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Autore: Maerifa    08/09/2019    1 recensioni
Dopo l'esplosione che ha dato ad Ava Starr la sua maledizione personale, viene presa e portata allo SHIELD, dove un "giovane" Agente Alexander Pierce stava facendo rapidamente carriera tra i ranghi dello SHIELD/ HYDRA.
Purtroppo per lei Pierce dovrà sostituire per un po' di tempo l'Agente incaricato di prendersi cura di lei: Bill Foster.
E' un peccato che si interessi un po' troppo
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Sorpresa, Steve Rogers
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Primo Incontro

 

Anno: 1997,

un mese dopo l’esplosione.

Località: Washington DC, base SHIELD

 

Le mattinate da quando ero entrata sotto la protezione dello SHIELD erano divise in due categorie: quelle Buone e quelle Brutte.

Le prime erano quelle che preferivo anche se ormai erano sporadiche.

Mi svegliavo all’interno della mia stanza, dopo che avevo avuto un altro sogno nebuloso di cui non ricordavo quasi nulla, solo frammenti.

L’agente Pierce, o signor Pierce, o solo Signore, mi veniva a prendere sempre con un sorriso e insieme andavamo a fare colazione nel suo ufficio.

Mangiavo in braccio a lui a volte, o quando ero particolarmente fiduciosa vicino tenendolo sempre per mano, mi aiutava a causa della mia intangibilità,

 

Questa parolona l’avevano usata i dottori che mi avevano in cura, insieme ad un'altra, molto più dolorosa: invisibilità.

 

Spesso, quando voleva che interagissi nel suo monologo appoggiava una mano sul mio ginocchio; e se ero distratta cominciava a farla scorrere sulla mia gamba. Di solito però ero sempre attenta, felice che si informasse sempre sul mio sonno e sugli esami che facevo.

Quando erano, appunto, buone mattinate cercavo ci farmi abbracciare il più possibile, ed ero fortunata che lui non perdesse mai occasione.

Quelle brutte erano maggiori delle altre.

Mi svegliavo sotto il letto, a contatto con il duro pavimento, non riuscivo a toccare nulla.

Ne i miei affetti personali ne le persone.

Ma quando cominciavo a sfarfallare, era in quelle occasioni che cominciavo ad urlare e a piangere.

Era doloroso. 

I medici non riuscivano a capire come stabilizzarmi e più andava avanti e più stavo male.

Quando era particolarmente brutto il signor Pierce mi portava la colazione nella mia stanza  e mi imboccava, o per lo meno ci provava ma quando vedeva che non riuscivo a stabilizzarmi a sufficienza per poter mangiare, allora avvisava i dottori.

C’è stato un giorno particolarmente brutto…

 

Flashback

 

l’Agente Pierce non  era ancora arrivato, ma io ero già sofferente. 

Ero nel mio angolo raggomitolata e l’attimo dopo ero caduta per terra. Mi rialzai e guardandomi

Intorno capii subito che non ero nella mia stanza.

Era umido e freddo, il posto dove mi trovavo era completamente diverso dal mio, via i muri nivei, al loro posto c’erano piastrelle di un giallino malaticcio, non ne ero  molto sicura però, non vi era molta illuminazione. Sembrava di essere in un laboratorio, le apparecchiature erano simili alle mie quando facevano i test sulla mia condizione, ma sembravano più lucide, nuove. 

Mi avvicinai piano, c’erano degli uomini che si muovevano freneticamente, era come vedere dentro un nido d’api tutti si  muovevano con criterio in una confusione perfettamente organizzata, stavano parlando una lingua strana ma famigliare, 

 

Come l’ha chiamata il signor Pierce?

 

È russo tesoro, noi agenti sappiamo molte lingue, 

soprattutto quelle del cosiddetto nemico…

 

Ad un certo punto uno dei medici passò velocemente attraverso di me.

Quasi urlai. Ma non so cosa mi trattene dal farlo.

Ingoiai il nodulo di dolore che era sorto, capendo perché ero un fascio di dolore e soprattutto perché ancora nessuno mi aveva notato.

In un attimo il ronzio delle voci si acquietò, non riuscivo a capire il perché.

Lentamente e il più silenziosamente possibile andai a vedere cosa aveva attirato l’attenzione di tutte quelle api scienziate.

Al centro vi era un cilindro, assomigliava molto ad una capsula, e al suo interno, collegato da tantissimi tubi vi era…

 

Un androide?

 

Non capivo, quella cosa, sembrava un uomo, se non fosse per il suo braccio fatto interamente di metallo.

 

Non hai idea Girasole della rivoluzione che farò nell’idea nel come pensiamo alle macchine, 

quando chiedi a qualcuno cosa sia ti rispondono che sono come dei calcolatori che possono solo tenere conto dei numeri, 

ma io farò ben di più! 

Renderò l’impossibile possibile, 

costruendo la prima Intelligenza Artificiale completa che sia mai esistita!

Ci puoi credere?!

E sono vicino, 

il nostro vecchio ancora non lo sa ma io ci riuscirò, 

fidati!

 

Di nuovo lui… Oorun 

Chi sei?

 

Nel silenzio assoluto, assistetti al risveglio della macchina.

Aprii di colpo gli occhi e le api si mossero in simultanea: chi andava a scollegare i tubi e lo sistemavano in un'altra stanza, con pareti di vetro spesso facendolo sedere rapidamente su una barella per poi scappare via di corsa. 

Altri invece si misero a preparare un'altra postazione, assomigliava a una grossa stazione di ricarica a forma di sedia con sopra un elmetto anch’esso pieno di fili.

 

Un attimo dopo un uomo in divisa si avvicinò, schiena dritta, stava  leggendo un libricino color carminio con una curiosa stella rossa bordata di nero.

Entrò nella stanza e si fermò davanti al robot.

Chiudendo di scatto il quadernino cominciò a parlare, forte e chiaro.

Il tono con cui pronunciava quelle parole sconosciute era brutale, senza nessuna cura, come se non contasse nulla per lui l’androide.

 

“Тоска Brama, ржавчина Ruggine, семнадцать Diciassette, рассвет Alba, Гомо Homo, девять Nove, доброжелательный Benevolo, добро пожаловать Benvenuta, грузовая машина Vagone Merci. доброе утро солдат Buongiorno Soldato.”

 

Rimasi immobile, non capivo cosa stava dicendo ma vidi che effetto aveva sull’androide, se lo era davvero.

 

Non dovrebbero provare sentimenti, giusto?

 

Sai questa è un eccellente domanda Girasole, 

le macchine provano sentimenti?

Adesso tutti, 

me compreso, 

ti dicono no, 

non ne provano.

Ma più avanti?

È il mio obbiettivo come ingegnere e futurista far si che possa succedere.

 

Non era possibile, non sentii nemmeno la risposta che diede, troppo ipnotizzata dal suo aspetto.

Lo lasciarono solo, il dolore sordo che provavo era sparito gradualmente non rendendomi conto che ero tornata visibile, mi avvicinai ancora e lo potevo vedere bene questa volta.

Non mi ero accorta che avevo attraversato il vetro infrangibile entrando nel posto più pericoloso. 

Nella sua zona di confort.

Aveva dei tentacoli morti, simili ai serpenti di Medusa, non volevo guardarlo negli occhi, spaventata che, come la gorgone mi potesse pietrificare se incrociavo il suo sguardo. 

Ma la curiosità vinse sulla paura.

Un vuoto che mi fece rabbrividire, ecco che cosa vidi quando lo guardai negli occhi.

Il viso però, era insolitamente bello, nonostante la trascuratezza.

Linee dritte per un viso serio, guance affamate, la mascella era marmorea ma con una curiosa fossetta su mento. Lo rendeva meno inquietante, 

 

A Oorun  gli sarebbe sicuramente piaciuto…

Eh?

 

Sai mi sono sempre chiesto come mai nessuno guardi oltre al grande Capitano Steven Grant Rogers,

oddio mi scoperei anche lui sia chiaro,

Hey! 

Smettila! 

Sto dicendo un pensiero profondo sai?

Di cosa stavo parlando più… ah si che mi scoperei il caro Cap-

 hey ok la smetto vado avanti, 

voglio dire, 

dove vogliamo mettere quel gran figo del Sergente Barnes? 

Con i suoi capelli scuri, 

occhi come ghiaccio bollente che ti fanno fremere non appena ti lancia un  occhiata, 

ah solo per loro due ne sarebbe valsa la pena aver vissuto con papà nei suoi orribili anni 40.

Solo per potermi infilare nei loro- 

Ahi! 

Ok la smetto! 

Ahi!

 

Scrollai la testa, il movimento mi fece ricadere l’occhio sul braccio di metallo.

Era incredibile, mi avvicinai ancora e stavo per toccarlo quando lo vidi. 

Il braccio, si era mosso.

Aveva contratto qualcosa e di conseguenza, come una marea, ogni singolo meccanismo si era mosso seguendolo in una sinfonia di circuiti e ingranaggi interni.

Lo volevo toccare, non sembrava nemmeno reale.

Lo stavo per fare quando percepii la tensione che si stava irradiando attraverso di lui, come una bestia pronta ad attaccare.

Mi ritrassi velocemente e come un colpo di frusta, mi ritrovai di nuovo in quella stanza sull’oceano, con il ragazzo dal sorriso di cristallo.

 

 Era in piedi di lato fuori sul balcone appoggiato alla ringhiera di ferro battuto in stile liberty . Era coccolato dalla brezza salmastra e dagli ultimi fasci di luce, lo sfioravano come una madre amorevole.

Ma questa volta era diverso, sembrava come l’androide, i loro occhi. 

Erano uguali.

Pozze oscure di vuoto e di un dolore profondo e radicato.

Ed io stupidamente mi sono avvicinata toccandolo.

 

N-non dovresti e-essere qua,

 no oh dio no… ti prego, 

mi dispiace tanto Ava, 

i-io non volevo c-colpirti.

 Ma ma mi hai toccato, 

non avresti dovuto, 

dovrai sempre chiedere, luce di stelle, ma mi mi farò perdonare giuro.

Non devi mai toccare qualcuno di nascosto. 

promettimelo

 

“Mi dispiace, i-io n-non volevo spa-spaventarti… hai un bel braccio, posso toccarlo? Sei un robot?”

 

Mi ritrassi spaventata.

Lui mi studiò, in un attimo si diresse rapidamente verso di me e provò a prendermi.

Io non riuscii ad allontanarmi abbastanza in fretta che me lo ritrovai addosso.

Mi afferrò per un braccio ma la sua mano mi passò attraverso, stava continuando a borbottare parole per me incomprensibili.

Per la prima volta in assoluto sul volto vuoto del robot un’emozione: lo stupore.

Misto anche a fastidio.

Si guardò la mano come se non fosse sua, girandola, finché il suo sguardo non ricadde di nuovo su di me.

Ero terrorizzata.

Ricominciò a ripetere sottovoce quelle parole incomprensibili e prendendo coraggio gli dissi

 

“I-io non capisco quello che stai d-dicendo, mi dis-spiace.”

 

Lui sgranò gli occhi, guardandomi da cima a fondo e studiando bene quello che stava succedendo fuori si accucciò al mio livello

 

“io con-conoscere te… io no robot, io ресурс, ri-risorsa”

 

La sua voce sembrava essere uscita da una tomba, era grezza per il disuso.

Non parlava molto bene l’inglese.

Non ebbi il tempo per rispondere che entrarono in massa dentro la stanza con le armi puntate verso di noi.

Ero spaventata a morte.

I soldati cominciarono ad urlare quando il robot, no la Risorsa, si tirò su in piedi continuando a guardarmi, finché uno di loro non si avvicinò. 

A quel punto, scoppiò il putiferio.

Io mi ritrassi nascondendomi in un angolo della stanza e rimasi li raggomitolata, mettendomi le mani sulle orecchie e posando il viso sulle ginocchia per impedirmi di vedere la carneficina che stava succedendo.

Ero preoccupata per la Risorsa.

Non volevo che gli facessero del male.

Non sapevo quanto tempo era passato, finché non sentii una mano famigliare accarezzarmi i capelli.

 

“S-signor Pierce! M-mi dis-dispiace tantissimo. I-io non vol-volevo…”

“Va tutto bene Ava, non ti preoccupare, ero molto in pensiero per te tesoro. Non avevo idea di dove fossi finita, quando mi hanno chiamato avvisandomi che eri  nella stanza di contenimento del Soldato e che lui non stava collaborando nel rilasciarti, mi sono spaventato.”

 

Lo cercai con lo sguardo dopo che mi prese per mano e ci dirigemmo verso l’uscita, per essere così enorme riusciva a nascondersi piuttosto bene, perché lo intravidi quando ormai eravamo fuori dalla stanza.

Era rannicchiato in un angolo della stanza dietro la barella e stava guardando il pavimento. 

Continuava a borbottare.

 

“Ava… Ava… Ava… Энтони ... котенок” 

 

Fine Flashback

 

Da quella mattina non lo rividi più. 

Un po’ mi dispiaceva, a parte lo spavento iniziale, da quanto mi aveva riferito il signor Pierce, era stato insolitamente protettivo nei miei confronti, e i suoi gestori non avevano capito il perché.

L’agente mi chiese se lo avessi mai visto prima, ma per me era uno sconosciuto. 

Non avevo idea di come mi potesse conoscere. 

Poi mi chiese di un altro nome.

Энтони.

In russo a quanto pare significava Anthony.

Non avevo idea di chi fosse, però quella era l’occasione perfetta per parlare della mia voce. 

Di Lui.

Non ci ero riuscita.

 

Oorun…

 

Dopo quell’evento le giornate si appiattirono drasticamente.

Le mattine erano ormai uguali e i pomeriggi erano passati nello stesso modo: nei laboratori dello SHIELD.

Mi ci accompagnava sempre l’agente Pierce, la base dove mi avevano stabilito era incredibilmente luminosa.

Così diversa da quello che avevo visto quella mattina.

Le luci erano ovunque, illuminavano i corridoi come se fossero all’interno di una base spaziale. Quelle stupide pareti bianche, odiavo il bianco.

 

Ah Girasole, 

saresti una visione in bianco-

Ahi! 

ma so che lo detesti.

Mi viene da ridere a pensare se tu ti dovessi mai sposare.

Lo faresti impazzire, o la.

In realtà non importa, 

io intanto sarò presente per denigrarli,

nessuno sarà mai alla tua altezza, 

non per me.

 

 

In quegli immacolati laboratori iniziava la mia tortura. 

Cominciava con uno scienziato, sempre lo stesso, i capelli perfettamente curati, occhi infossati e scuri, corporatura di uno spaventapasseri.

 

Sei sempre così curiosa e affamata di storie Girasole, 

che ne dici se questa sera ti racconto del Meraviglioso Mago di Oz? 

Tua mamma me lo leggeva tutte le sere prima di dormire, 

la storia originale bada bene. 

Non una di quelle imitazioni da quattro soldi,

mi piacevano in particolar modo le vicende dello Spaventapasseri e la sua ricerca di un cervello.

In fondo siamo un po’ tutti come lui: 

creature alla ricerca della conoscenza per battere il nostro avversario.

 

Sempre quella voce.

 

Nei momenti più disparati arrivava, con spezzoni di libri, pareri.

Non sapevo chi era, non capivo, non era Elihas, o chiunque altro della mia memoria.

Dopo il prelievo dallo Spaventapasseri si passava al lato pratico della mia condizione.

Continuavano a ripetermi che era obbligatorio, per comprendere la mia malattia, e soprattutto quello che mi permetteva di fare.

 

“signorina Starr, la prego provi a far passare quel cubo attraverso la parete…”

 

 

“Signorina Starr, la prego faccia diventare invisibile quel pezzo di stoffa… so che le provoca dolore, stiamo cercando di toglierlo, ma se non ci fa capire come funziona, noi non possiamo aiutarla…”

 

 

Era un continuo, e non trovavo nessun miglioramento.

 

Eccomi qua, sono tornata ad aggiornare questa storia. non l'ho abbandonata, nonostanteil silenzio radio che sta ricevendo.
insisto, nella speranza che in realtà ho un pubblico molto silenzioso.
Spero l'appreziate.
Vi aspetto in molti con tutte le vostre domande critiche, costruttive mi raccomando e altro.
Alla prossima.

Maerifa
   
 
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