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Autore: Ser Cipollotto    04/09/2019    0 recensioni
Era perfettamente comprensibile perché la Signora Rossetti dell'appartamento di fronte non apprezzasse molto i miei amici: si presentavano agli orari più impensabili, urlavano come se non ci fosse un domani e avevano la fastidiosa abitudine di trascinarmi dove volevano, senza alcun ritegno per ciò che preferivo io. Quella sera non fu tanto diverso e quando mi "invitarono" nel mondo esterno, non potei fare altro che rassegnarmi all'idea.
Né io né loro, però, potevamo immaginare che quella semplice sera, avrebbe cambiato radicalmente le nostre vite...
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Passarono ben cinque minuti prima che qualcuno si ricordasse della mia esistenza. Forse non era l'eternità con cui l'avevo paragonata nel frattempo, ma fu comunque un'attesa abbastanza lunga perché mi rassegnassi all'idea di morire congelato in quel posto. Non successe nulla di così drastico: Michela tornò, insieme ad un ragazzo alto il doppio di lei, dai tratti spigolosi ma decisi, un casco in mano e una giaccia di pelle nera aperta nonostante il gelo della notte. Anche se avesse avuto il casco indosso, mi sarebbe bastata l'espressione ebete di Michela per riconoscerlo.
Jack era arrivato.
Li osservai da lontano, mentre percorrevano la stessa strada che poco prima aveva condotto me e Michela nella piazzetta davanti al Platinum. Jack si abbassò in modo che lei potesse sussurrargli qualcosa all'orecchio e si rialzò dopo qualche istante con una strana espressione divertita dipinta in viso. Lo osservai guardarsi attorno finché i nostri sguardi si incontrarono e, con un certo disappunto, notai il suo sorriso approfondirsi. Qualcosa nell'aria mi diceva che ero io il soggetto della loro conversazione.
Portai gli occhi al cielo con una studiata teatralità e sospirai sonoramente, in modo che entrambi capissero la mia esasperazione. Non sortì alcun effetto: i due ignorarono i miei gesti e si avvicinarono, come se niente fosse. Mi staccai pigramente dal muro su cui mi ero ancorato e Jack fece un cenno con la mano libera, a mo' di saluto.
«Jack, finalmente sei arrivato!» ricambiai.
Jack era un altro membro del mio ristretto gruppo di amici e una delle poche persone oltre a Michela che mi spingeva in quelle indecenti situazioni. Dovevo ammettere, però, che in questo caso specifico ero infinitamente più contento di vedere lui, piuttosto che Michela. Non che facessi spesso differenze tra i miei amici (erano tutti altrettanto fastidiosi), ma anche se non lo si poteva considerare il più responsabile del gruppo, era quantomeno uno di quelli meno irresponsabili: la sua presenza significava che non avrei dovuto preoccuparmi delle sorti di Michela. O meglio, non avrei dovuto temere per i poveretti che avrebbero incrociato la sua strada: una Michela ubriaca, esitava spesso in una Michela problematica.
«Ti sono mancato così tanto?» mi chiese Jack, passando il casco da una mano all'altra.
Nonostante i suoi tratti somatici e il nome che lo facevano associare ad un Paese dell'Est Europa, Jack era nato e cresciuto in Italia. Il suo accento era perfetto e non celava alcuna inflessione, se non forse qualche dialettalismo locale che di tanto in tanto scappava al suo controllo.
«Io? - risposi - No, è Michela quella che stava avendo un attacco di panico finché non l'hai richiam... ahi!»
Portai la mano destra sull'altro braccio, così da massaggiare il punto in cui Michela mi aveva malamente tirato un pugno.
«Non è vero.» si limitò a dire lei, come se quella fosse una spiegazione sufficiente per giustificare il perché delle sue azioni.
Le labbra di Jack si piegarono all'insù, in una sorta di sorriso naturale ma trattenuto a forza. Era palese che volesse scoppiare a ridere in maniera più conclamata, ma che si stesse dando un contegno per evitare che Michela gli riservasse il mio stesso trattamento. Non che fosse molto bravo a nascondere la sua ilarità.
«Come mai siete arrivati così presto? - ridacchiò lui - Mickey, quando c'è lui non arrivate sempre con almeno tre ore di ritardo?»
Michela mi liquidò con un'occhiataccia. Distolse poi lo sguardo e scrollò le spalle con un cenno di stizza.
«Forse sta migliorando.» ammise infine.
Jack aggrottò la fronte e si voltò verso di me con sguardo perplesso. Sospirai prima di rispondere a mia volta.
«No, non è vero... - sussurrai, avvicinando una mano davanti la bocca e protendendomi verso di lui - è solo che mi sono rassegnato al volere della tiranna.»
Con la coda dell'occhio, notai Michela incrociare le braccia al petto. Mi aveva chiaramente sentito. Non avevo fatto grandi sforzi per impedirglielo.
«Avete finito di fare i cretini?» ci chiese. Mi chiese.
Non ci lasciò altre alternative che annuire mestamente nella sua direzione.
«Bene.» commentò lei, appagata dalla nostra condiscendenza.
Michela prese l'iniziativa: avanzò di un passo prendendo Jack per mano, così da poterlo spintonare verso l'entrata del locale. Li seguii tristemente sul fondo della coda per aspettare il mio turno, con la stessa espressione di un condannato a morte che aspettava di essere appeso alla forca. Nel vedere che i due amici si erano voltati dall'altra parte, valutai l’idea di scappare il più lontano possibile approfittando della loro distrazione. Forse, con un giusto vantaggio, sarei riuscito a far perdere le mie tracce.
«A proposito, - mi chiese Jack - com'è che ti chiami oggi?»
Alzai lo sguardo, temendo di sapere ciò che avrei trovato: il grosso testone di Jack rivolto nella mia direzione. L'operazione "Fuga" era miseramente fallita ancora prima di cominciare. Mi schiarii la voce per cercare di sopprimere l'imprecazione mentale che sorse spontanea nella mia testa.
«Un certo Marco Pozzi... è possibile?» tentai.
«Marco Ponti.» mi corresse sbrigativamente Michela, lanciando una rapida occhiata nella mia direzione.
Beh, quasi. Con tutte le identità che mi avevano costretto ad interpretare nel corso del tempo, era già tanto che non avessi sviluppato dei problemi di personalità multipla.
«Davvero Marco non può venire?» chiese Jack rizzandosi sull'attenti. Anche lui conosceva questo fantomatico Marco?
«Aveva degli impegni fuori città e mi ha scritto che un imprevisto lo ha costretto a ritardare il viaggio di ritorno a domani.»
«Oh, capisco.»
Seguirono tre secondi di silenzio. O meglio, la conversazione si interruppe e non potei fare altro che focalizzarmi sulla confusione che animava la piazzetta attorno a noi, sul vocio che proveniva dal bar lì accanto, sulla musica che sfuggiva dalla porta della discoteca. Altri tre secondi in cui non sapevo che fare. Tre secondi di pura Noia.
Finalmente, Michela si voltò verso di me.
«Mi raccomando, Marco, tocca a noi.» mi sussurrò.
Calcò un'attenzione particolare alla parola "Marco", tant'è che ci aggiunse un indice all'insù e uno sguardo arcigno. Peccato che non ne capii il significato: intendeva che non dovevo dimenticare nuovamente la mia falsa identità o che non mi conveniva svignarmela senza alcun ritegno? Conoscendola, significava probabilmente entrambe.
Il buttafuori terminò di parlare con un ragazzo basso e brufoloso, e alzò lo sguardo verso Michela. I due scambiarono quattro chiacchiere, finché il buttafuori si scostò di lato per farla passare. Pure Jack non ebbe alcun problema, anche se fu costretto a ripetere il suo cognome almeno un paio di volte prima che il suo nominativo fosse trovato. Insieme si avviarono verso l'ingresso.
Era il mio turno, dunque. Se avessi voluto scappare, questa era l'ultima occasione per farlo.
Michela notò subito la mia indecisione e socchiuse gli occhi mentre si faceva timbrare il dorso della mano. Mio malgrado, mi ritrovai a fare un passo in avanti.
«Nome?» mi chiese il buttafuori, leggermente spazientito da tutti quei millesimi di secondo che gli stavo facendo perdere.
«Marco Pozzi.» risposi.
Girò un paio di fogli e cercò il "mio" nome, aiutandosi con la punta della penna per non perdere il segno. Lo vidi scorrere su e giù un paio di volte per concludere infine con un cenno negativo.
«Mi spiace, nessun Pozzi nella lista.» confermò.
Non... non c'era? Michela non era così sadica da farmi uscire di casa solo per trovare la strada sbarrata, giusto?
«In che senso nessuno? - borbottai senza troppo entusiasmo - Non può controllare meglio?»
Il buttafuori si limitò ad un cenno negativo e passò a quelli in fila dopo di me. Michela e Jack tornarono sui loro passi, probabilmente per controllare che non fossi davvero fuggito, piuttosto che accertarsi se mi fosse successo qualcosa. Per una volta cercai di giocare d'anticipo: invece che aspettare la solita occhiataccia dell'amica, provai a chiedere il suo aiuto.
«Michela, - le gridai - come hai detto che mi chiamavo?»
La tattica non funzionò: Michela portò una mano alla fronte e mi riservò uno dei suoi sguardi più eloquenti. Come se non bastasse, se ne aggiunse un secondo di sguardo accigliato, proveniente dal buttafuori.
«Ma sei scemo? Quanto può essere difficile ricordare un nome per più di cinque secondi? - mi chiese Michela, prima di rivolgersi direttamente al buttafuori - Quest'imbecille si chiama Marco Ponti. Ponti!»
Il buttafuori alternò due rapide occhiate tra me e Michela, per poi sospirare sonoramente.
«E sì che siamo solo ad inizio serata...» borbottò, mentre scorreva di nuovo l'elenco dei nomi.
Se si stesse lamentando del fatto che fosse già il secondo ad entrare con un nome palesemente altrui o se mi stesse dando dell'ubriaco, io non ne avevo proprio idea. In ogni caso aveva ragione: da qui in avanti poteva solo andare peggio.
Il buttafuori fece un rapido cenno del capo.
«Va bene, puoi entrare. E buona serata.» mi augurò.
Stavo per rivolgergli un "Altrettanto", ma si era già voltato verso le altre persone della fila.

   
 
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