Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: avoidsoma    02/09/2019    2 recensioni
Una normale pioggia, una mattinata consueta. Eppure questa pioggia è diversa, per un momento è come se ci fosse un'altra dimensione, è come se i sogni si confondessero con la realtà. Oppure è semplicemente una normale, classica, pioggia. Scritto nei primi mesi del 2017, ispirato a fatti reali.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Pioggia Onirica

La sveglia si accende alle sei e quindici. Accendo la luce e la fermo, cerco di pensare al sogno che mi è rimasto impresso, ma non trovo nulla, solo frammenti inutili e senza senso; mi è scappato come sempre. Mi alzo ed accendo il telefono, poi subito mi vesto. Scendo a fare colazione: due biscotti ed uno yogurt con dei fiocchi al cioccolato. Mentre mangio, guardo i messaggi della sera scorsa sul telefono, ed allo stesso tempo guardo la TV: ogni mattina ci sono dei casi di omicidi. Fino a questo momento io sono ancora assonato, è il mio cervello che automaticamente fa queste cose. Verso le sei e cinquanta, una volta sveglio per bene, vado a lavarmi i denti e la faccia, dopo di che mi preparo ad uscire, mentre all’ultimo guardo chi è stato l’assassino in TV. Esco di casa, mia madre mi porta alla fermata. Lì saluto il mio vicino di casa, anche lui studente pendolare, mentre vedo attraversare per la strada un suo amico. Guardo la strada: il sole ancora non c’è, oppure è troppo debole. Attendo l’autobus, mentre ogni tanto guardo, tramite il telefono, dove si trova. Quando arriva lo prendo, ovviamente non c’è posto: mi metto comodo in piedi, ed aspetto. Seduto o meno, la mattina stare sull’autobus mi porta sonnolenza, causata sia dagli eccessivi riscaldamenti ma anche dal silenzio quasi tombale. Dopo circa venti minuti, arrivo davanti scuola; spesso capita di arrivare presto, ed infatti sono arrivato alle sette e quaranta, ben mezz’ora prima. Abituato a questa routine, scendo dall’autobus.
    Scendo dall’autobus, e comincia a piovere... d’altronde sto a Velletri. Mi avvicino subito alla prima panchina, cercando riparo, anche se è coperta solo su due lati. Vicino a me trovo Francesco; andiamo in piscina insieme, è molto più forte di me, anche se ha due anni in meno; lo invidio un po’ per questo. Lo saluto freddamente, poi torniamo nel silenzio. Ogni tanto gli dico qualche cosa, ma sembra ignorarmi, come se vuole rimanere in un silenzio forzato. Noto solamente ora che in tutta le fermata ci sono una decina di persone, tutte raggruppate per la pioggia, e c’è un profondo silenzio mistico. Ignoro completamente le macchine che passano, non si sente neanche l’inno italiano suonare dai megafoni della caserma di fronte. Vedo la pioggia cadere controvoglia, per quel poco che basta a darci fastidio. Scruto il cielo, ancora non trovo il Sole. Rimango a fissare il cielo, finché una fitta non mi preme l’animo: era il Tempo.
    Perché non ho portato il libro di Diego Romeo che sto leggendo? Potevo occupare mezz’ora facendo qualche cosa di produttivo, invece di stare lì e guardare per aria. In verità sapevo dentro me stesso perché: la colpa era sia mia sia della società che mi circondava. Negli anni ‘90 un ragazzo che portava con sé il cellulare era considerato strano, fuori dal normale, oggi lo è quello che legge i libri. Potevo quindi leggere in pubblico? Sì, potevo, ma la mia mente corrotta si è conformata con gli altri. Me ne duolo, ho un forte rimorso verso me stesso. Fortunatamente l’attenzione viene catturata da un evento unico.
    Mi giro dietro, verso la panchina, e, pensandola vuota a causa della pioggia, con sorpresa la trovo occupata. C’è una ragazza, non potrà avere più di sedici anni, che guarda anche lei il cielo. Con stupore mi rendo conto di un fatto: nessuno, almeno a mia vista, aveva un cellulare in mano. Incredibile! Torno a guardare a tratti la ragazza seduta. Sembra aspettare qualche cosa; non ha fretta, guarda con pazienza ciò che la circondava. Come tutti noi. Ci stiamo godendo questo momento. Ad un tratto, guardando gli occhi della ragazza, i suoi incrociano i miei. Subito li distolgo, ma è bastato quel mezzo secondo per farmi aprire la mente e capire.
    La pioggia è sempre stata accusata e mal trattata dalla gente, eppure secondo me non è poi così male: rinfresca l’arida terra sotto i nostri piedi e sopratutto crea la vita. Ma adesso scopro che è anche capace di far avvicinare le persone: se stamattina non piovesse la gente si disperderebbe nella fermata, ed invece grazie alla pioggia si riunisce, cercando di proteggersi. Però non è questo che amo della pioggia; quando è leggera ti rilassa l’animo con il suo dolce rumore, un suono continuo e mai martellante, con una sua frequenza. In verità quando incontro la pioggia la odio, però dopo mi rimprovero subito e rifletto che finché piove noi viviamo, la Terra vive.
    Sto attraversando la barriera della realtà: oltre al silenzio, alla leggera pioggia ed al sonno, c’era quella ragazza, che in qualche modo mi aveva smosso, inavvertitamente. Non so definire cosa fosse quella cosa smossa nel mio animo, ma era qualcosa di indefinito, quel sentimento che provavo raramente, e quando succedeva stavo bene. Sta diventando tutto un sogno: vedo me stesso fermo nella fermata e la ragazza dietro di me, comincio a fantasticare, avvertendo me stesso di stare attento: sognare è pericoloso, sopratutto se si perde la realtà. Ora quella ragazza mi ha smosso, perché proprio lei? Non lo capisco, forse non lo capirò mai; di una cosa ne sono sicuro: non la rincontrerò mai più (in verità per un periodo di tempo la incontrai nella stessa fermata, ma sempre di sfuggita).
    Ripensando a questi ragionamenti e riflessioni quasi onirici, torna in mente la mia situazione. Sto aspettando qualcuno, ecco perché sono fermo sotto la panchina, mentre piove. Chi sto aspettando, perché non sono salito subito a scuola? Perché dovrei salire a scuola fin da subito? Queste domande cominciano a salire nella mia mente, cominciano a destare il mio pensiero. Ho deciso: non voglio andare a scuola, non oggi. Voglio essere libero. Sì, ormai ho fatto la mia decisione. Ad un tratto diversi autobus interrompono i miei pensieri: come lance mi trafiggono i pensieri, li uccidono, dilaniano e li gettano via. E mentre i miei sogni muoiono gridando, sento una voce vicino a me; mi dice il buongiorno: è la Realtà. Essa mi ha riportato con i piedi a terra, a vedere realmente ciò che sta vicino a me: dei semplici studenti che aspettano i compagni. Mi arrendo, e comincio a salire verso scuola. Dimentico di quello successo poco tempo fa, dimentico della libertà. Entra a scuola, studia, ripeti. Esci da scuola, pranza, gioca, studia, vai a dormire.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: avoidsoma