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Autore: Anna5    17/08/2019    1 recensioni
Quattro bambini giocavano felici, ma il quinto era seduto sul letto. A giudicare dall'aspetto, poteva avere dagli otto ai dieci anni. I suoi occhi color turchese mi guardavano con intensità dandomi da pensare. Sembrava esserci qualcosa di anomalo. Nel frattempo, gli altri ignorarono la mia presenza.
«Aiutami» disse il bimbo seduto sul letto.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una gelida brezza sfiorava il mio viso, regalandomi piacevoli emozioni. In inverno, appena l’acqua dello stagno di casa mia si ghiacciava, prendevo i miei vecchi pattini e passavo le serate a divertirmi. Quella sera indossai sciarpa e guanti, e lasciai scatenare l'amore per il ghiaccio. L’affetto per il periodo natalizio era nato da bambina. Sentivo della magia nella neve e ciò mi riscaldava il cuore. Dalla morte dei miei genitori, quella sensazione era l’unica a farmi sentire a casa. Perciò appoggiai i piedi sulla superficie ghiacciata e iniziai a pattinare.

     L’intensità del freddo aumentò e delle luci iniziarono a dipingere il cielo. Mi immobilizzai e guardai la scena a bocca aperta. Ero solita ad osservare l’aurora boreale, ma quei colori sembrarono diversi.

     Intravidi dei fiocchi di neve cadere e percepii una scarica adrenalinica scorrere nel mio corpo. Il fatto particolare avvenne appena i colori nel cielo si spensero, perché la neve smise di scendere. Allargai la bocca in un sorriso e ripresi a pattinare, ma qualcosa catturò la mia attenzione. Delle gocce d’acqua iniziarono a scendere copiose dal cielo. Alzando lo sguardo verso l’alto, portai la mano alla fronte per proteggere gli occhi e della polvere bianca uscì dal guanto. Si creò una lastra di ghiaccio sufficiente a proteggermi dalla pioggia, e la sensazione di adrenalina tornò a manifestarsi nel corpo. Rimasi colpita da quella visione, quindi avvicinai la mano al viso e dal palmo venne fuori altra polvere. Un meraviglioso fiocco di neve cristallizzato si formò e fluttuò all'altezza degli occhi. Lo guardai con intensità e, pensando ai fiocchi, tornò a nevicare. Questa volta però, in maniera fitta.

     Cristalli di ghiaccio scesero turbinosi attorno a me, circondandomi di magia dolce e pura. Iniziai a danzare con la neve, cercando di scoprire questo nuovo potere.

     Passai un paio d’ore a giocare con le mie emozioni e, ringraziando l’aurora boreale, mi congedai dalla pista di pattinaggio. Entrai in casa e andai a dormire.

     Aprii gli occhi, ritrovandomi in un ospedale, il quale sembrò familiare. Ci ero stata per praticare un breve tirocinio. Occupandomi di giocare con i bambini, li facevo sorridere durante il giorno, aspettando che i loro cari venissero a riprenderli. Infatti, guardandomi attorno, riconobbi le varie stanze. Il posto però, sembrò deserto. La porta numero nove si aprì e udii dei bambini ridere. Mi avvicinai alla soglia e allungai il collo per vedere. Quattro bambini giocavano felici, ma il quinto era seduto sul letto. A giudicare dall'aspetto, poteva avere dagli otto ai dieci anni. I suoi occhi color turchese mi guardavano con intensità dandomi da pensare. Sembrava esserci qualcosa di anomalo. Nel frattempo, gli altri ignorarono la mia presenza.

     «Aiutami» disse il bimbo seduto sul letto.

     Le risate degli altri bambini iniziarono a farsi confuse. I miei occhi si appannarono e la testa iniziò a girare. Le persone presenti nella stanza divennero sfocate.

     «Aiutami» disse ancora, sparendo dalla mia visuale.

     Trasalii e aprii gli occhi di scatto. Trovandomi sdraiata nel mio letto, intuii di aver avuto un incubo. Tuttavia sentii il dovere di passare in ospedale, dunque ci andai.

     Iniziai a passeggiare tra le strade natalizie e dovetti trattenermi dal fare magie, perché la gente avrebbe avuto paura di questa particolare dote. Vidi un’anziana signora aiutare il suo nipotino a costruire un pupazzo di neve, facendomi sorridere. Vedevo in loro la mia infanzia vissuta con la cara nonna Claire. Lei era dolce con me ed io le ero legata.

     Proseguii lungo la strada, arrivando alle porte dell’ospedale della città e, senza indugio, entrai. Ricordai il mio primo giorno di lavoro. Mi era stata affidata una bambina operata al braccio, spaventata e in cerca dei genitori. Loro erano assenti perché stavano rientrando da un viaggio di lavoro e io avrei dovuto occuparmene fino al loro arrivo. Dal momento in cui le ero stata accanto, lei si tranquillizzò. Diceva che le trasmettevo sicurezza, confortandomi. I suoi genitori giunsero in tarda serata e lei mi regalò il suo pupazzo preferito, con il quale aveva giocato durante il giorno. Disse di volermelo lasciare, affinché l'avrei ricordata. Quel gesto mi commosse e lei rimase impressa nel cuore.

     «Ciao Beatrice! Senti la nostra mancanza?» disse una donna. Lei si era occupata del mio periodo di prova, accogliendomi con un caloroso saluto. Contraccambiai il saluto e, parlando di argomenti vari, le domandai se avessi potuto dare una mano a qualche bambino.

     «Ma certo, sei la benvenuta» rispose lei con un sorriso. Ricambiai la contentezza e la ringraziai. Osservai i medici passare da una parte all’altra e i miei occhi si soffermarono sulla porta numero nove, quella sognata.

     «In quella porta c’è un ragazzo che non tornerà a casa. È arrivato poco tempo dopo che sei andata via e ha una distrofia muscolare avanzata. Gli rimangono pochi giorni purtroppo» disse la donna con tono dispiaciuto.

     «Posso passare un po’ di tempo con lui?» domandai speranzosa. A lei piaceva la mia grinta e le piaceva il modo con cui mi prendevo cura dei bambini.

     «Se te la senti» rispose infine, dandomi il consenso di avvicinarmi. Accompagnandomi alla soglia, mi lasciò da sola con lui. Aprii la porta e riconobbi quegli occhi color turchese. Era lui: il bambino del mio sogno. Mi avvicinai al letto su cui era sdraiato e lui, avvolto nelle coperte, rimase ad osservarmi.

     «Tu sei l’angelo che ho sognato stanotte?» chiese con voce delicata, grattandosi la cresta castana sulla testa. Io presi una sedia e accomodandomi, lo guardai incuriosita.

     «Andrò presto in cielo» disse con lo stesso tono di voce. A quell’età era normale avere la consapevolezza, almeno in parte, della propria malattia. Una malattia dalla quale era impossibile salvarsi.

     «Ti spaventa?» domandai, passandogli un pupazzo riposto sul comodino.
     «Un po’» rispose lui, sostenendo il mio sguardo. Rimasi a osservarlo, mentre cercava di girare la testa per guardare attraverso la finestra.

     «Mi manca giocare con la neve» disse, voltandosi. A quelle parole sentii un velo d’acqua riempirmi gli occhi, ma per evitare di farglielo notare, raccolsi le mie mani e lasciai spazio al potere. Tra le mani roteava una grande quantità di soffice neve e con delicatezza iniziai a fargliela cadere sulla testa. Simulando una vera nevicata, vidi il suo viso mutare e le sue labbra spalancarsi in un sorriso. La tristezza svanì dai miei occhi e incoraggiai il divertimento. Creai dei pupazzi di neve in miniatura e li feci giocare con allegria tra loro, sulle federe del piumino. Aggiunsi la musica incitandoli a danzare e chiusi la porta della stanza, affinché nessuno disturbasse.

     Passai la mattinata a giocare con lui, facendogli dimenticare di essere malato. L’orologio scoccò mezzogiorno e ci fece tornare alla realtà. A malincuore feci sparire la magia nella stanza e riposi ogni cosa al proprio posto.

     «Sei speciale» disse lui continuando a sorridere. Io mi avvicinai e con un ultimo tocco di magia, gli feci un regalo. Creai un fiocco di cristallo e glielo poggiai tra le mani.

     «Anche tu sei speciale» risposi a mia volta, ma venni interrotta. Qualcuno bussò alla porta ed entrò. Erano i suoi genitori, arrivati per stare con lui e aiutarlo a mangiare.

     «Salve» disse la madre con un sorriso. Io mi presentai, ma evitando di dilungarmi oltre.

     «Aspetta» disse il bambino. Tutti si fermarono a guardarci, aspettando la continuazione della frase.

     «Grazie, ora non ho più paura» disse, stringendo a sé il fiocco di neve. La sua voce pura arrivò dritto al mio cuore, trasmettendomi una nuova emozione. Gli occhi dei genitori si riempirono di lacrime e si accovacciarono per abbracciarlo. Lui, consapevole del mio dono, mi rivolse un ultimo sorriso, per potersi dedicare ai genitori.

     Il mio destino era questo: aspettare la prossima chiamata d’aiuto, affinché potessi donare la forza necessaria per affrontare il male. Per dare il sorriso a chi ne aveva bisogno e aiutarli ad affrontare la realtà, qualunque essa fosse. Perciò, con la stessa complicità di quel sorriso, lo salutai.
   
 
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