della natura che lo circondava.

Il wakandiano che guidava il carretto che lo stava conducendo da Bucky si chiamava Ike. Un uomo anziano, con un grande sorriso sdentato che non parlava mezza parola di inglese.

Il contadino lo aveva gentilmente fatto sedere accanto a sé al limitare della città e da circa mezz’ora stavano percorrendo i sentieri sterrati diretti al villaggio.

Il carro trainato da due giovani buoi trasportava dozzine di grossi cavoli verdi. Steve si volse e dette loro uno sguardo chiedendosi come facessero a non ruzzolare a terra.

Ike sghignazzò al suo sguardo curioso e a quel gesticolare che lo aiutò a comprendere la domanda.

Indicò sommariamente delle corde ed una cesta in fondo al carro. Rogers inarcò un sopracciglio poco convinto e gli sorrise scuotendo il capo.

Attraversarono un paio di villaggi e Captain America ne restò profondamente affascinato.

Trovò assurdo il contrasto tra la tecnologia avanzata presente a palazzo ed in generale nella capitale e quella vita spartana priva persino di una cosa ormai così scontata come l’elettricità.

Donne e uomini lo osservarono incuriositi.

Qualche bambino lo salutò agitando la manina correndo poi a nascondersi dietro gli ampi vestiti colorati delle mamme.

Ike lo osservò di sottecchi per buona parte del tragitto e quando attraversarono il villaggio a cui la capanna di Barnes faceva capo, l’uomo indicò con il braccio un punto indistinto oltre il colle.

Steve si riscosse dall’attenta osservazione del paesaggio.

Serrò un poco gli occhi limpidi raddrizzandosi meglio sul carretto.

Sapeva che Bucky viveva in una delle capanne piuttosto lontane dal centro abitato. Aveva avanzato quella richiesta e Steve non se ne era stupito quando T’Challa glielo aveva comunicato.

Inspirò a fondo quando raggiunsero il culmine della collina e a valle scorse un piccolo orto, un paio di capre che pascolavano e la capanna dell’amico.

Avvertì il proprio cuore accelerare il battito ed una morsa stringergli lo stomaco.

Inspirò nuovamente distogliendo lo sguardo verso la superficie del lago poco distante.

Il carretto si fermò in cima.

La discesa troppo impervia per quel mezzo malandato carico di cavoli.

Rogers scese con un balzo ringraziando con un ampio sorriso il vecchio Ike. Si gettò il borsone in spalla e si incamminò lungo il sentiero sterrato.

Una mano corse alla fronte un poco sudata.

Aveva caldo. Troppo.

Il sole batteva forte e l’agitazione che aveva in corpo non lo aiutava.

Deglutì avanzando velocemente.

Scorse una terza capretta al limitare del sentiero che sino ad allora era rimasta nascosta dietro un albero. L’animale sollevò il viso da terra e lo fissò curioso masticando un ciuffo d’erba.

La capanna dell’amico sempre più vicina.

Sbuffò gonfiando le guance e si impose contegno. Lo avrebbe rivisto. Dopo mesi.

Mesi lunghissimi in cui avrebbe voluto correre in Wakanda e stargli vicino. Ne aveva parlato con Shuri, principale responsabile del processo di cura intercorso da Bucky e la ragazza gli aveva consigliato di starsene a Brooklyn.

Riteneva che l’ex soldato d’inverno non andasse sovra stimolato in fase di cura e la sua presenza sarebbe stata decisamente un fattore sovra stimolante.

I ricordi sarebbero riaffiorati con lentezza, senza sforzi ma se lui fosse stato presente, la mente fragile del ragazzo avrebbe ricevuto impulsi eccessivi legati al passato.

Aveva così incassato il colpo e si era rassegnato ad attendere.

Si schiarì la voce avvertendo la gola un poco secca quando scorse sulla soglia della capanna la figura di James.

Barnes lo vide e sorrise. Un sorriso ampio di quelli che Steve aveva sempre trovato incredibilmente affascinanti.  Uno di quei sorrisi che avevano fatto strage di cuore nella Brooklyn degli anni Trenta.

Il cuore prese a battergli con forza. Lo avvertì persino nelle orecchie ed avrebbe giurato d’essere arrossito.

Ringraziò d’essersi fatto crescere la barba che avrebbe nascosto buona parte del suo viso accaldato.

L’amicò avanzò verso di lui.

Lo osservò.

Era decisamente meno muscoloso rispetto all’ultima volta in cui lo aveva visto sparire in quell’apparecchio per la criogenesi.

I pantaloni e la camicia sbracciata di un pallido verde fasciavano il suo corpo delineandone la struttura che personalmente avrebbe definito perfetta.

Un foulard blu gli copriva la spalla a cui in pochi giorni sarebbe stato inserito il nuovo braccio in vibranio.

I capelli e la barba più lunghi di quanto glieli avesse mai visti prima.

Lo trovò bellissimo. Non che fosse una novità.

Per lui James Buchanan Barnes era da sempre il ragazzo più bello su cui avesse mai posato gli occhi. Non avrebbe saputo dire se fosse per un discorso oggettivo o fossero i propri sentimenti a renderlo ancora più bello di quanto fosse in realtà.

Sentimenti di cui aveva preso consapevolezza decenni prima.

Sentimenti che aveva compreso appieno ed ammesso a se stesso il giorno in cui Buck era caduto da quel maledetto treno sparendo in un gelido crepaccio.

Rabbrividì al riaffiorare di quel ricordo.

In quel medesimo istante l’amico gli fu dinnanzi. Lo strinse a sé con forza.

Più di quanta si sarebbe aspettato.

Il proprio naso scivolò contro i capelli castani.

Inspirò a fondo il profumo naturale di Bucky che lo riportò dritto dritto al loro appartamento a Brooklyn. Ad una di quelle dozzine di gelide sere invernali trascorse a dormire abbracciati alla ricerca di un po’ di calore.

Ricambiò l’abbraccio lasciando cadere il borsone a terra.

James dal canto proprio sorrise contro il collo dell’amico. Le labbra sfiorarono la pelle accaldata e si godette quel momento rendendosi conto di quanto effettivamente gli fosse mancato.

I ricordi recuperati in quei mesi gli esplosero nella mente e nel cuore.

Si staccò a malavoglia da quel corpo solido e cercò immediatamente il suo sguardo.

“Ehi Punk” Sorrise.

“Ehi Jerk” Storse le labbra divertito.

“Ti sei fatto crescere la barba” Indicò con un cenno del capo.

La mano di Steve corse al proprio volto e la sfiorò.

“Sì bè…. Anche tu” Sorrise.

“E’ decisamente più comodo non farsi la barba quando vivi in un posto come questo” Fece spallucce.

“Già suppongo di sì” Si chinò a raccogliere il borsone.

Bucky gli dette una pacca sulla spalla e con un cenno del capo gli indicò la dimora.

“Dai, vieni”

Steve lo seguì oltre la tenda turchese appesa dinnanzi all’uscio.

La stoffa pesante gli sfiorò il viso mentre varcò la soglia della capanna.

Restò immobile guardandosi intorno.

Buck restò un poco in disparte guardandolo di sottecchi.

Gli occhi cristallini dell’amico stavano analizzando quel piccolo spazio.

Una piccola credenza, un tavolo con due sedie.

Due grosse cassapanche.

Mobilio povero in legno molto scuro che Steve non seppe identificare.

Vi era poi una lunga tenda a dividere in due l’unica stanza.

Quella sorta di divisorio in stoffa blu delimitava la zona notte.

“Dai dammi questo…” Barnes si morse il labbro inferiore afferrando il borsone dalle mani dell’amico “Puoi mettere le tue cose in questa…” Proseguì indicando una delle due cassapanche.

“Perfetto, grazie” Gli sorrise.

“E… Dietro qui c’è il letto…” Posò la borsa e scostò la tenda.

Rogers lo seguì.

Il materasso matrimoniale posava su delle basse assi lignee. La coperta di un giallo vivo.

Steve sorrise inginocchiandosi.

Sfiorò la stoffa e premette poi a palmo aperto.

“Non è male, è piuttosto morbido” Volse il viso verso l’alto incrociando gli occhi azzurri dell’amico.

“Ho dormito in posti peggiori” Arricciò le labbra in un mezzo sorriso.

Steve annuì rialzandosi in piedi.

“Dovrai condividerlo con me… A meno che tu non voglia dormire fuori con le capre” Indicò la finestrella.

Il capitano rise e sbirciò all’esterno.

Lo stesso animale che lo fissava al suo arrivo ne se stava ora ad un metro di distanza con il muso puntato all’insù.

Lui posò le mani sul piccolo davanzale e si sporse.

“Cosa vuoi?” Gli chiese.

La capra belò in risposta facendolo ridere.

“Con chi parli?” Buck inarcò un sopracciglio.

“Con la tua amica qua fuori… Prima mi guardava storto lungo il sentiero” Rientrò nella capanna.

James sbirciò fuori.

“Amico semmai” Puntualizzò “Non è una capra ma un caprone” Spiegò appoggiandosi con la schiena alla parete rossiccia “E’ Grant…”

“Grant? Come me?” Scoppiò a ridere.

Bucky sghignazzò allontanandosi “Sì, Grant come te… Vieni te lo presento” Sparì oltre la tenda.

Steve lo seguì all’esterno. Il sole colpì le sue iridi chiare e lui dovette serrare le palpebre un poco infastidito.

Il caprone si era allontanato un poco brucando.

Aveva raggiunto lo steccato che delimitava l’orto.

Roger fissò l’amico inginocchiarsi accanto a lui ed accarezzargli il capo.

Lo affiancò osservando le lunghe dita sottili grattare amorevolmente il pelo color miele tra le due lunghe corna.

L’animale parve apprezzare.

Abbandonò l’erba e sollevò la testa socchiudendo gli occhi quasi facesse le fusa.

Udì Buck mormorargli qualcosa che non riuscì a comprendere.

Chinò un poco il capo osservando il profilo sorridente di James.

Il naso perfetto, la mascella marcata.

I capelli castani scostati dietro l’orecchio.

Inspirò a fondo e dovette schiarirsi la voce imponendosi di smetterla di fissarlo.

Portò la propria attenzione sull’animale.

“Ehi ha gli occhi azzurri!”

L’amico sollevò il viso incrociando il suo sguardo “Alcuni di loro li hanno. E’ uno dei motivi per cui l’ho chiamato Grant” Ridacchiò.

“Stai insinuando che questa capra mi assomigli?” Inarcò un sopracciglio biondo.

Buck sorrise e si rimise in posizione eretta.

“In realtà sì… Quando ho iniziato a vivere qui, lui è stata la prima capra che mi hanno portato dal villaggio. Un pomeriggio me ne stavo seduto sotto quell’albero…” Con la mano indicò una grossa pianta al limitare dell’orto.

Steve si volse un istante ad osservarla attendendo che James proseguisse.

“Bè, me ne stavo perso nei miei pensieri. Cercavo di rielaborare i frammenti dei ricordi che la cura di Shuri mi aveva aiutato a recuperare. Avevo gli occhi chiusi e la testa appoggiata al tronco…”

Si grattò una tempia con indice e medio.

“E poi sento qualcosa sfiorarmi la spalla “Sorrise “Apro gli occhi e c’è… Grant” Gli accarezzò nuovamente il capo “Che mi fissa ad un palmo dal naso con i suoi occhi azzurri e la sua barbetta color miele”

Steve si appoggiò allo steccato incrociando le braccia al petto “E hai pensato a me?” Trattenne una risata.

“S…Sì” Ammise distogliendo lo sguardo “Lo so, è una cretinata” Si imbarazzò grattandosi la nuca “Nel mio cervello malandato è apparsa la tua faccia”

“Devo ancora decidere se sentirmi lusingato o offeso” Non perse il sorriso.

“Non lo so” Rispose arricciando le labbra divertito.

“E per curiosità, come mai Grant e non Steve?” Azzardò una carezza all’animale.

Il caprone si voltò guardandolo circospetto.

Buck retrocedette di un paio di passi e prese a camminare lungo lo steccato.

La mano scivolava sui paletti lignei.

Steve lo vide sbuffare sonoramente.

“Perché non mi piaceva l’idea di usare il tuo nome ogni giorno per…Rivolgermi ad una capra… Insomma, ecco ho pensato che Grant fosse un buon compromesso” Si volse verso Rogers.

Il capitano non si era mosso di un passo e lo fissava con le mani sui fianchi.

Buck lo studiò qualche istante corrugando le sopracciglia.

“Puoi ridere se vuoi” Borbottò.

L’amico gli si avvicinò fermandosi ad un soffio.

“No che non rido cretino”

Lo abbracciò, di nuovo. Gli dette una pacca sulla schiena e Barnes si ritrovò a chiudere gli occhi ed inspirare nuovamente il suo profumo.

Steve si scostò poco dopo, timoroso di eccedere in quelle manifestazioni d’affetto.

Sorrise e per mascherare quella sorta di imbarazzo e felicità che lo aveva pervaso tornò ad indicare l’animale.

“E poi è una bella capra! Sono lusingato!”

“Caprone non capra…” Lo sgomitò “Poi si offende…” Lo superò.

“Caprone” Annuì “Bene”

“Dai vieni, volevo farti fare un giro del villaggio ma sicuramente sarai stanco per il viaggio e vorrai stenderti una attimo…”

“No, non sono stanco…” Rientrò in casa “Sistemo al volo le mie cose e poi andiamo” Fece spallucce.

“Sicuro?”

“Sicuro Bucky” Gli sorrise inginocchiandosi ad aprire il proprio borsone.

“Bene…” Annuì. “Ti verso qualcosa da bere intanto?”

“Grazie”

James lo osservò di sottecchi aprire la cassapanca ed iniziare a riporre le proprie cose.

Analizzò rapidamente l’ampia schiena tesa sotto la t-shirt blu.

I muscoli pallidi dei bicipiti a contrasto con la stoffa scura.

I capelli biondi leggermente lunghi a sfiorare la nuca.

Gli occhi scesero ulteriormente concentrandosi sulla porzione di pelle ben visibile tra la maglietta un poco sollevata e la linea dei jeans.

Distolse lo sguardo scuotendo il capo e rammentando a se stesso di porre un freno a quei pensieri poco sani che lo stavano torturando ormai da tempo.

Inspirò a fondo e prese a rovistare nella credenza.

……

La sera era calata sul Wakanda.

Steve aveva trascorso la giornata in giro per il villaggio alla scoperta della vita rurale di quel popolo così differente rispetto a quella a cui era ormai abituato.

I wakandiani si erano rivelati gente con il sorriso impresso sulle labbra, gentili e disponibili. Sebbene pochi di loro riuscissero a parlare un poco l’inglese, avevano cercato di farsi comprendere al meglio dal capitano.

Bucky inizialmente un poco rigido nel dover gestire la visita di Steve si era mano a mano sciolto distendo il bel viso in un’espressione felice.

Rogers era rimasto affascinato dalla gestione del bestiame e della cucina. Aveva appreso della cottura del cibo attraverso dei fuochi realizzati in buche nel terreno e scoperto in una grande capanna svariati pesci appesi ad essiccare.

La cultura wakandiana aveva stimolato la propria curiosità e si era ripromesso che nei giorni a seguire avrebbe nuovamente fatto loro visita per apprendere al meglio le tradizioni e la gestione della giornata in quell’oasi di pace ferma nel tempo.

Di ritorno dal villaggio avevano portato con sé il cibo da consumare per cena.

Le donne avevano proposto ai ragazzi di fermarsi con loro tuttavia la giornata si era rivelata estremamente impegnativa per Steve con la stanchezza del viaggio ancora addosso e così avevano declinato l’offerta promettendo loro d’essere presenti la sera seguente.

Raggiunsero la cima della collina scorgendo la capanna a fondo valle.

Le capre addormentate sotto la grossa pianta al limitare dell’orto.

Steve sorrise nel vederle tutte accucciate vicine, le une accanto alle altre.

Bucky entrò lesto in casa posando sulla tavola una ciotola contenente della verdura.

Accese un paio di candele mentre il capitano posò con delicatezza un grosso piatto in peltro con tre pesci infilati su uno stecco di legno appena cotti alla brace.

L’ex soldato d’inverno uscì nuovamente all’esterno accendendo due fiaccole al limitare della capanna.

L’amico lo sbirciò dalla finestra.

Il profilo perfetto si fece rossastro alla luce della fiamma.

In quel mentre si volse e gli sorrise.

Steve replicò nel medesimo modo sentendosi incredibilmente felice.

“Vuoi mangiare fuori?” Propose.

“Possiamo?”

“Possiamo fare tutto quello che vuoi Steve” Fece spallucce.

Il capitano dette un paio di colpi di tosse ed annuì.

“Sì, certo… Allora mangiamo fuori”

Rientrò in casa grattandosi nervosamente la nuca.

“Tieni prendi questa”

James lo fece sussultare passandogli con poca grazia una grossa tovaglia rossa.

“S…sì” La strinse nella mancina “Posso prenderli io quelli.” Azzardò riferendosi ai piatti impilati con posate e bicchieri stretti nell’unica mano dell’amico.

Il bel viso assunse un’espressione arcigna.

“Ce la faccio da solo” Rispose cupo.

Rogers annuì senza aggiungere altro. Sapeva quanto l’amico fosse suscettibile e detestasse apparire debole.

Sebbene la propria avrebbe voluto essere una gentilezza temeva d’averlo innervosito.

Fu così che si volse ed uscì.

Buck si morse il labbro inferiore e lo seguì. Era conscio d’avergli risposto in maniera infastidita ma difficilmente riusciva a controllarsi ogni volta in cui qualcuno voleva aiutarlo seppur dotato di buone intenzioni.

Gli succedeva anche con i paesani o addirittura con Shuri e T’Challa.

Detestava apparire debole e bisognoso d’aiuto.

Prima gli avrebbero messo quel dannato braccio e meglio sarebbe stato per tutti.

“Puoi stenderla lì…” Il tono si fece più morbido.

L’amico obbedì posando la tovaglia sul prato poco distante dalla capanna, nella parte più prossima al lago.

Attese in piedi senza muovere un dito lasciando all’altro la possibilità di inginocchiarsi e posare le stoviglie a terra.

James apprezzò quel gesto e sospirò avendo conferma dei propri ricordi. Steve lo capiva da sempre. Anche solo grazie ad un’occhiata o ad un cambio di tono della voce.

Si morse il labbro inferiore posando i bicchieri.

“Potresti entrare tu a prender il cibo?” Domandò a capo chino.

Rogers sorrise “Ma certo Bucky”

Il ragazzo si voltò ad osservarlo allontanarsi verso la capanna.

Si sedette a terra sospirando.

Il palmo scivolò sul viso ripetutamente.

“Ecco qua!”

Sollevò lo sguardo ritrovando Rogers di ritorno con il pesce, la verdura ed una brocca d’acqua.

“Grazie” Afferrò il piatto in peltro.

Il capitano scosse il capo sedendosi a terra di fronte a lui.

“Allora… Cos’è quella cosa? Non l’ho mai vista prima” Dirottò l’attenzione sul cibo.

“Sono foglie di manioca cotte… Assomigliano agli spinaci… Ci fanno anche una zuppa che è piuttosto buona…” Afferrò un cucchiaio.

“Mai sentita nominare” Si grattò il mento barbuto.

“Vuoi provarla?”

“Sì certo!”

“Shuri dice che ha un sacco di proprietà benefiche ma che va cotta altrimenti è tossica…”La divise sui piatti.

“Interessante…” Tastò con i rebbi della forchetta.

Buck lo osservò portarsene un piccolo quantitativo alle labbra.

“Com’è?”

“Non è male” Fece spallucce “Non è un sapore disturbante”

“No, è piuttosto neutra, anche il tubero da cui provengono ha un sapore delicato” Addentò un pezzo di pesce direttamente dallo spiedo.

“Ti sei fatto una cultura sul cibo africano eh” Sorrise.

“Già” Annuì.

Steve colse il movimento della lingua scivolare sulle labbra un poco lucide e dovette distogliere lo sguardo.

Afferrò il bastoncino che reggeva il proprio pesce e lo assaggiò.

“Non è affatto male il cibo di qui… Anche se è un po’ troppo speziato. Non so se ti piacerebbe” Proseguì sorridendo.

“Come mai pensi questo?” Inarcò un sopracciglio curioso.

Bucky terminò il proprio boccone e bevve un lungo sorso d’acqua prima di rispondere.

Il frinire delle cicale accompagnò quegli istanti silenziosi.

“In effetti non lo so, è solo una sensazione” Borbottò fissando il proprio piatto.

Steve lo osservò indugiare con la forchetta tra la verdura.

“Nella nostra Brooklyn le spezie non erano certo molto utilizzate ma… In questi anni ho avuto modo di provarle e posso dirti con certezza che se possibile eviterei di ripetere l’esperienza. Preferisco di gran lunga un bell’ hamburger cotto sulla griglia”

Buck sbirciò oltre le lunghe ciglia castane ed arricciò le labbra in un mezzo sorriso.

Non disse nulla e proseguì il proprio pasto.

Il silenzio che scese su di loro non fu carico di imbarazzo. Tutt’altro.

Si godettero con tranquillità il cibo e la pace di quel luogo fermo nel tempo.

Quando Steve terminò anche la propria metà del secondo pesce, si pulì le labbra con il tovagliolo variopinto gettando uno sguardo al lago poco distante.

L’acqua immobile e scura.

Sollevò il viso sorridendo alla miriade di stelle presenti nella volta celeste.

“Wow…” Sussurrò.

Bucky sollevò il volto dal proprio piatto incuriosito dall’esclamazione estatica dell’altro.

“Sì, sono bellissime”

“Non credo di avere mai visto così tante stelle in vita mia” Mormorò.

“Non negli ultimi anni di sicuro. Vivendo a New York dubito sia possibile” Replicò Barnes riponendo le stoviglie una sull’altra.

“No… Con le luci della città è praticamente impossibile” Storse le labbra con disappunto.

James si alzò in piedi con i piatti in mano. Restò qualche istante con il viso rivolto verso il cielo.

“La luce artificiale ci sta rubando le stelle” Sospirò.

Steve si volse ad osservarlo. Le labbra un poco aperte gli conferivano un’espressione stupita.

L’altro riportò i grandi occhi chiari sul volto del capitano. Si imbarazzò un poco sotto quello sguardo.

“Che c’è?”

“Niente” Gli riserbò un piccolo sorriso “E’ bello quello che hai detto. Bello e triste”

James sussultò appena e si volse non sentendosi in grado di reggere quelle iridi limpide fisse su di sè.

“Non ho del caffè… Vuoi un bicchiere di idromele?” Domandò allontanandosi.

“Sì grazie” Rispose alzandosi in piedi a sua volta.

Si mise le mani in tasca raggiungendo la riva del lago.

Si avvicinò al canneto notando un movimento sotto l’acqua. Sbirciò curioso ma non riuscì a scorgere alcun che.

La luna tonda si rifletteva sulla superficie del Turkana e Steve si beò anche di quella visione inspirando a fondo.

Quando Bucky uscì dalla capanna reggendo una tavoletta lignea con posati sopra due bicchieri lo vide immobile sulla riva.

Si prese il permesso di osservarne la figura perfetta.

Sbuffò lentamente avvicinandosi poi con passo leggero.

L’amico volse appena il viso sorridendogli.

Il cuore di Bucky sussultò a quell’occhiata gentile e quelle belle labbra piegate all’insù.

“Grazie Buck” Afferrò il proprio bicchiere.

James posò la tavoletta e terra prima di far tintinnare il proprio bicchiere contro quello dell’altro.

Sorrise a sua volta osservando il lago.

“E’ un posto meraviglioso amico, dico davvero” Rogers sorseggiò la bevanda a base di miele diluito e fermentato.

Lui si morse le labbra meditabondo. La mano corse alla spalla fasciata e sospirò.

“Sì, lo è ma… A volte perdi il contatto con la realtà. Ti senti immerso in una bolla quasi vivessi in un mondo parallelo”

Steve bevve un altro sorso riflettendo sulle parole dell’amico.

“E… A te piace vivere in un mondo parallelo?” Domandò cercando il suo sguardo.

Bucky faticò a concederglielo.

Deglutì fissano per qualche istante l’erba sotto i suoi piedi.

“Posso risponderti un’altra volta?” Domandò sorridendogli appena.

Rogers annuì giocherellando con il bicchierino. Gli occhi chiari fissi sul vetro grezzo.

Doveva concedere tempo a James.

Tempo per abituarsi alla propria presenza lì.

Tempo prima di chiedergli se volesse tornare a Brooklyn con lui.

“E’ stata una lunga giornata” Sospirò.

“Sì”

“Forse dovrei andarmene a dormire. Ho il fuso orario che comincia a farsi sentire” Sorrise.

“Certo, ti meriti un bel sonno”

Steve annuì allontanandosi verso casa.

Recuperò il proprio cambio per la notte prima di dirigersi alla piccola capanna attigua in cui vi era una sorta di bagno improvvisato.

Buck lo osservò da lontano con fare meditabondo prima di ritornare in casa a recuperare il secchio con le stoviglie sporche. Lo portò accanto alla pompa dell’acqua e lo riempì.

Rogers uscì dalla capannetta adibita a bagno poco dopo.

Indossava dei morbidi pantaloni scuri in felpa e una canottiera nera.

James se ne stava inginocchiato poco distante a lavare i piatti.

Sollevò gli occhi e gli riserbò un’occhiata analitica.

Le iridi azzurre si persero sui giochi d’ombre che le fiamme della torcia generavano sui bicipiti del capitano.

L’amico corrugò le sopracciglia e lo raggiunse in pochi passi.

“Posso darti una mano?” Sospirò mettendosi le mani sui fianchi.

“No” Scosse il capo posando un piatto sulla grossa pietra accanto alla pompa.

“Buck…So che sei particolarmente suscettibile ma… Trovo ingiusto stare qui a guardarti mentre fai tutto tu” Si piegò sulle ginocchia accanto a lui.

Il ragazzo distolse lo sguardo mordendosi il labbro inferiore e non rispose.

“Te lo chiederei anche se di braccia ne avessi due, non… Prendere tutto come una sorta di atto di compassione nei tuoi riguardi”

“Come fai a sapere che la penso così?” Corrugò le sopracciglia.

Steve inspirò a fondo e gli prese il piatto di peltro dalle mani.

“Perché ti conosco” Sorrise immergendolo nel secchio con il sapone.

Buck scosse il capo con un sorriso e si alzò in piedi.

Si scostò un poco e si sedette sul prato.

“Ok Steve” Sollevò il palmo in segno di resa “Ok”

“Ecco bravo, stattene lì buono che poi ce ne andiamo a letto” Strofinò con la spugna prima di passarlo sotto il getto dell’acqua.

James restò ad osservarlo inginocchiato a terra compiere con velocità quei gesti semplici.

Osservò i ciuffi biondi scendere scomposti e sfiorargli il naso.

Steve lo arricciò e Buck trovò splendido il bagliore della fiamma su quei fili biondi.

Si schiarì la voce battendo le palpebre.

“Forse è il caso che vada a prepararmi anche io per la notte”

L’amico sollevò il viso sorridendogli. Si limitò ad annuire e proseguire nel proprio lavoro.

Quando Bucky uscì dal bagno non trovò più Steve.

La zona attribuibile a lavatoio deserta.

Rientrò in casa.

La candela all’ingresso spenta.

Deglutì scostando la pesante tenda scura.

Il buio avvolgeva anche la zona adibita a notte, la sola luce della luna filtrava dalla finestra illuminando il letto.

James osservò la lunga figura stesa supina sul materasso.

Teneva le palpebre abbassate.

Una mano sotto il capo. Il gomito piegato.

Osservò il bicipite in tensione e quanto la canottiera seguisse le forme di quel corpo perfetto.

Faticò a rivedere in quell’immagine il fragile ragazzino di Brooklyn.

Sebbene durante il periodo della guerra avesse già vissuto con Steve dopo la sua metamorfosi dovuta al siero, faticava a recuperare frammenti di vita che lo collegassero a quella figura statuaria.

Nel corso di quei mesi di rielaborazione psico fisica aveva avuto modo di riflettere sulla propria vita passata e in grande parte dei propri ricordi, il suo Steve era mingherlino.

Si avvicinò piano temendo di svegliarlo.

Quando prese posto sul materasso, il ragazzo si voltò nella sua direzione.

James trattene il fiato.

Gli occhi limpidi ed il sorriso dolce di Rogers ad un soffio del proprio viso.

“Scusa, ti ho svegliato” Mormorò.

“No, stavo solo riposando gli occhi” Si sfregò le palpebre.

“Dovresti dormire, è tardi e sarai stanco, anche se sei Captain America non sei indistruttibile”

L’altro soffocò uno sbadiglio annuendo.

“Hai ragione, sono stanco morto” Rispose socchiudendo gli occhi.

Buck non ebbe modo di replicare.

Un sospiro profondo gli fece capire che l’amico era sprofondato nel sonno.

Sorrise comprendendo la stanchezza assoluta a cui l’amico cercava di reagire da svariate ore.

L’ennesimo ciuffo biondo scivolò sul suo viso.

James restò ad osservarlo.

La ciocca serica era immobile sulla guancia.

Posava sulla barba altrettanto bionda.

Lo fissò per un tempo indefinito e una serie di innumerevoli pensieri ingolfò il suo cervello stanco.

L’attrazione che provava verso Steve era una cosa con cui stava cercando di coesistere. Non sapeva esattamente quando e perché fosse nata ma il sospetto sempre più grande era quello che fosse ben celata nel proprio io sin dai tempi di Brooklyn.

Sin da quando Steve era il suo Steavie. Uno scricciolo malaticcio tutto occhi e labbra piene.

Sollevò la mano.

L’avvertì tremare un poco.

Si fermò a una manciata di centimetri dal volto del ragazzo.

Indugiò.

Si morse il labbro inferiore ripetutamente.

Pollice ed indice afferrarono la ciocca. Gliela scostò con delicatezza dietro l’orecchio.

Rabbrividì.

Quanto a Steve, non si mosse di un millimetro.

Con l’indice sfiorò delicatamente la barba.

La trovò morbida.

Si morse la lingua e scostò la mano con uno scatto quasi si fosse scottato.

Spalancò i grandi occhi azzurri e si voltò sul fianco opposto dando le spalle a Rogers.

Chiuse gli occhi con forza e si impose di dormire.

Insultò se stesso per essersi preso il permesso di sfiorarlo. Per aver azzardato quel gesto così semplice ma che se l’amico si fosse svegliato sarebbe apparso estremamente equivoco.

Stupido Bucky.

Si raggomitolò portando le ginocchia al petto sperando che il sonno lo cogliesse.

Rogers dal canto proprio sorrise.

Un sorriso incredulo e felice.

Poteva dunque sperare.

…………

I giorni trascorsero nel Wakanda, lenti e felici.

Steve si stava abituando alla vita in quel paese incontaminato. Aveva imparato a conoscere gli abitanti del villaggio e si era reso spesso utile dando loro una mano nelle faccende di vita quotidiana. Sempre con Bucky al proprio fianco aveva poi passeggiato in quella natura selvaggia scorgendo scorci splendidi.

James gli era parso rilassato e a proprio agio per la maggior parte del tempo ed in certe occasioni aveva avuto modo di riscoprire il Buck scanzonato della Brooklyn di settant’anni prima. Il suo percorso di recupero era stato lento e doloroso ma aveva dato i suoi frutti. Sebbene sopita la personalità del vecchio Barnes era ancora lì e stava pian piano riaffiorando. I ricordi riscoperti e la presenza costante dell’amico lo stavano facendo risbocciare sebbene entrambi sapessero che le cicatrici nella mente e nel corpo non si sarebbero mai cancellate totalmente.

Il pomeriggio del quarto giorno Steve se ne stava sul limitare del lago con le mani sui fianchi ed un paio di occhiali da sole a celare lo sguardo curioso.

Bucky lo osservava di sottecchi, seduto sotto il grosso albero al limitare dell’orto.

“A che pensi Punk?” Domandò dopo un tempo indefinito.

Rogers si voltò verso l’amico inclinando il capo.

Tese un braccio verso la distesa d’acqua ferma.

“Si potrebbe fare un bagno lì dentro? Fa un caldo indecente Buck”

“Sì che puoi se ci tieni a farti mangiare da un coccodrillo o a beccare qualche batterio letale” Si rigirò un lungo filo d’erba tra le dita.

Grant gli si avvicinò strofinandogli il muso sulla coscia.

Bucky gli sorrise accarezzandogli un poco il capo color miele.

“Hai detto coccodrilli?” Si grattò il capo.

“Sì Steve, ho detto coccodrilli… Non sei a Coney Island sai…”

Il capitano sbuffò sonoramente e lo raggiunse.

James sussultò quando Rogers, sedendoglisi accanto, si appoggiò con la propria spalla a quella coperta dalla placca.

Steve ignorò volutamente quel sussulto e lo scostarsi di una manciata di centimetri da parte di Barnes.

Portò le ginocchia al petto e levandosi gli occhiali si guardò attorno.

“Molto bene, avevo in programma una bella nuotata e niente… Andrò di nuovo al villaggio a vedere se hanno bisogno una mano”

“Questa è un’insenatura” Attaccò Bucky indicando il lago con un cenno del capo “Se ci spostiamo più a nord la zona non è così paludosa…” Si volse cercando lo sguardo di Steve.

“Davvero?”

“Sì, c’è una spiaggia e l’acqua è piuttosto limpida”

“E i coccodrilli?” Azzardò mordendosi il labbro.

“Oh Dio non ci credo” Rise “Captain America che ha paura dei coccodrilli?”

Rogers si finse offeso beandosi al contempo di quella risata felice.

“Ehi sono un super soldato ma pur sempre un uomo! Se un affare di quelli dovesse azzannarmi che succederebbe? Non sono fatto di vibranio come il mio scudo!” Lo sgomitò.

Bucky inarcò un sopracciglio e si alzò in piedi.

Steve alzò il viso all’insù.

Un raggio di sole si insinuò tra le fronde dell’albero e colpì le sue iridi limpide.

James si perse ad osservarle e per l’ennesima volta in vita sua non avrebbe saputo definirne perfettamente il colore.

Il sole li rendeva più verdi che azzurri eppure alla luce artificiale l’azzurro era il colore preponderante.

Amava gli occhi di Steve, da sempre.

“Buck?” Lo richiamò.

“Sì!” Sussultò dandogli le spalle.

“Tutto ok?”  Si incupì alzandosi a sua volta.

“Certo” Annuì

“Che fai?”

“Non volevi andare a nuotare?”

“Ci andiamo davvero?”

James si volse ricercando nuovamente il suo sguardo. Lo trovò puro e felice come quello di un ragazzino.

Storse le labbra in un sorriso.

“Sì se ti muovi” Lo spinse su una spalla.

Lo superò poi incamminandosi verso nord.

“E’ molto distante?” Lo affiancò rimettendosi gli occhiali da sole.

L’amico fece spallucce infilandosi in un sentiero tra gli alberi “Mezz’ora direi”

Camminarono nella folta vegetazione alternando momenti di chiacchiera ad altri di silenzio. Steve si guardò attorno cercando di memorizzare il percorso ma la cosa gli riuscì abbastanza difficile poiché spesso il sentiero spariva.

Il sole filtrava tra gli alberi e sollevando il viso si perse ad osservare delle palme di dimensioni mai viste prima.

“Buck… Sei sicuro di conoscere la strada per ritornare?”

“E’ una battuta Rogers?” Domandò scavalcando un grosso tronco caduto a terra.

“E’ solo che…Non riesco a trovare punti di riferimento” Si grattò il capo.

“Sono io il tuo punto di riferimento” Replicò superandolo.

 Steve si fermò un istante, il palmo posato all’ennesima gigantesca palma.

Inspirò a fondo e si stupì di come quella frase detta con leggerezza fosse in realtà una delle cose più vere che l’amico avesse mai detto.

Lo aveva chiaramente fatto senza riflettere. Era una considerazione estemporanea basata sulla sua perplessità manifestata ma… Non aveva potuto fare a meno di percepirvi altro.

James non udì il rumore dei passi dell’amico e così si voltò dopo una quindicina di metri.

Lo trovò con il capo chino ed il braccio posato al tronco dell’albero.

Per un istante si allarmò.

“Steve!”

L’altro sollevò il viso cogliendo un lampo di preoccupazione sul suo volto.

“Arrivo Bucky” Inspirò.

“Stai bene?” Ritornò sui suoi passi.

Rogers sorrise vedendolo avvicinarsi. Si fermò ad un passo da lui con le sopracciglia castane corrugate.

“Che hai?” Domandò di nuovo.

Il capitano scosse il capo e si compiacque di quella palese nota di ansia nella voce calda del ragazzo.

“Non ho nulla” Sorrise di nuovo “Avevo solo bisogno di recuperare un po’ di fiato”

Barnes non perse quell’aria arcigna conscio di quanto quella fosse una menzogna. Ci voleva ben altro che una semplice scampagnata per levare il fiato a Captain America.

“Non sopporto quando mi menti” Replicò avvicinandosi ulteriormente.

Steve trattenne il fiato percependo il suo corpo così vicino.

Si perse ad osservare la perfezione del viso di James concedendosi un’occhiata più approfondita alle labbra ringraziando i proprio occhiali scuri che gli schermavano lo sguardo.

Inspirò a fondo e il profumo naturale di Bucky gli giunse forte e chiaro alle narici.

“Non sto mentendo. Andiamo?” Lo superò incapace di stargli troppo vicino senza commettere una sciocchezza.

Il ragazzo restò con espressione cupa nella medesima posizione.

Volse solo il capo verso la figura di Steve che si allontanava.

Sbuffò richiamandolo a gran voce.

“Dove vai adesso cretino? Non conosci la strada”

Rogers sorrise scuotendo il capo.

Si fermò con le mani sui fianchi e attese che lo affiancasse.

“Aspetto il mio punto di riferimento”

Bucky non replicò. Si limitò a soppesare a propria volta quelle parole che precedentemente aveva detto con leggerezza.

Ci rimuginò nei minuti che seguirono.

Ci rimuginò e prese consapevolezza di quanto fossero vere di riflesso nei confronti di Steve.

Si turbò.

Si grattò nervosamente la mascella e si chiese se anche il turbamento dell’amico fosse giunto da quella considerazione.

Deglutì con forza scorgendo il mare tra gli alberi.

Udì Steve mormorare qualcosa ed le onde. Lo vide accelerare il passo sino a correre per raggiungere la spiaggia.

Restò sul limitare del bosco osservandolo correre sulla sabbia fine.

Il mio punto di riferimento. Insieme fino alla fine.

Quelle parole gli giunsero alla mente come un lampo.

Si morse nervosamente il labbro inferiore.

Steve lo richiamò gesticolando e James si ritrovò a sorridere della felicità manifestata dall’altro.

Mise a propria volta i piedi sulla spiaggia e si incamminò a passo lento.

Il sole baciava la figura statuaria dell’amico rendendo la sua pelle ancor più chiara ed i biondi capelli parvero brillare.

“E’ una meraviglia qui! Guarda che acqua!”

“Te lo avevo detto” Si riscosse facendo spallucce.

Steve se ne stava con le mani sui fianchi ed un’espressione stupita sul volto.

La distesa blu infinita dinnanzi a sé.

Una spiaggia che si estendeva a perdita d’occhio con qualche sparuto albero cresciuto qua e là.

Aguzzò meglio la vista e distinse chiaramente decine di fenicotteri rosa un centinaio di metri verso nord con le zampe placidamente a mollo nell’acqua.

Oltre lo stormo notò la vegetazione sparire per lasciare posto ad una distesa infinita di roccia lavica. Rammentò quando al villaggio un paio di ragazzi gliene avessero parlato.

Sorrise e si voltò verso Bucky che si era accomodato sotto un piccolo albero cresciuto tra la sabbia.

“Mi piace” Decretò.

“Lo avevo vagamente intuito” Storse le labbra divertito.

Rogers si grattò la nuca un poco imbarazzato e lo raggiunse senza tuttavia sedersi.

Sfiorò un ramo tortile incuriosito da quella varietà di pianta.

“E’ un’acacia… Lo sono tutte le piante che vedi spuntare qua e là tra sabbia e roccia… Anche quelle più grosse che vedi giù in fondo”

“Sei proprio diventato un esperto eh” Lo canzonò bonariamente.

“Non ho molto altro a cui pensare quaggiù”

Steve annuì mordendosi il labbro.

Lo vide portarsi la mano verso il viso e osservare la formica che correva su e giù lungo le sue dita sottili.

Una sorta di rassegnazione era trapelata dal suo tono di voce.

Un velo di tristezza.

L’ultima cosa che Rogers voleva fare era quella di intristire il ragazzo.

“Buck” Lo richiamò.

“Sì?” Seguitò a fissare l’insetto.

“Allora ci buttiamo?” Si infilò in tasca gli occhiali indicando il lago con un cenno del capo.

James rise posando la mano sul tronco alle sue spalle. La formica scivolò sulla corteccia e sparì.

“Non io. Eri tu quello che voleva farsi un bagno”

“Oh andiamo!!”

“Scordatelo” Si portò le ginocchia al petto e fissò il capitano dal basso verso l’alto.

“Perché?!” Insistette.

“Non sono esattamente un provetto nuotatore. Non senza questo almeno” Ribeccò un poco acido battendo una mano sulla placca nascosta da una fascia scarlatta.

“Non ci provare Jerk, eri mediocre anche settant’anni fa…” Sdrammatizzò.

Bucky battè le palpebre ed un sorriso stupito gli sorse spontaneo.

Sapeva che le parole dell’amico fossero mirate a toglierlo da quella sorta di autocommiserazione in cui saltuariamente cascava.

“Stai zitto Rogers, settant’anni fa ero un maledetto pesce! E lo sarò anche la settimana prossima, quanto mi rimetteranno quel dannato braccio” Ghignò.

Steve si piegò sulle ginocchia di fronte a lui ed inarcò le sopracciglia in quel modo che Buck aveva sempre definito -alla Steve Rogers-

“Bene, pesce, la settimana prossima mi darai prova delle tue capacità natatorie ma ora, potresti levarti tutta questa roba e darti una rinfrescata? Non dobbiamo andare al largo… Ce ne stiamo a riva”

James distolse lo sguardo e scosse il capo.

Si alzò in piedi e si allontanò di qualche passo.

Steve inspirò a fondo e lo raggiunse.

“Qual è il vero problema Buck?” Si azzardò a passargli un braccio sulle spalle.

L’amico sussultò ma non si scostò il che lo rese felice.

James fissò l’orizzonte per diversi istanti prima di rispondere.

“Non è un bello spettacolo Steve. Nei limiti del possibile evito a chiunque di farlo vedere” Mormorò con un filo di voce.

Il cuore del ragazzo si strinse a quelle parole. Dovette serrare le palpebre ed inspirare a fondo.

“Sorvolando sul fatto che ti ho già visto senza un telo addosso quando ti hanno infilato in quel dannato apparecchio per la criogenesi….” Attaccò “Sono solo io Buck. Sul serio hai problemi a farti vedere da me?”

Lo afferrò per le spalle facendolo voltare.

James non resse quegli occhi così belli e carichi di un qualcosa che non avrebbe saputo definire.

Chinò lo sguardo mordendosi il labbro inferiore.

“Tu sei proprio l’ultimo da cui vorrei farmi vedere in questo stato” Borbottò.

Steve non fu convinto di avere capito bene quella frase.

Non ne fu convinto poiché gli era parsa talmente assurda dal non poterla concepire.

“Stai scherzando?” Si incupì.

“Ti sembro uno che ha voglia di scherzare?!” Ribeccò acido cercando ora quelle iridi così chiare.

“Sono io! Steve Rogers! Tu mi hai medicato quando avevo un improbabile corpo di quaranta chili! Quando ero uno scheletrino con la scogliosi più carico di lividi che di muscoli! Abbiamo nuotato assieme dozzine di volte, e altrettante mi hai ripescato dall’acqua per i miei attacchi d’asma! Sul serio ti vergogni di me? E’ la più grossa stupidata che sia mai uscita dalla tua bocca Jerk!!”

“Bè adesso non sei certo un ragazzino rachitico e con l’asma ed io non sono più quel Bucky. Sono praticamente uno storpio col cervello malandato quindi no grazie Captain America rifiuto l’invito e me ne sto qui seduto a…”

L’ex soldato d’inverno non riuscì a terminare la frase.

Il palmo di Steve premette con forza sulle sue labbra mettendolo a tacere.

“Va bene” Annuì “Non vuoi spogliarti e mi sta bene, non voglio obbligarti a fare qualcosa che ti infastidisce ma…” Chinò lo sguardo.

Inspirò a fondo e serrò le palpebre cercando di lenire quel dolore che le parole dell’amico gli avevano provocato.

“Gesù Bucky non dire più nulla del genere. Ti prego” Mormorò fissando la sabbia sotto i propri piedi.

Il palmo scivolò via dalle labbra dell’altro.

Steve vacillò. Mentalmente e fisicamente.

Vacillò posando la fronte sulla spalla di James.

Buck spalancò i grandi occhi chiari e rabbrividì avvertendo la barba del capitano sfiorare il proprio collo.

Tremò indeciso poi si fece coraggio e lo abbracciò.

Avvertì le mani dell’amico posarsi sulla vita e ricambiare quell’abbraccio in maniera delicata.

Restarono in silenzio per un tempo indefinito poi Rogers prese parola.

Le labbra sfiorarono impercettibilmente il collo dell’altro.

“Non parlare più di te stesso in quel modo. Fallo per me Buck”

Barnes annuì e la propria mano risalì lungo l’ampia schiena di Steve soffermandosi sulla nuca.

Indice e medio sfiorarono i capelli biondi più lunghi di quanto glieli avesse mai visti prima.

“Ho passato tutta la mia vita ad invidiare il tuo corpo, a confrontarlo con il mio. Ho sempre fatto una gran fatica a farmi vedere nudo da te Bucky… Anche quando ero così messo male da ragionare a fatica per le botte o per la malattia, pensavo a quanto potessi apparire imbarazzante davanti ai tuoi occhi”

Sospirò e Barnes potè avvertire il fiato caldo contro il proprio collo.

Steve proseguì senza muoversi di un centimetro perché era molto più facile parlargli così, senza quei grandi occhi azzurri fissi su di sé.

“E anche se adesso non sono più… Un mucchietto d’ossa, fidati, dentro sono ancora quel ragazzino rachitico che si imbarazza farsi vedere da Bucky Barnes, il ragazzo più invidiato di tutta Brooklyn.”

James chiuse gli occhi e rafforzò la stretta. Affondò il viso contro la nuca dell’amico.

Il naso scivolò tra quei capelli biondi che aveva sempre trovato splendidi.

Annuì di nuovo.

“Sei sempre tu Buck. Anche con o senza braccio in vibranio sei comunque perfetto” Ammise in un soffio.

Avvertì le proprie gote scottare e con tutta probabilità se ne sarebbe accorto anche Bucky se solo si fosse scostato per guardarlo in viso.

Non sapeva quanto quel discorso potesse risultare equivoco. Quanto l’amico avrebbe colto di quelle parole così sincere.

Il cuore di entrambi batteva forte nel petto e nessuno dei due ebbe il coraggio di sciogliere quell’abbraccio.

James si impose di farlo.

Avrebbe voluto dirgli un sacco di cose ma sebbene tra i due fosse sempre stato lui quello più espansivo e ciarliero quella parte di sé era ancora sopita. Bloccata negli anni Quaranta e timorosa di farsi rivedere.

Fu così che si ritrovò a deglutire e stringere la mano con forza alla spalla di Steve mentre gli occhi dell’altro lo fissavano luminosi.

“Certo che sai come consolare le persone eh Punk?” Si morse la lingua sorridendo per metà.

Rogers inclinò il capo sorridendo. Scosse la testa ed un ciuffo gli finì sul naso.

Bucky si fece serio azzardandosi a scostarglielo dietro l’orecchio.

Indugiò un poco sfiorando con finta casualità la barba.

Steve trattenne il fiato e restò immobile. Vide gli occhi dell’altro spalancarsi quasi fosse spaventato.

Lo avvertì scostarsi da lui con un passo veloce e grattarsi nervosamente il collo.

“Dai adesso vai a farti questo benedetto bagno” Sorrise distogliendo lo sguardo.

“Non ne ho più così voglia” Ammise mettendosi le mani sui fianchi.

“Non ci credo… Stai rompendo le scatole da due ore, adesso ti butti” Lo spinse sulla schiena incentivandolo ad avvicinarsi alla riva.

Rogers si impuntò senza muoversi di un centimetro.

“Buck non…”

L’amico levò gli occhi al cielo ed afferrandolo per una mano lo trascinò dietro di sé verso l’acqua.

“Se non vuoi fare il bagno vestito ti consiglio di spogliarti prima che io ti getti così in acqua”

Steve rise stringendo quella mano sottile nella propria.

Quando giunsero in prossimità dell’acqua si fermò e Bucky si volse sorridendogli.

“Dai non fare il cretino. Buttati”

Il capitano annuì slacciandosi le scarpe e posandole sulla zona erbosa poco distante.

Bucky si sedette lì accanto e lo fissò con il naso all’insù.

Steve si tolse la t-shirt nera fingendo una disinvoltura che non possedeva.

Arrossì sulle gote e si chiese perché l’altro non smettesse di fissarlo con un sorrisino divertito stampato sul bel viso.

Si sfiorò il bottone dei jeans e tergiversò.

“Stai arrossendo Rogers” Lo stuzzicò.

“Oh andiamo smettila di fissarmi! Mi metti in imbarazzo Buck te l’ho detto!”

Barnes rise sinceramente divertito ed anche un poco lusingato da quel rossore sulle gote di quello che a conti fatti era uno dei ragazzi più belli d’America.

Afferrò la maglietta di Steve e con un gesto secco gliela lanciò contro le gambe.

“Non fare il ragazzino e levati sti affari”

Il capitano borbottò qualcosa di non meglio identificato e si abbassò i pantaloni con gesti decisi.

James deglutì sonoramente e la propria pseudo sfacciataggine vacillò dinnanzi a Captain America con addosso solo un baio di corti boxer neri.

Roger si accorse di quel cambio d’espressione e fu il suo turno di ghignare.

Si mise le mani sui fianchi sottili e richiamò la sua attenzione.

“Soddisfatto sergente Barnes?”

“S…Sì. Direi di sì” Si schiarì la voce.

Gli occhi indugiarono sul torace muscoloso scivolando sino all’ombelico per poi rendersi conto di quanto fosse inopportuno e riportarli sul viso dell’amico.

“E adesso sparisci Punk, vai a farti questo maledetto bagno” Indicò il Turkana.

“Agli ordini!” Mimò il saluto militare e si voltò raggiungendo a passo lento la riva poco distante.

James dovette inspirare molto a fondo ed imporsi di smetterla di fissare il fondoschiena perfetto di Steve.

Si morse il labbro inferiore ed imprecò vergognandosi dei propri pensieri.

L’amico nel frattempo si era immerso totalmente nell’acqua.

Lo osservò nuotare sino a che divenne un puntino minuscolo all’orizzonte.

Buck corrugò le sopracciglia e si alzò in piedi per poterlo tenere d’occhio. Un’azione sciocca ne era consapevole tuttavia non potè farne a meno.

Si morse il labbro inferiore vedendolo sempre troppo lontano per i propri gusti.

Sbuffò levandosi le scarpe.

Si arrotolò i pantaloni sino al ginocchio e raggiunse la riva.

I piedi affondarono sulla sabbia sottile.

L’acqua calda com’era logico che fosse.

Il vento si alzò inaspettatamente ed i lunghi capelli castani si mossero sfiorandogli gli occhi in maniera fastidiosa.

Li scostò con un gesto secco mentre un sorrisetto gli sorse sulle labbra.

Steve stava tornando verso riva.

“Si è alzato il vento… Temevi ti spingesse troppo al largo?” Domandò quando fu a pochi metri di distanza.

Steve rise immerso nell’acqua sino alle spalle.

“Semmai tu temevi che io finissi al largo” Replicò.

“Non è vero” Distolse lo sguardo.

Rogers si avvicinò lentamente e Buck con la coda dell’occhio non si perse il corpo statuario emergere con sfacciata lentezza dall’acqua.

“E come mai te ne stai qui come una sentinella?” Domandò affiancandoglisi.

James sollevò i grandi occhi chiari osservando il viso un poco umido dell’amico.

I capelli biondi apparivano più scuri così zuppi.

Il capitano li portò all’indietro con un gesto naturale ma che fece fremere Barnes.

“Non sono una stupida sentinella, avevo caldo e mi andava di bagnarmi i piedi” Replicò con il nasino all’insù.

“I piedi” Annuì storcendo le labbra “Se lo dici tu” Fece spallucce superandolo.

Si sedette sull’erba accanto ai propri vestiti.

James non gli dette la soddisfazione di aver ragione.

Prese a camminare lungo la riva avanti ed indietro per un po’ fingendo d’essere realmente interessato a rinfrescarsi un poco.

Proseguì a filo dell’acqua. I piedi scalciarono qualche sassolino.

I fenicotteri sempre più vicini. Ne vide un paio alzarsi in volo ed allontanarsi.

Inspirò a fondo l’aria tiepida.

Si grattò nervosamente la nuca e si volse ritornando in direzione dell’amico.

Il capitano se ne stava steso al sole con gli occhi chiusi e le braccia spalancate sull’erba arida.

Bucky imprecò. Non si sentiva in grado di stendersi sul prato accanto a Steve Roger mezzo nudo e fresco di bagno ma non poteva certo passeggiare sulla riva sino a sera.

Avrebbe finto indifferenza. Non era cosa così difficile dopo tutto.

Gettò un’occhiata a Steve.

No. Non era così difficile… Forse.

Sbuffò e accelerò il passo.

Gli si sedette accanto cercando di ignorarlo il più possibile.

Rogers aprì giusto un occhio avendo udito il fruscio accanto a sé ed un’ombra oscurargli il sole oltre le palpebre abbassate.

“Sei tornato”

Buck annuì senza replicare.

Stese le gambe dinnanzi a sé. L’erba giallognola gli pizzicò i polpacci ed i piedi umidi.

Battè gli alluci l’uno contro l’altro ritmicamente.

Lo sguardo perso all’orizzonte ove il sole andava lentamente a calare.

Steve si sollevò un poco posando i gomiti a terra.

Osservò il profilo perfetto di James, lo sguardo indugiò sulla barba scura.

“Che c’è Rogers?” Domandò senza voltarsi.

“Non sono abituato a vederti con la barba ed i capelli così lunghi”

L’amico emise un sbuffò divertito e chinò lo sguardo incrociando quello dell’altro.

“Nemmeno io”

“Hai ragione” Inarcò le sopracciglia annuendo.

“Sono così terribili? Hai una faccia” Rise.

“No, non ti stanno male” Distolse lo sguardo fissando il lago.

Bucky si schiarì la voce prima di replicare “E’ un discorso di comodità te l’ho detto…”

Steve sorrise e si mise a sedere, afferrò la propria t-shirt e se la infilò.

“Non ti devi giustificare amico, è solo che se ripenso al Buck sbarbato e con i capelli perfettamente pettinati all’indietro col gel…” Afferrò anche i pantaloni.

“Finisci la frase Punk”

Rogers si mise in piedi ed allacciò i jeans.

“Niente mi fa sorridere la cosa. Chissà se alle tue ragazze sarebbe piaciuta tutta quella roba” Sorrise indicando il volto con l’indice.

Si sedette nuovamente accanto a lui.

Barnes lo spinse su una spalla e rise. “Al diavolo! Non andava di moda una volta! E’ logico che inorridirebbero”

“Ma non lo facevi per comodità?” Lo punzecchiò.

“Ah giusto, sei tu quello modaiolo” Arricciò le labbra in un mezzo sorriso.

Steve sollevò le mani in segno di resa “E’ solo un cambio di look… Dopo settant’anni è doveroso…”

Bucky si sistemò i pantaloni ed infilò le scarpe.

Si alzò in piedi ed indicò il sole prossimo al tramonto.

Il capitano annuì senza bisogno di chiarimenti. La via verso casa andava imboccata prima che facesse buio.

“E’ un consiglio della biondina?” Domandò incamminandosi nel fitto della boscaglia.

Steve fissò perplesso la schiena dell’amico precederlo.

“Quale biondina??” Scavalcò una grossa radice tortile.

“Ah, ce ne è più di una?” Domandò con fare canzonatorio sebbene quella domanda gli avesse procurato una stupida fitta allo stomaco.

Rogers battè le palpebre e nel proprio cervello riaffiorò l’immagine di mesi prima. Quel giorno maledetto in cui i rapporti con Tony si erano incrinati. Rammentò Sharon che lo baciava a tradimento proprio mentre Bucky e Sam lo attendevano in auto.

“P…Parli di Sharon?!” Accelerò il passo e lo raggiunse.

Si infilarono nella parte di sentiero sterrata tra le gigantesche palme.

“Non lo so come si chiama, è una cosa che il mio cervello ha disgraziatamente rimosso” Sorrise.

“Bè comunque non è un suo consiglio… E poi non mi sono mai piaciute le biondine…” Si infilò le mani in tasca.

“Ah no?” Domandò riserbandogli un’occhiata penetrante.

Steve arrossì e quella manifestazione così genuina di imbarazzo riempì il cuore di Bucky. Adorava quella parte pudica dell’amico.

“N…No” Scosse il capo procedendo a passo veloce.

Si morse la lingua. Avrebbe tanto voluto dirgli che non glie erano mai piaciute né bionde né brune. Che le ragazze che aveva guardato in gioventù erano solo vittime di una messinscena per mascherare il proprio unico ed eterno interesse verso il suo migliore amico.

Che gli unici capelli in cui avrebbe voluto affondare le dita erano quelli castani ora così lunghi dell’unica persona da cui avrebbe mai potuto accettare consigli persino per una cosa così frivola come il proprio look.

Che il proprio mondo, il proprio interesse psico fisico girava e sarebbe girato sempre e solo attorno a James Buchanan Barnes.

Si schiarì la voce e scosse il capo.

Bucky sorrise tra se e se smettendo di stuzzicarlo per un paio di minuti.

“Non sono male i capelli biondi” Gli si affiancò.

Steve sussultò senza guardarlo in viso. Svoltò a sinistra infilandosi in una radura che riconobbe.

Non seppe come interpretare l’affermazione di Buck. Se prenderne atto in maniera positiva non avendo utilizzato l’amico il termine biondina ma piuttosto un’accezione generica o se vederla unicamente dal punto di vista dello scherzo, di accorparla a quella serie di frecciatine che James gli riserbava da una vita per il puro piacere di punzecchiarlo.

“Non ho mai dato troppa importanza al colore dei capelli” Borbottò sfiorandosi la punta del naso.

“Lo so Stevie, sono sempre stato io quello superficiale tra i due” Accelerò il passo superandolo.

“Non la vedrei esattamente in questi termini” Puntualizzò.

“In ogni caso stiamo facendo discorsi vecchi di settant’anni… Da quando mi hanno fritto il cervello non ho più avuto modo di pensare alle ragazze bionde o brune che siano”

“Buck…” Attaccò.

“Alt. Non mi sto autocommiserando giuro. E’ solo una semplice costatazione” Gli sorrise.

Un sorriso atto a confortare unicamente Rogers.

Il capitano gli passò un braccio attorno alle spalle e camminarono così, l’uno accanto all’altro.

“Bè adesso sei il lupo bianco no?” Gli sorrise a sua volta.

“Il lupo bianco già” Ghignò “Mi chiamano così i wakandiani”

La spalla con la placca premette contro il pettorale di Steve ed entrambi incespicarono un poco sul terreno sdrucciolevole.

Non si separarono.

“E’ un bel nome” Mormorò Steve “I lupi sono animali meravigliosi”

Buck sollevò il viso incrociando gli occhi limpidi dell’amico. “Sì, lo sono”

Proseguirono così, fianco a fianco in silenzio.

Quando giunsero alla capanna il sole era completamente sparito all’orizzonte.

 

Fine capitolo uno.


Grazie a chiunque sia giunto sino a qui, grazie per avermi dato una possibilità. Mi auguro possa esservi piaciuto. In tal caso vi aspetto al prossimo e ultimo capitolo.

Baci Chia.

   
 
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