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Autore: Subutai Khan    03/09/2019    1 recensioni
Venite, siore e siori. Venite in questa piccola landa di angoscia.
[Questa storia partecipa alla challenge Angst vs. Fluff: the War, indetta dal gruppo Facebook Il Giardino di EFP. La traccia è la trentatreesima del Fluff, Un Giorno la/lo Sposerò. Ma sia chiaro, io sono #TeamAngst]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Un giorno la sposerò!”.
A otto anni era la mia frase preferita, assieme a “Gelato!” e “Fortnite è una cicciafigata!”. In merito alla seconda le cose sono migliorate col tempo, per fortuna.
A dieci ho stilato il programma del giorno del nostro matrimonio. Una cosa pomposissima, con tanto di carrozza trainata da cavalli bianchi, nani che ci facevano da paggetti, draghi che passavano nel cielo e alla cui coda era attaccato il classico cartello delle commedie Just Married. Ero megalomane anche a quell’età.
A tredici, nel pieno dell’esplosione ormonale dovuta alla preadolescenza, ho tentato i primi timidi passi verso di lei. Non sono stati esattamente incoraggianti, ma il mio cuore era troppo gonfio d’amore nei suoi confronti per farmi desistere.
A quindici ho ufficialmente chiesto la sua mano. Come, un po’ prematuro? Specie alla luce dei precedenti non andati esattamente a gonfie vele? Oh suvvia, cosa pretendete da me? Sapevo che sarebbe andato tutto liscio, che lei mi avrebbe sorriso e che mi avrebbe detto di sì abbracciandomi e strillando come un’aquila.
Invece ci è mancato poco mi tirasse uno schiaffo.
Adesso so perché si è comportata così, ma all’epoca… ay caramba, que dolor. Sono una persona emotiva e facile al volo pindarico, quindi fatevi i vostri conti in merito al momento in cui il sole si è fatto troppo vicino e caldo e le mie ali di cera si sono sciolte.
Sì, esatto. Ho preso una craniata pazzesca, forte abbastanza da aprirmi la testa come un melone e spargere le mie virtuali cervella sul selciato inaridito.
Perché è stata una brutta botta. Un’orribile botta. Da cui forse devo ancora riprendermi del tutto, per certi versi.
A sedici, finalmente, è venuto fuori il motivo per cui la mia bella non mi corrisponde. Anzi, per dirla con le sue parole, perché “non ti toccherei neanche con un palo sterilizzato da tre metri di distanza, lurida lesbicaccia che non sei altro”.

Non l’avevate capito? Che sono femmina?
Porca eva, mi dicono sempre che mi esprimo in modo sibillino.
E quindi niente, il perché dei ripetuti rifiuti è chiaro: la mia lei, la mia adorata Teresa, è etero.
Le piace il cazzo. E a quanto pare le piace tanto, perché a scuola girano voci inenarrabili di orge da paura consumatesi negli spogliatoi della palestra che ovviamente la vedono come protagonista indiscussa e grande mattatrice. Pare che le altre ragazze presenti si affannassero a starle dietro, fallendo malissimo e meravigliandosi della quantità di buchi che riusciva a farsi riempire.
Che gioia. Io vado in giro a urlare ai quattro venti che la voglio sposare praticamente da quando sono capace di parlare e lei si fa trapanare in lungo e in largo da intere squadre di football, basket, baseball, softball, soccer e cricket.
Non vi starò a spiegare perché tendo a passare le mie giornate tappata in camera, con la tapparella abbassata e le luci rigorosamente spente. A volte mi chiedo come riesca a orientarmi nel buio più completo.
Visto che mi piacciono i manga e mi interesso di cultura giapponese, ho scoperto che là esiste un fenomeno di disagio giovanile chiamato hikikomori dove ragazzi della mia età, in certi casi anche più piccoli, si murano in camera per anche vent’anni non mettendoci il becco fuori neanche se va a fuoco la casa. Ma generalmente, in un caso di hikikomori, ci sono in ballo complesse meccaniche psicologiche di adeguatezza, pressione sociale, controllo oppressivo dei genitori sulla vita dei figli e tutto quanto.
Per me è molto più semplice: la persona che più amo al mondo mi considera sbagliata.
“Che ne dici, piccolino? Susan è sbagliata?” chiedo sorridendo al mio unico amico. Il quale riesce a brillare per non so quale legge della luce (che non c’è) e mi risponde “Sì, probabilmente sì. Io mi annoio, non taglio più niente da un’eternità. I tuoi polsi sono tanto sottili e gonfi di sangue, dovresti dar loro un po’ di respiro”.
Chissà, magari lo farò prima o poi. Ma non oggi.
Oggi mi va di piangere.

   
 
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