Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ode To Joy    05/09/2019    2 recensioni
[Erwin x Levi]
[Kenny x Uri] [Jean x Eren]
”L’Umanità si divide in due categorie: quelli che vogliono cambiare il mondo e quelli con il potere di farlo.”
Paradis, 850.
Il Muro Maria è stato riconquistato ma a caro prezzo: solo otto soldati hanno fatto ritorno da Shiganshina.
Levi ed Eren non sono tra loro.
Erwin è sopravvissuto a costo della sua umanità e non si ritiene più degno di guidare le Ali della Libertà.
Marley.
Prigioniero sotto la custodia di Zeke Jeager, Levi cerca di tenere in vita se stesso ed Eren con la certezza che Erwin sia morto e che nessuno stia venendo a salvarli. Manipolare il fratello minore per renderlo suo complice, però, è solo una parte del piano di Zeke.
“Ora hai sia la volontà che il potere. Smettila di piangerti addosso, vinci questa guerra e riprenditi ciò che è tuo.”
Mytras, 819.
Catturato dopo aver cercato di uccidere il re, a Kenny Ackerman viene risparmiata la vita e promessa la libertà in cambio di qualcosa che lo legherà a doppio filo al principe Uri Reiss.
[Canon-Divergence] [Omegaverse]
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Jean Kirshtein, Kenny Ackerman, Levi Ackerman
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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2
Kenny



La prigione centrale aveva qualcosa di familiare.

Certo, la sua cella non poteva essere paragonata all’appartamento in cui aveva risieduto a Mytras dalla caduta del Muro Maria ed era quanto di più lontano ci fosse dal palazzo in riva al lago in cui aveva vissuto con Uri.

In quella stanza circolare tuttavia, Kenneth Ackerman si sentiva a casa. 

Non era una questione morale, non sentiva di aver ricevuto la giusta punizione per i suoi crimini. La cattura non era mai stata nei piani. La morte - se per condanna o per mano di un nemico in battaglia - forse. 

Levi, però, aveva fatto come cazzo gli pareva anche in quell’occasione. Fosse stato un topo di fogna qualunque, nessuno si sarebbe scomodato a fargli un equo processo prima di appenderlo per il collo davanti al palazzo di giustizia di Mytras. Ma l’eroe dell’Umanità non aveva esitato a riconoscerlo come suo parente - Levi a lui - e questo gli aveva garantito dei privilegi. Per cominciare, la grazia della nuova Regina delle Mura. La stessa prigione centrale era un lusso rispetto agli altri buchi merdosi in cui portavano i detenuti di bassa lega.

Con la caduta di Rod Reiss, Kenny Ackerman era divenuto un prigioniero politico utile a fornire informazioni segrete al nuovo governo. Levi aveva fatto in modo che gli fosse risparmiata la vita, che avesse un vero letto in cui dormire e anche una finestrella da cui vedere la luce del sole, ma era con la sua utilità che Kenny poteva mantenere quella posizione.

Le prime settimane non aveva potuto fare granché.

Quando aveva consegnato il siero a Levi e l'oscurità l’aveva divorato, non aveva perso tempo a illudersi che avrebbe riaperto gli occhi. Ma lo aveva fatto.

Si era risvegliato in quella stanza circolare agonizzante per la ferita all’addome e per le ustioni e, contro ogni aspettativa, aveva trovato Levi al suo fianco.



”Ma cosa cazzo ti è venuto in mente?” 

Non lo aveva mai preso a schiaffi con l’intenzione di fargli male. 

“Volevi morire, moccioso di merda?”

Aveva voglia di spaccargli la faccia, poi si ricordò che qualcuno lo aveva già fatto prima di lui.

“Hai idea di quello che stava per succederti?”

Certo che ce l’aveva. Era quella la parte peggiore: non gliene era importato.

“E guardami in faccia quando ti parlo!”

Quei due occhi identici ai suoi lo inchiodarono senza paura. “Se non avessi fatto qualcosa io, non lo avrebbe fatto nessuno!”

Senza paura. Quello era il pericolo più grande di tutti.

“Che cosa pensi di essere?” Era fuori di sé. “Un eroe?” Era lui quello spaventato, non il moccioso di merda.

“Pensi di poter cambiare il mondo? Brutte notizie, moccioso: non puoi!” Se si fosse incamminato su quella strada, sarebbe morto prima dei vent’anni e sarebbe stato tutto inutile. Tutto. “Devi sopravvivere, non fare il giustiziere di merda! Solo questo devi fare: sopravvivere!”

“Se per sopravvivere devo diventare un pezzo di merda come te, allora non voglio farlo!”

Sì, quella fu la prima e unica volta che lo colpì con l’intenzione di fargli male.




- 2 mesi prima della battaglia di Shiganshina -



Ogni volta che chiudeva gli occhi e si concedeva il lusso di abbassare tutte le difese della sua mente, i suoi sogni lo riportavano sempre alla stessa stagione perduta che aveva vissuto a metà dei suoi vent’anni ed era finita prima dei quaranta. Il lago era sempre la prima cosa che vedeva, l’acqua che s’increspava sulla riva fangosa e la luce del sole che vi si rifletteva, quasi accecandolo. Non gli mancava quel posto, aveva distrutto quel che aveva potuto prima di andarsene e non si era voltato una seconda volta per dire addio. Quello che vi aveva vissuto aveva cercato di dimenticarlo ed era finito col rincorrerlo in una folle corsa all’indietro nel tempo che era possibile solo nei ricordi. 

Le mani che gli toccavano il viso erano piccole, fredde - lo erano state fino alla fine - e la voce che gli parlò conteneva tutta la tristezza di quel mondo schifoso. “Ci eravamo così vicini, Kenny.”

A fare cosa? Si domandò. A trovare la felicità? Quella l’avevano toccata, ne avevano conosciuto tutte le sfumature ma quando il buio era calato, Kenny vi si era ritrovato completamente da solo.

“Uri…” Allungò la mano alla cieca - l’unica che riusciva a muovere nello stato in cui versava - trovò la guancia dalla pelle nivea e l’accarezzò come se fosse qualcosa di fragile. Lo era ma non nel modo in cui poteva apparire.

La mano che coprì la sua però non possedeva alcuna traccia della delicatezza di quella di Uri. 

Kenneth Ackerman aprì gli occhi, il lago sparì e così l’adorato fantasma del suo passato. 

Uri lo lasciò indietro ancora una volta e Levi lo costrinse a vivere ancora un po’. 

La guancia del giovane era morbida contro il palmo umido di sudore, ma la stretta delle sue dita non tradiva alcuna gentilezza. Kenny non oppose alcuna resistenza mentre il Capitano della Legione Esplorativa riadagiava il suo braccio sulle coperte.

“Kenny?” Lo chiamò.

Sbatté le palpebre un paio di volte e Levi capì che aveva riconosciuto la sua voce. “Sei alla prigione centrale di Mytras,” spiegò, scandendo bene ogni parola. “Sei stato arrestato come prigioniero politico.”

Significava che i porci della capitale avevano perso la loro grande occasione di fargli saltare la testa? No, tutti i sostenitori di Rod dovevano essere già tutti caduti in tragedia.

“Sei sotto la mia tutela,” aggiunse Levi.

Se non avesse avuto difficoltà a respirare, Kenny avrebbe riso. Se la mocciosa di Rod era divenuta Regina come nei piani, Levi doveva aver preso di prepotenza le redini del suo caso. Qualcosa gli diceva che se gli ultimi alleati dei Reiss non gli avevano dato un’ultima spinta dentro la fossa, era solo perché il soldato più forte era riuscito ad arrivare a lui prima di loro.

La corona poteva essere passata a una mocciosa di quindici anni nata per sbaglio, ma il potere non era un giocattolo per bambini. Historia era un simbolo eretto dalle Ali della Libertà ed era tra le file della Legione Esplorativa che stavano nascendo i nuovi leader dell’Umanità.

Disinteressato al potere come era, Levi non si era reso conto di essersi fatto avanti per primo.

Kenny lo trovava ironico. “Qu-Quanto…?” Riuscì a mormorare. Odiava il suono agonizzante della sua voce.

“Nove giorni,” rispose Levi. “Vuoi bere?”

Annuì e il giovane scomparve dal suo campo visivo solo per ritornare un istante dopo con un bicchiere d’acqua. Il materasso si abbassò sotto il suo peso. “Avanti, ti aiuto io.”

Lo fece con una gentilezza che Kenny non si era aspettato. Ingoiare fece male e gli parve che i suoi organi interni stessero cercando di fuoriuscire da lui attraverso il fianco destro. 

“Piano, piano…” Levi sollevò il cuscino dietro la sua testa e lo aiutò a muoversi in una posizione più adeguata per deglutire. 

Kenny si portò una mano al fianco leso e sentì la stoffa della fasciatura sotto le dita. Chiuse gli occhi, sfinito come non lo era mai stato. “Sto per morire?” Riuscì a chiedere.

“No,” rispose Levi, secco. “Non hai il permesso di farlo.”

Kenny non riuscì a trattenersi oltre e, suo malgrado, rise. Fece un male infernale. “È così che guidi i tuoi uomini, Capitano?” Lo prese in giro. “Ordini loro di non morire?”

“Forse…”

“Presuntuoso.”

“Ho usato i medicinali della Legione per tenerti in vita, non voglio che vadano sprecati,” chiarì Levi, tanto per sottolineare che non c’era alcuna tenerezza nella sue azioni. 

Kenny lo guardò e si rese conto di avere un solo occhio per farlo - l’altro era andato o fasciato, non ne era sicuro. “Sei rimasto qui per nove giorni?”

“Sai cose che nessun altro sa,” disse Levi. “Non ho ragioni di sospettare di quell’idiota di Nile, ma non ci vuole molto ad allungare una mazzetta a un soldato semplice della Polizia Militare per avvelenare un uomo mezzo morto. Abbiamo arrestato tutti i sostenitori di Rod Reiss ma immagino che il giro di merda che si nascondeva dietro il falso re non si possa eliminare in pochi giorni.”

Kenny rispose con un debole cenno del capo. Levi era sveglio, lo era sempre stato. Se era ancora vivo lo doveva a lui, ma non aveva alcuna intenzione di ringraziarlo. “Dovevi lasciarmi morire,” disse fermo, lucido, come se non avesse delirato nel sonno fino a pochi minuti prima. 

Levi lo fissò, inespressivo. “Sei stato tu a dirmi che non volevi ancora morire, Kenny.”

Se avesse saputo quante volte si era buttato tra le braccia della nera signora senza paura per poi ripensarci all’ultimo momento. Nonostante la sua brillante carriera da mostro, anche lui era solo un essere umano.

Kenny lasciò andare un sospiro frustrato. ”Perché perdo tempo a lamentarmi? Mi ascolti solo quando cazzo ti pare, lo hai sempre fat-“ Un violento colpo di tosse lo fece piegare in avanti. Si preparò ad avvertire in bocca il sapore del sangue ma non accadde. Sembrava davvero che dovesse restare in quell’inferno ancora per un po’.

“Tieni.” Levi lo aiutò a bere un altro sorso d’acqua. 

Kenny avrebbe voluto chiedergli perché lo faceva ma non aveva il fiato per affrontare una discussione con Levi e sospettava che ci fossero molte cose di cui il nanerottolo aveva voglia di parlare. Non poteva biasimarlo: lo aveva lasciato sotto quell’albero con una spiegazione sommaria del perché quello degli Ackerman era un nome maledetto e poco più. 

Certo, il governo doveva aver visto in lui una fonte attendibile d’informazioni riguardanti i Reiss, ma era per ragioni puramente personali che Levi se ne era stato nove giorni al suo capezzale. 

“Ti ho già dato tutte le risposte di cui hai bisogno,” gli disse Kenny. “Non hai ragione di perdere tempo con un pezzo di merda come me, moccioso.” Qualunque altra cosa ci fosse nascosta nel loro passato, Levi non ne aveva bisogno. La verità che gli aveva concesso in punto di morte era la sola che doveva avere valore per lui. 

Levi dischiuse la labbra ma la porta della cella si aprì prima che potesse replicare.

“Oh, si è svegliato,” disse un armadio biondo con un braccio solo che Kenny squadrò aggrottando la fronte. Sapeva chi era. Sì, ne era certo ma in quel momento la sua mente non riuscì a collegare quelle sopracciglia di merda a nessun nome.

“Mio malgrado,” sospirò Levi, alzandosi dal bordo del letto. 

Il damerino di merda si fece avanti e lo guardò come se fosse un animale raro chiuso in gabbia. “È lucido?”

“Abbastanza per mandarti a fanculo, biondino!”

Levi alzò gli occhi al cielo. “È lucido.”

“Lo vedo.”

Kenny decise che il damerino era idiota nel momento in cui gli sorrise, quasi fosse felice di essere stato mandato al diavolo. O no… Pareva più divertito che rassicurato.

“Che c’è di così divertente?” Levi diede voce ai suoi pensieri.

Il biondino scosse la testa. “Niente,” rispose. “Scendo e dico a una delle guardie di far chiamare il dottore. È meglio che valuti la situazione fino a che riesce a parlare.”

“Riuscirò a parlare anche domani!” Replicò Kenny.

“D’accordo,” gli concesse Levi. “Non restare ad aspettare che arrivi, vai al quartier generale. Finiremo di parlare al mio ritorno.”

Kenny ebbe la sensazione di essere di troppo in quella stanza - a dispetto del fatto che si trattasse della sua cella - e gli venne una gran voglia di urlare. Quel biondino di merda aveva fatto la sua entrata in scena e Levi si era completamente dimenticato di lui.

“Lascia che ti porti una tazza di té,” disse il damerino.

“No, non voglio avere tra le mani la tentazione di buttargli addosso qualcosa di bollente.”

Kenny si lasciò ricadere sul letto. Uccidetemi subito, pensò.

La stanchezza ebbe pietà di lui: non udì mai il biondino uscire dalla cella.



Odiava quel cazzo di lago.

“Perché sei rimasto?”

Ma era il solo luogo in cui potevano esistere così come erano.

“È una domanda un po’ del cazzo da fare adesso.”

Due occhi azzurri si sollevarono sui suoi. Erano sempre così stanchi, eppure aveva appena vent’anni. “Sul serio, perché?”

“Non avevo molta scelta, idiota.”

“Hai anche detto che non t’importava di morire.”

“Lo dicono tutti i pezzi di merda spocchiosi che non si sono ritrovati faccia a faccia con la morte.”

“Te ne penti?”

Alzò gli occhi al cielo, lasciandosi ricadere sull’erba. “No, non cominciare con questi tuoi discorsi del cazzo.”

“Se non fosse per me, saresti libero.”

“Se non fosse per te, sarei morto.”

“Quindi è per gratitudine che sei mio?”

No, era per qualcosa di molto, molto più profondo. Peccato che non fosse mai stato bravo con le parole, insulti a parte. “Sono tuo perché mi hai preso, principino di merda.”

Lui se lo fece bastare. Sorrise e quegli occhi azzurri si fecero un po’ più luminosi.

Erano ancora giovani, avevano ancora tempo.




“Kenny…”

Sentire voci nella sua testa era una merda che si trascinava dietro da prima dei trent’anni ma dalla sua quasi morte stava diventando una cosa ridicola. 

“Non sei veramente qui,” bofonchiò. Voleva dormire, non voleva aprire gli occhi e scoprire di aver scambiato ancora una volta la voce di Levi per quella di Uri. Come era possibile ancora non se lo spiegava: non si assomigliavano né nell’intonazione né nel modo di parlare.

Suo malgrado, il nanerottolo aveva ereditato il suo atteggiamento del cazzo da lui ed era quanto di più lontano ci fosse dai modi sempre garbati di Uri.

Sollevò appena la palpebra destra per valutare la situazione. Gli andò bene: Levi non era lì, ma Uri sì.

Sospirò e affondò il viso nel cuscino. “Non sei veramente qui,” ripeté.

Sentì Uri ridacchiare e avvertì quelle piccole dita infilarsi tra i suoi capelli. Non era vero, ovvio che non lo era, ma Kenneth Ackerman aveva smesso di vivere nel mondo reale da più di un decennio. 

“Continui a desiderare di ritrovarmi,” disse la voce gentile di Uri. “È naturale che io continui a tornare da te.”

Kenny riemerse dal suo nascondiglio e lo guardò: era seduto sul bordo del letto, almeno dieci anni più giovane rispetto all’ultima volta che lo aveva visto. Se quello che credevano alcuni era vero e il paradiso altro non era che il ripetersi della stagione più felice della propria vita, l’inferno non doveva essere molto diverso. La giovinezza di Uri, quella vera, era durata un soffio di vento. Kenny l’aveva vissuta dall’inizio alla fine, godendo di ogni momento e rimpiangendola per il resto della sua miserabile vita.

“E cosa dovrei fare, maledetto nanerottolo che non sei altro?” Domandò, esasperato. “Sai quanto tempo ho passato a pulire la merda di tuo fratello con la convinzione che alla fine avrei ottenuto il potere di ritrovarti?”

“Volevi il potere di ritrovarmi o quello di capirmi?”

“Entrambi…” Kenny si girò sulla schiena, fissando il soffitto di pietra scura. “Quando ero sotto quell’albero ad agonizzare, ho detto che non volevo ancora morire. Adesso che ci penso, però, era l’ultimo tentativo a mia disposizione per rivederti.”

Una mano fredda gli sfiorò la fronte. “Stai di nuovo parlando da solo, idiota.”

Non era la voce di Uri.

Kenny si mosse velocemente e afferrò il polso di chi lo stava toccando, pronto a torcerlo. Furono due occhi identici ai suoi a fermarlo, ma non lo lasciò andare. “Quando sei arrivato?”

Levi storse la bocca in un’espressione che gli ricordò tanto se stesso. “Ti sei fottuto il cervello a tal punto?”

Kenny aprì le dita e Levi si allontanò dal letto. “Non hai più la febbre,” disse, avvicinandosi al tavolo dalla parte opposta della cella circolare. “Ma la Quattrocchi mi ha dato qualcosa di meglio della merda che passano ai prigionieri qui dentro.”

Mentre Levi gli versava un bicchiere d’acqua e si avvicinava con due pastiglie sul palmo destro, Kenny si sedette contro i cuscini, imprecando contro la fasciatura che gli stringeva il petto. Quanti giorni erano passati? Quanti ce ne sarebbero voluti ancora, prima che riuscisse a stare in piedi?

“Non ti sei ancora stancato di perdere il tuo tempo con me, moccioso?” Domandò.

“L’ho perso per tenerti in vita,” replicò Levi, passandogli i farmaci e il bicchiere d’acqua. “Se ti prendessi un’infezione e morissi in questo buco di merda sarebbe uno spreco.”

Kenny prese le due pastiglie senza obiettare. 

“Come va l’occhio?” S’informò Levi.

Metà del suo viso era ricoperto da ustioni e si era fottuto il sopracciglio destro ma, passato il gonfiore, l’occhio aveva ripreso a funzionare e gli stavano anche ricrescendo i capelli.

“Quando uscirò di qui, potrò ancora giocare al bersaglio con te, non temere,” rispose Kenny con un sorrisetto spocchioso.

Levi si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. “Rilassati, non uscirai mai di qui.”

Non era una minaccia vuota. Il nanerottolo era riuscito a salvargli la vita, ma anche se avesse potuto vendere al nuovo governo tutti i segreti delle Mura, Kenny sapeva che non sarebbe mai tornato a camminare per le strade di Mytras o di qualunque altra città di merda.

“Dovevi lasciarmi morire…” Non gli piaceva l’autocommiserazione ma l’orgoglio non gli aveva mai impedito di lamentarsi.

Levi lo fissò in silenzio per un istante, poi sospirò. “Smettila con questa merda…”



L’indomani, quando si svegliò, non fu Levi quello che Kenny trovò al suo capezzale.

“È a casa,” disse il biondino di merda. “Aveva bisogno di riposare.”

Kenny poteva immaginare benissimo quanto quel damerino - chiunque fosse - doveva aver faticato per convincere il nanerottolo a togliersi dai piedi. Mai chiedere a Levi di riconoscere i suoi limiti, poteva essere un’esperienza letale. Kenny non aveva ancora recuperato la voce da quella volta che gli aveva urlato contro per essersi immischiato in affari che non lo riguardavano ed essere quasi rimasto ucciso nel processo.

Non ricordava nemmeno la natura della questione che aveva urtato tanto la sensibilità del nanerottolo, ma non avrebbe dimenticato mai il suo sguardo ardente mentre replicava con forza: “se io non avessi fatto qualcosa, nessuno lo avrebbe fatto!”

Si era portato dietro quel complesso dell’eroe fin da bambino e, nonostante tutti gli sforzi, Kenny non era riuscito a liberarlo da quella maledizione.

“E tu chi cazzo saresti?” Domandò al moccioso biondo - doveva avere all’incirca l’età di Levi - che aveva preso il posto del nanerottolo.

“Erwin Smith,” rispose il damerino con perfetta compostezza militare. “Comandante Erwin Smith.”

Oh, certo. Era impossibile essere un soldato e non conoscere Erwin Smith. Negli ultimi dieci anni, Kenny aveva sentito ripetere il suo nome tante di quelle volte d’aver cominciato a odiarlo sulla fiducia. Shadis aveva dato inizio al delirio, parlando del suo pupillo a chiunque avesse voglia di ascoltarlo. Se ne era pentito presto, il tempo che il cadetto prodigio lo mettesse in ombra. Quando poi Erwin Smith era divenuto il tredicesimo Comandante della Legione Esplorativa, il suo nome era divenuto sinonimo di troppo

Troppo giovane. Troppo intelligente. Troppo arrogante per piegare la testa di fronte alle obiezioni del governo. In breve: troppo pericoloso. 

Prima di trovarlo al suo capezzale all’interno di quella cella, Kenny lo aveva intravisto a qualche festa di gala a cui era stato costretto a prendere parte. Non si erano mai parlati. Il Capitano Ackerman non aveva perso tempo a valutare se il pericolo che Erwin Smith rappresentava fosse reale. Aveva accantonato la cosa pensando: troppa passione, morirà presto.

Beh, un braccio se lo era fatto divorare.

“Sei qui per interrogarmi, biondino di merda?” Kenny era stato congedato con disonore, ma questo non lo costringeva a essere rispettoso con un moccioso.

Erwin inarcò appena le sopracciglia. “Siete ancora convalescente, Capitano.”

“Oh, stai zitto,” gemette Kenny, coprendosi gli occhi con una mano. “Sappiamo entrambi che quel titolo non mi appartiene più. E non pensare di potermi guardare dall’alto in basso perché sono ridotto in questo stato di merda.”

“Non è mai stata mia intenzione.”

“Allora che cazzo vuoi?”

“Ve l’ho spiegato,” disse Erwin, pazientemente. “Ho detto a Levi di tornare a casa. Sono qui per sostituirlo.”

“Glielo hai detto?”

Ordinato.”

“Oh, adesso cambia tutto!” Esclamò Kenny, sarcastico. “È un modo carino per dire che ti ha detto di no fino a che non lo hai buttato fuori a calci?”

Erwin Smith reagì in modo inaspettato: rise. Lo fece con garbo, niente di contagioso ma Kenny se ne sorprese lo stesso. 

Un istante dopo, Levi entrò nella cella con passo frettoloso, armato di secchio, straccio, scopa e vestito come una massaia. L’assenza di commenti da parte di Erwin sull’aspetto del suo Capitano fece intuire a Kenny che Levi aveva l’abitudine di mostrare quel lato di sé anche all’interno della Legione Esplorativa. Se non fosse già stato con un piede nella fossa, se ne sarebbe scavata una.

“Sei stato via meno di due ore,” gli fece notare Erwin.

“E questo posto fa schifo da quando ci abbiamo messo piede la prima volta,” replicò Levi, appoggiando il secchio accanto alla porta e la scopa alla parete di pietra. “Il bastardo è ancora vivo?”

Kenny trovò la forza di sollevare il dito medio al suo indirizzo.

“Ha mangiato qualcosa?” Domandò Levi, rivolgendosi al suo Comandante.

Erwin si alzò dalla sedia. “Si è svegliato ora.”

“Ehi, moccioso…” Lo richiamò Kenny con voce roca. “Non sono un demente di merda. Parla con me.”

Levi gli lanciò un’occhiata di traverso. “Il dottore è passato?” Si rivolse di nuovo al damerino.

Kenny grugnì e decise di lasciar perdere.

“No, non ancora,” disse Erwin.

Levi annuì distrattamente, legandosi gli estremi di un fazzoletto bianco sulla nuca. “Qui ci penso io,” disse. “Assicurati che la Quattrocchi non torturi troppo Eren. Quando si esalta, esagera e il moccioso non è in grado di risponderle.”

Erwin si allontanò dal letto e Kenny lo vide afferrare il braccio di Levi prima che il nanerottolo avesse il tempo di recuperare lo straccio dal bordo del secchio pieno d’acqua. 

Da dove si trovava, Kenny non riuscì a udire quello che il Comandante disse - il damerino di merda parlò a bassa voce di proposito - ma con l’unico occhio libero dalla fasciatura, notò qualcosa fuori posto nell’espressione di Levi. Tuttavia, non seppe dargli un nome.

Se fosse stato nel pieno delle sue facoltà, avrebbe notato la mano di Erwin che scivolava lungo il braccio di Levi mentre lo lasciava andare, ma in quel momento l’unica cosa a cui riuscì a pensare fu quanto il nanerottolo assomigliava a sua sorella conciato in quel modo.



Quando si legava quel fazzoletto bianco sopra la testa, i suoi capelli sembravano ancora più neri. Da dove le fosse venuta quella vocazione per i mestieri di casa proprio non l’aveva capito. 

“Allora?”

“Allora che, Kuchel?”

“Hai scelto il nome?”

Affondò di più nella poltrona, coprendosi gli occhi col cappello. “Non so di cosa stai parlando.” Fece finta di nulla.

“Avanti! Dovrò pur chiamarlo in qualche modo quando nascerà!”

“Chiamalo come cazzo ti pare.”

“Kenny…” 

“Kuchel…”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Se ti assomiglierà, sarà una tragedia.”

“Se assomiglierà a te, io sarò un uomo morto.”

“Allora, buona morte.”

“Idiota…”

“Stronzo…”

Quanto avrebbe voluto prenderla a schiaffi. Suo malgrado, era la donna della sua vita.

“Speriamo che sia maschio…”

Non aveva la forza di sopportarne un’altra.




Non appena Kenny fu in grado di stare in piedi e di badare ai suoi bisogni da solo, la tregua ebbe fine e il governo cominciò a pretendere da lui qualcosa che giustificasse i suoi privilegi. Levi perse anche quell’occasione per togliersi dai piedi. 

“Posso radermi anche da solo, moccioso.”

Levi fece scivolare la lama sulla gola dell’uomo che un tempo era stato lo squartatore della Città Sotterranea. Kenny lo sentì fare più pressione del dovuto, non abbastanza da tagliarlo ma sufficiente a ricordargli che non era lui quello con il coltello dalla parte del manico - o, in quel caso, il rasoio.

“Non ti è permesso toccare nulla che possa nuocere a te stesso o agli altri,” disse il giovane Capitano.

Kenny trattenne a stento una risata, cercando i suoi occhi. “Allora dovresti tagliarmi entrambe le mani.”

“Non fare l’idiota.” Levi gli afferrò il mento e gli girò il viso di lato, radendo accuratamente la pelle che era stata risparmiata dalle fiamme. “Stai fermo.”

“Forse non mi hai guardato bene in faccia l’ultima volta, ma non vado più in giro completamente rasat-“ 

La lama tagliò via tutto dalla gola allo zigomo in un movimento preciso e veloce.

“... Come non detto,” concluse Kenny. “Dove hai imparato a usare un rasoio. A quattordici anni, in faccia non avevi nemmeno l’ombra di un pelo pubico.”

“Tredici,” lo corresse Levi con voce atona.

Quasi quattordici,” insistette Kenny. “Era inverno.”

Levi pulì la lama sull’asciugamano che aveva sulla spalla, poi ne sbatté uno pulito sulla faccia del prigioniero. “Non me lo ricordo,” disse, mentre l’altro lo malediceva a bassa voce.

“Non hai mai saputo mentire, nanerottolo. Risparmiati la fatica!” Esclamò Kenny, pulendosi il viso dai residui di schiuma da barba. “Non mi hai portato uno specchio?” Domandò, guardandosi intorno. “Voglio vedere come mi hai ridotto la faccia?”

“Non in modo peggiore di come era già,” rispose Levi, di spalle, mentre aggiustava le maniche della camicia lungo le braccia.

“Oh, così mi ferisci!”

Levi non replicò, troppo occupato ad allacciarsi i polsini.

Kenny sbuffò. “Con chi andiamo a parlare oggi?” Domandò con sarcastica allegria. “La mocciosa? Il nuovo consiglio reale? Non mi dire che è Barbetta?” 

“Zakley…”

“Darius!” Esclamò Kenny, come se stessero parlando di un suo vecchio amico. “Quel vecchio pezzo di merda sta ancora in giro a decidere il buono e cattivo tempo della milizia. Quando vi deciderete a darlo in pasto a un Titano?”

“Prima di lui, ci sarebbe una lunga fila,” replicò Levi. Aveva finito di aggiustarsi la camicia, di riporre il rasoio e di ripiegare gli asciugamani usati ma non si era ancora deciso a voltarsi. Kenny era tanto così dall’alzarsi in piedi e lanciargli addosso la sedia. Si tracciò la linea della mandibola con le dita e la sentì perfettamente liscia sotto i polpastrelli. “Non è facile usare un rasoio su altre persone,” disse. “A meno che tu non lo faccia a modo mio, s’intende,” aggiunse, buttando lì un ghignetto che Levi, ancora di spalle, non vide.

Kenny pensò in fretta, cercò qualcosa con cui afferrarlo. Il braccio mancante del Comandante Erwin Smith gli tornò alla mente come un’illuminazione. “Hai fatto pratica sul biondino di merda?”

Levi gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. Preso!

“Se il suo braccio destro era a portata di Titano, dubito che sia mancino,” andò avanti Kenny, tanto per rendere più salda la presa. Di anni ne erano passati parecchi e Levi non era più un fanciullo, ma aveva ancora il potere di provocarlo e spingerlo allo scoperto. “Perché lo fai?” 

“Perché hai un debito da ripagare e lo farai dandoci delle risposte.”

“Non ho mai dubitato del tuo amore incondizionato per me, Levi,” disse Kenny, sarcastico, “ma era al tuo Comandante che mi riferivo. La tua è gratitudine? No, forse ammirazione. È lui che ti ha tirato fuori dalla Città Sotterranea, vero?”

Levi si voltò a guardarlo apertamente. “Non fingere di non conoscere la storia,” disse, gelido. ”Se l’anno successivo non fosse caduto il Muro Maria, se ne starebbe ancora parlando.” Assottigliò gli occhi e lo squadrò. “Hai saputo dov’ero per tutto questo tempo.”

Non era una domanda.

Sapere era il mio lavoro, Levi,” disse Kenny con una smorfia amara. “E, a volte, lo era anche agire.” Sospirò. “Certo che sapevo dov’eri. Tutta la fottuta Umanità aveva gli occhi su di te, te ne sei accorto? Ma non cambiare discorso, parlando del Comandante-“

“Lascia perdere Erwin,” lo interruppe Levi distrattamente, portando lo sguardo sulla porta della cella. Stavano aspettando qualcuno? Kenny non lo sapeva ma aveva tutte le intenzioni d’ingannare l’attesa a modo suo. “Oh, lo chiami per nome…”

“Li chiamo tutti per nome.”

“Ancora non hai imparato che esistono i cognomi?” Kenny non se ne sorprendeva: non ne aveva mai avuto uno con cui presentarsi. Levi era stato solo Levi fino al giorno in cui era divenuto Capitano.

E Kenny non lo conosceva in quella veste.

“Ackerman…” Levi puntò gli occhi su di lui e lo inchiodò alla sedia. “Ho imparato che solo Kenny era l’ennesima delle tue stronzate.”

“La peggiore resti sempre tu, Levi.”

“Ora sei tu a cambiare discorso.”

Kenny sbuffò: non doveva arrivare qualcuno giusto in tempo per evitargli quei discorsi? “Che cazzo vuoi sapere? Tua madre si chiamava Kuchel Ackerman, questo fa di te Levi Ackerman. Fottute congratulazioni!”

Levi si allontanò dalla scrivania e si portò davanti a lui. Anche da seduto, Kenny non doveva sforzarsi molto per guardarlo dritto negli occhi. 

“E tutti e due vi siete sentiti in dovere di nascondermelo,” disse Levi. “Perché?”

Quella conversazione era stata rimandata per quasi trent’anni. Kenny stesso aveva saputo la verità - o parte di essa - da suo nonno solo dopo aver raggiunto l’età giusta per sporcarsi le mani con un regicidio. Fallito, tra l’altro.

Fissò il giovane con un sorriso insopportabile dei suoi. “Levi Ackerman,” giocò con quel suono con soddisfazione. “Un altro Capitano Ackerman. Non mi è mai fregato un cazzo di quel titolo ma ora lo trovo divertente!” 

Levi strinse i pugni. “Piantala di dire stronzate e comincia a usare quella bocca di merda per rispondere.”

“Altrimenti cosa mi fai?” Kenny s’indicò il fianco destro. “Tenti di uccidermi di nuovo? Mi hai sconfitto e poi mi hai salvato. Non sei mai stato un campione di coerenza ma stavolta hai esagerato!”

“Dovrai parlare di fronte a Zackley, Kenny.”

“Li hai convinti che conosco tutti i segreti dei Reiss. Posso permettermi di divertirmi un po’...”

“Kenny-“

“Perché non mi hai lasciato morire?” Domandò Kenny a bruciapelo. “Hai evitato la prima pallottola che ti ho sparato per un soffio. Fossi stato mezzo secondo più lento, non saresti qui. Non ti ho risparmiato, Levi. Ti sei dimostrato più forte e basta.” 

Levi strinse i pugni ma la sua espressione non cambiò di una virgola. 

“Perché mi hai abbandonato?” Ripeté Kenny. “Quell’espressione da moccioso smarrito quando ti ho dato il siero te la potevi risparmiare. Quanta rabbia ci hai messo in quell’affondo, eh? Da quanto mi volevi fare male? Avanti, Levi, dimmi quanto mi odi!”

Levi non replicò immediatamente e quando lo fece, la sua voce non tradì alcuna emozione. “Se ti ho odiato,” disse, “non me lo ricordo più. Non m’importa di te, solo di quello che puoi fare per l’Umanità.”

Kenny sorrise con soddisfazione: l’indifferenza nei confronti degli altri era tutto ciò che aveva auspicato per Levi. 

“Hai imparato la lezione, nanerottolo.”

Almeno lui si era salvato.



“Darius, ogni volta che ti vedo sei sempre più vecchio! Quando ti deciderai a crepare?” Tutto si poteva dire di Kenny Ackerman meno che non sapesse animare una scena quando era dell’umore giusto. 

“Dopo i recenti avvenimenti, sei l’ultimo a poter parlare, Kenneth,” rispose Zakley senza perdere la sua compostezza.

A dispetto delle sue previsioni, non lo avevano portato al tribunale centrale - dove era stato deciso il destino di Eren. No, il suo contributo alla causa non doveva essere ufficiale. Non si poteva rischiare che dalla sua bocca uscisse qualche informazione pericolosa di fronte alle persone sbagliate.

Kenny sapeva solo che era fuori dalla capitale, in un castello circondato dal nulla, seduto al centro di una stanza priva di finestre. Insieme a lui c’erano Levi, il biondino di merda che era il suo Comandante e un altro uomo che Kenny conosceva bene.

“Dot! Ci sei pure tu, vecchio diavolo!” 

Il leader dei gendarmi simulò un sorriso cortese. “Ne è passato di tempo, Kenny.”

“Come sta il tuo fegato? Non ti ha ancora mandato al diavolo?”

“Basta così…” Levi lo afferrò per un braccio e lo spinse sulla sedia al centro della stanza. “Il Comandante Supremo ha raccolto delle nuove informazioni sui Reiss che devi confermare,” spiegò, guardandolo dall’alto al basso. “Devi aprire la bocca solo per questo e non per perdere il nostro tempo in stronzate.”

La situazione divertiva Kenny più del dovuto. Aveva passato tutta la sua vita a strisciare nell’ombra e gli piaceva essere al centro dell’attenzione per una volta. Lo eccitava vederli tutti tesi ad aspettare che sputasse qualche verità scomoda su Rod Reiss che non era ancora venuta a galla. Non aveva niente contro la mocciosa che era stata messa sul trono di quell’inferno di merda, ma quando si chiedeva di umiliare il defunto sovrano dell’Umanità, Kenny era sempre lieto di rispondere.

“Come se qualsiasi cosa riguardo a Rod Reiss non sia una stronzata di suo,” replicò Kenny, sarcastico. 

Levi voleva prenderlo a pugni, glielo leggeva negli occhi. Pensò quasi di provocarlo fino all’esasperazione ma gli occhi del nanerottolo si allontanarono in fretta dai suoi - ancora colpa di quel biondino di merda - e si spostò accanto al suo Comandante.

Zakley fece un passo in avanti. “Apriamo con qualcosa di semplice,” disse. “Secondo quando riportato da Eren Jeager e confermato da altre fonti, allo stato attuale la Regina Historia è l’unica Reiss ancora in vita. Hai nulla da dire in proposito?”

Kenny scosse la testa. “Rod era un donnaiolo ma sapeva chi era e che non poteva permettersi figli bastardi di cui non fosse a conoscenza. Historia non è la prima ma, sì, è la sola rimasta.”

“Gli altri li hai uccisi tu?” Intervenne Levi. Non avrebbe dovuto. Kenny lo comprese dal modo in cui il damerino di merda lo guardò.

Kenny ghignò. “Non è stato necessario.”

“E Frieda Reiss è stata l’ultima legittima erede al trono a possedere i poteri che ora sono di Eren Jeager?” Proseguì Zakley.

Kenny non aveva pensato molto a Frieda in quegli anni, né al modo in cui era morta. Anche la sua dipartita era un suo fallimento. “È corretto,” disse e si accorse che il tono della sua voce era cambiato.

Anche Levi dovette notarlo: il suo sguardo si fece più insistente e Kenny smise di rispondergli. 

“Perché Jeager ha ricordi che non dovrebbero appartenergli?” Domandò Zakley. 

Kenny inarcò le sopracciglia. “Eren era lì quando Rod ha raccontato tutta la sua bella storiella del cazzo sui discendenti del primo Re e sul potere che solo chi possiede sangue reale può comandare,” indicò Levi con un cenno del capo. “La conosce anche lui.”

“E non ha esitato a riferirla a Erwin, che ha informato noi” intervenne Pixis. “Vogliamo sapere se puoi aggiungere qualche spiegazione in più alla questione del giovane Eren. Non ha sangue reale, eppure vede ricordi non suoi. In base a ciò che sai, come spieghi questo fenomeno?”

Kenny non si rivolse a uno dei Comandanti. “Lo faceva anche prima?” Domandò a Levi.

L’attenzione di tutti si spostò sul Capitano. 

“Prima di cosa?” Domandò il giovane.

“Non lo so, Levi, prima di scoprire che ha divorato suo padre, che l’ha trasformato volontariamente in un mostro per vendetta… Che vuoi che ti dica? Ne è successa di merda quel giorno e il ragazzo non aveva una bella fac-“

“No,” rispose Levi di colpo, solo per farlo tacere. “Era tutto il contrario. Diceva di avere dei buchi di memoria che non riusciva a colmare.”

Kenny storse la bocca in una smorfia. “Posso immaginare quanto stia meglio ora che ha fatto luce su tutto. Tra l’altro, è ancora vivo? Passa dalla volontà ferrea al voglio morire in un battito di ciglia ma mi è simpatico!”

“Eren sta bene.” Fu Erwin Smith a non rispondere. “Ma non siamo qui per parlare di lui.”

“Davvero, biondino? Perché a me sembra che stiamo cercando il motivo per cui c’è qualcosa che non va con la testa del vostro moccioso. Ce l’ha una ragazza o un ragazzo? Magari gli passa la depressione.”

“Kenny…” Levi lo trapassò con lo sguardo.

Il Capitano Ackerman alzò gli occhi al cielo, ma voleva concludere con Erwin prima di tornare alle cose serie. “Dire che Eren che sta bene, Comandante-Moccioso, è la più grande stronzata che ho sentito da quando sono scampato alla morte.”

“Non hai ulteriori informazioni da fornirci, dunque?” Insistette Zakley.

“Ho una confessione,” ammise Kenny. “Se avessi saputo che quel potere non poteva essere sfruttato al di fuori della famiglia reale fin dall’inizio, avrei ucciso Rod Reiss molti, molti anni fa.”

Pixis si fece avanti. “Sei un uomo sveglio, Kenny. Non hai ipotesi da fare?”

“Il ragazzo… Eren ha una personalità piuttosto caotica,” cercò l’approvazione di Levi, ma trovò solo una maschera inespressiva. “Se in un modo del cazzo che io non riesco a comprendere, passare il potere dei Reiss significa anche entrare in possesso di tutte le memorie dei sovrani precedenti, immagino che sentire quello che Rod aveva da dire abbia aperto una breccia nella volontà di Eren. E tutto - o quasi - quello che c’era sotto è venuto fuori.”

Lo aveva visto accadere con i suoi occhi anni prima, quando aveva dovuto assistere al lento deterioramento di Uri. Frieda non era durata abbastanza per viverlo, ma Kenny non aveva più visto traccia della sua tenacia dal giorno della morte di suo zio. Entrambi avevano voluto cambiare le cose ma una forza invisibile aveva impedito loro di farlo. Erano passati quasi sei anni dal crollo del Muro Maria. Eren Jeager aveva retto molto più dei Reiss che Kenny Ackerman aveva conosciuto.

Dot Pixis si voltò verso i due soldati più giovani. “Avete pensato la stessa cosa anche voi, giusto?”

Levi rimase immobile. Fu Erwin a rispondere: “parlando con Eren, siamo giunti alla stessa conclusione.”

“E fortuna che doveva stare bene,” buttò lì Kenny, tanto per far sentire il biondino una merda. Suo malgrado, Erwin Smith sembrava essere più inespressivo di Levi - e ce ne voleva!

“Perché Rod Reiss non ha mai preso il potere per sé?”

“Perché era un codardo di merda,” rispose Kenny senza pensare. “Ha preso quel siero solo per sfuggire alla morte e ha fatto una fine peggiore.”

“E della ragazza?” Domandò Dot. “Di Frieda cosa ci dici?”

Di nuovo a parlare di lei. Che utilità poteva mai avere? Era morta a diciotto anni per colpe non sue. Punto.

”Proteggila come hai protetta me,” gli aveva fatto promettere Uri. Dopo la sua morte, Kenny non era più riuscito a guardarla negli occhi e l’aveva lasciata al suo destino - seppur non volontariamente - perché in cuor suo per qualcosa la incolpava. Uri era morto per mano sua e non c’era nessuna spiegazione superiore che potesse rendere meno crudele quella verità.

“Era giovane,” si limitò a dire. “Troppo, come lo sono ora Eren e Historia.” Era un commento non necessario e venne ignorato. “Non c’è nulla di utile nella sua storia,” aggiunse Kenny. “Ha vissuto diciotto anni, ha avuto il potere per meno di tre e l’unica cosa che ha fatto nella sua vita per essere ricordata è stata non ignorare l’esistenza della sua sorellastra.”

“Hai mai incontrato Grisha Jeager?” Riprese Zakley.

Kenny scosse la testa. “Se lo avessi fatto, non ci sarebbe nessuna Ultima Speranza di merda nella Legione Esplorativa.”

“Quindi non hai idea di come abbia scoperto dei Reiss e del loro nascondiglio?”

Il Capitano Ackerman sospirò. “Detta così sembra quasi che non sappia fare il mio lavoro.” Non era una sensazione, ma un dato di fatto. Grisha Jeager era il genere di uomo che era suo dovere fare fuori senza esitare ma, no, il suo nome non era mai arrivato alle sue orecchie prima che Eren divenisse un affare di stato. “Per fregarmi, doveva essere uno sveglio. Peccato che non si possa dire lo stesso di Eren. Giusto, Levi?”

Il nanerottolo era rimasto in silenzio per troppo tempo. Non era divertente se non partecipava anche lui alla conversazione.

”Va bene.” Levi si allontanò dal suo Comandante di un passo. “Al momento, non c’è altro che tu possa fare. Ti riporto alla prigione centrale.”

Kenny sghignazzò. “Felice di essere stato utile!”

Levi non fece in tempo ad afferrarlo che Zakley riprese a parlare. “In realtà, ci sarebbe dell’altro…”

Solo quel vecchio bastardo di Darius sapeva di cosa stava parlando. Kenny lo comprese dal modo in cui Pixis sollevò il sopracciglio destro e il biondino di merda s’irrigidì. Levi fu l’unico a farlo notare ad alta voce: “non si era parlato di altro.”

“Sono informazioni che ho raccolto appena prima di venire qui,” disse il Comandante Supremo, cacciando una mano nella tasca interna della giacca per estrarre alcuni fogli piegati in due.

“E quella cosa sarebbe?” Domandò Levi.

“Una dichiarazione di Djel Sannes, che era a capo della Prima Squadra Interna,” rispose Zakley. “So che tu e la Capo Squadra Zoe lo avete già conosciuto.”

Djel Sannes.

A Kenny servì un’enorme dose di autocontrollo per non mostrare il nervosismo che gli aveva appena chiuso lo stomaco. Come faceva quell’idiota a essere ancora vivo? Con la caduta del governo e tutti i segreti dei Reiss rivelati, non gli restava altro che buttarsi dal Muro Rose!

Calma, si disse. Sannes era un fanatico, non avrebbe mai venduto le memorie di un uomo che aveva adorato come un dio solo per salvarsi la pelle. Vero?

“Kenneth Ackerman…” Il modo in cui Zakley chiamò il suo nome gli fece venire i brividi. “Chi era Uri Reiss?”

Kenny non aveva una risposta a quella domanda. Aveva una storia da raccontare e non sarebbe stato pratico durante un interrogatorio e su quella sedia di merda su cui Levi lo aveva spinto. Inoltre, solo una delle persone presenti in quella stanza aveva il diritto di sentirla ed era anche la stessa a cui - Kenny lo aveva giurato a se stesso - non l’avrebbe mai raccontata. 

“Spero che nascondiate Djel Sannes meglio di me o, ve lo giuro sulla mia testa, di lui troverete i pezzi sparsi in tutta Mytras.” Questa fu la sua risposta e non l’avrebbe ritrattata nemmeno se lo avessero impiccato lì e subito. Con un sguardo, Levi gli ordinò di restare al suo posto ma Kenny non aveva più intenzione di rimanere in formazione. Lo avevano colpito alle spalle e doveva difendersi nell’unico modo in cui era capace: fino all’ultimo respiro.

“Quindi non neghi di averlo conosciuto,” fece pressione Zakley. “Strano, Kenneth. Non provi nemmeno a mentire?”

Kenny gli rivolse un sorriso sarcastico. “Posso immaginare ogni singola parola che Sannes deve aver biascicato tra i singhiozzi. Non combatto una guerra che so di aver già perso.”

A quel punto, Darius Zakley fece qualcosa d’insolito per la sua natura crudele: provò un guizzo di pietà. “Erwin,” si voltò verso il Comandante più giovane. “Scorta il tuo Capitano al piano di sopra, non è necessario che ascoltiate di persona.”

“Io non vado da nessuna parte,” replicò Levi, secco.

“E per quale motivo io potrei rimanere?” Domandò Pixis.

Zakley ignorò quest’ultimo per fissare dall’alto in basso il giovane Capitano. “Ci è stato detto che Kenneth ti ha cresciuto. C’è un legame di parentela tra voi, non è vero?”

“Non vedo come questo possa avere importanza.” Levi non si sarebbe mosso di lì. Se Zakley voleva che se ne andasse, il biondino di merda avrebbe dovuto prenderlo e trascinarlo di peso. Tuttavia, Erwin Smith - notò Kenny - si dimostrò più devoto al suo Capitano che al Comandante Supremo a cui avrebbe dovuto dimostrare cieca ubbidienza.

“Non ci sono ragioni per cui Levi debba andarsene,” disse. “Quest’uomo non fa parte della sua vita da anni e ha dimostrato di saper gestire il suo caso con assoluta imparzialità.”

Se starsene nove giorni al capezzale di un uomo morente era essere imparziali, Kenny voleva chiedere cosa avrebbe fatto Levi se gliene fosse importato qualcosa di lui. Se il nome di Uri non avesse alzato la posta in gioco al punto da chiudergli lo stomaco, avrebbe riso.

“Possiamo sapere in che modo siete imparentati?” S’intromise Pixis. Il buon vecchio ubriacone voleva un po’ di materiale su cui elaborare un pettegolezzo e Kenny non aveva ragione di non offrirglielo: “è mio nipote.”

“Non è importante,” ribadì Levi, scandendo le parole una a una. Lo era eccome, pensò Kenny e al nanerottolo dava tremendamente fastidio.

“Oh, sei suo nonno!” Esclamò Pixis, sarcastico.

Se non avesse avuto le mani legate dietro la schiena, Kenny gli avrebbe mostrato il dito medio. “Fanculo, Dot…”

“Comandante Zakley.” Erwin fece un passo in avanti. “Chiedo di esaminare con voi la dichiarazione del soldato Sannes prima di esporla al prigioniero.”

“E perdere l’effetto sorpresa?” Zakley aveva un talento del cazzo nell’essere teatrale pur rimanendo inespressivo. “Mi deludi, Erwin. Che il Capitano resti se vuole, ma potrebbero uscirne verità spiacevoli.”

Kenny sentì il respiro venire meno. Che cosa aveva detto Sannes di così scottante? Era uno dei pochi rimasti vivi a conoscere parte della storia che aveva custodito per trent’anni, ma non aveva tutte le rispose. Dopo la morte di Uri, Kenny si era premurato che nessuno le avesse. Solo con Frieda era stato impossibile agire in alcun modo ma lei - se per amor di suo zio o per sua bontà, non lo sapeva - non aveva fatto nulla per minacciare lui o la memoria di Uri.

“Dunque, Kenneth,” riprese Zakley. “Chi era Uri Reiss?”

Levi non era tornato dal suo Comandante, era rimasto al suo fianco nonostante l’interrogatorio fosse ripreso. Se non lo avesse avuto in mezzo al suo raggio di azione, Kenny si sarebbe ingegnato per colpire Darius in qualche modo - andavano bene anche le testate.

“Non prendermi per il culo, Darius,” disse Kenny con la voce di un uomo stanco, che non ha più voglia di combattere. “Sannes ti ha già dato la risposta a questa domanda di merda. Vai avanti, dimmi che cosa cazzo vuoi da me?”

Zakley si prese il suo tempo per fare luce sulla questione: ripose i fogli della dichiarazione di Sannes nella tasca interna della giacca e, prima di parlare, fissò il Capitano Ackerman negli occhi per un lungo istante di silenzio. “Sei stato amante del Re che ha preceduto Rod Reiss e sua figlia, e vuoi farci credere che non conosci altri segreti della famiglia reale oltre a quelli che hai rivelato?”

Boom! 

Kenny lo sentì distintamente nella sua testa e dovette riuscirci anche Levi, perché si voltò a guardarlo come se avesse appena sparato un colpo di pistola. Nonostante la stanchezza, non aveva alcuna voglia di sprofondare di fronte al nanerottolo. Piuttosto la morte.

“Ti prego, dimmi quanto Sannes si disperava nel raccontarlo.” Sorrise, velenoso. “Ha sognato per anni di entrare nel letto di Uri. Se ha cominciato a sparare stronzate sulla sua purezza e di come io lo abbia macchiato, sappi che Sannes non lo ha mai conosciuto davvero. Uri non era un dio, come non lo è quel moccioso di Eren. Era di carne di sangue e, come si dice, la carne è debole!” Fu attento a non incrociare mai lo sguardo di Levi mentre straparlava come se nominare Uri non equivalesse a pugnalarsi da solo. “Vuoi che ti racconti tutta la storia? È semplice e noioso. Uri è stato il primo Reiss per cui ho fatto il lavoro sporco, ripulendo tutta la merda che poteva minacciare i segreti della famiglia reale. Scopavamo? Sì, scopavamo. Questo dovrebbe avere un significato profondo? No, non lo ha. In quel periodo della mia vita, passavo la maggior parte delle mie notte accanto a un moccioso che ancora usava le dita per dire quanti aveva! Mi svagavo! Uri era uno svago!” 

Di blasfemie in vita sua ne aveva dette tante, ma quella fu la peggiore di tutte.

Levi non rimase per ascoltare oltre. Il fatto che fosse amante di un Reiss non lo aveva sconvolto abbastanza, ma il riferimento alle notti delle sua infanzia lo turbò. Ora sapeva dove andava ogni volta che lo lasciava da solo a piangere nel buio.

Se non lo aveva odiato fino ad allora, Kenny aveva rimediato in fretta.

Erwin Smith mosse un mezzo passo in avanti ma non andò dietro al suo Capitano. Devoto sì, ma il dovere prima di tutto. 

“Quindi le farneticazioni di Sannes sui suoi poteri non sono-“ 

“Uri non era diverso da Frieda o da chiunque fosse venuto prima di lui. A differenza di Eren, aveva la memoria del mondo o come cazzo volete chiamarla ma non ha fatto niente per questa Umanità.” Kenny era stufo di sentire la voce di quel pezzo di merda di Darius, sminuire Uri per salvare la situazione lo sfiniva e gli faceva schifo. “Era convinto che dentro queste Mura si potesse creare un paradiso. Il motivo? Ho passato tutta la vita a cercare di capire come un essere tanto forte potesse essere tanto impotente. Allo stato attuale, mi sono arreso al fatto che non avrò mai la risposta di merda che cerco.” 

Almeno quella non era un menzogna.

Zakley era deluso e Kenny ne era felice. Tutti i colpi che Sannes gli aveva concesso erano stati sparati a vuoto. Un sovrano che si scopava un suo soldato? Interessante, certo, ma nulla d’insolito. Darius non aveva ragione di scavare più a fondo.

“Portatelo via,” ordinò.



“Vuoi che ci pensi io?” Domandò Erwin Smith.

Levi non si era dileguato nel nulla. Era solo uscito dal sotterraneo del castello per aspettarlo vicino alla carrozza. 

“Non è necessario,” rispose il giovane Capitano, un piede sullo scalino della carrozza e uno a terra. “Farò in fretta.”

Kenny assistette al quel tenero siparietto da dietro il finestrino. C’era qualcosa nel modo di cui si guardavano e si rivolgevano l’uno all’altro che gli dava sui nervi. Erwin Smith non era uno qualunque per Levi e su quello non ci pioveva - non poteva di certo averlo convinto a seguirlo all’inferno con il potere di quelle sopracciglia del cazzo. Ma cosa fosse con esattezza, Kenny aveva timore di scoprirlo.

Se non avesse conosciuto Levi meglio di quanto conosceva se stesso, avrebbe anche potuto pensare che la storia di lui e Uri si era ripetuta ma senza titoli nobiliari di mezzo. Erwin e Levi erano legati senza ombra di dubbio ma era la natura di quel legame che Kenny doveva - con timore - indagare. Se avesse aspettato che il nanerottolo facesse un passo falso, sarebbe morto di vecchiaia. Fu per questo che tenne gli occhi fissi su Erwin, sulla sua espressione, attento a cogliere qualsiasi gesto che potesse essere rivelatorio in un senso o in un altro.

La sua pazienza diede i suoi frutti.

Se Kenny non fosse stato lì a osservare la scena con attenzione, non avrebbe notato la mano di Erwin che afferrava per una frazione di secondo quella di Levi per aiutarlo a salire l’unico gradino che lo separava dall’interno della carrozza. Come gesto fu completamente inutile. Si presumeva che il Soldato Più Forte riuscisse a entrare in una fottuta carrozza. Non era una grande altezza ma se Rod non era finito per rotolare a ogni passo, Levi era in grado di salire un cazzo di gradino da solo

Erwin gli aveva preso la mano per il solo gusto di toccarlo in qualche modo discreto e Levi aveva accettato la cosa senza nemmeno guardarlo negli occhi.

Quando il nanerottolo chiuse la porta e si sedette di fronte a lui, Kenny aveva già raggiunto le sue conclusioni e non ne era felice. Affatto.

“È un Alpha, vero?” Riuscì a tenere per sé quella domanda fino all’inizio del sentiero che attraversava la foresta.

Levi lo trapassò con lo sguardo e non rispose.

Kenny si rispose da solo e lasciò andare un sospiro stanco. “Cazzo, Levi…”

“Stai facendo tutto da solo, idiota.”

“È l’uomo che ti condannerà a morte.” Kenny non era nessuno per parlare, per giudicare Erwin Smith e il modo in cui chiedeva ai suoi uomini di sacrificarsi per una causa superiore. Ma aveva cresciuto Levi perché sopravvivesse a quel mondo di merda e l’idea che il Comandante-Moccioso che lo scopava fosse lo stesso che, se necessario alla causa, lo avrebbe reso un martire, non gli stava bene neanche un po’.

Levi lasciò andare un sospiro annoiato e spostò gli occhi di ghiaccio sugli alberi che scorrevano veloci fuori dal finestrino.

Kenny gli diede un calcio sullo stivale destro. “E non ignorarmi, moccioso di merda!”

Quando il nanerottolo tornò a guardarlo, fu come fare ritorno a casa dopo un lungo viaggio. Eccolo lì il suo Levi, bello e arrabbiato come lo ricordava, come solo Kuchel era riuscita a essere prima di lui. Quanto gliela ricordava quando faceva così.

“Chiudi quella cazzo di bocca,” sibilò. “Non perdere tempo a rivolgermi la parola. Non abbiamo un cazzo da dirci io e te.”

Kenny voleva che fosse vero.



Levi fu coerente con se stesso per le sei settimane che seguirono. Kenny non vide più né Darius né Dot e, quando necessario, fu il nanerottolo stesso a chiedergli le informazioni di cui il governo aveva bisogno. Per tutto quel tempo, parlarono lo stretto necessario. Erwin Smith non mise più piede nella sua cella e questo non fece che confermare la teoria di Kenny sul fatto che il Comandante-Moccioso, biondino di merda e damerino del cazzo - e pure Alpha - si scopasse liberamente Levi.

Fu per puro caso che Kenny scoprì a cosa il mondo esterno si stava preparando.

“Penso io allo schifo nell’armadio, tu preoccupati del pavimento.”

“Sì, Capitano!”

Kenny non sapeva se giudicare la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi drammatica o talmente divertente da essere ridicola. Pensare a Levi con Erwin Smith gli rovinava l’umore non poco, vederlo con Eren era assurdamente esilarante. 

Il Soldato Più Forte e l’Ultima Speranza dell’Umanità stavano ripulendo la sua cella come due massaie provette e il modo in cui gli occhi di Eren s’illuminavano ogni volta che Levi giudicava non male un punto del pavimento che aveva lavato, faceva venire a Kenny una gran voglia di rotolarsi per terra dal ridere. Quel moccioso nascondeva un mostro sotto la pelle? Era così dannatamente giovane nell’aspetto e nel comportamento che Levi pareva più la sua balia che il suo Capitano.

“Vedo che il ragazzino gode di ottima salute,” commentò Kenny, esiliato sul letto appositamente per non intralciare i lavori.

Eren si sollevò sulle ginocchia per rispondere. Lo aveva rapito e sarebbe rimasto a guardare mentre Historia lo divorava, ma era educato abbastanza da non ignorare un adulto che gli rivolgeva la parola.

“Eren, non parlare con il prigioniero,” lo avvertì Levi, piegato all’interno dell’armadio accanto al letto.

Kenny alzò gli occhi al cielo. “Così lo metti in difficoltà. A differenza tua, conosce un po’ di educazione.”

Levi riemerse solo per guardare Eren dritto negli occhi e rendere più efficaci le parole che pronunciò: “lucida quel pavimento e se devi chiacchierare, fallo con me.”

“Ah, allora è tutto risolto!” Esclamò Kenny, sarcastico. “Tu sì che sai essere di gran compagnia, Levi!”

Ciò nonostante, Eren non esitò a fare quanto gli era stato detto. Era un soldato, un fanciullo sul punto di divenire un giovane uomo e non pareva mostrare il ben che minimo imbarazzo nell’interpretare la parte della donnina di casa. Al contrario, sembrava felice di essere lì.

“A quest’ora del giorno, non dovrebbe seguire un’esercitazione o che ne so io?” 

“Ha bisogno di una pausa,” rispose Levi, continuando a piegare i vestiti riposti caoticamente nell’armadio. 

Kenny annuì. “Immagino che farsi la gobba sul pavimento per te sia rilassante, nanerottolo, ma forse al moccioso serve altro.”

Levi lo inchiodò con uno sguardo veloce. “Se vuoi proporre una delle tue idee di svago a Eren fai pure, ma sappi che non vivrai abbastanza per sapere se metterà in pratica il consiglio o meno.”

Oh, ci pensi ancora. Era la prima volta che Levi tirava fuori quanto era emerso dall’interrogatorio con Zakley. 

“Ehi, moccioso di merda,” lo richiamò Kenny irritato. “Tu non sei migliore di me.”

Non poteva dirlo con certezza. Tutto quello che credeva di sapere su Levi ed Erwin erano solo sue supposizioni, ma questo non gli impediva di non apprezzare per un cazzo la situazione. 

Suo malgrado, Levi sapeva bene che ignorandolo sarebbe riuscito sia a difendersi che a mandarlo sui nervi. Rimase in silenzio, come se l’uomo sul letto non avesse affatto parlato.

Kenny decise di mirare al secondo bersaglio vivente presente all’interno della cella. “Dimmi un po’, Eren, ce l’hai una ragazza?” Domandò. “O un ragazzo?”

Il fanciullo non alzò la testa - paonazzo in volto - con l’intenzione di mancare di rispetto al suo Capitano. Lo fece perché per lui era impossibile non rispondere a qualcuno che lo provocava di proposito.

“Eren, non darmi anche tu una buona ragione per spezzarti le gambe,” lo avvertì Levi.

Kenny lo guardò incuriosito. “A chi hai messo le mani addosso? Racconta, qui dentro mi annoio!”

“Non ti deve interessare.”

“Allora dimmi che succede là fuori. Historia regna e tutti sono felici? Non ci credo, moccioso di merda. Qual è il prossimo passo?”

“Non vi hanno detto che partiamo per il Muro Maria?” Di nuovo, Eren non lo fece a posta. Era un ragazzino istintivo e spesso parlava prima di pensare.

Kenny perse di colpo tutta la voglia di scherzare. Cercò gli occhi di Levi ma l’attenzione del giovane Capitano era tutto per il fanciullo inginocchiato a terra. “Eren, quel pavimento non si pulirà da solo.”

Eren s’irrigidì e tornò immediatamente al lavoro. “Mi spiace, Capitano!”

“Scusati di meno, strofina di più e tieni chiusa la bocca.”

Kenny non disse una parola per il resto del tempo che quei due passarono nella sua cella.



Dopo aver riaccompagnato Eren, Levi tornò a fargli visita che il cielo era già scuro. Si era liberato della sua orrida divisa da massaia in favore di quella della Legione Esplorativa. 

“Non hai mangiato,” notò subito, adocchiando il cibo intoccato sulla scrivania.

“Ho lo stomaco chiuso,” rispose Kenny distrattamente, seduto sotto la finestra.

C’era già una candela accanto al vassoio con la sua cena ma Levi ne aveva un’altra tra le mani. L’appoggiò accanto a quella consumata a metà.

“Lo hai punito per quello che ha detto?” Domandò Kenny. Si riferiva a Eren.

Levi scosse la testa. “No.”

“Io lo avrei fatto.”

“Non mi sorprende.”

“Ti ha fatto irritare, no? Doveva pagarne le conseguenze.”

“Se dovessi spaccare la faccia a Eren tutte le volte che mi irrita…”

“Non ti facevo così tenero. Non è ciò che ti ho insegnato.”

“Non sono tenero,” ribatté Levi. “Eren sa bene che non lo sono.”

“Eppure ti adora,” commentò Kenny, incredulo. “Ha tutti i poteri del mondo, eppure credo che si sia sentito speciale solo perché lo hai portato qui a lucidare pavimenti.”

“Impara in fretta.”

“Anche tu lo facevi e questo non ti rendeva meno complicato da gestire.”

“Non sono qui per parlare di me.”

“Oh, e allora di cosa vuoi parlare?” Domandò Kenny, sarcastico. “Anzi, se non ricordo male, io e te non abbiamo nulla da dirci.”

Levi incassò quel colpo stringendo le labbra. “No, io non ho niente da dirti,” ribadì. “Ma tu devi dire qualcosa a me.”

“A cosa ti riferisci, nanerottolo?”

“A mia madre…”

Kenny sorrise amaramente: se lo era aspettato. “Hai avuto la parte migliore di lei. Che cosa vuoi sapere da un pezzo di merda come me?” 

Per un attimo, uno solo, Levi parve di nuovo il bambino smarrito che gli aveva chiesto perché lo aveva abbandonato. “Non lo so. Qualunque cosa.”

Kenny sghignazzò. “Questo è troppo tragico anche per te, nanerottolo di merda,” disse. “Hai avuto settimane per chiedermi qualsiasi cosa e sapevi che non ti avrei negato nulla di Kuchel. Nulla. Eppure eccoti qui, a ingoiare l’orgoglio e a confessarmi, finalmente, che cosa vuoi da me.” Si fece serio di colpo. “Non nasconderti più dietro la ragion di stato, Levi. Lascialo fare al tuo biondino di merda, tu hai voluto che restassi in vita perché t’importa. Che nervi mi fai venire: ho fallito su tutta la linea con te!”

“Se il tuo scopo era che io sopravvivessi, bene. Sono vivo.”

Kenny lo fissò. “E per cosa vivi? Per amare Erwin, che morirà prima di te o ti ucciderà? Per guidare Eren, che devi proteggere ma devi essere anche pronto a sopprimere? E quando avrai perso tutto e sarai l’ultimo uomo rimasto in piedi, per cosa vivrai?” 

Quello che stavano facendo non era molto diverso da quando era accaduto nella grotta dei Reiss: combattevano. Kenny aveva sferrato il primo colpo, Levi era ancora in piedi ed era il suo turno di contrattaccare. “E tu per cosa vivi?”

“I motivi delle mie azioni sono sparsi in ogni dove sui rapporti della vostra rivoluzione del cazzo.”

“Sul rapporto c’è scritto che lavoravi per il Reiss perché era la cosa più comoda da fare per un uomo come te. A me hai detto che non volevi morire, che desideravi il potere. Tutte stronzate credibili ma ora voglio la verità.”

Kenny alzò gli occhi al cielo. “Forse devo elaborare meglio alcuni passaggi: mia sorella è rimasta incinta di un puttaniere, quando l’ho saputo le ho detto di abortire, non lo ha fatto e sei nato tu, e quando la mia situazione è divenuta un po’ meno di merda sono tornato nella Città Sotterranea a cercarla. Indovina? Lei era morta e tu eri vivo. Fine della storia!”

“Nessuno dei due mi ha detto che sono un Ackerman per via delle persecuzioni?” Domandò Levi.

“Io me la sono scampata perché sono un pezzo di merda più forte della media e senza problemi a sporcarsi le mani. Ero l’uomo perfetto per un reale con tanti segreti da nascondere ma ero solo. Posso essere pericoloso ma mai quanto un Titano. Non era sicuro far sapere loro che gli Ackerman vivono ancora, che una nuova generazione era nata attraverso te. Kuchel lo sapeva. Io lo sapevo meglio di lei. Tu sei rimasto Levi e solo Levi. Ti serve qualcos’altro?”

Levi fece un passo in avanti e la luce delle candele gli illuminò chiaramente il viso. “Che cosa abbiamo di tanto speciale?”

Kenny scrollò le spalle. “Dillo tu a me. Sei tu l’eroe dell’Umanità, non io.”

“Non è un caso che siamo più forti degli altri, vero?”

“Mio nonno disse che un tempo combattevamo per il Re. Potremmo essere una dinastia di valorosi cavalieri o qualche stronzata simile… Non guardarmi così! È un’ipotesi che ho preso seriamente in considerazione.”

“Kenny, quando sono entrato nella Legione Esplorativa, mi è successa una cosa,” raccontò Levi. “Una dei miei soldati… Anche il suo cognome è Ackerman e ha vissuto qualcosa di simile quando era bambina.”

Kenny appoggiò il gomito sullo spigolo della scrivania e appoggiò il viso al pugno chiuso. “Era in pericolo?”

“Le hanno massacrato i genitori davanti e stavano per fare a lei la stessa cosa, se non peggio.”

“Anche tu eri in pericolo quando ti è successo?”

Levi non rispose immediatamente. “Non proprio…”

Kenny emise un verso frustrato. “Levi, non fare come quando avevi dieci anni e mi toccava toglierti le parole da quella bocca del cazzo che ti ritrovi.”

“Ero arrabbiato.”

“Sei nato arrabbiato. Impegnati un po’ di più.”

“I miei compagni erano stati massacrati dai Titani,” confessò Levi. “Erano le prime due persone che avevo lasciato avvicinare dopo il tuo abbandono.”

“Il mio abbandono,” lo scimmiottò Kenny.

“Li avevo lasciati indietro per proteggerli. Io me la sono cavata e loro no.”

“E cosa hai fatto?”

“Ho abbattuto tre Titani da solo…” Levi scosse la testa. “No, non li ho abbattuti. Li ho fatti a pezzi e volevo fare a pezzi anche Erwin ma-“ Si bloccò, rendendosi conto di aver detto troppo.

“Ah!” Kenny gli puntò l’indice contro. “Non ti fermare, sei arrivato alla parte migliore della storia!”

“Quello che ho fatto non è umano,” concluse Levi. “Combattere è il mio unico talento e mi sta bene ma non lo faccio come gli altri. Mikasa non lo fa come gli altri e nemmeno tu.”

“Non ho sentito la domanda.”

“Che cosa siamo?” Domandò il giovane Capitano. “Che cosa sono gli Ackerman?”

Kenny prese un respiro profondo. “Sai la storia dei ricordi del mondo, del fatto che che il primo re abbia fatto dimenticare all’intera Umanità la sua storia prima delle mura?”

Levi annuì.

“A te non capiterà mai,” rispose Kenny. “Non chiedermi perché, ma il nostro sangue è immune ai poteri della famiglia reale. Quindi non siamo pericolosi solo perché siamo disumanamente forti, comprendi? Non ci possono usare, non ci possono comandare. O siamo dalla loro parte o non lo siamo. Gran bella rottura di coglioni, vero?”

Levi registrò tutte quelle informazioni annuendo sommessamente. “A te quando è successo?”

“Cosa?”

“Che cosa ti ha… Risvegliato?”

Sul viso di Kenny comparve un’espressione cupa. “Kuchel…” Rispose. “Ma non sono arrivato in tempo.”

Levi avvertì un vago senso di nausea che combatté ingoiando a vuoto. “È per lei che mi hai preso con te?”

Kenny lo guardò, offeso. “Per chi mi hai preso, moccioso? Sei sangue del mio sangue, non dimenticarlo.”

“E tu lo hai dimenticato quando hai cercato di farmi saltare in aria la testa?”

“Sei vivo, no? Sono stato bravo con te.”

“Non ti devo niente.”

“Forse, ma sei l’unica ragione per cui sono vivo.”

“Non hai ancora risposto alla mia domanda,” gli fece notare Levi. “Per cosa vivi? Un uomo come te non si trascina fino al giorno della sua morte naturale senza uno scopo.”

Kenny allargò le braccia. “Magari voglio approfittare di questa vacanza obbligata per recuperare il tempo perduto con la luce dei miei occhi, il mio orgoglio e mio erede, Capitano Ackerman della Legione Esplorativa.”

Levi si lasciò scivolare il suo sarcasmo addosso. “Kenny…” Si umettò le labbra ma non esitò. “Chi era per te Uri Reiss?”

Se accennare allo stupro di Kuchel non aveva chiuso la partita, quello lo fece. 

“L’ho già detto a loro, mi pare,” gli ricordò Kenny, innervosito.

Levi annuì. “Ora dillo a me.”

Kenny sbuffò. “Ero un uomo solo,” cominciò la sceneggiata, “in un mondo difficile, con un bambino piccolo e un duro lavo-“

“Mentre stavi morendo davanti a me, hai parlato di qualcuno di cui hai compreso le azioni. Ti riferivi a lui?”

“Sai, moccioso, non ero molto in me.”

“Ti sei incazzato quando hai capito di me ed Erwin.”

“Oh, allora esiste un te ed Erwin!”

“Prima hai detto che morirà prima di me o che mi ucciderà con un suo ordine. È la cosa peggiore a cui sei riuscito a pensare?”

“Preferisci che ti molli per sposare una bellezza della capitale?”

“È quello che è successo a te, vero?”

Kenny batté un pugno sulla scrivania, facendo tintinnare le stoviglie sul vassoio su cui era la sua cena. Suo malgrado, Levi sussultò: il modo repentino in cui quell’uomo cambiava umore lo prendeva ancora di sorpresa. Kenny era sempre stato così, un lunatico di merda.

“Facciamo che adesso parlo io, moccioso,” disse l’uomo che era stato lo squartatore della Città Sotterranea, alzandosi in piedi. 

Levi tese tutti i muscoli, pronto a reagire in caso di aggressione. 

“So perché mi sei venuto a cercare proprio questa notte,” disse Kenny. “Eren mi ha dato un indizio fondamentale, per questo ho detto che lo dovevi punire: un allievo che canta non è un buon allievo. È una brava donnina di casa ma come soldato è una vera merda. In quella caverna ha pianto talmente tanto che volevo prenderlo a schiaffi, segno che chi doveva forgiarlo lo ha viziato.”

Levi resse il suo sguardo senza fatica. Scosse la testa. “Non te lo scopavi e basta.”

“Perché no?” Kenny sghignazzò. “Ti fa incazzare che ti lasciassi da solo per svuotarmi le palle? A me puoi dirlo.”

Ecco, lo aveva fatto arrabbiare.

“Vaffanculo, Kenny,” sibilò Levi, voltandosi.

Non lo lasciò andare troppo lontano.

Gli afferrò il braccio prima che potesse muovere un passo. “Hai paura di morire, non è vero? Per questo volevi che ti parlassi di tua madre. Avevi bisogno di stringerti al suo ricordo per impedire agli incubi di soggiogarti.”

Levi si liberò facilmente. “Non mi toccare.”

“Rischi di morire tutte le volte che metti piede fuori da queste mura e spieghi le tue fottute ali, ma questa volta è diverso,” andò avanti Kenny. “Questa volta è una battaglia da tutto o niente. Quella in cui il tuo Erwin potrebbe decidere di sacrificare anche i suoi pezzi migliori. O no…” Sorrise diabolico. “Non hai paura di morire, hai paura di perdere lui.”

Levi strinse i pugni. 

“Non puoi salvarlo, vero? No, non vuole farsi salvare. Per questo sei stato attento a non farti sfuggire niente. Sapevi che ti avrei sfinito con questa storia della missione suicida e tu non ne vuoi parlare. Tu odi quello che state per fare. Non vuoi farlo. O meglio non vuoi che lo faccia lui. Come biasimarti! Ridotto in quel modo sarà divorato prima di subito.”

“Stai zitto…”

“Ma lui non ha voluto ascoltarti, vero? Tante battaglie, tanta devozione e alla fine tu non vali nemmeno la metà dei suoi scopi.”

“E tu quanto valevi per Uri?” Sibilò Levi, rabbioso. “Io non posso mentirti ma nemmeno tu a me! Quell’interrogatorio è stato una stronzata. Sei un pezzo di merda, non uno stupido. Era un Reiss, non potevi scopartelo per capriccio.”

Kenny si massaggiò la fronte. “Sono stanco, Levi. Vattene di qui.” Ma lo aveva provocato troppo per poter decidere quando dare fine a tutto.

“Kenny, non fai mai niente che non t’importi.”

“Stai parlando di Uri o di te?” Kenny era stanco di giocare, voleva chiudere la partita e se Levi voleva farsi male, lo avrebbe servito. “Pensi che m’importasse di te? Pensi che ti abbia cresciuto per affetto o altre cazzate simili? Tu non sei altro che la personificazione del mio senso di colpa verso Kuchel. Non l’ho salvata quando l’hanno stuprata da bambina, non l’ho salvata quando m’importava ancora qualcosa di qualcuno. Non l’ho salvata nemmeno quando avevo il cazzo di potere di farlo. Potevo impedire a te di morire e l’ho fatto! Questo non significa che ti ami! Se non fossi stato più forte di me, ti avrei ucciso e basta! Perché è così che va il mondo, Levi! O sei abbastanza forte per sopravvivere o non lo sei, fine della storia!”

Quando ebbe finito di parlare, trovò gli occhi di Levi che lo fissavano gelidi nella penombra della cella. Aveva ancora i pugni serrati ma la sua espressione non lasciava intravvedere niente. Aveva ragione: non potevano mentirsi l’un con l’altro, c’era troppa storia tra loro perché fosse possibile.

Kenny sapeva di averlo ferito. Ne era certo.

Levi era solo bravo a nasconderlo. “Ti auguri di marcire in questa cella di merda per tanto, tantissimo tempo.” Furono le ultime parole che gli rivolse.



Levi non andò più a trovare Kenny e pochi giorni dopo partì per Shingashina.



La paura di morire era una cosa necessaria, un dettaglio che al moccioso mancava.

“Sei stato bravo,” gli disse. Al nanerottolo non importava, non lo guardava neppure. “C’è del sangue tuo in questo schifo?”

Gli occhi di ghiaccio erano fissi nel vuoto, gonfi. Aveva pianto. Aveva assaggiato il sapore della morte, ma questa non l’aveva avuta vinta. Non quella volta. 

“Ehi…” Gli tirò i capelli all’indietro. La brutta copia di una carezza. “Questo è solo il sangue di quel porco? Rispondimi.”

Il moccioso lo guardò. “Sei stato lì per tutto il tempo?”

Non gli rispose. Non avrebbe mai ammesso che provava disgusto per se stesso. “Era necessario.” Fu la bugia che raccontò a lui e a se stesso.

“Sei stato lì per tutto il tempo.” Non fu una domanda quella volta, ma un’accusa. “Ti ho chiamato.”

“Ti ho sentito.”

“Non hai fatto nulla.”

“Era quella la lezione.”

“Saresti rimasto a guardare mentre mi uccideva?”

“Sei vivo, mi pare. Sei riuscito a difenderti.”

“Ho ucciso un uomo!”

“Stava per violentar-“

“E se ci fosse riuscito? Saresti rimasto a guardare anche quello?”

Non gli rispose. Non gli stava insegnando che ci sarebbe sempre stato qualunque cosa fosse successa, ma che era solo al mondo e come tale doveva imparare a sopravvivere. Il moccioso si alzò e andò a chiudersi in bagno. Lo sentì piangere per tutta la notte e non fece nulla per consolarlo. Non lo avrebbe fatto mai più.

La sua infanzia finì quel giorno.




- 8 giorni dopo la battaglia di Shiganshina -


 


Kenny stava perdendo la pazienza. Levi lo stava facendo veramente incazzare.

Se voleva essere arrabbiato con lui che lo facesse pure, ma stava tenendo il muso per un tempo ridicolmente lungo. La battaglia di Shingashina era stata una vittoria, la breccia del Muro Maria era stata riparata e - urrà! Urrà! - pareva non dovessero organizzarsi i funerali di stato per il Comandante. Levi doveva esserne felice e aver recuperato la quantità di buon umore necessaria per venire a sbattergli in faccia la sua vittoria. E se così non era, allora Erwin Smith non era capace di scopare come si doveva. Il sesso della vittoria doveva essere glorioso, capace di rallegrare anche quel caso perso di Levi.

Otto giorni. Otto fottuti giorni.

Barbetta sosteneva di non saperne più di lui e di essere altrettanto irritato per questo. Pareva che nessun moccioso fosse ancora tornato a casa a farsi abbracciare dalla mamma. Era strano, troppo strano. Era talmente strano che Kenny era divenuto curioso e la sua insofferenza per la lentezza di Levi era peggiorata. Quanto ci metteva a muovere quel culetto dal letto del biondino di merda alla sua cella? Non era così pesante.

Alla fine, qualcuno venne a bussare alla sua porta - metaforicamente parlando - ma non il soldato della Ali della Libertà che si era aspettato.

“Ackerman, sei vivo?” Domandò Nile Dawk da dietro la porta chiusa.

Disteso sul letto con le braccia incrociate dietro la testa, Kenny sghignazzò. “Sarebbe una bella merda per te se fossi morto, vero, Barbetta?”

Poteva vederlo il Comandante della Polizia Militare che alzava gli occhi al cielo. “C’è una visita per te,” disse. “Lo faccio entrare?”

Kenny si alzò con un sorrisetto trionfante. “Finalmente il nanerottolo del cazzo si è ricordato del suo vecchio!” Esclamò. “Fallo entrare! Fallo entrare! Devo dargli qualche calcio in culo ben assestato per avermi fatto aspettare così tanto!” Si portò al centro della cella con le mani sui fianchi e un ghigno divertito stampato sulla faccia mezza ustionata.

Quando aprì la porta, non fu divertente vedere il Comandante Erwin Smith al fianco di Barbetta. Kenny non perse tempo a mascherare la sua delusione. “E tu che cazzo ci fai qui?”

Erwin Smith sostenne il suo sguardo per meno di un istante, poi si rivolse all’altro Comandante. “Puoi lasciarci soli?”

Nile passò gli occhi dal vecchio amico, a Kenny e poi guardò di nuovo Erwin. “Al primo movimento sospetto, intervengo con due uomini armati.”

“Non sarà necessario,” replicò Erwin.

“Lascialo decidere a me,” concluse Nile. Lanciò un’ultima occhiata al prigioniero e richiuse la porta della cella.

Erwin Smith mosse un paio di passi in avanti, trovò il fegato di guardarlo negli occhi ma non disse niente. 

Kenny allargò le braccia. “Allora, Comandante-Moccioso, a cosa devo la visita?”

Erwin dischiuse le labbra ma non riuscì a pronunciare una sola parola.

Kenny inarcò le sopracciglia. “Cosa? Il nanerottolo è volato contro il Muro Maria di testa e ora si vergogna a farsi vedere?”

Erwin Smith inspirò aria dalla bocca. Kenny non aveva avuto molte occasioni di osservarlo ma quello non poteva essere lo stesso uomo che aveva innervosito il governo per anni e che poi lo aveva rovesciato rischiando l’impiccagione. Tanto per cominciare, non si faceva la barba da almeno una settimana, i capelli biondi non erano più pettinati come se fosse appena uscito da un salotto di alta classe e gli occhi azzurri erano tanto scavati che sembravano quelli di un cadavere.

“Ohi…” Kenny si era fatto serio. “Tu non hai un cazzo di graffio, lui che si è fatto? Si è spezzato una gamba?”

Erwin scosse la testa. 

“Tutte e due?”

Il giovane Comandante ci riprovò, strinse le labbra e lo fissò dritto negli occhi. “Capitano Ackerman…” Cominciò, ma non riuscì a dire una parola di più.

Non fu necessario.

I pezzi s’incastrarono alla perfezione nella mente di Kenny senza che lui lo volesse. “Che cazzo stai cercando di dire?”

“Mi dispiace…” Disse Erwin Smith. “Capitano Ackerman, mi dispiace.”

E il mondo si fermò. 

Non era la prima volta che Kenneth Ackerman viveva quell’esperienza. Sua sorella era stata la prima a fargli provare quel disperato giro di giostra nei ricordi: un vorticare d’immagini passate a cui non aveva pensato per anni e che ora erano lì, nitide come non erano mai state. Con Kuchel era stato breve, l’amarezza dell'accettazione lo aveva salvato prima dell’arrivo della disperazione - e il senso di colpa non aveva più avuto fine. Con Uri era stato devastante, quasi una forma di follia che lo aveva spinto a distruggere il luogo in cui avevano vissuto insieme. 

Al tempo si era detto che non era possibile provare qualcosa di peggio.

Levi lo fu. 

Levi gli fece rimpiangere il momento in cui aveva creduto di essere morto.

Le immagini di quel bambino dai capelli neri si susseguirono l’una dietro l’altra. Lo vide crescere sotto i suoi occhi in un istante. Aspettò di vedere i lineamenti di Kuchel lasciare il posto ai suoi, poi rammentò che non era successo: Levi aveva sempre avuto il viso più rotondo e il naso più piccolo del suo. 

”Kenny…”

“Che vuoi, moccioso?”

“Di che colore è il cielo?”


Quando tornò alla realtà, Kenny si ritrovò con le dita salde sulla giacca di Erwin Smith mentre lo costringeva con le spalle contro il muro. “Sei stato tu…” Sibilò. Non era una domanda. Conosceva gli uomini come il Comandante della Legione Esplorativa e sapeva fino a dove erano disposti a spingersi per ottenere una vittoria.

“L’hai mandato a morire tu!” Lo scosse con violenza e la testa di Erwin rimbalzò contro la parete di pietra. “L’hai lasciato in prima linea mentre correvi per la tua fottuta vita, pezzo di merda!”

La nuca del giovane batté contro il muro ancora una volta e Kenny udì il rumore familiare delle ossa del cranio che si rompevano. 

Erwin Smith, però, rimase in piedi. Nemmeno una goccia di sangue sporcò il colletto della sua divisa. Accecato dalla rabbia, Kenny lo interpretò come il segnale che doveva insistere a colpirlo. La mano destra del giovane gli strinse il braccio e solo allora Kenny comprese fino a fondo cosa era successo.

Passò lo sguardo orripilato da quell’arto di troppo al viso del suo proprietario. “Lo ha sprecato con te…” Non avrebbe dovuto essere così sorpreso. “Lui è morto e tu sei qui grazie a quella merda?”

Erwin Smith riuscì a sollevare la testa abbastanza da guardarlo in faccia. La prima impressione era stata quella corretta: quello che Kenny aveva davanti era un uomo morto almeno quanto Levi. La sola differenza era che forse quest’ultimo ora era in pace, se si voleva credere a quel genere di stronzate. Erwin Smith non avrebbe più saputo che cosa fosse per il resto della sua vita. Lo lasciò andare e il giovane non si disturbò a reggersi sulle gambe. Kenny barcollò all’indietro fino a che non trovò la parete opposta e si lasciò scivolare a terra. 

“Come?” Domandò Kenny, fissando il vuoto.

“Non lo so,” rispose Erwin. “Non lo so…”

“E tu dov’eri?”

Il Comandante premette la nuca contro la parete alle sue spalle. “Ho radunato tutti gli uomini davanti al Muro Maria per un’ultima marcia. Dovevamo essere un diversivo per permettere a Levi di raggiungere il nemico e abbatterlo.”

“Hai affidato tutto solo a lui?”

“Sapevo che ce l’avrebbe fatta. Era l’unico che poteva.”

“Vigliacco, pezzo di merda.”

“Ho ucciso tutta la Legione Esplorativa per dargli una possibilità!” Ribatté Erwin con forza. “Era così che doveva andare: io dovevo morire insieme agli altri, ma Levi doveva vivere!”

“E allora che cazzo ci fai qui?” Kenny gli rivolse di nuovo la prima domanda che gli aveva posto. “Perché tu sei vivo? Perché lui non lo è?”

I loro sguardi s’incrociarono. Nonostante l’aspetto da uomo vissuto, Erwin Smith sembrava un bambino smarrito - come Levi quando gli aveva chiesto perché lo aveva abbandonato. “Ho commesso un errore, Capitano.”

“Sì…” Kenny annuì. “Ma non preoccuparti, Erwin. Ne pagherai il prezzo per tutta la vita.” Era una condanna, la stessa che prima Kuchel e poi Uri avevano messo sulla sua testa.

Quello era solo il turno di Levi.

“Ora vattene, Comandante.”



“Strange how we fit each other. Strange how certain the journey. Time unfolds the petals for our eyes to see. Strange how this journey's hurting. In ways we accept as part of fate's decree…”

Il bambino non piangeva ma parlava in quella lingua tutta sua che era tipica dei neonati.

“Non funziona. Prova con qualcosa che non sia un inno al suicidio.”

Un sorriso paziente. “È il lato oscuro delle ninne nanne, sono sempre un po’ tristi.”

 
   
 
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