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Autore: CalvinCoolest    28/08/2019    0 recensioni
Appena si furono allontanati, iniziarono a scendere gli hovercraft, uno per ogni cadavere.
Improvvisamente, Domitia pensò a come ognuno di quegli hovercraft conteneva un corpo che presto sarebbe tornato a casa in una cassa di legno. E uno di quelli era lì per causa sua.
Da qualche parte, a Panem, una famiglia era in lutto per colpa sua.

| 41esimi Hunger Games | Il rating potrebbe cambiare
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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▪ CAPITOLO QUARTO ▪
Caprice
Nel Distretto 6 c’erano pochi tipi di animali. Perlopiù, c’erano molti insetti. Qualche volta si vedeva una lucertola. Un paio di persone avevano gatti o cani domestici.
Il serpente era l’animale più grosso che Rudry avesse mai visto. Era nero, viscido e procedeva verso di loro strisciando lentamente. 
A un certo punto Caprice aveva smesso di urlare. Rudry non era certo di non aver urlato anche lui. Non sentiva di riuscire a dire o fare nulla. Di fianco a lui, Caprice sembrava paralizzata.
Il serpente continuava ad avanzare.
Rudry non era certo che esistessero davvero serpenti così grandi in natura. Aveva visto dei serpenti in fotografia e gli sembravano tutti più piccoli. Se non più corti, perlomeno meno larghi. Meno scuri, con occhi meno gialli. 
Il serpente continuava ad avanzare.
A quel punto, Caprice sembrò sbloccarsi. Dei due, lei era quella che tendeva ad avere le idee migliori. Rudry non era un capitano, preferiva adeguarsi e seguire gli altri. «Non è molto veloce» mormorò Caprice. «Dobbiamo correre via e non ci prenderà».
Il serpente continuava ad avanzare.
Rudry si ritrovò istintivamente a indietreggiare lentamente. Aveva ancora la lancia in mano, nella mano destra. In tre giorni di allenamento, era riuscito a dedicare un paio di ore al combattimento con scarsi risultati. «Sì» sussurrò, «sì, gli strateghi vogliono solo farci andare via dall’acqua».
Il serpente continuava ad avanzare.
Rudry e Caprice continuarono ad indietreggiare, lenti. «Okay», disse Caprice. «Okay, al mio tre corriamo».
Rudry annuì.
Il serpente era sempre più vicino. 
«Uno...»
Rudry non aveva mai sentito il proprio cuore battere così forte.
«Due...»
Il suo respiro era accelerato. Non era sicuro di potersi muovere.
«Tre! Andiamo!»
E così, scattarono entrambi. 
Correre con una lancia era meno pratico di quanto potesse immaginarsi. Era comunque più veloce di Caprice, ma non voleva rallentare.
Passò forse un secondo, forse di meno, forse di più, poi sentirono il rumore frusciante dietro di loro. Uno scatto rapido. Il serpente gli era di nuovo dietro.
Oh no, fu l’unica cosa che riuscì a pensare Rudry. Oh no, non è veramente lento.
Sapeva che Caprice aveva avuto quella stessa realizzazione. Sapeva anche che gli strateghi potevano controllare i movimenti dei loro animali meccanici, un fatto a cui nessuno dei due aveva pensato.
Il serpente era lento apposta.
Continuò a correre. Il terreno era sabbioso e sporco. Era leggermente scivoloso. Non cadere, non cadere, non cadere, non cadere.
Sentiva che Caprice era leggermente dietro di lui. Sentiva il suo respiro affannato.
E ancora dietro, sentiva il movimento strisciante del serpente, o forse se lo stava solo immaginando. I serpenti fanno rumore? Forse, si disse, forse stavano correndo per nulla. Forse si erano davvero lasciati il serpente dietro presso il fiume. 
Poi sentì il rumore strisciante un’altra volta. L’esclamazione di sorpresa di Caprice. L’esclamazione di dolore di Caprice.
Ci mise un attimo a capire. 
Si voltò per trovare il serpente che iniziava ad avvolgersi intorno alla sua compagna a terra. No, no, no, no, no, no. 
Nuovamente, fu immobile.
Incrociò lo sguardo di Caprice, ma gli parve che lei non riuscisse a vederlo, non veramente. 
Rudry sapeva che quella era la sua occasione. Poteva scappare, non voltarsi indietro e sopravvivere un’altra notte. Morire il giorno dopo o quello dopo ancora.
Aveva la lancia stretta in mano.
Caprice mugolava di dolore. Era un rumore insopportabile, stridulo. E il serpente… se non fosse stato un serpente, Rudry avrebbe detto che stava ghignando. 
Poteva correre, sopravvivere.
Decise di attaccare.
L’animale era completamente avvolto intorno a Caprice. Colpirlo avrebbe quasi certamente ferito la ragazza più dell’animale. Rudry afferrò la coda del serpente.
(Mio Dio, cosa sto facendo?)
Era più pesante di quanto si aspettasse. Viscido. Si sforzò di tenerlo stretto e provo a srotolarlo.
(Ti prego, ti prego, funziona).
Appoggiò la lancia a terra per usare entrambe le mani. Cominciò a srotolare. Si ritrovò a pensare che il serpente stringeva meno forte di quanto immaginasse. Il serpente, forse rendendosi conto di quello che stava succedendo, morse Caprice sul collo.
Più srotolava, più Rudry iniziava a pensare che il serpente fosse infinito. E anche se non aveva una stretta molto forte non sembrava comunque che ci fosse modo di fargli staccare i denti da Caprice. 
A un certo punto, Rudry si ritrovò con il serpente quasi completamente tra le braccia. Riusciva a vedere chiaramente i lividi e le ferite che aveva lasciato sul corpo di Caprice. E il morso ancora forte sul suo collo.
«No, no, non può finire così» mormorò. Non sapeva se Caprice fosse viva o morta.
Non può essere morta, si disse. Non è suonato il cannone.
Rudry lasciò il serpente.
Con sua sorpresa, non ricominciò immediatamente ad arrotolarsi sulla sua vittima. 
Rudry afferrò la lancia.
La tenne stretta, con la mano vicino alla punta. Con l’altra mano, cercò di prendere il collo del serpente e tenerlo fermo. Quello si muoveva con convulsioni e scatti. 
Un respiro profondo.
Poi tentò di perforarlo.
Pugnalare qualcuno sembra molto più facile di quello che non è in realtà. Rudry non riuscì al primo colpo a perforare la pelle del serpente. Neanche al secondo. Al terzo sembrò fare qualche danno.
Al quarto colpo, la sua mano tremò e finì quasi per colpire Caprice. No, no, no, non può andare così.
Un altro respiro profondo.
Al quinto colpo, riuscì a perforare il collo del serpente. Poi, estrasse la lancia dalla ferita. Gli arrivò del sangue gelido in faccia. 
Un altro colpo, nello stesso punto. E di nuovo, e di nuovo, e di nuovo.
A un certo punto, fu soddisfatto della morte del serpente.
«Caprice?»
Nessuna risposta.
«Caprice, ti prego, non morire...»
Rudry non era mai stato uno che piangeva tanto ma in quel momento non riusciva a fermare le lacrime. «Caprice...» mormorò di nuovo. Lei non rispose ma Rudry notò che stava ancora respirando con difficoltà. 
Okay, si disse. Okay. Cercò di sollevarla. Quando le toccò il braccio, lei emise un gemito di dolore.
«Scusa» sussurrò. «Ma dobbiamo andarcene».
Caprice scosse la testa con un movimento quasi impercettibile.
«Non possiamo stare qua e basta».
«No...» mormorò Caprice prima di un colpo di tosse. «No… fa male...»
«Lo so, ma...»
«Fa male...»
Ogni parola sembrava costarle fatica e dolore. 
«Voglio tornare a casa, Rudry...»
«Appunto per questo dobbiamo andarcene ora».
Di nuovo, Caprice scosse la testa. «Voglio tornare a casa».
«Forza, vieni, dai» disse Rudry. Cercò di avere un tono incoraggiante, ma riuscì a malapena a trovare la voce per parlare. «Poi… poi possiamo andare a casa. Dai». 
Cercò di sollevarla perché rimanesse in piedi. Poi l’avrebbe aiutata lui a camminare. Poteva funzionare, si disse.
Ma lei resistette.
«Non riesco a muovermi».
«Okay… okay, ti porto io, tu tieni la lancia».
«No, Rudry...»
In quel momento, anche Caprice iniziò a piangere. Rudry riuscì solo a pensare che dovevano sembrare uno spettacolo patetico alla gente di tutta Panem. Lei che piangeva a dirotto e lui che piangeva ancora di più. Rudry pensò di dirle qualcosa, qualcosa di incoraggiante. Un discorso infervorante che l’avrebbe riportata in sesto.
Provò ad aprire bocca per parlare ma si sentiva la gola bloccata. Aveva ancora una stretta allo stomaco da quando aveva visto il serpente per la prima volta e si sentiva stranamente consapevole di ogni suo respiro. Non riusciva a parlare.
«Rudry, non… non andartene...»
«No...»
Poi rimasero entrambi in silenzio. Un silenzio relativo, riempito dal suono di un occasionale singhiozzo o dal rumore di uno dei due che tirava su con il naso. Rudry era inginocchiato di fianco a Clarisse sdraiata. Le accarezzava i capelli e non sapeva se fosse per calmare lei o se stesso. 
Caprice chiuse gli occhi.
«Ciao, Rudry» sussurrò. 
Poi si spense.
Rudry rimase lì, accanto a lei per un po’. Sapeva che avrebbe dovuto provare tristezza o rabbia o frustrazione. Avrebbe dovuto reagire in un qualche modo. Eppure dentro a lui sentiva solo un vuoto. Un attimo prima, Caprice era vita. Un attimo dopo era morta.
Forse, se Rudry avesse provato ad attaccare il serpente immediatamente, non sarebbe successo nulla. Forse, se Rudry fosse intervenito prima, l’avrebbe salvata. 
In cuor suo aveva sempre saputo che almeno uno di loro due sarebbe dovuto morire, e probabilmente sarebbero stati entrambi. Ma aveva sempre immaginato che lui sarebbe morto per primo. Lei ricordava tutto quello che aveva imparato all’addestramento, era più abile in quasi tutto. L’unica cosa in cui Rudry era migliore era la corsa.
Ciao, Caprice, pensò. Non disse nulla. Smise di accarezzarle i capelli, prese le proprie e cose e quelle della compagna e se ne andò.
Ormai non riusciva neanche più a piangere.
 
 

Nota: Non credo ci sia niente da specificare. Il capitolo è abbastanza breve (non che gli altri siano lunghi) ma mi sembrava che fosse più appropriato racchiudere solo gli eventi narrati piuttosto che aggiungere gli altri punti di vista. 

   
 
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