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Autore: Nat_Matryoshka    21/08/2019    5 recensioni
"Ormai lo ha capito: ogni volta che lui e Crowley si incontrano, qualcosa cambia. Una barriera cade, le risate si fanno più intense, e il mondo attorno acquista un nuovo colore."
[Aziraphale/Crowley - soulmate!AU]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Every color, then you
 
 
 
 
 
Eternal as my name on your tongue,
Light as a feather at your feet
Oh dear, can’t you see? How complex
How ineffable
My love can become?
In your arms,
In my eyes
Eternal as my name on your tongue.
 
 

 
La luce attorno a sé è bianca: bianco puro, luminoso, quasi accecante. Il suo abito è bianco allo stesso modo, come la luce di una stella lontana, appena nata.
Aziraphale alza le mani e le guarda, e la loro luminosità si fonde con quella dei cieli attorno, facendolo sentire parte del tutto. È una creatura splendente, amore che si concretizza, tutto in lui riluce della bellezza del Paradiso. I suoi molti occhi si aprono e ne accolgono la beatitudine, mentre i canti riempiono il suo cuore e lo innalzano.

Tutto ciò che vede è bianco. Bianco puro, accecante. Non esiste altro colore. Non c’è posto per il dubbio in lui.  

Quando gli viene affidato il compito di proteggere l’Eden, discende con la sua spada attorno alle mura create per ospitare l’uomo. È un protettore, in fondo, e se stringe in pugno la lama avvolta dalle fiamme il suo ruolo gli è ancora più chiaro. Persino quando l’uomo annaspa, cacciato dal Giardino, non esita un attimo: gli offre la spada perché possa proteggersi, senza pensare a ciò che quel gesto potrebbe comportare. È un essere di puro amore, e provare compassione è naturale per lui, come muovere le ali.

Il mondo è una grande sfera luminosa, plasmata da mani severe e generose. Bianco e luminoso.

Aziraphale lo guarda dall’alto e ripiega le ali, ricominciando la propria guardia alla Porta dell’Est.
 

 
 
La caduta non è come immagina, e come potrebbe? È come una tempesta sferzante che lo logora, che morde la pelle e trita le ossa, violenta, implacabile. Un attimo prima la luce lo circonda, un attimo dopo precipita al suolo, strappato da una forza più grande del suo stesso potere.
Se anche riuscisse a gridare, chi lo ascolterebbe?

Piega le ali e si prepara all’impatto.

Quando la terra arsa lo accoglie, apre e chiude gli occhi: la luce è svanita. È stretto in uno spazio soffocante, mentre un liquido che brucia gli dilania la carne delle braccia, scavando solchi nella pelle delicata. Geme di dolore, sfiorando la carne aperta che pulsa, e la sua mano si ricopre di gocce scure e calde, dall’odore pungente. Il sangue che non ha mai avuto, quello degli esseri inferiori, ora scorre nel suo corpo e cola sul terreno arido della voragine in cui è caduto.
Nessun canto pervade l’aria. Il suolo è nero, il sangue appiccicoso bagna i piedi nudi. L’acido continua a bruciare, una punizione che gli viene inflitta costantemente, senza un attimo di tregua. I suoi compagni gridano, maledicono il cielo, si agitano, lamentandosi con voce spezzata.

Chiude di nuovo gli occhi, poi li riapre sperando che lo scenario cambi, che quel mondo distorto sia solo un brutto ricordo, ma non si è sbagliato. I colori sono davvero svaniti; persino il cielo da cui è caduto è scuro, e le nuvole gonfie che si chiudono su di lui sembrano fissarlo con indifferenza.

Scuote le ali perché il dolore svanisca, accorgendosi che anche le penne sono diventate nere. È come se i colori lo avessero abbandonato insieme alla luce, e quel pensiero scava una nuova voragine nella sua anima.  

Hai disobbedito! lo tormenta una voce. Ti aspettavi qualcosa di diverso, angelo ribelle?

Non l’ascolta, non ne ha la forza. La pelle tormentata si ricopre di squame che ne mascherano le ferite, e presto scopre di potersi trasformare in qualcos’altro: una creatura strisciante, un essere dalla lingua biforcuta che scivola agilmente sul terreno. Non gli resta nulla dell’angelo che era, a parte le ali… ma non importa. Ora ha un nuovo nome, e una nuova esistenza.

Crawley raccoglie il proprio orgoglio, alzando la testa.
 
Quando esce dal giardino e abbandona la sua forma animale per quella di essere alato, non è solo: l’angelo della Porta Est lo guarda, ma nei suoi occhi non scorge riprovazione o disgusto. Lo guarda come se fosse un suo pari, per la prima volta, e Crawley sente di non riuscire a staccare lo sguardo dal suo. Sorride, non si ritrae. Condividono una risata, la visione del giardino sotto di loro. L’angelo lo ringrazia. Qualcosa dentro di lui freme appena.

Non appena la pioggia inizia a cadere, l’ala di Aziraphale – così si chiama – gli sfiora la testa, proteggendolo dalle gocce. Nell’oscurità che ha rubato i colori, solo le penne brillano debolmente: sono di un bianco tenero e perlaceo, così intenso da spiccare prepotentemente sull’oscurità che le circonda. Gli ricordano chi è stato con tanta forza da farlo tremare, ma si avvicina comunque all’angelo per ripararsi meglio.

Le piume bianche gli sfiorano i capelli. Alza gli occhi, colmandoli della luminosità di quelle ali, sperando con tutte le sue forze che il buio non le inghiotta mai.
 
 


Con il passare dei secoli, Aziraphale scopre di apprezzare la compagnia di Crawley (anzi, di Crowley, come ha iniziato a farsi chiamare).

Cose che capitano, pensa all’inizio: se un demone rappresenta l’unica compagnia sovrannaturale disponibile nel raggio di miglia fraternizzare è quasi d’obbligo, nemico o meno. Eppure, il tempo gli dimostra che non può essere esattamente l’unico motivo. Condividere problemi simili li ha avvicinati, certo, ma come spiegare quel vuoto allo stomaco che prova quando sente la voce di Crowley chiamarlo “angelo”? E perché non può fare a meno di sentirsi felice ogni volta che si incontrano, tanto da desiderare con tutto se stesso che accada ancora? 

L’unica cosa che sa per certo è che lavorano per schieramenti contrapposti, e che le alte sfere non vedrebbero sicuramente di buon occhio la loro amicizia: se vuole portare avanti il proprio compito, essere davvero l’angelo protettore incaricato di ispirare gli umani a scegliere il bene, non può permettersi quella distrazione.

Eppure, basta il suono di quell’”angelo” per farlo vacillare. Una sola, semplice parola.

Come in quel primo giorno davanti al giardino, quando la luce sfolgorante dominava ogni cosa, Crowley ha sempre la parola giusta per farlo sentire meglio. Si capiscono senza parlare, possono permettersi di essere loro stessi senza tenersi a distanza: non riesce più considerarlo un avversario, è quello il problema. Aziraphale sospira, cercando di tornare con la mente a quando era una creatura di puro amore, le ali spiegate e i tanti occhi aperti per vigilare sul creato, ma è come se una piccola parte di lui fosse cambiata irrimediabilmente.

Quando lo incontra la volta successiva, due giorni o tre secoli dopo, Crowley siede con lui in una taverna a Roma, ed è come se si fossero lasciati solo poche ore prima.
 
 
 
Ogni volta che incontra Aziraphale, un nuovo colore si aggiunge al mondo.

Non ha pensato molto a chi fosse prima della caduta: sono passati millenni, e il tempo ha contribuito a dare ai suoi compagni forme troppo diverse rispetto al passato. Eppure, quell’angelo che creava costellazioni solo con il pensiero non ha mai perso la capacità di capire cosa voglia e la forza di lottare per ottenerla.
In breve, il suo capo può sbattere i piedi e punirlo come vuole, ma ciò non lo fermerà dal continuare ad inseguire l’angelo in qualunque guaio decida di infilarsi.

Hanno imparato molto presto a passarsi i compiti, così da avere il tempo di godersi la Terra il più possibile. Non è male l’umanità, la sua lunga esistenza immortale glielo sta facendo capire in molti modi, ed è sempre piacevole tentare l’angelo perché mangi in sua compagnia in un bistrot di Parigi o trascorra del tempo in luoghi che possono apprezzare entrambi. Sa benissimo di non poterlo fare, e quella consapevolezza rende ogni incontro ancora più divertente.

Ma non è solo quello. Lo sa bene, eppure non vuole ammetterlo nemmeno a se stesso, perché ammetterlo significherebbe dichiararsi debole. Guardarsi allo specchio e dare un nome al sentimento che prova quando Aziraphale gli sorride, il viso acceso di una luce che dedica solo a lui. Capire perché, improvvisamente, i suoi occhi sono diventati grigio-verdi e i capelli biondi, e perché quei due colori si staglino con tanta violenza sul nero cupo che avvolge il mondo.

Uscendo dalla Bastiglia a braccetto, come due amici felici di rincontrarsi (o due amanti), si rende conto, per la prima volta, di quanto siano chiari gli abiti che indossa Aziraphale. Cerca di non mostrarsi troppo sorpreso, ma la sua espressione non sfugge all’angelo.
 

 
Ormai lo ha capito: ogni volta che lui e Crowley si incontrano, qualcosa cambia. Una barriera cade, le risate si fanno più intense, e il mondo attorno acquista un nuovo colore. Ieri erano le foglie di una quercia sul Tamigi, oggi la scalinata di marmo di una chiesa, o le acque di Venezia, che scintillano di un blu impossibile da immaginare. Sono sensazioni brevi, aggiunte gentili, ma impossibili da negare.

Il mondo gira come una giostra impazzita, stare dietro ad ogni singolo giro è impossibile: meglio rilassarsi e salire solo quando se ne ha voglia. La musica suona, loro decidono quando e come entrare in scena e ballare. È semplice.
Ai suoi superiori non va bene, ma pazienza. Da quando ha imparato a vivere come uno spirito libero, ha meno paura che scoprano quanto ami frequentare Crowley.
La musica suona, la piccola stanza sembra scoppiare. È venerdì sera, il pub è pieno di gente che beve e di coppie che discutono sopra ad un fish and chips, mentre un gruppo suona sul palcoscenico scalcagnato, cercando di invitare gli avventori a ballare. Hanno cantato un pezzo degli Stones, ora il cantante attacca le prime note di Crazy little thing called love, ma a parte un tizio con un caschetto improbabile, nessuno sembra avere voglia di alzarsi e muovere qualche passo.

A parte Crowley, ovviamente.

Se per tutta la cena gli è stato seduto davanti, tamburellando sul tavolino con le unghie dipinte di nero, alla prima avvisaglia di un pezzo dei Queen si alza di scatto e lo guarda con aria d’intesa. Quella sera ha scelto di vestire i panni della signora Ashtoreth, la ex-tata di Warlock: indossa un abito nero lungo e stretto e un bracciale a forma di serpente le cinge il polso sottile, arrampicandosi quasi fino al gomito. È bella, di una bellezza che lo fa sentire tutto scombussolato, tanto che si ritrova spesso a fissarla a bocca aperta.

“Che ne dici di ballare, angioletto?”

Il bracciale è di oro giallo, l’occhio del serpente una piccola pietra verde. Aziraphale scuote appena la testa. “Non sono capace, Crowley. Non te lo ricordi?”

“Ah, è solo che non hai ancora trovato l’insegnante giusto.” Sorride, mostrandogli i denti bianchissimi. Non si è tolta gli occhiali da sole, ma nessuno sembra farci caso. “Che ne diresti di riprovare con me?”

Non che possa dirle di no. Aziraphale si alza un po’ imbarazzato, anche se non prova altro che una profonda contentezza, e in un attimo Crowley lo trascina davanti al palco. Si appoggia una delle mani del compagno sul fianco e prende l’altra nella sua, tirandolo verso di sé.  

“Ecco, ora segui me. Non è difficile.”
“Questo lo dici tu.”
Per una volta tanto, vuole essere lui a punzecchiarla.
“Quanto sei difficile, angelo. Basta seguire la musica e i miei movimenti… hai imparato la gavotta, ce la farai anche con il rock.”

È come se l’intera sala sparisse attorno a loro, lasciandoli da soli con la canzone. Aziraphale la guarda negli occhi, prende un respiro e prova ad ascoltare il suo consiglio: si lascia andare. Sulle prime è impacciato – ballare non è esattamente il suo forte, e probabilmente non lo sarà mai – ma, dopo qualche passo sbagliato e averle pestato un paio di volte i piedi, riesce ad andare almeno a tempo. La pelle di Crowley è calda, sia i fianchi che le dita, e non vorrebbe mai staccarsi dalla sua stretta.

Ti sei mai chiesto cosa si provi ad innamorarsi, Aziraphale?
No, perché non ti sei mai soffermato a riflettere su quelle sensazioni che ti attanagliavano continuamente il cuore, altrimenti avresti la tua risposta, lo rimprovera la sua mente, mentre sente le guance andare a fuoco. Qualche altra coppia prende esempio da loro e si lancia sulla pista, finché lo spazio per muoversi non si riduce tanto da doversi avvicinare ancora di più. Il cantante guarda proprio loro e Aziraphale è sicuro di avergli visto fare l’occhiolino.

All’improvviso, scoppia a ridere. Con sua grande sorpresa, Crowley ricambia la risata e lo spinge in avanti, per poi attirarlo di nuovo a sé nella foga del ballo. Chiunque li guardi potrebbe scambiarli per due amici che stanno trascorrendo la più bella serata della loro vita, o una coppia al primo appuntamento, ed entrambe le possibilità lo rendono felice.

Una volta terminata la canzone, tornano al loro posto mentre il cantante sparisce dietro le quinte e il chitarrista si esibisce in un assolo.
La schiena di Crowley, lasciata scoperta dall’abito nero, si muove con eleganza sinuosa, la grazia letale di un serpente. Non appena Aziraphale gli si avvicina, si china verso di lui, finché le labbra tinte di rosso non si trovano a pochi centimetri dal suo orecchio, pronte a farlo rabbrividire.

“Che ti avevo detto, angelo? Non sei male come ballerino.”
 

 
È talmente abituato agli sguardi straniti della gente da non farci nemmeno più caso. Gli umani restano sempre gli stessi, millennio dopo millennio.
A Crowley il ventunesimo secolo non dispiace affatto: è caotico quanto basta, e offre tutti i divertimenti di cui potrebbe mai sentire il bisogno. Una gran varietà di stili di abbigliamento, ad esempio, e i negozi di dischi. E le automobili. E, sopra ogni altra cosa, la possibilità di poter vivere tutte quelle esperienze accanto ad Aziraphale. 

La gente che gli passa accanto è immersa in un alone nero, indistinto. I colori sottratti dopo quella discesa verso la dannazione gli vengono restituiti poco per volta, ma solo quando la mano dell’angelo sfiora la sua mentre camminano, o quando siedono vicini al parco. Prima di lui, non si era mai soffermato a pensare quanto potesse essere meravigliosa la trama di una foglia, o la delicatezza delle gocce di rugiada sul prato al mattino (verde, argento, acqua trasparente). E il cielo? Perché avrebbe dovuto guardare un cielo nero, privo di risposte e di speranza?

Vedi che sai essere buono anche tu? lo stuzzica una voce interiore che somiglia fin troppo a quella di Aziraphale. Ma, per la prima volta, non si arrabbia. Riprende a camminare, mentre i raggi del sole del mattino gli accarezzano la schiena.
 

 

Crowley gli sfiora il viso dolcemente, quasi avesse paura di romperlo, quasi fosse una delle piccole statue preziose che tiene sulle mensole della libreria. L’altra mano poggia sul suo petto, e a tratti gli sembra di sentirla fremere.

“Vuoi che vada avanti?”
“Assolutamente sì.”

Le sue dita sono chiare, lunghe e affusolate. La leggera peluria sui polsi, il viola della maglia: riesce a notare ogni dettaglio. Le labbra incurvate in un’espressione incerta, la prima che gli abbia mai visto sul viso da sempre. Ma lui non è mai stato così sicuro, così felice come in quel momento.
Crowley approfondisce la carezza. È fragile, esposto, gli mostra apertamente il suo lato più gentile e non se ne preoccupa. Aziraphale muove appena la testa, perché non c’è altro da dire, e non esiste parola o frase adatta per spiegare l’emozione che prova in quel momento.

I suoi capelli sono rossi, brillano di una luce aranciata, potente. Una luminosità che quasi gli fa lacrimare gli occhi, ma Aziraphale non stacca lo sguardo da lui, nemmeno per un attimo. Lo osserva aprire i bottoni della sua camicia, liberarlo dalla stretta del tessuto e spogliarlo piano, abito dopo abito, e come per magia (o per miracolo) i colori diventano sempre più definiti, più intensi, liberi dall’alone bianco che li avvolgeva. Sgrana gli occhi e quasi non riesce a credere a ciò che vede: può fidarsi solo delle sue dita, del cuore che gli batte in petto minacciando di rompergli le costole, delle labbra di Crowley che baciano ogni spazio scoperto dalle dita.

Nel silenzio della stanza, solo i loro respiri affannosi scandiscono il tempo che passa.

Aziraphale infila le dita tra le ciocche morbide e sospira, lasciandosi baciare ancora, spogliare ancora. Chiude gli occhi, avvolto dalle sue braccia, e quando li riapre si accorge che i globi di vetro del lampadario brillano di una sfumatura color crema che non aveva mai notato, e sul soffitto si allargano piccole crepe scure che somigliano alle vene sulle braccia di Crowley, anche se sono grigie, non blu. E quei libri sullo scaffale sono sempre stati bianchi, non rossi o verdi. Il cuoio e la carta riprendono colore, ogni bacio ne svela uno nuovo, ogni carezza sui suoi fianchi, sul petto, mostra una sfumatura che non esisteva.
Crowley si muove su di lui, e anche se le dita sono impegnate a sfiorare i suoi capelli, è la sua pelle ad accarezzarlo gentilmente. Quando la sua bocca si posa dal collo al petto e poi sul ventre Aziraphale si lascia sfuggire un gemito, così sommesso che, sulle prime, pensa (teme) che non l’abbia sentito.

L’orologio batte la mezzanotte. Ormai quasi nudo, avvolto dal suo corpo e dallo spazio accogliente della libreria, il compagno gli sorride. Aziraphale annuisce.

“Continua… ti prego.”

Lo accoglie dentro di sé con un gemito, poi chiude gli occhi. Nell’estasi che segue a quell’attimo, è come se una luce accecante si schiudesse nel suo corpo, e quando li riapre il viso di Crowley sembra raccoglierla del tutto. 

Gli occhi che ha sempre nascosto sono dorati, le pupille sottili e allungate. Sono belli, tanto che non riesce a trattenere una lacrima.
Il compagno la asciuga con le labbra, mormorando frasi insensate e gentili, poi lo bacia sulla bocca: un bacio delicato, paziente. Una conferma.

Qualche ora dopo, mentre restano distesi tra i cuscini morbidi disseminati per il tappeto, Aziraphale lo guarda addormentarsi appoggiato al suo braccio, il petto che si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro. Prima che il sonno lo afferri – un sonno breve e leggero, l’unico genere di riposo che ha imparato a concedersi - si sofferma ad osservare il suo viso, le palpebre abbassate e le labbra distese in un’espressione finalmente serena, poi le sagome dei mobili che spiccano nella penombra. Qualcosa è cambiato, pensa. In sé stesso, in loro, in quella stanza. Così tanto che quasi non gli sembra di riconoscerla.  

I colori che non ha mai visto sono tornati, e sono ovunque.
 

 

“Oh, ma che bel verde! Le tue foglie sono splendide. Ti avevo detto che saresti cresciuta benissimo!”

Aziraphale stringe in una mano il vaporizzatore pieno d’acqua, mentre le dita dell’altra sfiorano una delle foglie della piantina appoggiata sul tavolino. Le foglie si allargano al suo tocco quasi facessero le fusa e, quando Crowley entra nella stanza, nemmeno si accorgono della sua presenza.

Fsst. Il suono lieve dell’acqua vaporizzata riempie la stanza: l’angelo si è perfettamente accorto della sua presenza, ma non batte ciglio, continuando a complimentarsi con la piantina. Crowley alza gli occhi con fare teatrale, ma non si stacca dalla cornice della porta per osservare lo spettacolo. Da quando Aziraphale frequenta così spesso casa sua, le piante sono incredibilmente rigogliose e felici, e senza macchie.
Alla fine, parlargli nel modo giusto ha davvero dato i suoi frutti… ma farebbe guidare la Bentley all’angelo, piuttosto che ammetterlo.

“Continua così, e crescerai così tanto che ti servirà un vaso nuovo!” Aziraphale sorride felice e spruzza ancora un po’ d’acqua su una delle piante più piccole, quella che si era ripromesso di rinchiudere nella dispensa per punirla (non per molto, ma almeno una settimana, tanto per farle capire che macchie e foglie gialle a casa sua non sono ammesse). Le più grandi sembrano confortate da tanto affetto: per un attimo, Crowley potrebbe giurare di averle quasi viste agitare le estremità per ringraziarlo. Aziraphale se ne accorge e continua a sorridere, distribuendo acqua anche a loro.

“Non devi preoccuparti di non essere abbastanza grande” si china, sfiorando la piantina più storta con le labbra, come se le parlasse all’orecchio. “E se anche dovessi avere dei punti sulle foglie pazienza, se ne andranno… la perfezione non è tutto. Sei splendida così come sei.”

In quel momento, si rende conto che Aziraphale non sta parlando solo delle piante.  L’angelo si volta a guardarlo e Crowley, con suo grande orrore, sente di arrossire come un ragazzino.
Si avvicina a lui senza nemmeno rendersene conto. Lo guarda alzarsi, posare lo spruzzatore sul tavolo e sorridere, una mano che gli sfiora la guancia gentilmente. Suo malgrado, Crowley chiude gli occhi, arrendendosi a quel tocco, inspirando a pieni polmoni il profumo della colonia dell’angelo, quella che il suo barbiere gli ha consigliato e che riconoscerebbe ovunque come sua.

“Non prendertela con loro per punire te stesso, Crowley. Meriti tutto l’amore possibile, anche se sei il primo a non crederci.”

La mano dell’altro è vicinissima alle sue labbra: gli basta sfiorarla per baciarne il palmo. Anche se sente di non meritare tutto quell’amore, di dover ancora pagare per la caduta che lo ha condannato (non pensi di aver già scontato abbastanza anni di buio, prima che Aziraphale facesse tornare i colori nella tua vita?), vuole credere alle sue parole. Fidarsi di lui, aprirsi e mostrare le fragilità che ha sempre nascosto, assieme agli occhi. Solo Aziraphale può capirlo, con quella complicità silenziosa che mostrano gli spiriti affini che si sono trovati senza cercarsi.
Dietro le palpebre appena abbassate, tra i mobili dalla linea severa e le pareti grigie, il suo panciotto marrone chiaro e le foglie verdi delle piante sembrano brillare di luce propria.

Crowley chiude gli occhi, cercando di conservare quell’immagine il più possibile nella sua mente.
 

 

È domenica, in cielo splende il sole e la Bentley corre per le strade di Londra, miracolosamente più lentamente del solito (i suoi continui inviti alla prudenza hanno finalmente sortito qualche effetto). La voce di Freddie Mercury completa l’atmosfera. È passata una settimana dal primo giorno del resto delle loro vite, e tutto sta andando incredibilmente bene. Meravigliosamente, stranamente bene.

Almeno per il momento.

Aziraphale gira la testa verso il paesaggio urbano, lasciandosi riscaldare dai raggi tiepidi del sole. Quante volte si è seduto accanto a Crowley per attraversare la città, accompagnato dalla musica? Eppure, non si è mai sentito tanto libero come in quel momento. La libertà di lasciarsi andare, di ascoltare la musica pensando solamente al pranzo imminente ed al modo migliore per trascorrere il pomeriggio, senza sentirsi addosso il peso della fine del mondo imminente.
Una tregua a cui potrebbe abituarsi.

Guarda di sottecchi il compagno impegnato nella guida. Ne è passato di tempo, da quel loro primo incontro sulle mura dell’Eden, da quando erano solo due avversari, estranei l’uno all’altro. Millenni, accumulati come granelli di una clessidra. Chi avrebbe mai potuto prevedere che un angelo e un demone avrebbero iniziato a vedere il mondo l’uno attraverso gli occhi dell’altro?
Forse solamente Agnes Nutter, pensa tra sé, e sorride appena.

È come se tutto ciò che lo circonda – la natura, le persone, il cielo – avessero sempre nascosto il loro vero aspetto dietro lo splendore celeste che le avvolgeva. È stato Crowley a mostrargliene i colori, a svelare la realtà come in un gioco di prestigio perfettamente orchestrato: solo dopo la sua comparsa le cose hanno assunto la loro vera forma.
Un gioco stupefacente, incredibile, ma reale. Ineffabile, come il Piano Divino, e forse anche il loro incontro fa parte di quello stesso piano.

Aziraphale chiude gli occhi, mentre l’auto corre verso il Ritz ed il calore del sole del mattino gli intorpidisce i muscoli. Non è più una creatura celeste dai tanti occhi, non ha più con sé la spada fiammeggiante con cui faceva la guardia alla Porta Est del Paradiso, ma è rimasto comunque un essere di puro amore. Amore incondizionato, leale, quel sentimento che offre senza limiti e senza farsi domande, perché il destinatario non se n’è mai fatte: si è limitato ad accettarlo nella sua vita. Tutto il resto è venuto con naturalezza.

Ineffabile, riflette, e sorride.
 

○●
 

Al Ritz, in un modo o nell’altro, resta sempre un tavolo libero per due. Miracolosamente, direbbe qualcuno, senza sapere che è proprio quello il caso. Un piccolo miracolo inaspettato al momento giusto.

Aziraphale sorseggia vino dal suo calice, Crowley ha accettato di assaggiare uno dei piatti di cui l’angelo gli ha parlato per ore. Il bianco nella bottiglia brilla di una tenue luce dorata. Se l’angelo non fosse mai entrato nella sua vita non ne avrebbe mai apprezzato la bellezza, e non ne avrebbe sentito nemmeno la mancanza. Il solo pensiero gli stringe lo stomaco, ma si affretta a metterlo via: è la fine della prima settimana del resto della loro vita.  Stanno festeggiando la loro libertà e, per una volta tanto, vuole godersi quella sensazione di felicità sottile che lo pervade. Finisce di mangiare osservando Aziraphale, meravigliandosi una volta di più di quanto brillino i suoi occhi durante un’occasione semplice come un pranzo assieme.

Aspetta che anche l’altro abbia finito prima di alzare il bicchiere.

“Al mondo”, sussurra Crowley, come la settimana precedente, che è un altro modo per dire “a noi”, alla nostra vita disordinata, ai suoi pezzi che non sembrano mai combinarsi insieme, se non quando il cielo si rischiara ed è possibile tirare un sospiro di sollievo in mezzo al caos che si acquieta. Lo guarda negli occhi intensamente, ed in quello sguardo abitano tutti i ti amo mormorati e quelli mai espressi, mascherati da sorrisi e frasi casuali.
“Al mondo”, risponde Aziraphale, e lo guarda. Non hanno mai avuto bisogno di troppe parole per capirsi: il loro rapporto è fondato sulla fiducia, sui gesti concreti. Anche se, di tanto in tanto, è bello sentirgli dire qualcosa con quel tono sussurrato, come se gli stesse confidando il segreto più importante di tutti.

L’importante, riflette Aziraphale qualche ora dopo, guardando il cielo di Londra che volge al tramonto e gli offre una sfavillante tavolozza di rossi, oro e viola, è che restiamo insieme. Uniti, come due amici che hanno imparato a trovare nell’altro la propria anima gemella.

Solo in questo modo il caos non ci verrà a noia.











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L’idea iniziale per questa storia prevedeva una soulmate AU, di quelle il cui trope di base è “X e Y vedono il mondo in bianco e nero, finché non si incontrano e iniziano a sviluppare un legame: da lì, i colori iniziano ad apparire nella loro vita” (fonte: vari post scovati tempo fa su Tumblr). Solo che è intervenuta l’ispirazione a cambiare le carte in tavola, i personaggi hanno iniziato a fare quello che volevano e il risultato è quello che avete appena letto. Forse è solamente un pretesto per scribacchiare un po’ sul loro rapporto, su quella storia d’amicizia e d’amore profondissimo e incondizionato che è alla base di Good Omens, e magari in generale ha anche poco senso, ma spero davvero vi piaccia, e che possa suscitare in voi qualche sentimento positivo. Anche uno solo, piccolo piccolo.

Penso che non ringrazierò mai abbastanza Neil Gaiman e Terry Pratchett per aver scritto un libro che sto amando con tutta me stessa, né la mia Ailisea – il Crowley del mio Aziraphale – che riesce sempre ad amare le mie storie più di me.
Grazie anche a te, lettore, per essere arrivato fin qui!

Rey
   
 
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