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Autore: SweetPaperella    07/09/2019    7 recensioni
Questa storia é il sequel di “There's no storm we can't out run, we will always find the sun” consiglio la lettura della storia precedente prima di leggere questa.
Sono passati tre anni, Emma é ormai felice accanto a Killian stanno per sposarsi, oltre Henry, hanno una splendida bambina di nome Hope.
Regina Mills é felicemente sposata con il suo fuorilegge Robin e ha finalmente l’amore di sua figlia.
Ma può la morte di una persona cara, distruggere la felicità costruita con tanta fatica? E il passato può tornare distruggendo il presente con la forza devastante di un ciclone?
Un nuovo caso, nuovi personaggi e verità sconvolgenti dal passato, che non è mai del tutto passato.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Regina Mills, Robin Hood
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo uno - La vita che cambia 


È notte fonda, alla centrale dello sceriffo c’è un grande trambusto. Due persone litigano animatamente. Uno dei due è lo sceriffo, August Booth. L’altro è evidente che lo sceriffo lo conosce bene, ma stranamente non ha mai fatto il suo nome, come se gli facesse schifo solo pronunciarlo. 
Il secondo, ha una pistola in mano. Anche Booth ne ha una, ma non ha nessuna intenzione di usarla, non senza un motivo preciso. Lui è stato addestrato per sparare solo per legittima difesa o per difendere l’incolumità di altre persone. Ora apparentemente non c’è un motivo specifico, sa bene che colui che ha davanti non sparerebbe mai. 
Ma non sa quanto si sbaglia. Soprattutto mai voltare le spalle al nemico, pur conoscendolo bene. 
August Booth ha decisamente sottovalutato il problema e prontamente si ritrova con una pallottola nella schiena che lo fa accasciare a terra inerme, ne giunge poi un’altra per dargli il colpo di grazia. Il killer non vuole che lui sopravviva è chiaro ormai, solo così potrà avere la sua vendetta, per la vita da miserabile che gli ha fatto condurre fino a qualche anno fa. 
Ha studiato alla perfezione ogni dettaglio, non si è mai tolto i guanti per non lasciare traccia e, se ne va nel cuore della notte, bene coperto da un impermeabile nero, in modo che nessuno possa vederlo, la macchina non é sua, l’ha noleggiata, in modo da porter lasciare il confine senza problemi e tornare alla sua vita di tutti i giorni, dalla sua meravigliosa fidanzata, che pensa che sia fuori città per lavoro. 
August Booth esala l’ultimo respiro scandendo una sola parola o meglio un nome: “Lucy”, purtroppo nessuno può sentirlo. 



Come una mattina a casa Jones, la sveglia suona puntuale alle 6:30 del mattino, ma non è una sveglia come tutte le altre, è una sveglia di nome Hope, la monella di casa, che ha abitudine a svegliarsi presto e correre nel lettone dei suoi genitori per svegliare anche loro. Non c’è giorno, festività che tenga, lei ogni giorno alla stessa ora fa il suo ingresso nella stanza dei suoi genitori, saltando sul letto. 
Ovviamente, sa bene che si prende almeno dieci minuti di coccole tutte per lei, prima che venga anche Henry. Il bambino, che ormai ha nove anni, arriva verso le 7, per farsi fare anche lui le coccole, ma decisamente non riesce a svegliarsi prima, anche perché essendo più grande la sera ci mette anche un po’ di più ad addormentarsi, rispetto ad Hope che ne ha invece tre di anni. 
Ogni mattina il rituale è sempre lo stesso, coccole nel letto e poi colazione tutti quanti insieme, prima di andare a scuola e a lavoro. Henry ormai va alla scuola primaria, mentre Hope va all’ultimo anno di asilo nido, le piace molto andare a scuola, ogni tanto fa i capricci che non vuole lasciare la sua mamma o il suo papà, ma è veramente raro, anzi spesso quando è il momento di tornare a casa si arrabbia e non vuole mai venire via. Emma non ha mai provato l’ebrezza di essere accolta in asilo nido da sua figlia, come fanno gli altri bambini che corrono verso le loro mamme felici. Hope al contrario fa finta di non vederla. Solo quando a prenderla è sua nonna Regina, allora corre felice verso l’ingresso. La piccola ha un debole per sua nonna e Regina ha a sua volta un debole per la sua nipotina. Ma Hope ha anche un rapporto stupendo con sua mamma e suo papà. Con Emma passano tanti pomeriggi insieme al parco, in casa ad inventare ogni tipo di gioco. Con Killian è lo stesso. Le giornate passate in famiglia, ovvero Emma, Killian, Henry e Hope sono le più belle.
Si può dire che Hope è davvero una bambina fortunata. Anche suo fratello Henry l’adora e farebbe qualsiasi cosa per lei. 
Scendono tutti e quattro a fare colazione, una volta terminate le coccole nel lettone. Killian apparecchia la tavola, Emma cucina pancake e prepara la macchinetta del caffè. Mentre Henry si versa il latte e lo versa anche a sua sorella Hope, mettendole un po’ di polvere di cacao, come piace a lei. 
Il ragazzo vedendo che i due bambini sono impegnati a fare colazione, si avvicina alla sua meravigliosa fidanzata e le bacia il collo, stringendola da dietro.
«Stamattina sei più bella del solito, love.»
«Ti devi far perdonare forse qualcosa, Jones?» risponde lei ridendo e voltandosi per guardarlo negli occhi. 
«Per farti un complimento devo per forza aver combinato qualcosa?» ribatte prontamente fingendosi offeso.
«Non lo so, dimmelo tu.» risponde ancora. Intanto gli ha messo le braccia intorno al collo. Nel vedere la sua espressione finta offesa, non riesce a non ridere ancora più sonoramente, avvicinandosi alle labbra del suo bel pirata per baciarlo. A parte un bacio a fior di labbra che si sono scambiati nel letto prima di scendere in cucina, non ha ancora preso la sua dose di baci mattutina e ne ha assolutamente bisogno. Per Killian é lo stesso, infatti, intuendo le sue intenzioni, la bacia spingendola un po’ verso il lavandino e i fornelli, facendo combaciare i loro corpi alla perfezione.
«Potete baciarvi quando non ci siamo noi presenti? Io per giunta ho fame.» é Henry a far allontanare prontamente i due, i quali si, forse si erano lasciati prendere un po’ la mano. Inoltre, Henry reclama i suoi pancake, i quali per fortuna non si sono bruciati. Emma ha avuto l’accortezza di spegnere il fuoco prima di lasciarsi trasportare dal bacio.
«Bacio, bacio, bacio.» Hope batte le manine sul tavolo, dopo ciò che ha detto Henry, ridendo furba e felice. È già vestita per andare a scuola, ha una maglietta verde e i codini ai capelli, che la fanno sembrare ancora più monella di quello che già non é. La spilla a forma di stella, che ha attaccata sulla maglia, é la stella del vicesceriffo, che la bambina ha fatto con la sua mamma. Ora finge sempre di essere anche lei un agente di polizia, con la precisione il vicesceriffo Hope Jones. Imita la sua mamma in tutto e per tutto.
«Io sono il vicesceriffo Hope Jones, ordino i panteik, per me e Hetti.» dice con la sua vocina di bambina, facendo scoppiare a ridere di gusto i suoi genitori e anche il fratello.
Si siedono anche loro a fare colazione. Emma in realtà non ha molta fame. Si è svegliata con una strana sensazione di malessere e non riesce a spiegarsi che cosa possa essere. Cerca di scacciare quei pensieri, concentrandosi sulla sua famiglia. Su Killian, Henry e Hope che ogni volta le rallegrano la mattinata, anche se inizia sempre all’alba. 
Ogni lunedì mattina, è Emma ad accompagnare Henry e Hope a scuola, perché Killian ha da fare spesso con Regina in quel giorno, ci sono quasi sempre nuovi casi e poi ormai è diventata una sorta di routine che sia lei a portarli, visto che spesso è proprio lui invece a farlo. Lascia prima Henry e poi porta Hope, ma quella mattina, proprio come accade qualche volta, la bambina non vuole lasciare andare via la sua mamma. Forse ha avvertito che Emma non si sente molto bene, in effetti quella mattina si è svegliata con una sensazione strana, anche se non si è riuscita a spiegare a che cosa possa essere collegata. É solo una sensazione negativa, che non riesce a togliersi. Hope, sicuramente ha avvertito che sua mamma é tesa e quindi, di conseguenza non vuole che vada. Lo fa spesso, quando avverte tensione in famiglia, magari dopo una litigata tra lei e Killian. 
«Amore, la mamma deve andare a lavoro, ma ti prometto che vengo a prenderti presto e personalmente okay? Tu vai a giocare con i tuoi amichetti e divertiti tantissimo. Io torno prima che tu possa solo immaginare.» le dice dandole un bacio e abbracciandola un’ultima volta, sa che non deve preoccuparsi e farsi vedere a sua volta spaventata dal fatto che non voglia entrare, deve essere naturale e dirle che si divertirà e che lei presto, presto, la tornerà a prendere. Hope non è convinta, ma si lascia ugualmente portare dentro alla stanza dei giochi dall’educatrice. Emma prima che lei possa vederla preoccupata, esce per andare a lavoro. Ma la sensazione negativa, ancora una volta si impadronisce di lei stessa. Arriva alla macchina con il cuore che le batte forte, deve quasi appoggiarsi al suo maggiolino, quando ha quasi un mancamento. Respira profondamente e cerca di riprendere fiato, mettendosi alla guida solo quando si è totalmente ripresa. Direzione ufficio dello sceriffo. Ha molto lavoro da sbrigare ed é anche leggermente in ritardo.
Una volta parcheggiata la macchina, al solito parcheggio vicino all’ufficio, si avvia verso di esso. Si rende conto ben presto che è ancora chiuso e si stupisce che August non sia ancora arrivato, di solito é sempre super puntuale. A volte, fanno a gara a chi arriva prima e chi perde paga il caffè. Stavolta mi sa proprio che dovrà essere lui a offrirglielo.
Apre la centrale e accende la luce, accorgendosi subito che ci sia qualcosa che non va. Poco dopo infatti, trova lo sceriffo, nonché il suo amico, August Booth a terra. Si precipita verso di lui e nota il sangue che si è espanso lungo la sua figura, lasciandolo senza vita.
August Booth, il suo amico August, il suo capo, il suo mentore in questi anni, é morto. 
Non riesce a piangere, non riesce a muoversi, non riesce a urlare. É come se tutto improvvisamente si fosse fermato, se anche il suo cuore avesse smesso di battere, nell’esatto momento in cui ha trovato il corpo dell’uomo. Mille pensieri invadono la sua mente, chi possa essere stato, perché. Chi voleva morto il suo mentore, il suo amico, lo sceriffo di Storybrooke, un nuovo rispettato e ben voluto da tutti. 
Si sente mancare l’aria e deve appoggiarsi alla scrivania per cercare di regolarizzare nuovamente il respiro. Di nuovo quell’orribile sensazione che le stringe il cuore e solo ora si     rende conto del motivo per cui si è sentita così sin da quella mattina. 
Solo quando riesce a riprendersi un attimo, decide di chiamare il commissario della centrale limitrofa, che spesso li ha aiutati per i casi più complessi e per il caso Gold/Peter Pan, in particolare modo. 
Il commissario le dice che arriva subito e intanto di avvisare lei la moglie dello sceriffo, che sicuramente vuole sentire la notizia da una voce amica, invece che da un perfetto estraneo. 
«Tu stai bene, Emma?» sentendo la sua voce scossa, ma anche conoscendo il rapporto che la ragazza ha con il suo capo, un rapporto invidiabile. Immagina che non deve essere stato per niente facile per la ragazza trovare lei il corpo.
«Io... Non lo so.» ammette, guardando nuovamente il corpo senza vita dello sceriffo, ma poi cerca di farsi forza, non può restare in quello stato di shock e cerca di reagire, anche per non mostrarsi debole. 
«Ma ti assicuro che farò di tutto per scoprire chi è stato, fosse l’ultima cosa che faccio nella mia vita.» esclama poi determinata, prima di chiudere la telefona e dedicarsi a farne una decisamente più impegnativa. Ad Elsa, la moglie di Booth.


Elsa Booth, lavora in una banca, poco fuori Storybrooke, ogni mattina accompagna la loro bambina a scuola. Va nella stessa scuola di Henry, ma è un anno più piccola. 
Ha da poco preso il caffè con qualche collega prima di iniziare a lavorare, quando sente il suo cellulare squillare. Pensa prontamente che sia suo marito e vorrebbe quasi non rispondere e chiamarlo dopo pranzo, per non perdere tempo con le scartoffie che deve archiviare, ma visto che non lo vede da ieri sera, essendo lui rimasto in centrale tutta la notte per lavoro... Prende il cellulare per rispondere. 
É infatti il numero della centrale di Storybrooke.
Ma la voce non è quella di suo marito. 
È la voce di Emma. La donna capisce subito che ci sia qualcosa che non va dal modo in cui ha risposto, la voce della giovane sembra incrinata.
«Elsa... Io non so davvero come dirtelo, non vorrei darti nemmeno questa notizia... Non al telefono almeno, ma è meglio che ora tu non venga qui, credimi. August é... é morto.» nel momento esatto in cui lo dice alla moglie dell’uomo che è sempre stato il suo punto di riferimento nel lavoro, che l’ha sempre spinta a migliorarsi, le viene da piangere. Cerca però di ricacciare indietro le lacrime, deve essere forte. Lo deve ad August, proprio lui che l’ha aiutata nel periodo in cui voleva mollare il suo lavoro, lui si è preso carico del suo dolore e le ha raccontato il suo, la sua storia, il suo passato e le ha fatto capire che dai propri errori si può imparare e ricominciare. È solo grazie a lui se ad oggi, è vicesceriffo. 
Elsa, nel sentire quelle parole si accascia sulla sedia del suo ufficio, non riesce a credere che sia vero, non può essere vero. Il suo August. L’amore della sua vita. Il padre della sua meravigliosa bambina, Ingrid. Non può essere vero. Non vuole che sia vero. Non può che essere uno scherzo, di cattivo gusto, ma uno scherzo. August, il suo August, con i suoi occhioni azzurri, il suo sorriso sincero e leale, non può essere morto. Le lacrime iniziano a fuoriuscire dai suoi occhi, senza potersi controllare, senza la forza di poter nemmeno parlare. I singhiozzi si fanno sempre più forti, prepotenti, irregolari.
Ed Emma, dall’altra parte del telefono, si sente così impotente, non può aiutare la sua amica, non può dirle nulla che la conforti, perché niente può essere di conforto in un momento come questo. 
«Lo voglio vedere, sto arrivando.» riesce solo a dire poi la donna, chiudendo il telefono.
La giovane annuisce, non vorrebbe farglielo vedere, non vuole che veda suo marito in quelle condizioni, ma non può fermarla. 
Ciò che accade dopo, avviene tutto in un attimo.
Emma, con il commissionario di polizia, dopo aver parlato con Elsa ed Emma averla consolata; provano a mettere insieme i primi pezzi di quel puzzle che sembra non avere né capo né coda. Nessuno dei due riesce a trovare una sola persona che possa avercela con Augusto Booth. Tanto meno sua moglie. Ha ammesso che suo marito fosse un po’ più taciturno del solito nell’ultima settimana, ma aveva giustificato il suo silenzio con un po’ di stress dovuto a lavoro e lei, gli ha creduto. Non avrebbe mai pensato che invece, da lì a qualche giorno sarebbe potuto morire per mani di un pazzo. 
Emma nemmeno si è accorta di nulla, ha notato anche lei che fosse molto tra le sue, ma non erano di certo mancate le loro chiacchierate e i caffè durante la pausa pranzo. Ha semplicemente pensato che fosse stanco e che avesse pensieri per la testa, non necessariamente legati a lavoro. E invece forse stava indagando su qualcosa di personale, qualcosa di segreto in cui non l’ha coinvolta. Qualcosa di pericoloso che gli ha causato la morte.
Ha passato tutto il giorno in centrale, sulla testa sulle scartoffie dei casi seguiti da Booth, alla ricerca di qualcosa, ha anche chiamato Graham per informarlo della notizia e sentire da lui, se in passato ha svolto indagini riservate, pericolose, che l’hanno portato ad avere dei nemici. Ma no. Nulla di davvero interessante. 
Ha passato tutto il giorno in ufficio, tanto che non è andata nemmeno a prendere sua figlia a scuola e ora si sente terribilmente in colpa, perché glielo aveva promesso. L’ha guardata negli occhi e gli ha detto che sarebbe andata a prenderla. E non l’ha fatto. Ha mandato Regina al suo posto. É stata proprio la donna a dirle che sua figlia ci fosse rimasta un po’ male di non vederla in asilo e che per la prima volta, la bambina non le é andata incontro felice di passare il pomeriggio con lei. La prima cosa che Hope ha detto quando sua nonna l’ha presa in braccio é stata: “Mamma?”. Regina é uscita a toglierle il broncio solo offrendole un enorme gelato.
Emma, rientra proprio per l’ora di cena a casa, ma prima che ogni negozio potesse chiudere, si è fermata al negozio di giocattoli per prendere un pensierino per i suoi bambini e farsi perdonare così per la sua assenza di quel giorno, anche se sa benissimo che non è così che potrà rimediare alla sua mancanza, se pur per qualcosa di molto grave.
Una volta che rientra in casa, nota che ci sono proprio tutti presenti. David, Regina, Robin, Mary Margaret, non manca proprio nessuno e deduce immediatamente che hanno intenzione di fermarsi per cena. Non ha molta voglia di avere gente per casa, a dire il vero non ha nemmeno fame, se pur non mangia qualcosa da quella mattina a colazione. Ha lo stomaco chiuso e non è nemmeno dell’umore adatto per intrattenersi per una cena di famiglia, ma sa benissimo che se sono tutti lì è per farle sentire la loro vicinanza. Lo apprezza davvero e quindi, solo per questo fa lo sforzo di mostrarsi propensa ad averli intorno. 
Saluta tutti e poi prontamente si avvicina alla sua bambina, inginocchiandosi vicino a lei.
«Ehi cucciola, mi dispiace se oggi non ti sono venuta a prenderti a scuola, ho avuto tanto da fare a lavoro.» le dice dolce, stringendola a sé. Hope abbraccia a sua volta la sua mamma felice di vederla e affonda il suo visino nel collo di Emma. La ragazza prontamente la stringe più forte, respirando a sua volta il profumo delicato della sua piccolina, che ogni volta la fa sentire meglio. 
«Per farmi perdonare ti ho portato una cosa.» le porge un pacchetto che tira fuori dal sacchetto del negozio di giocattoli. Ha capito dal modo in cui l’ha abbracciata che la sua bambina non l’ha con lei se non ha mantenuto la promessa, ma sa che la farà ancora più felice.
La bambina prontamente lo scarta e appena vede la Barbie che tanto desiderava, abbraccia nuovamente la sua mamma e poi subito si rivolge al suo fratello maggiore.
«Guarda Hetti, mammina mi ha regalato Barbie pincipessa.» mostrandola fiera.
Emma ride, é la prima risata della giornata da quando ha scoperto di August.
Si rivolge poi al suo ometto più grande.
«Ehi ragazzino, ho una cosa anche per te.» porgendoli un pacchetto rettangolare ed Henry capisce subito che si tratta di un libro. Lo apre e nota che è proprio il libro che ha chiesto di voler leggere. É un gran lettore e con il tempo questa sua passione é aumentata ed Emma, é ben felice di regalargli libri.
«Non dovevi mamma, io so perché non sei potuta stare con noi oggi pomeriggio. Mamma Regina mi ha detto di August, mi dispiace tantissimo.» l’abbraccia forte ed Emma ora sente le lacrime rigarle il viso, ma ancora una volta cerca di ricacciarle dentro e stringe a se il suo ometto, baciandogli i capelli. Sa perfettamente che lui è al corrente della situazione, ma non le piace fare distinzione tra i due figli, se fa un regalo a uno, se lo merita anche l’altro e poi quel pomeriggio ha trascurato anche lui. Di solito é lei a portarlo al corso di scrittura creativa per bambini, a cui partecipa. Stavolta invece non l’ha fatto.
Il fatto che siano tutti a cena, nel momento in cui si siedono a tavola, non è del tutto spiacevole, o quanto meno Emma si rende conto che così non dovrà dare troppe spiegazioni, non dovrà rispondere a mille domande su come sta, che cosa sia successo. Non ne ha propria voglia e tutti, forse anche perché ci sono i bambini presenti, non chiedono nulla.
La ragazza sa però che una volta che saranno tutti andati via, il suo Killian proverà a parlarle. Ha notato immediatamente i suoi sguardi e non gli è nemmeno sfuggito che abbia mangiato veramente pochissimo. Non ha mai rifiutato la lasagna di sua mamma, ma quel giorno non ha per niente appetito. Non riesce a realizzare ancora che il suo amico August sia morto, non riesce a realizzare, perché non vuole farlo. 
La serata però, giunge al termine e dopo mille raccomandazioni che le hanno fatto i suoi, abbracciandola forte e dicendole “noi ci siamo”, l’hanno lasciata sola con il suo fidanzato, quasi futuro marito.
Ha messo i bambini a letto e una volta di nuovo in salotto, nota Killian ad attenderla sul divano, senza tv accesa o dvd inserito per la loro serata cinema. É chiaro che vuole parlare.
«Killian non sono dell’umore per parlare, ti prego.» 
«Emma io sono solo preoccupato per te, non puoi tenerti tutto dentro. Sai bene che sfogarsi e tirare fuori il tuo dolore, é la soluzione migliore.» ribatté il ragazzo cercando di spronarla, non vuole forzarla nel parlare, ma vuole che sappia che lui é lì per lei e non c’è bisogno che si nasconda dietro le sue insicurezze, fingendo che vada tutto bene per non ammettere che stia soffrendo. 
«Sei diventato uno psicologo? Vado già da Hopper, non ho bisogno di un altro strizza cervelli. Ti ho detto che non voglio parlarne. Per favore, lasciami sola.» alza la voce, mettendosi prontamente sulla difensiva, come è suo solito fare quando non vuole affrontare il suo dolore. Lei non vuole affrontarlo, significa ammettere che Booth é morto, ammetterlo apertamente è definitivamente e lei non vuole farlo. Così c’è speranza che lui non lo sia, anche se sa benissimo che non è così, sta solo evitando di affrontare la dura verità. 
«Love, voglio solo che tu sappia che io sono qui. E so che non vuoi veramente essere lasciata sola.» le dice ignorando il suo tono acido e distaccato, il fatto che lei gli abbia praticamente quasi urlato contro.
«Invece si, voglio essere lasciata sola... Anche perché nessuno può fare nulla! August é morto. É morto lo capisci, non me ne faccio niente delle vostre rassicurazioni. Non me lo riporteranno indietro. É morto.» urla senza volerlo contro il suo meraviglioso fidanzato, che non ha colpe, che non ha fatto altro che cercare di starle vicino.
Killian la guarda in silenzio e annuisce, capendo perfettamente che in quel preciso istante vuole essere lasciata sola. Per quanto la voglia aiutare, per quanto vorrebbe cancellare il suo dolore, non può farlo e capisce che se continua a insistere, lei si allontana solamente di più. Ormai la conosce bene. 
Ed Emma nel momento in cui lui si allontana per lasciarla veramente sola, come lei ha chiesto di fare, lo ferma per un braccio e si stringe a lui, scoppiando a piangere. Le lacrime fuoriescono copiose dai suoi occhi, senza che lei possa fare nulla per trattenerle come ha fatto per tutto il giorno. Ha provato a non piangere, ma ora che ha finalmente tirato fuori il suo dolore, non riesce più a fermarsi. I singhiozzi e le lacrime si fanno sempre più insistenti e ciò che prova non passa nemmeno nel momento in cui le braccia di Killian la stringono più forte, per starle vicino e farle sentire il suo calore, il suo amore.
«È morto.» ripete ancora, come se improvvisamente avesse realizzato davvero che cosa sia successo. Come se avesse realizzato solo ora che si è fermata a riflettere per davvero sulla terribile e dolorosa giornata che ha avuto. 
«Love, ci sono io. Ci sono io qui con te. Ci sarò sempre e affronteremo anche questa.» le dice dolce e piano tra i suoi capelli.
Ed Emma annuisce, non riesce a calmarsi, ma annuisce. 
É fortunata ad averlo nella sua vita, non riuscirebbe a immaginare la sua vita senza di lui. Se lo dovesse perdere non lo sopporterebbe.
E improvvisamente il pensiero va ad Elsa, che invece ha perso l’amore della sua vita.
Le lacrime a quel pensiero, aumentano ulteriormente.
 







Spazio autrice: Ed eccomi qui il mio sequel. Non riesco ancora a credere che io sia qui a postarlo 😂 Be, spero che possa piacervi come vi è piaciuta la prima parte di questa storia, ho molte idee in mente e a poco a poco sto facendo mente locale per inserirle tutte, non so ancora quanti capitoli avrà questa storia, ve lo farò sapere mano, mano... Ma intanto ditemi, che cosa ne pensate di questo primo capitolo? Sono partita con il botto o con il morto forse dovrei dire... Non sapevo se partire subito di impatto, ma poi ho pensato che si, mi piaceva decisamente di più così. Non mi piaceva l’idea di dedicare il primo capitolo solo famiglia, volevo già colpire la vostra attenzione su questa storia e... Spero di essere riuscita nel mio intento. Chi ha ucciso Booth? E chi è Lucy? Siete già riusciti a farvi una piccola idea? E soprattutto adesso chi diventa sceriffo? E vice sceriffo? Vi lascio con queste domande. E vi do appuntamento a settimana prossima... A prestissimo. Buon week end.
   
 
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