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Autore: A_Typing_Heart    07/09/2019    2 recensioni
Ichigo Kurosaki è uno studente di una prestigiosa scuola maschile, ma nutre dei dubbi sulla strada che ha sempre considerato essere quella adatta a lui: diventare medico come il padre. Allontanandosi dalla scuola per riflettere si ritrova in uno squallido locale mandato avanti da un barista dai modi bruschi e dall'aspetto bizzarro; ma più frequenta quel posto e quell'uomo più Ichigo scopre una nuova prospettiva sulla sua vita e sulle sue scelte.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jaggerjack Grimmjow, Kurosaki Ichigo, Sosuke Aizen
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quando la porta sul retro dell'istituto si aprì cigolando leggermente il ragazzo guardò fuori, lungo la strada. La pioggia persistente aveva fatto desistere la gente della cittadina dal passeggiare o mettersi in strada in massa: solo qualche auto percorreva il viale alberato. Il giovane, che indossava una felpa con lo stemma dell'istituto maschile che frequentava, uscì furtivamente sotto il cielo plumbeo che dava la falsa impressione di un tardo pomeriggio. Richiuse la porta con attenzione, si alzò il cappuccio e si avviò lungo il marciapiede affondando le mani nelle tasche. A passo svelto si allontanò dalla scuola.
Camminò sotto la pioggia fredda e fastidiosamente insistente, guardandosi intorno e alle spalle ogni pochi secondi come un'anima colpevole in fuga da qualcosa di enorme e spaventoso, ma nulla sembrava seguirlo.
Attraversò un incrocio, poi un altro ancora di corsa per evitare il semaforo pedonale rosso e per poco non scivolò sulle foglie bagnate. La pioggia stava aumentando e il ragazzo alzò gli occhi al cielo come a voler protestare contro quell'ingiusto trattamento. Diede un'occhiata indietro solo per sincerarsi di essere fuori dalla capacità visiva di chiunque fosse a scuola, poi si guardò intorno: individuò un locale con la serranda e la porta aperta e decise di infilarsi lì per ripararsi dall'acquazzone.
Il locale aveva tutte le luci spente a eccezione dei piccoli faretti sul bar che illuminavano il banco di legno scuro. Era così buio che pareva l'antro di una belva piuttosto che un luogo di ristoro. Gli unici clienti, a quell'ora del mattino, erano due uomini che confabulavano in un tavolo all'angolo più distante dalla porta. Il ragazzo pensò che probabilmente si trovava in una squallida bettola malfrequentata, ma la pioggia peggiorava con l'aumentare del vento e non voleva rimettersi sulla strada con quel putiferio. Inoltre, più il posto era inquietante meno possibilità c'erano che venissero a cercare uno studente lì dentro.
Aveva appena formulato il pensiero che il suo cellulare squillò. Con una smorfia diretta al cupo soffitto, estrasse il telefono dalla tasca dei pantaloni beige e guardò il display lampeggiante. La chiamata in entrata era di Ishida, uno dei suoi compagni di scuola e compagno di dormitorio. Ponderò con serietà di ignorarlo, ma non voleva che i suoi compagni tentassero di uscire o di fare qualcosa di stupido per cercarlo, convinti che gli fosse successo qualcosa di grave. Mosso da queste insidiose preoccupazioni rispose.
«Che cosa vuoi?»
«Kurosaki!» esclamò una voce irritata al telefono, che riconobbe come quella del suo compagno Ishida. «Ma dove sei sparito? La lezione è cominciata, avevi detto che andavi in bagno e tornavi!»
«Sono fuori.»
«Fuori? Fuori dove?»
«Solo fuori, ho detto.» sbottò Kurosaki, irritato dalla sua insistenza. «Non seccarmi più.»
«Ichigo.» disse da più lontano una voce profonda che riconobbe come quella di Sado, un altro amico che frequentava quella scuola. «Non puoi uscire dalla scuola. Ritorna prima che se ne accorgano.»
«Non adesso, Chado.» gli rispose più calmo, usando il suo soprannome. «Tornerò... ma più tardi. per favore, dì a Ishida di non insistere, non mi interessano le sue noie sul regolamento.»
Seguì un denso ma breve silenzio al di là del telefono.
«D'accordo, Ichigo.» acconsentì Sado. «Stai attento.»
«Sì.»
Ichigo chiuse la chiamata e ripose il telefono in tasca con un sospiro. I due uomini in fondo al bar litigavano anche se tentavano di soffocare i toni irritati: uno sforzo inutile, dato che il bar era totalmente vuoto e qualsiasi parola si sarebbe potuta sentire anche dal marciapiede se non fosse stato per lo scrosciare della pioggia. Ichigo si avvicinò al bancone, ma non vide neanche l'ombra di qualcuno che servisse i clienti. Eppure i due uomini non si erano certo serviti le bottiglie di birra da soli... o sì?
Non sapendo che cosa fare, sedette su uno sgabello, assorto nel pensiero che i due non dovevano essere dei novellini con l'alcol, a giudicare dalle birre alle otto del mattino. Un rumore di vetro tintinnante lo fece sobbalzare e un ragazzo di statura e corporatura notevoli emerse al di là del bancone.
Era uno strano ragazzo. A ben guardarlo non gli avrebbe dato un'età molto superiore alla sua, ma aveva sgargianti capelli azzurri pettinati in su, e indietro, in una maniera che pareva studiata per calamitare l'attenzione di chiunque lo incrociasse. Lo fissò con un paio di occhi azzurro intenso e intorno a quelli aveva un'ombra colorata di verde smeraldo che dalle palpebre inferiori si allungava verso le tempie come un insolito trucco. Ichigo non si accorse di essere immobile a fissarlo stranito finché non gli parlò.
«Beh? Che hai da guardare?» fece l'uomo dai capelli azzurri con tono aggressivo.
«Niente.» rispose subito Ichigo, tentando di ricomporre la propria espressione. «Se tu che servi qui?»
«Io non servo. Ci lavoro.»
«È la stessa cosa, mi pare.» osservò Ichigo asciutto.
«Jaeger, ti devo parlare un minuto.»
La voce estranea veniva da dietro una colonna. Ichigo si dondolò prima in avanti e poi indietro, senza riuscire a vedere niente dell'uomo dalla voce profonda del tutto priva dell'accento della gente del posto. Il ragazzo dai capelli azzurri si mise a strofinare dei bicchieri che, parve a Ichigo, erano già perfettamente puliti e asciutti accanto a una vasca del lavandino.
«Ho da fare.» disse sgarbato, senza rivolgere lo sguardo all'uomo.
«Allora lascia che te lo dica in poche semplici parole, sicché tu possa comprendere anche mentre lavori, è accettabile?» 
Ichigo non aveva idea di chi fosse, né di che aspetto avesse, ma il tono fintamente cortese della sua voce ricordava terribilmente un professore bastardo intenzionato a cogliere gli studenti col piede in fallo.
«Lavora meglio e più in fretta... non fare partitine coi clienti e non oziare... oppure sei licenziato... e non ti piacerebbe, vero, Jaeger?»
«Questo prima che il locale diventasse tuo, Aizen.»
«Sono sinceramente addolorato che la mia presenza ti infastidisca... ma non ti pagherai l'affitto mendicando, voglio dire, di questi tempi la solidarietà... oh...»
L'uomo si interruppe e diede in una risatina falsamente imbarazzata. Il barista stava stringendo un bicchiere tanto forte che Ichigo si aspettava di vederlo esplodere in mille pezzi da un momento all'altro.
«Dimenticavo... se perdi il lavoro finisci in carcere di nuovo, vero?»
Ichigo non era mai stato lì, non conosceva nessuno che rispondesse al nome di Aizen e nemmeno in quel momento ne vedeva la faccia, ma il suo tono e quello che aveva detto glielo resero immediatamente antipatico. Si trattava certamente di un tipo che sfruttava gli altri per il proprio tornaconto, senza riguardo né rispetto. Posò gli occhi sul barista. Quello tremava, e sembrava che il suo desiderio più grande fosse sbattere ognuno di quei bicchieri lustri in faccia all'uomo che gli stava parlando.
«Vedi, Jaeger...»
Il misterioso Aizen finalmente si mostrò, avvicinandosi abbastanza perché Ichigo potesse vederlo senza sporgersi. Era un uomo distinto, vestito di bianco; con capelli e occhi castani. Non gli sarebbe mai sembrato plausibile che fosse lo stesso uomo che aveva appena minacciato il suo dipendente.
«Forse Barragan accettava che nella sua bettola tu lavorassi come ti pareva e piaceva... tuttavia si è indebitato tanto che ha dovuto cedermi il suo atto di proprietà del locale... muri, attrezzature, e te...»
Gli occhi del ragazzo si ridussero a due fessure azzurre, ma non disse niente. Sembrava che gli costasse enorme fatica tacere.
«Lavora a un livello apprezzabile per me... oppure torna nel buco da dove sei uscito.»
Aizen contemplò per qualche istante la rabbia inespressa del ragazzo, poi si allontanò dal banco, dirigendosi verso una rampa di scale in fondo al locale, diretto verso una destinazione sconosciuta.
Il barista gettò via lo straccio imprecando sonoramente. Ichigo sentì una strana comunione con il ragazzo: il suo insegnante di letteratura era a dir poco detestabile e ingiusto e nessuno poteva togliersi la soddisfazione di sputargli in faccia quattro improperi meritatissimi; perciò capì perfettamente come doveva sentirsi.
«Che cosa vuoi, moccioso?» domandò lui all'improvviso, fissandolo con lo stesso disprezzo che aveva per Aizen. «Spicciati, non ho tutto il giorno.»
«Certamente, c'è una calca da ora di punta.» disse Ichigo ironico.
«Allora?» insistette lui.
«Ti chiami Jaeger?»
«Come mi chiamo io non sono cazzi tuoi... allora, che diavolo vuoi?!»
«Jaaaayyyy...» 
La voce cantilenante, diversa da quella profonda di Aizen, veniva da dietro una porta accanto alle scale prese da Aizen. Jaeger alzò gli occhi al cielo e sbuffò senza fare alcun suono. La voce doveva appartenere a qualche suo superiore.
«Allora... io sono qui per servire...» disse in tono forzatamente gentile, con una strana inflessione sull'ultima parola. «Mi puoi dire che cosa posso servirti?»
«Ti strapazzano come un uovo qui dentro, eh?» fece Ichigo, senza riuscire a trattenersi.
«Okay, lasciami indovinare...» disse lui appoggiandosi al bancone e sfoderando un sorriso caustico. «Latte... senza ghiaccio.»
«Non sono un gatto... dammi un'aranciata invece...»
«Non sarà troppo forte per te, bambino?»
Ichigo non ritenne la provocazione degna di una risposta e osservò Jaeger aprire un frigo posto sotto il banco e tirare fuori una lattina di aranciata che gli posò davanti.
«Non dovresti essere a scuola... bam-bi-no?» scandì lui in tono provocatorio.
«Dove dovrei essere adesso non sono cazzi tuoi, Jaeger, Jay, o come diavolo ti chiami.»
«Ci tieni proprio a sapere come mi chiamo?» domandò lui irritato, ripassando il bancone già pulito con lo straccio che aveva recuperato. «Sei capitato qui non si sa perché e non ci tornerai finché campi, mentre io probabilmente ci lavorerò finché campo, a che ti serve sapere come mi chiamo?»
Ichigo bevve un sorso di aranciata lentamente, pensando a cosa rispondere. Per qualche motivo non voleva perdere il duello verbale con lo scontroso barista. Posò di nuovo la lattina e lo guardò.
«Forse non verrò più, o forse sì... forse non mi interessa, ma devo aspettare che smetta di piovere... allora, Jaeger o Jay?»
«Tutti e due.» ribatté lui in tono piatto.
«... Sono nome e cognome?»
«Il mio nome è J.J. Jaeger Jacques.» scandì lui irritato. «Contento?»
«Quindi Jay è un diminutivo del tuo nome... che tra parentesi è un nome davvero assu-»
«Grazie.» disse lui strappandogli di mano la lattina piena ancora quasi a metà. «Ma nessuno ha chiesto la tua cazzo di opinione.»
«Ehi... non ho finito.»
«Invece sì.» tagliò corto Jaeger. «Grazie della visita, bambino, ma cerca di non tornare.»
Ichigo ci mise alcuni istanti a capire che era stato congedato. Si voltò spaesato, guardando verso la porta ancora aperta, e notò che l'acquazzone si era momentaneamente calmato. Decise che era il caso di chiudere quella situazione sgradevolmente imbarazzante. Senza dire nulla, scese dallo sgabello, si tirò il cappuccio della felpa sui capelli arancioni e lasciò sul bancone i soldi della bibita che non aveva potuto finire. Il barista non lo guardò, né si preoccupò di contare o incassare i soldi, come se non avesse visto o sentito nulla.
«Comunque non sono "bambino"... mi chiamo Kurosaki.» disse mentre apriva la porta. «Kurosaki Ichigo.»
Uscì lasciandosi alle spalle solo un rumore di acqua corrente.


«Dove sei stato, Kurosaki?»
Ichigo voltò nuovamente le spalle a Ishida, che gli aveva già rivolto la stessa domanda almeno otto volte nel breve lasso di tempo tra la sua ricomparsa in un corridoio e l'arrivo alla camera del dormitorio. Il ragazzo afferrò un libro a caso dalla scrivania, lo aprì a circa metà e se lo buttò sulla faccia in un muto rifiuto di unirsi alla conversazione. Purtroppo il serioso ed eccentrico Ishida era di un altro avviso.
«Dove sei stato?»
«Ishida, dacci un taglio.»
«Kurosaki.» fece lui stizzito, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Sei sparito per tutta la mattina senza lasciar detto dove fossi, o cosa stessi facendo... non sapevamo cosa pensare...»
«Vi ho detto di non preoccuparvi. Non devo giustificarmi.»
«Prova a rispondere questo al preside quando te lo chiederà.»
Ichigo si tolse il libro dalla faccia, lo sguardo assorto fisso su un punto imprecisato del soffitto.
«Credo che lo farò... magari mi rimanda a casa.»
Sado, che fino a quel momento si era limitato a guardare i vani tentativi di Ishida di ottenere risposte, si sedette alla sedia della scrivania di Ichigo e parlò.
«Ichigo, tuo padre non mi sembra un tipo esigente... non ha mai preteso che tu facessi il medico come lui, me l'hai detto tu stesso... se non ti trovi bene qui dovresti dirglielo e tornare a casa. Non metterti nei guai inutilmente.»
«Forse dovrei... ma le mie sorelle contano su di me, sono il loro esempio.»
Ichigo sospirò sconsolato e si sollevò mettendosi seduto. Distrattamente sfogliò il libro.
«Se tornassi a casa adesso, darei loro un esempio da perdente. Non posso farlo.»
«Allora devi smettere di gironzolare senza meta durante le ore di lezione!» ribadì con veemenza Ishida, che sembrava aver aspettato solo l'appiglio per tornare all'attacco.
«Non stavo gironzolando senza meta, Ishida.» rispose Ichigo stancamente. «Cercavo un bar e l'ho trovato.»
«Un bar?!»
Ishida, che si era appena rilassato abbastanza da sedersi alla sua scrivania, abbandonò la sedia con uno scatto come fosse diventata rovente e si fiondò davanti al letto di Ichigo, afferrandogli le spalle con l'aria completamente folle di chi ha appena saputo dell'omicidio della famiglia intera.
«Ishida?! Sei troppo vicino!» esclamò Ichigo agitato, tentando di sottrarsi alla sua stretta. «Troppo vicino!»
«Cosa sei andato a fare al bar?»
«Fai due passi indietro! Se non lo fai subito sarò costretto a difendermi!»
«Hai bevuto?»
Ichigo, pur nel suo stato di agitazione, riuscì a focalizzare quale fosse il dilemma di Ishida. Per un attimo lo fissò imbambolato. Poi scoppiò e lo allontanò con una spintarella.
«Io non bevo alcolici, idiota! Non ti avvicinare più in quel modo, dannazione!»
«Kurosaki, sto solo cercando di...»
«Basta.» disse Sado in tono fermo, alzandosi in piedi e torreggiando su entrambi, che erano tra l'altro seduti. «Ichigo, Ishida voleva solo essere sicuro che non avessi fatto nulla di stupido. Non dovresti aggredirlo per questo, eravamo entrambi in pensiero. Piuttosto dovresti dirci dove vai e quanto pensi di stare via, quando esci.»
Davanti allo sguardo serio di Sado Ichigo si vergognò di aver reagito così male. Si rese conto di essere stato egoista, scomparendo senza dare spiegazioni e lasciandoli nelle preoccupazioni. Si sforzò di sorridere, nonostante il senso di colpa.
«Mi dispiace... avete ragione... la prossima volta vi dirò dove sto andando.»
«Promesso?» domandò Ishida.
«Promesso. Do la mia parola d'onore.»
«Bene, allora.» archiviò Ishida, ostentando ora una completa indifferenza. «Immagino dovrai metterti in pari con le lezioni perse, ma non ti presterò i miei appunti. Se li vuoi devi venire a prenderteli da solo in classe.»
«Ti darò i miei.» disse Sado.
«Non dargliele sempre vinte, Sado kun!»
Ichigo non poté trattenere un accenno di risate e si affrettò a voltarsi a cercare qualcosa fra i suoi quaderni mentre Sado ribatteva pacato a Ishida che stava di nuovo perdendo le staffe. Poco dopo la disputa si risolse e Ichigo cominciò a mettere ordine nelle idee confuse spulciando gli appunti super sintetici di Sado e quelli molto dettagliati di Ishida. Almeno finché non si imbatté in un evidenziatore azzurro che gli riportò alla mente un curioso barista e lo estraniò dal capitolo di scienze.
   
 
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