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Autore: cavaz4800    27/08/2019    1 recensioni
La spiaggia era in un completo disordine, un caos silenzioso che rimbombava nella testa della ragazza. Poi all’improvviso un fascio di luce bianca dai contorni viola e ramificata illuminò la spiaggia cadendo in mare. Lo spettacolo davanti a lei la sconvolse completamente; ne era rapita e spaventata allo stesso tempo, l’adrenalina scorreva a tutto andare dentro di lei sentendosi comunque impotente davanti a quella scena inquietantemente affascinante.
Genere: Angst, Dark, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOGNANDO AD OCCHI APERTI

 

Era da tanto che non scriveva. ‘Prima o poi bisogna ricominciare!’

Si ritrovava da sola in un posto all’aperto cercando un po’ d’ispirazione per la sua nuova storia. Quel giorno lo aveva battezzato come il suo ‘nuovo inizio’, un punto da cui poter ripartire dopo un lungo periodo di pausa. Era in un tavolino al bar della spiaggia, quello del campeggio in cui andava sempre in vacanza ‘Hawaii’. Prese fuori dalla sua borsa una penna nera ed il suo fidato quadernino dalla copertina a fiori, li appoggiò sul tavolo bianco e si osservò intorno.

Accanto a sé passeggiava una coppia d’innamorati mentre si tenevano la mano. Si stavano dirigendo verso la spiaggia libera, dove non vi erano né ombrelloni né lettini ma sempre pieno di gente. La ragazza portava una borsa a righe bianche e blu, in stile ‘marinaio’ mentre lui era concentrato al telefono. Erano entrambi solo in costume ed infradito e non si degnarono neanche di uno sguardo. Non seppe dire se il ragazzo stesse giocando o messaggiando, ma lei ammirava la distesa d’acqua azzurra alla sua destra. Le onde erano leggerissime, quasi non si sentivano e la schiuma bianca bagnava appena la costa. Era calmo, non troppo mosso, l’ideale per un bagno in mare e perché no, magari con anche un materassino o un gommone.

Spostando lo sguardo davanti a sé quattro ragazzi giovani, sui vent’anni – la coppia di prima avrà avuto sui venticinque anni – stavano consumando un aperitivo. Infondo erano le cinque del pomeriggio, era quasi l’ora dell’aperitivo e tutti e quattro avevano una birra in mano con qualche stuzzichino appoggiato sul tavolino. Lei li guardava mentre ridevano e scherzavano animatamente, erano molto affiatati e gesticolavano di continuo. Nel vedere tutti quei sorrisi si sentì leggermente invidiosa. Non sapeva cosa potrebbe dare per tornare indietro nel tempo, tornare in quei momenti di spensieratezza e gioia in compagnia delle sue amiche. Era passato molto tempo da allora, dalle serata in discoteche e dalle escursioni fuori città, dei primi amori e delle prime volte, del chiacchiericcio leggero e delle settimane all’estero. Non le sentiva da un pezzo, ormai si erano fatte una vita con la loro famiglia, erano andate per la loro strada e lei faceva altrettanto. L’unica amica rimasta, quella di tutta una vita, era la scrittura. In tutti quegli anni non l’aveva abbandonata neanche una volta, nonostante tutto lei era sempre lì. Un piccolo moto di nostalgia di casa s’intromise nei suoi pensieri, ma almeno per quell’anno doveva godersi le sue ferie meritate. Certo, essere da sola non era il massimo, ma magari avrebbe incontrato qualcuno. Qualcuno d’importante, forse la tanto desiderata anima gemella. Chi lo sa.

Volse lo sguardo oltre i ragazzi, spostando un po’ la testa e vide una mamma risciacquare il proprio figlio, un bambino molto piccolo di appena un anno, o al  massimo due. Non di più. Era così piccolo, innocente, tenero e bello. Aveva due occhioni azzurri, di un azzurro puro come il cielo sereno d’estate, la pelle molto chiara come la madre. Si somigliavano molto, ed il bambino aveva un’espressione serena in volto molto dolce. Si lasciava accarezzare dalla mamma senza fare storie o piangere, lo sguardo vacuo come se fosse estraneo alla realtà. Vorrebbe tornare bambina giusto per tornare ad un tempo in cui non doveva preoccuparsi di nulla se non di divertirsi. In quel momento capì perché Peter Pan non voleva crescere. E lo comprendeva.

Un urlo vittorioso la scosse dai suoi pensieri e si guardò attorno, cercando la fonte del verso un po’ disorientata. Alla sua sinistra c’era un tavolo, con quattro anziani intenti a giocare a scala 40. Riconobbe le carte francesi ed il gioco al volo, da bambina e da adolescente ci giocava sempre con suo nonno, e spesso si perdeva ad osservare i tornei che organizzavano in spiaggia quando ci partecipava sua mamma. Un giorno voleva essere brava come lei a quel gioco. Beh, un po’ di fortuna l’aveva avuta nel gioco. I signori erano estremamente concentrati e persi nelle carte, non riuscivano a staccare gli occhi dal tavolo e avevano tutti un’espressione seria. Ipnotizzati dal mazzo, erano consapevoli che bastava una carta fortunata – o sfortunata – a cambiare le sorti della partita, che quella carta era in grado di determinare la vittoria – o sconfitta – del giocatore. Una carta sbagliata o una mano giocata male poteva essere cruciale. Quasi si fece coinvolgere da tutto ciò, vecchi ricordi che si sovrapponevano alla realtà, l’impotenza che i giocatori subivano davanti al mazzo, la soddisfazione di aver usato una strategia vincente, l’adrenalina nella conoscenza di una imminente vittoria, l’esser inconsolabile davanti ad una sconfitta certa. ‘ Non sei tu che scegli le carte, ma sono loro a scegliere te’. Poteva giurare di aver sentito la voce di suo nonno al ricordo della frase.

Nel frattempo il sole iniziò a calare; ben presto si fecero le sei e molte famiglie cominciarono ad inoltrarsi verso l’uscita, per andare a cambiarsi, lavarsi e preparare la cena. Il vento cominciò a farsi sentire, scompigliando i capelli scuri e mossi, corti fino al mento e un po’ rovinati dall’acqua del mare. L’aria fresca colpì le sue spalle scoperte provocandole un brivido alla schiena, e si ricordò che tra poco doveva tornare a casa se voleva cenare con in sottofondo il telegiornale.

Arrivò un cameriere, chiedendole cosa potesse servirla. Lei chiese un caffè con un po’ di latte ed in due minuti le arrivò ciò che aveva ordinato con una serie di bustine di zucchero – dallo zucchero di canna a quello fine – ed un cucchiaino. Prese una bustina di zucchero ma anziché versarlo dentro la tazzina le casca sul tavolino.

D’improvviso, non era più sera ma notte fonda e sul tavolino c’era una striscia bianca. ‘ è lo zucchero che ho rovesciato stasera’ si disse tra sé e sé. Il bar era chiuso, con tutte le luci spente ed attorno a lei non c’era nessuno. Disorientata e confusa si alzò a fatica dalla sedia e continuava a balzare lo sguardo da una parte all’altra, senza vedere niente per davvero. Le sue pupille dilatate si concentrarono sul mare; era mosso, estremamente agitato, le onde scure s’infrangevano lungo la costa con rabbia e le nuvole in cielo, scure e compatte oscuravano la luna e le stelle. Il vento soffiava forte ed era gelido, sembrava un vento invernale. Con forza e arroganza spostava centinaia di migliaia di granelli di sabbia, spostandoli quasi a casaccio a destra e a sinistra. La spiaggia era in un completo disordine, un caos silenzioso che rimbombava nella testa della ragazza. Poi all’improvviso un fascio di luce bianca dai contorni viola e ramificata illuminò la spiaggia cadendo in mare. Lo spettacolo davanti a lei la sconvolse completamente; ne era rapita e spaventata allo stesso tempo, l’adrenalina scorreva a tutto andare dentro di lei sentendosi comunque impotente davanti a quella scena inquietantemente affascinante. Fissando il mare realizzò che voleva seguirlo, voleva andare incontro al fascio di luce. L’eco del tuono la risvegliò e iniziò ad avvicinarsi alla riva. In volto non aveva nessuna espressione, sembrava persa nell’acqua e così avanzò fino a che non si ritrovò con i piedi bagnati dall’acqua scura. Un altro lampo, più vicino, il tuono echeggiava forte e sicuro, le orecchie tremavano al rumore. Tutto ciò la eccitò anziché spaventarla, e pensò di voler toccare un fulmine. Era sempre stata affascinata dai fulmini, da quando aveva otto anni e in quel momento poteva sentirlo sulla pelle, poteva sapere com’era toccare un fulmine. Il suo viso non mostrava alcun tipo d’emozione, ma dentro di sé aveva un tornado di sentimenti in contrasto, che si mescolavano tra di loro in completo disordine e non poteva sistemarli. Il vento soffiava ancora più forte e cattivo contro la sua pelle bagnata, provocandole la pelle d’oca, brividi lungo tutto il suo corpo, ma niente il vento soffiava. La stava spingendo verso il mare, verso l’ignoto, verso l’orizzonte. Alzò lo sguardo e lo vide in tutta la sua bellezza, il fulmine.

Questa volta il suo corpo non sentì l’eco del tuono, non sentì il proprio urlo incontrollato, non sentì l’aria fredda o l’acqua infrangersi contro di lei. Non sentì la sabbia sotto i suoi piedi né i granchietti che tremavano di fronte al temporale, non senti le onde abbattersi contro gli scogli, come se stessero litigando contro le rocce perché impedivano il loro passaggio. Non sentì l’acqua trascinare il suo corpo lungo la riva. Non sentì la pioggia, gocce d’acqua pesanti e amare bagnare il suo volto, rosso attraversato da linee spesse e ramificate violacei, bollenti come il sole di quel pomeriggio.

   
 
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