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Autore: T612    17/08/2019    3 recensioni
Dal testo:
Tempo… era esattamente ciò di cui aveva bisogno e purtroppo non aveva, sorridendo con ironia nefasta di fronte a quel bilico tra tutto e niente che aveva regolato la sua vita fino a qualche mese prima [...] alla fine aveva avuto tempo, non abbastanza, ma molto più di quanto se ne meritasse.
[All MCU - PoV Tony // Spoiler! // Missing Moment // Song-fic]
Genere: Angst, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Stark's'
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INQUIETO GIACE IL CAPO CHE PORTA LA CORONA



 

Sono il re dei regali sbagliati
dei discorsi indecisi
e dei piccoli salti
Sono il re dei viaggi sospesi
e dei passi perduti tra i cieli e gli asfalti

 

-Hai licenziato l’autista? -chiede Tony chinandosi verso il finestrino anteriore abbassato, sorridendo sarcastico puntellandosi al manico ancora alzato del trolley.

-Ciao anche a te, Anthony. -ribatte suo padre tamburellando con le dita sul volante, l’espressione del volto che manifesta un connubio interessante tra l’impaziente ed il seccato. -Carica le valigie nel bagagliaio, non posso stare fermo in sosta all’infinito.

Sbuffa sonoramente con fare fintamente scocciato, trascinando il trolley sul marciapiede con un fastidiosissimo rumore di plastica, aprendosi il bagagliaio ed incastrando le tre valigie che si portava appresso. Chiude il portellone con forza avvertendo uno sbuffo irritato dall’interno dell’auto, puntando alla portiera del passeggero ritrovandosi di fronte al sedile occupato dalla ventiquattrore di suo padre e da plichi di documenti sparsi, raccogliendo alla rinfusa il tutto scaricandolo di malagrazia sui sedili posteriori sollevando una nuvola di post-it e fogli volanti.

-Aggraziato come al solito. -commenta sarcastico Howard, roteando gli occhi quando lui si lascia cadere sul sedile sbattendo volutamente la portiera in risposta, immettendosi nel traffico lasciandosi l’aeroporto JFK alle spalle. -La cintura.

Tony evita di ribattere accontentandolo, tirando la cinghia e riempiendo il silenzio con il click della sicura, sprofondando sul sedile iniziando a girarsi i pollici annoiato… aspetta che suo padre dica qualcosa, qualsiasi cosa… che gli chieda se ha sentito zia Peggy di recente o come se la passa con gli studi all’estero, che si lamenti del cielo che preannuncia neve oppure, semplicemente, che almeno finga di essere felice di vederlo. 

Aspetta, ma l’unica cosa che riceve in cambio è un silenzio inframmezzato dal lieve ticchettio del nevischio che inizia a posarsi sul tettuccio della macchina, accompagnato dal rumore infernale dei tergicristalli in funzione… e Tony viene assalito dal bisogno primario di rumore per non soccombere a quel vuoto sonoro dove la tensione si taglia con il coltello.

-Non ti azzardare. -lo ammonisce Howard quando accenna a sollevare i piedi per posarli sul cruscotto, tradendo la tensione assopita con un leggero tamburellare sul volante, fissando insistente la luce rossa del semaforo come se potesse velocizzare i tempi e far scattare il verde con la sola forza del pensiero. 

Tony rimette i piedi al suo posto, ma non passa troppo tempo che le sue dita corrono alla manopola della radio accendendola, rigirandola costantemente alla ricerca di una frequenza che gli piaccia scatenando un brusio sommesso, sorridendo soddisfatto quando intercetta una melodia che lo aggrada, lasciando che i Led Zeppelin invadano il silenzio sovrano che regna nell’abitacolo… presto soppiantato dal ritorno opprimente dell’assenza di suono, quando suo padre preme un pulsante ed azzera di colpo la musica.

-Non essere molesto, Anthony. 

-Non essere noioso, Howard. -rimarca fulmineo ottenendo un guizzo nevrotico della mascella… suo padre odia quando lo chiama per nome, come se volesse rendere definitiva quella negazione di parentela, rendendo palese la sua mancanza nell'adempiere al suo compito da genitore.

Le loro conversazioni erano tutte così, procedevano a singhiozzo con piccoli salti da un argomento all’altro, molte volte senza mantenere un nesso tra un'affermazione e l’altra… ogni volta sembrava che Howard stesse per dire qualcosa di importante –un apprezzamento velato, un “ti voglio bene” mancato, un “mi sei mancato” sincero–, ogni volta Tony si illudeva, ed ogni volta restava deluso quando udiva l’ennesima critica o subiva il centesimo argomento a vuoto.

-Perché hai licenziato l’autista? -cede Tony salvando il salvabile, intavolando il principio di un discorso indeciso tra la vera apprensione e la burla.

-Come ogni anno, Jarvis si è preso le ferie per Natale. -ribatte suo padre scoccandogli uno sguardo indecifrabile, lasciando l’informazione volutamente in sospeso perché deve avere intuito che il punto della situazione non è davvero quello, instillandogli un sospetto inquieto che sia riuscito di nuovo a leggere tra le righe decifrandolo come un libro aperto… e quella era una sensazione strana che Tony sopportava a fatica, irritandosi principalmente per non essere ancora in grado di decodificare a sua volta l’enigma rappresentato da Howard.

-Questo lo so, è che di solito deleghi qualcun altro per venirmi a prendere all’aeroporto. -afferma smascherando la reale motivazione dietro al suo tono vagamente apprensivo, perché deve esserci una spiegazione logica dietro a quella anomalia, altrimenti potrebbe seriamente iniziare a pensare che suo padre sia passato a prenderlo perché aveva seriamente voglia di vederlo, lasciando intendere che forse a lui un po’ ci tiene… a modo suo, molto a modo suo.

-Tieni, quest’anno ci siamo presi per tempo. -ribatte Howard cambiando discorso di punto in bianco, allungando un braccio verso il retro del suo sedile, prelevando ed allungandogli un pacchetto regalo.

-Non mi piace che mi si porgano le cose. 

-Penso tu possa fare un'eccezione per me… quest’anno era il mio turno per la dedica.

-Lo apro adesso o a Natale? -chiede titubante indeciso sul farsi, accettando il presente sfiorando con le dita la carta lucida sopprimendo l’istinto di strapparla, tastando la consistenza del pacchetto appurando che anche quell’anno si trattava dell’ennesimo libro di dubbio interesse da sommare alla pila intonsa che si ergeva pericolante vicino alla sua libreria… e Tony non è davvero dell’umore adatto per far buon viso a cattivo gioco fingendo che il suo regalo di Natale gli piaccia. 

-Come preferisci.

-Lo apro a Natale allora, almeno posso fingere di non essere a casa da solo. -commenta con una scrollata di spalle ripiegando in una mezza bugia, sperando in una contestazione che non arriva. -Quest’anno dove porti la mamma?

-Bahamas. -concede confermando la loro ormai classica assenza durante la maggior parte delle vacanze invernali… meglio così, ha voglia di organizzare una festa. -Gli studi all’estero come procedono?

-Non ti interessa sul serio.

-Potrei sorprenderti. -ribatte suo padre voltandosi a fissarlo per la prima volta da quando Tony è salito in macchina, celando nelle iridi castane diecimila domande da tremila risposte inconcludenti l’una, mostrando una rara scintilla di vivo interesse. 

-Bene. -concede schivo fissando il paesaggio fuori dal parabrezza. -Voti alti, niente debiti… tutto bene.

-Bene. -suo padre annuisce soddisfatto nell'aver adempiuto al suo dovere da genitore, tornando a concentrarsi sul traffico che scorre caotico tra le strade di Manhattan, lasciando nuovamente spazio a quel silenzio sospeso scandito dal ticchettio della neve e dai tergicristalli… che viene interrotto a sorpresa quando Howard riaccende l’autoradio e i Rolling Stone riempiono l’abitacolo di musica, sorridendo appena quando Tony realizza che il tamburellare delle dita di suo padre sul volante sta andando a ritmo con le percussioni.

Lo scarica ai piedi del loro palazzo sulla 5th Avenue, abbassando il finestrino in un veloce saluto, mentre Tony finisce di depositare le valigie sul marciapiede chiudendo con forza il bagagliaio.

-Tony devo tornare a lavoro, ho le ultime commissioni da sbrigare prima di partire. -annuisce in risposta senza chiedere delucidazioni, dopo ventun anni deve ancora capire di preciso che lavoro fa suo padre e non è di certo intenzionato a scoprirlo in quel preciso momento, fermo su un marciapiede mentre nevica. -Dai un bacio a tua madre da parte mia.

Non gli concede il tempo di replicare, Howard sterza il volante scomparendo nel traffico e Tony inizia a dubitare di rivederlo per cena dopo un veloce calcolo delle probabilità… si limita a sollevare lo sguardo verso l’alto intravedendo le finestre del loro attico che si staglia contro il cielo grigio della stessa tonalità dell’asfalto consumato, ritrovandosi a pensare che il cielo delle Bahamas deve essere una vista infinitamente più gradevole di quella proposta agli abitanti della Grande Mela e che a sua madre piacerà di sicuro. 

Scrolla le spalle trascinando i bagagli fino all'ascensore, aspettando che le porte automatiche si aprano con un ding squillante sul salotto invaso dalle note del pianoforte, raggiungendo Maria alla tastiera baciandole una guancia.

-Probabilmente Howard non torna per cena.

-Papà, Anthony. Probabilmente papà non torna per cena. -lo corregge sua madre sollevando gli occhi al cielo, ricambiando il bacio ed allegandoci una carezza. -Mi sei mancato, caro. Come stai?

-A meraviglia. Mi sei mancata, mamma. -afferma regalandole un sorriso, lasciandosi cadere seduto sul tappeto.

-Non disfi i bagagli? 

-Dopo. -la liquida sdraiandosi a terra, osservandola dal basso mentre Maria gli sorride, tornando a far volare le dita sui tasti bianchi e neri suonando il suo Notturno preferito. 

Tony non sa spiegarsi perché, ma Chopin ha l’incredibile potere di far sembrare il cielo meno grigio asfalto e più azzurro Bahamas… o almeno così pensava. 

A distanza di un paio di giorni Chopin ha solamente il potere di richiamargli alla mente il fotogramma di un auto accartocciata contro un albero, lasciandolo solo ed in bilico tra una discussione a vuoto ed una cascata di note interrotta.

 

* * *

 

Sono il re di un corteo stralunato
di episodici attori comprati a forfait
Sono il re di una donna di cuori
che da tempo ho scordato
dentro a un freddo caffè

 

Tony socchiude la porta spiando l’interno dell’ufficio, ritrovandosi la strada sbarrata dal cavalletto di una cinepresa e cinque paia di gambe che gli coprono la visuale, mentre Howard brontola aggirandosi in cerchio tra il plastico della “città del futuro” assemblato nell’angolo della stanza e la scrivania fiancheggiata dal carrello degli alcolici.

Suo padre gli aveva promesso di giocare con le costruzioni l’ultima volta che l’aveva visto, ma dopo aver proferito la promessa era scomparso prima di subito per periodi di tempo alterni in un andirivieni continuo tra il loro attico sulla 5th Avenue e la Expo in allestimento nel Queens, rientrando finalmente in casa con l’intento di fermarsi per più di due ore di fila tra le mura domestiche come gli aveva annunciato sua madre, ma portandosi dietro un’intera troupe televisiva come supporto tecnico… e Tony era stato colto da un'irrefrenabile desiderio di fare i capricci, sfuggendo dalle braccia di Maria quasi di corsa, eludendo lo sguardo onniveggente di Jarvis, nel tentativo temerario di richiamare l’attenzione di Howard.

-... da parte di tutti noi delle Stark Industries vorrei personalmente… mh… Tony? -suo padre posa finalmente lo sguardo su di lui, colto in flagrante mentre tiene il pezzo di plastico incriminato tra le mani, sorridendo dipingendosi un'espressione soddisfatta in volto, spazzata via velocemente dalla frase successiva. -Che cosa stai facendo lì dietro? Che cos’è quello? Rimetti a posto… rimettilo dove l’hai preso! 

Tony voleva solamente chiedergli di giocare, dopotutto gliel’aveva promesso… ma lo sguardo furente che riceve in risposta gli attorciglia le corde vocali, avvertendo lo sguardo improvvisamente lucido rimettendo il pezzo prelevato al suo posto, spaventato dal tono di voce adirato di suo padre pietrificandosi sul posto… voleva attirare la sua attenzione, ma non gli piace quando gli urla contro.

-Dov’è tua madre? Maria! -Tony solleva d’istinto lo sguardo verso la porta e la vede fare capolino dalla soglia con il fiatone per averlo rincorso nel tentativo di placarlo, scoccando uno sguardo di scuse in direzione di Howard per non esserci riuscita, facendo cenno ad uno dei tecnici di sollevarlo da terra reclamandolo a se, mentre suo padre continua imperterrito a gesticolare irritato dalla sua presenza inopportuna. -Vattene… via, via, via… va bene, credo che abbiamo… io entro e… 

La porta chiude la voce di suo padre all’interno dell’ufficio sbattendo alle spalle di sua madre, mentre Tony le allaccia le mani sul retro della nuca nascondendo l’espressione corrucciata contro l’incavo del suo collo. 

-Cosa ti avevo detto? -gli chiede Maria con una vago sottotono al sapore di paternale, depositandolo seduto sul tavolo della cucina, dissipando l’arrabbiatura con una lieve carezza sulla guancia.

-Di non disturbare papà perché sta lavorando… -borbotta risentito con le braccia incrociate al petto e lo sguardo puntato sulle scarpe, sollevandolo di colpo incrociando gli occhi da cerbiatta di sua madre con fare determinato. -...ma mi aveva promesso di giocare con le costruzioni! 

-Lo so, caro. Lo so. -afferma Maria depositandogli un bacio sulla fronte, discostandosi puntando al frigorifero. -Il tuo malumore è curabile con del gelato?

-Molto gelato. -afferma mantenendo una parvenza di broncio fintanto che sua madre non gli deposita la coppetta stracolma di gelato tra le mani, sforzandosi di sopprimere un microscopico sorriso dallo sguardo luminoso quando inizia a strafogarsi di cioccolato.

-Piano Anthony, di questo passo finirai per congelarti il cervello. -replica Maria puntellandosi al tavolo, portandosi il proprio cucchiaino di gelato alla vaniglia alle labbra, facendogli compagnia per merenda.

-Perché papà è così… così… cattivo? -sbotta di punto in bianco Tony, grattando il fondo della coppetta con sguardo perplesso, sollevando lo sguardo su sua madre alla ricerca di una risposta.

-Tuo padre non è cattivo, Tony… ultimamente ha tanti pensieri per la testa, tutto qui. -lo conforta Maria con una carezza, celando il gesto nel tentativo di pulirgli l’angolo della bocca sporco di gelato.

-Aveva promesso di giocare con me con le costruzioni… -insiste convinto rimettendo il broncio, finendo di ripulirsi dal gelato da solo, strofinando il dorso della mano contro la bocca in un gesto arrabbiato.

-E se nel mentre che lo aspetti ci gioco io? -propone Maria con tono gentile sfilandogli la coppetta ormai vuota dalle mani, tornando a prelevarlo dal tavolo, rimettendolo con i piedi per terra dopo avergli fatto promettere di non darsi nuovamente alla fuga.

-Okay. -concede dopo aver soppesato attentamente la proposta, allungando una mano trascinandola di corsa in salotto per due dita, bloccandosi di fronte al pianoforte. -Anzi, io costruisco, tu suoni… mi piace quando suoni.

Maria ride di fronte al suo tono autoritario, sedendosi al pianoforte iniziando ad accarezzare i tasti, mentre Tony rovescia sul tappeto la cesta contenente i mattoncini Lego con un fracasso immane, sdraiandosi a pancia in giù sul tappeto intestardendosi nel voler ricostruire a memoria la riproduzione fedele della disposizione dei padiglioni della Expo. 

Verso l’ora di cena aveva guadagnato il permesso di mangiare sbriciolando liberamente sdraiato in mezzo ai mattoncini, sorridendo quando sua madre aveva perso le scarpe e si era sgualcita il vestito sdraiandosi per terra a fargli compagnia, scompigliandogli i capelli quando aveva posato la testa contro la sua gamba sbagliando assonnato, ma deciso a non voler andare a letto senza aver visto Howard.

Quando Tony riapre gli occhi si trova a fissare le scarpe lucide di suo padre, sollevando la testa contemplando dal basso la sua espressione critica, accoccolandosi contro il tappeto stropicciandosi gli occhi.

-Ciao papà… sei qui per giocare? 

-È troppo tardi per giocare, facciamo un altra volta, promesso. -tenta di liquidarlo abbassandosi alla sua altezza molleggiando sui talloni, sollevando lo sguardo sulle costruzioni contemplando il suo operato. -Dovrebbe essere la “città del futuro” formato Lego?

-Il primo prototipo l’abbiamo costruito così. -ribatte deciso mettendosi a sedere, tradendo uno sbadiglio che gli fa spalancare la bocca, troppo stanco per ricordarsi di coprirsela con la mano. 

-Vero… ora che abbiamo appurato l’ottimo stato delle tue tonsille, andiamo a dormire?

-Dov’è la mamma? -elude la domanda ponendone un'altra con voce assonnata, cercandola inutilmente con lo sguardo una volta registrata la sua assenza.

-Mi ha… spedito a raccoglierti dal tappeto. È ora di andare a letto, Anthony.

Lo asseconda alzandosi in piedi, allungando le braccia per farsi prendere in braccio, ritrovandosi a fissare lo sguardo scettico di Howard di fronte alla sua tacita proposta.

-Pesi già troppo per la mia schiena e sai camminare sulle tue gambe, forza. -ribatte suo padre insofferente alla sua espressione da cucciolo bastonato, allungando una mano nella sua direzione per trascinarlo, permettendo a Tony di afferrargli l’indice lasciandosi condurre fino alla propria camera con gli occhi a mezz’asta.

-Voglio una favola, papà. -afferma tra il deciso e l’assonnato quando Howard finisce di rimboccargli le coperte, sbuffando con fare teatrale di fronte alla richiesta.

-Non sei già troppo grande per le favole, Tony? -chiede retorico, sistemandogli meglio il cuscino sotto la testa, chinandosi per posargli un bacio della buonanotte sulla fronte. -Papà è davvero stanco, quindi ora dormi‍, o vendo tutti i tuoi giocattoli. 

Tony serra gli occhi d’istinto, celando un mezzo sorriso sulle labbra sotto il lenzuolo che si trascina fin sopra la testa, percependo un’ultima lieve carezza sul capo prima di addormentarsi. 

 

*

 

Atterraggio di volo pessimo.

Tony si preme la busta di ghiaccio contro il capo nella speranza di alleviare almeno un po’ il concerto rock che imperversa dentro la sua testa, evitando accuratamente di posare lo sguardo sui resti del pianoforte di sua madre sopprimendo il vago senso di colpa nell’aver distrutto irrimediabilmente anche l’ultima cosa materiale che gli restava di lei, eclissando il pensiero scrollando il capo puntando a passo spedito verso le scale che scendono in laboratorio.

Afferra d’istinto la tazza di caffè freddo poggiata sopra il bancone portandosela alla labbra, facendo dietrofront fulmineo quando nota con la coda dell’occhio il post-it giallo con scritto sopra “da Pepper”. 

Scarta il regalo con fare curioso, strappando la carta da pacchi rivelando una sottospecie di teca che proteggeva il suo vecchio reattore… un monumento al suo cuore di dubbia presenza e considerato per lungo tempo assente, con tanto di targa incisa che riportava a chiare lettere un inequivocabile “la prova che Tony Stark ha un cuore”... ironico, carino. 

Pensava di aver sepolto il suo cuore a Santa Monica insieme alla donna che glielo aveva rubato per prima, in senso lato trovava rassicurante sapere di averne ancora uno. 

Il pensiero di Maria gli procura una stilettata che smentisce tutte le sue teorie, sottolineando con un dolore sordo mai assopito del tutto che lui effettivamente un cuore ce l’ha ancora, anche se alimentato da una lampadina azzurra… e non vuole davvero pensarci, concentrandosi sul lavoro.

I suoi buoni propositi autoimposti cessano di essere effettivi quando il TG smette di essere rumore di fondo, prestando attenzione ai reporter che speculano sul suo presunto stress post-traumatico e sulla sua prevedibile inattesa presenza alla festa di beneficenza, istigando quella parte di lui che gli ricorda di non essere il tipo che ama rispettare le aspettative, che è più il tipo che adora stravolgere anche i propri standard… pensandoci bene inizia ad avvertire le prime avvisaglie inequivocabili della claustrofobia, riflettendo che il suo personale corteo di episodici ammiratori stralunati è esattamente ciò di cui ha bisogno per alleviare i sintomi e ricaricare le batterie. 

-Mi dia uno scotch, sto morendo. -Tony non sa dire di preciso quale sia l’idea malsana che l’ha spinto ad indossare uno smoking ed afferrare le chiavi dell’Audi, ma ora che si ritrova davanti al suo personale spettacolo di intrattenimento avverte la spiacevole sensazione di venirne sopraffatto, richiamandogli alla mente la netta percezione di un coltello incandescente che gli rimescola le viscere, insieme alla consapevolezza cristallina di poter placare il bruciore solamente con due dita di alcol bevute tutte d’un fiato.

-Signor Stark? Agente Coulson… -si annuncia una voce alla sua sinistra, presto associata ad una faccia già vista di sfuggita.

-Oh sì… lei è quello del… -replica prendendo tempo, schioccando le dita sottintendendo che la risposta si nasconde sulla punta della sua lingua.

-Strategic Homeland Intervention Enforcement and Logistics Division.

-Accidenti, vi servirebbe un nome nuovo. -commenta con tono ironico registrando appena la morsa che gli sta bloccando lentamente la respirazione, chiedendosi se fingere un aritmia per togliersi dall'impiccio di una qualsiasi conversazione possa considerarsi cattiva educazione.

-Si. Me lo dicono spesso… Senta, so che questo non è il momento migliore per lei… -inizia l’Agente ignorando volutamente la sua completa mancanza di attenzione verso il discorso in atto.

Tony lascia deliberatamente vagare lo sguardo sulle persone che riempiono la sala, incappando quasi per sbaglio su una schiena nuda, ampliando la propria visione interessato, risalendo dal fondoschiena al volto… riconoscendo con un secondo di ritardo la sfumatura rossiccia della chioma di capelli che incornicia i lineamenti delicati di Pepper, causandogli istantaneamente l’imprevedibile e straordinaria perdita di un paio di battiti di quel cuore freddo che credeva ormai diventato anch’esso di metallo.

-Che dice del giorno 24, alle ore 19 alle Stark Industries? -propone l’Agente di cui ha già dimenticato il nome, concordando su un argomento di cui non ha capito nemmeno una parola. 

-Le dico che ha ragione, assolutamente ragione… -risponde in default mentre il suo cervello non risponde, tentando inutilmente di riavviare il sistema per ritornare operativo e capace di un qualche tipo di ragionamento, aggirando il black-out momentaneo reagendo d'istinto dirigendosi verso la fonte di tale silenzio radio. -Vado dalla mia assistente e fissiamo un appuntamento. 

 

*

 

La clorofilla ha una consistenza simile a melma, anestetizzandogli la lingua fintanto che deglutisce, ma lasciandogli un orrendo retrogusto di terra sporca in bocca… sforzandosi di ingerirla prefigurandosela come olio per motori, lubrificando i meccanismi arrugginiti del suo cuore stanco, sentendosi libero di esprimere in una smorfia tutto il disgusto che prova senza essere giudicato da anima viva, solo in un laboratorio vuoto.

Erano ancora tutti arrabbiati con lui per la bravata di Monaco, non si erano minimamente sforzati di tentare un riappacificamento e Tony aveva ovviato l'ammissione di consapevolezza rinchiudendosi nel suo laboratorio.

Chiude gli occhi reclinando il capo contro il sedile di pelle dell’auto, tracciando con i polpastrelli il reticolo di escoriazioni che si stavano arrampicando come un’edera velenosa proliferando sul suo collo… stringe gli occhi passandosi una mano sul volto eliminando le tracce di quel paio di lacrime solitarie intrappolate agli angoli degli occhi, sospirando tentando di non pensare all’ombra incombente della falce che si profila inquietante alle sue spalle.

Palladio nel torace è morte dolorosa.

Tony non sa quale processo logico elabori il suo cervello in mezzo secondo, ma il ricordo dolce-amaro di sua madre gli invade la mente con prepotenza… lei aveva l’incredibile talento invidiabile di far sembrare il mondo meno spaventoso, avvalendosi di una semplice carezza in punta di dita ed una cascata di note leggere in grado di cristallizzare il tempo.

Tempo… era esattamente ciò di cui aveva bisogno e purtroppo non aveva, sorridendo con ironia nefasta di fronte a quel bilico tra tutto e niente che aveva regolato la sua vita fino a qualche mese prima. 

Aveva detto a Pepper che desiderava scappare e rifugiarsi a Venezia… fuggire dalla sua vita e dalla sua eredità, istituendo il Cipriani come fortezza, la Giudecca come suo regno e la laguna come fossato, nella flebile speranza che i demoni che continuando ad inseguirlo anneghino inghiottiti dai flutti. Peccato che negli anni i suoi demoni avevano imparato a nuotare, lasciandolo a corto di opzioni ed impossibilitato a scappare, principalmente a causa di quella pesante corona d’oro che suo padre gli aveva calato a forza in testa in modo assolutamente imprevedibile. 

Tony si ritrova a pensare a quell’ultimo regalo di Natale che aveva aperto decisamente troppo tempo dopo il funerale, quando di ritorno dalla prigionia in Afghanistan aveva assecondato il futile bisogno di conoscere qual era stata l’ultima dedica che suo padre gli aveva lasciato impressa su carta… l’aveva trovata sul frontespizio, uno scarabocchio altalenante redatto in stilografica e siglato H.S. che citava un passaggio del libro.

Inquieto giace il capo su cui posa la corona”... con il senno di poi l’aveva trovata una citazione adeguata, ma con il passare dei mesi aveva malauguratamente scoperto che la famigerata corona pesava troppo rispetto al suo reale peso specifico, come se il metallo dorato gli si fosse fuso sul cranio mandando in ebollizione il suo cervello, che sbatacchiava incessantemente tra le pareti della scatola cranica alla ricerca di una soluzione all’aumento spaventoso dei valori di tossicità del suo sangue… quando in realtà vorrebbe solo riuscire a staccare la spina per due secondi ed ascoltare le note di Chopin senza avvertire le avvisaglie di un collasso mentale imminente, immaginandosi seduto sul tappeto assediato dai Lego e dai fogli volanti di suo padre mentre lo aiuta a progettare la “città del futuro” con le note del pianoforte di sua madre in sottofondo, ritrovandosi a chiedersi se anche la mente di suo padre era stata lontanamente inquieta quanto la sua.

Si ridesta dal momento di debolezza imponendosi di smetterla di piangersi addosso, ha ancora di tempo, almeno quanto basta per tentare di portare a termine il lavoro… e quella non è decisamente la serata adatta per soffermarsi troppo a lungo sul viale dei ricordi.

Non può più permettersi di essere nostalgico. 

 

* * *

 

Sono il re di quei cinema vuoti
dove crescono i rami e non trovo mai posto
Sono il re di un cartoccio di pizza
e di un’inutile casa con il finto parquet
Sono il re dei pagliacci e stasera
fra le luci del circo piangevo per te

 

La presentazione era stata… tosta.

Tony arranca lungo i corridoi delle quinte cercando di depistare i suoi assalitori entusiasti che non sono in grado di sincerarsi per la sua generosità, desiderando solo la pace ed il silenzio assoluto mentre nel suo cervello imperversano le note di un concerto rock particolarmente molesto, illuminato ad intermittenza dalle luci grottesche del circo itinerante che ormai da mesi aveva preso fissa dimora tra le pareti della sua scatola cranica.

Preferisce non ripensare al fatto che aveva perso un paio di battiti leggendo il nome di Pepper sullo schermo del gobbo… causandogli una stretta sanguinante e spiacevole al cuore, instillandogli il dubbio che le famigerate schegge che l’avevano reso un morto ambulante per anni fossero finite per perforargli seriamente il pericardio, ricordandosi con un secondo di ritardo che ciò non era più possibile perchè si era operato… ma il sollievo che avrebbe dovuto seguire quella consapevolezza non aveva mai raggiunto il cervello, troppo preso a combattere il mal di testa che si era autoinflitto. 

Tony aveva concentrato tutte le sue energie per modificare la proiezione del R.I.M.B.A., tramutando un ricordo privato in una visione socialmente accettabile e in linea con il mito di Tony Stark che aveva faticosamente costruito negli anni, impedendo a sua madre di riempire l’auditorium con le note di Chopin e dipingendo suo padre come il personaggio burbero e bidimensionale che lui aveva sempre descritto ai posteri, tenendo per sé gli enigmi ancora irrisolti che a periodi alterni rendevano insonni le sue notti solitarie.

Può illudersi quanto vuole che il mal di testa sia dovuto solamente ai suoi neuroni che sbatacchiando impazziti contro le pareti del suo cervello, celando il vero motivo di fondo che gli ricorda inopportuno e a tradimento che la September Foundation è un’idea di Pepper all’88% e che lui non mette piede tra i muri vuoti dell’attico sulla 5th Avenue da decisamente troppo tempo… e vorrebbe solo lasciarsi tutti i problemi alle spalle collassando sul divano della sala comune in santa pace, ma la fotografia che quella donna gli ha premuto contro il petto glielo impedisce, insieme alla discussione altalenante tra gli abitanti del Complesso, che gli si scaglia contro trascinandolo controvoglia nell’occhio del ciclone con la forza di un uragano ed il fragore di uno spettacolo pirotecnico. 

-Tony? Sei curiosamente silenzioso e poco logorroico.

Non ha voglia di parlare, non ha più voglia di moltissime cose… e non ha nemmeno più cose da dire. Ha come l’impressione di essersi tramutato in un automa, un'armatura vuota che procede a passi barcollanti per inerzia cigolando sulle giunture corrose dalla ruggine, rompendosi definitivamente quando il ghiaccio siberiano rende quella carcassa di ferro la sua stessa tomba.

Si strappa di dosso l’armatura, indifeso e inerme di fronte alle macerie della sua vita, appurando che non ci sono più nemmeno cocci da raccogliere con cui ripartire… sono stati polverizzati sotto i colpi dello scudo e dispersi nella neve immacolata da quei fotogrammi in bianco e nero, tradito nel profondo da quello che credeva suo amico. 

Piange, perché non gli è rimasto altro da fare, chiamando Pepper nel cuore della notte, terrorizzato all’idea di atterrare sul tetto del suo attico e dissolversi in un pulviscolo di fiocchi di neve quando non ci sarà più l’armatura a tenerlo insieme. 

Cade in ginocchio ai suoi piedi quando la vede raggiungerlo di corsa, abbracciandolo sussurrandogli all’orecchio che è tornata per restare e non è più solo al mondo… e finalmente le luci di quel circo grottesco si spengono lasciandolo al buio misericordioso puntinato da flebili stelle, con Pepper al suo fianco a ricordargli che il mondo non è finito, aggiustando la bobina e riavvolgendo il nastro, ricominciando da dove si era interrotto. 

 

* * *

 

Se ti affacci anche adesso mi vedi sullo sfondo del niente
le parole le ho scritte convinto ma sopra il burro cocente
e se scendi da quella cometa scoprirai soprattutto
che il regalo più bello che sogni a volte è la vita
e ripartire da un rutto

 

Tony rientra in casa propria perdendo le scarpe appena varcata la soglia, abbandonando le chiavi nello svuotatasche posato sul bancone d’entrata, svoltando l’angolo senza pensieri, sobbalzando e reprimendo un urlo quando si ritrova davanti Nick Fury appollaiato in soggiorno in sua attesa con due dita di scotch nel bicchiere.

-Sai che sono cardiopatico, vero? -esordisce con la mano premuta all’altezza dello sterno, contando mentalmente le pulsazioni che ritornano velocemente al loro ritmo regolare una volta superato lo spavento iniziale. -Esiste una cosa chiamata “campanello”... 

-Hai espresso il desiderio nebuloso di parlarmi e Hill ha provveduto. -replica Fury interrompendolo bruscamente, facendo spallucce di fronte al suo infarto sventato. -Che hai da dire, Stark? Non ho troppo tempo da perdere.

-Okay. -ribatte schiarendosi la voce, preso in contropiede dall’improvvisa necessità di tagliare drasticamente il discorso che si era preparato negli ultimi giorni, tamburellando contro il vetrino dell’alloggio per nanoparticelle in un lieve cenno di nervosismo, messo in soggezione dell’occhio buono di Fury che lo scannerizza in attesa di una sua risposta.

-Senza troppi giri di parole… vorrei il “pensionamento”.

-Pensionamento? -replica Fury interdetto.

-Un passaggio di testimone, una buona uscita… come diavolo vuoi chiamarlo. Appendo l’armatura al chiodo e tanti saluti, soprattutto ora che la boy band si è sciolta ed io sono in procinto di sposarmi. -afferma convinto puntando direttamente al succo del discorso, indicando i cataloghi degli abiti da sposa e la lista degli invitati con appuntate delle possibili date per il matrimonio impilati alla rinfusa sul tavolo, come a sottolineare la propria tesi.

-Quindi pensi di inscatolare tutto e rispedirlo al mittente? -parafrasa Fury indicandosi, sorvolando sulla questione “nozze” ottenendo una sua conferma con un cenno del capo, per poi puntare lo sguardo sull’alloggio per nanoparticelle che brilla sopra il suo sterno. -Reattore compreso?

-No, questo me lo tengo… sicurezza personale.

L’occhiata di profondo scetticismo da parte di Fury gli rovescia lo stomaco sottosopra, fuggendo da quella sgradevole sensazione raggiungendo la cucina per versarsi un bicchiere d’acqua, liberando un respiro trattenuto quando il Colonnello sorvola sulla sua ultima affermazione con un sorso di scotch ed una scrollata di spalle.

-Quindi lasci il posto vacante? -domanda con tono pratico, posando il bicchiere vuoto sul tavolo affianco ai cataloghi, alzandosi in piedi.

-No, ti affido Parker. Consideralo il mio regalo di addio… è un bravo ragazzo.

-Il ragazzino che hai reclutato per Lipsia? -chiede dubbioso, senza risparmiarsi l’espressione scettica dipinta sul suo volto, eletta a chiaro segnale della rivalutazione tempestiva in merito alle sue discutibili capacità di raziocinio.

-È molto maturo per la sua età… tu gli paghi lo stipendio ma continuo a tenerlo d’occhio io, la tua casella di posta è salva.

Fury soppesa l’informazione ponderando i pro e i contro, annuendo soddisfatto quando non rileva nessuna minaccia nella sua proposta, accettando la richiesta proferita rendendola effettiva così su due piedi.

-Hai altro da lasciare in eredità? Tipo i brevetti delle Stark Industries? -chiede delucidazioni guadagnando la porta.

-La partnership è ancora attiva, solo perchè appendo l’armatura al chiodo non significa che non voglia più rimettere piede al Complesso… ma presumo il reclutamento ufficiale debba farlo tu, giusto Direttore? -sorride ironico, incrociando le braccia al petto facendo sfoggio della miglior faccia da schiaffi che possiede.

-Diciamo di sì.

-Allora questi dalli a Parker, lui saprà cosa farne. -annuncia rovistando tra i cataloghi abbandonati sul tavolo, porgendo a Fury una custodia per occhiali nera.

-Sono occhiali da sole, Tony.

-Non esattamente… ma se ti spiego cosa sono, so che non li cederai mai al ragazzino. -replica convinto liquidando l’informazione con una scrollata di spalle, deglutendo a vuoto quando l’occhio di Fury lo scannerizza un'ultima volta prima di far scomparire la custodia dentro le tasche del cappotto.

-Quindi gli stai lasciando in eredità un impero con tanto di corona.

La scelta di parole gli richiama istantaneamente alla mente il suo regalo di Natale del ‘91 e l'immagine del frontespizio siglato da Howard, avvertendo il peso di quella corona così tanto osannata che grava ancora sulla sua testa, invisibile ad occhi inconsapevoli… sorridendo di fronte all'ironia di fondo data dalla dichiarazione in buona fede del Colonnello, realizzando di star inconsciamente posando una corona molto simile alla propria sul capo del ragazzino, ricoprendosi completamente certo su quella scelta già presa da tempo.

-Già. “Inquieto giace il capo che porta la corona”... diglielo, ma dubito la capirà, non è un riferimento a Star Wars.

 

*

 

Tony riapre gli occhi a fatica mettendo a fuoco il mondo che lo circonda con estrema lentezza, appurando la presenza di aghi e cannule di varia entità che entrano ed escono dal suo corpo malnutrito, incappando quasi per sbaglio sulla mano di Pepper intrecciata alla sua in una presa rassicurante che lo ricollega alla realtà.

-Mi hai spaventato a morte. -sussurra flebile quando la donna si rende conto è sveglio, lasciando trasparire sulle labbra un microscopico sorriso sollevato, stringendo un po’ di più le dita tra le sue. -Hai reso l’idea… ma non farlo più, per favore.

Tony stringe le dita in risposta chiedendo un tacito perdono, la gola troppo secca per articolare un qualsiasi suono che non sia un singhiozzo basso e rauco, accarezzandole il dorso della mano con il pollice.

Avrebbe dovuto affrontare la discussione con toni più civili e pacati, ma la volontà aveva soppiantato il dovere, straripando sentenze velenose generate da un fiume in piena composto da acido corrosivo, esplodendo e collassando sul pavimento in rapida successione.

Zero fiducia, bugiardo.

Quelle tre parole si ripropongono ingombranti incuneandosi di nuovo tra il suo sterno e le sue corde vocali, incredulo nell’essere riuscito ad esprimerle, provando un vago pizzico di rimorso nell’averle impregnate con così tanto rancore represso al punto da trasudare veleno in ogni sillaba… abbassando lo sguardo sulla conca del suo sterno che spicca tra le costole appuntite e le clavicole estremamente fragili, la sottile cicatrice tonda del vecchio reattore e l’ombra impressa dell’alloggio per nanoparticelle che si era strappato dal petto, consegnando il suo cuore high-tech tra le mani di Steve, sottolineando quel tradimento impossibile da dimenticare, ma serrando gli occhi con forza provandoci lo stesso.

-Ehi… staremo bene. -sussurra Pepper regalandogli una carezza sulla guancia in punta di dita, cancellando la presenza incontrollabile di quel paio di lacrime cristallizzate agli angoli degli occhi, indecise se scendere o evaporare fingendo di non essere mai esistite.

Tony si abbandona contro la carezza della donna, baciandole il palmo della mano, annuendo appena… “staremo bene” gli sembra un pronostico estremamente ottimista, ma è sempre meglio di niente. 

 

*

 

Tony scuote il capo riprendendosi dallo stato di dormiveglia in cui era precipitato, analizzando la fonte del peso pressante che gli comprime il torace e lo stomaco, mettendo a fuoco la chioma castana di Morgan che poggia sopra il suo sterno, le mani abbandonate lungo i suoi fianchi in un pseudo abbraccio ed il ronzio basso simile a fusa mentre russa leggera sbavando sulla sua maglietta. 

Inizia a percepire un vago indolenzimento alle gambe, spostando lentamente il braccio libero allontanando le ciocche di capelli di sua figlia che gli solleticano il naso, compiendo un movimento leggermente più brusco rispetto alla norma disturbando il sonno della bambina, che reagisce accoccolandosi meglio contro il suo petto rifilandogli una ginocchiata allo stomaco, mordendosi la lingua reprimendo un sibilo infastidito e dolorante in risposta… aveva impiegato più di un’ora per riuscire a farla addormentare, svegliarla era un’opzione non contemplata nel modo più assoluto, a costo di diventare un tutt’uno con il divano causandosi infinite contratture pulsanti e doloranti.

Tony torna in balia di quel stato di quiete, con Morgan che ronfa tranquilla usandolo come materasso e le note di Chopin di sottofondo tramutate in una ninna nanna rilassante… ridestandosi nuovamente quando i pneumatici spostano il ghiaino del vialetto fuori dalla finestra, presto seguito dal ticchettio delle scarpe di sua moglie sulle assi del porticato che ripara l'entrata, girando la chiave nel chiavistello rientrando in casa di ritorno da lavoro.

-Tony? -lo richiama guardandosi intorno non vedendolo da nessuna parte, abbandonando le chiavi di casa sullo svuotatasche in entrata con un tintinnio assordante, scalciando via il tacco dodici appena varcata la soglia.

-Shh! -sibila sollevando il braccio libero palesando la sua presenza dietro lo schienale del divano. -Fa piano, sta dormendo.

-Scusami… -sussurra Pepper sporgendosi da sopra il divano, raggiungendolo in punta di piedi. -Non la porti di sopra?

-Se mi muovo la sveglio, quindi resto immobile come con i T-Rex. -replica con tono ovvio, incurvando le labbra di sua moglie in un sincero sprazzo di ilarità.

-Hai appena paragonato nostra figlia ad un T-Rex? -chiede ridacchiando sommessamente di fronte alla sua espressione convinta, chinandosi oltre lo schienale posando un bacio sulla tempia di Morgan.

-Può darsi… -ribatte sollevando appena il capo reclamando un bacio a sua volta. -Potresti sistemare meglio il cuscino sotto la mia testa? È scivolato per terra e di questo passo mi verrà il torcicollo.

Pepper provvede immediatamente alla richiesta, per poi afferrare la coperta abbandonata sull’altro capo del divano, dispiegandola coprendo entrambi.

-Grazie… ci sono gli avanzi della cena in microonde se hai fame. -aggiunge sistemandosi meglio contro il cuscino, spostando delicatamente il ginocchio di Morgan che preme fastidioso contro la sua milza.

-Okay… quindi resti qui?

-Mh-m. ‘Notte, Pep.

-Notte, amore.

 

* * *

 

Sono il re dei cantanti stonati
di una vecchia chitarra
a cui manca una corda
Sono il re di un’inutile guerra
e dei cantanti spuntati che nessuno ricorda

 

Tony ha perso il conto di quante volte ha sognato la distruzione piovere dal cielo, ma ora che l’ha vista, che i suoi incubi ricorrenti si sono concretizzati davanti ai suoi occhi, si rende conto che era così che doveva finire fin dall’inizio.

L’aveva visto nell’incubo causatogli da Wanda… i chitauri che cavalcano nuovamente i cieli di New York, il campo di battaglia distrutto, i suoi amici… la sua famiglia in fin di vita, e la consapevolezza che lui avrebbe potuto fare di più.

Questa volta aveva fatto di più… probabilmente aveva appena salvato l’universo, mettendo fine a quell’inutile battaglia eletta a suo inferno personale, annunciata dai suoi incubi per troppi anni e resa effettiva sulla sabbia rossa di un pianeta alieno cinque anni prima. 

Si è sacrificato per un bene superiore, ma sorride perchè non riesce a considerare la sua scelta come una stonatura, anzi, la percepisce al pari di un accordo azzeccato che riverbera come una nota altisonante nell’intero universo… ha abbracciato Peter, Morgan è al sicuro e l’ultima persona che vedrà in questo mondo è Pepper.

Sarebbe dovuto morire ancora molto tempo fa –probabilmente in un momento imprecisato tra l’Afghanistan e Titano–, grato di aver avuto quei minuti, ore, giorni, mesi ed anni aggiuntivi che gli hanno permesso di mettere un anello al dito a Pepper, concedendogli anche la possibilità di conoscere e vedere sua figlia crescere… alla fine aveva avuto tempo, non abbastanza, ma molto più di quanto se ne meritasse.

Nel suo ultimo impulso vitale riesce a mettere a fuoco il viso di Pepper, compiendo un ultimo sforzo incurvando le labbra in un’espressione rassicurante, illudendola che staranno bene, benissimo… e sorride.

-Ehi, Pep… 

 

Sono il re di me stesso e stasera ho trovato il coraggio di parlarti di me
Ma sono il re delle rime sbagliate e sottovoce ti dico
Ho bisogno… ho bisogno di un the
[Il re - Leonardo Pieraccioni]







 

Commento dalla regia:

Confesso che non ho la più pallida idea del perchè io abbia scritto tutto questo… se bisogna incolpare la terza visione di “Endgame” in concomitanza con la visione relativamente recente di “Far from home”, se bisogna biasimare Pieraccioni perché “Il re” è una canzone che si cuce perfettamente addosso al personaggio di Tony quasi a doppio filo, o se invece è semplicemente merito dell’ispirazione inconsapevole di _Lightning_ (e qui ne approfitto per segnalarvi calorosamente “Back In Black”, a titolo di cronaca io ne sono completamente assuefatta). 

Forse è semplicemente colpa di Shakespeare e di alcuni risvolti di trama alquanto discutibili di “Far from home”... in ogni caso, tralasciando le cause, credo di aver esaurito definitivamente gli argomenti con cui tartassare la psiche del povero Tony Stark.

Qualunque opinione/commento/etc. è più che gradita, 

_T <3

   
 
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