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Autore: guardjangel    11/09/2019    2 recensioni
[Storia partecipante al contest “Darkest fantasy” indetto da Dark Sider sul forum di EFP.]
Black non merita di morire, infatti non lo fa.
Per una volta, questo è il racconto di una morte, vissuta da un morto stesso che è stato risparmiato dalla Mietitrice e ora non ha una vita a cui tornare.
Non l'ha mai avuta in realtà poiché tutti dicevano fosse degno solamente di una fine senza pietà, eppure, fronteggiato da essa, ella gli aveva detto che non ne fosse meritevole.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Se dovessi morire

 

Le gocce di pioggia accarezzarono i suoi capelli in modo irregolare mentre lo richiamavano a riprendere coscienza, il vento a sussurrare parole inutili pur di svegliarlo dal suo stato dormiente.

La natura era la sola che oramai prestava attenzione a lui ed i suoi segreti—ad ogni piccolezza che nascondeva e gesti per cui fuggiva—ed era la sola a sapere che fosse ancora vivo.

Erano passati giorni oramai dalla propria presunta morte e scomparsa dalla faccia del Regno, il momento in cui il proprio corpo  era esanime sul campo di battaglia dopo essere stato trafitto da una spada, e, quel mattino, sarebbe stato segnato dagli stessi eventi degli altri. 

 

Come ogni alba da allora si risvegliò col viso affondato nella melma che si era creata quando aveva piovuto sul suolo, i medesimi abiti che non aveva modo di cambiare ricoperti di fango e terra ancora di più del giorno precedente.

La domanda che bussava appena avesse aperto gli occhi la stessa: si chiedeva perché non avesse perso la vita, perché la Triste Mietitrice si fosse rifiutata di accompagnarlo nella propria tomba.

La sapeva la risposta, in realtà, eppure ancora non la accettava.

“Non te lo meriti.”

Quello, lei gli aveva detto.

 

Dopo tutto quello che aveva passato, però, fra insulti e derisione, non gli era parso reale.

 

Tutti dicevano che fosse degno solamente della morte, tranne la Morte stessa.

 

«Huh?»

L'aveva incontrata di persona una volta, l'unica. 

Entrambi seduti sullo stesso ramo, scheletrico ed esile, la durata della loro conversazione segnata da quanto esso avrebbe retto.

Effettivamente, lui se l'era immaginata così, la Morte.

Vestita in un lungo abito nero, il viso nascosto nella penombra nel cappuccio, silenziosamente imbracciando la falce che teneva nella propria mano ossea. 

«Non merito di morire?» domandò Black in un sussurro. Assottigliò le palpebre, anche se cosciente che scrutarla fosse inutile com'era inutile provare a trovare qualche traccia di insicurezza in quei suoi movimenti minimizzati. Probabilmente non stava a lui giudicare se ella stesse mentendo o meno, poiché era di fatto incapace di riuscire ad estrarre dal suo tono qualsiasi emozione.

Piatto, senza alcuna caratteristica. Né acuto né grave. Né alto né basso. Monotono. Un suono che, probabilmente, non avrebbe avuto carattere distintivo nemmeno sé registrato e modificato. Il fato non lo aveva dotato della capacità di discernere verità e bugie.

Ella non lo stava guardando—o così egli pensava—, si limitava ad osservare il cimitero che li circondava, nel quale l'arbusto su cui erano seduti aveva fatto l'errore di crescere.

Nessuno avrebbe mai pensato ad esso, e non era nemmeno stata colpa sua. Era fragile e intimidatorio, trascurato e abbattuto dalle intemperie. Cresciuto con rami esili era spaventoso, incapace di fornire protezione.

Nessuno si sarebbe mai seduto riparato dalla sua chioma a leggere, nessuna coppia di fidanzati avrebbe inciso le proprie iniziali sul suo tronco prima di abbandonarsi in uno spassionato bacio.

Se richiesto, sarebbe stato abbattuto senza problemi.

Senza però aver fatto nulla per meritare di morire.

«È morta la persona che controllava il tuo corpo, non tu.»

Controllare.

Non c'era spiegazione filosofica, a ciò.

Che storia buffa quella di una persona dannata ma non aveva un lieto fine.

«Giusto»

Sospiro.

Non ricordava bene ogni momento da quando era stato controllato a quando finalmente era stato per così dire liberato, solo il personaggio all'interno di sé che lo controllava come un burattino era finito.

Sapeva che il suo corpo fosse stato usato per compiere gesti nefasti mentre in uno stato dormiente la sua anima riposava.

«Cosa non dice però che avrei fatto la stessa cosa?» continuò.

Voleva solamente una risposta che non fosse logica.

Non era arrabbiato, il suo tono non era desideroso. Da sempre le affermazioni che gli erano state dette si erano basate solo ed esclusivamente sulle emozioni dell'interlocutore.

Per tutti era meritevole di morte perché non piaceva in modo soggettivo, non piaceva un carattere secco e solitario da un essere che tutti definivano inferiore.

Senza esserne cosciente era disperato per attenzione—per una volta che qualcuno non lo condannava, era alla ricerca totale di complimenti.

Esistevano solo ed esclusivamente lacrime e sorrisi per lui, se qualcuno gli rispondeva con la medesima freddezza che lui mostrava andava in tilt.

«Se vuoi farlo e morire, vai.»

Stavolta agisci in modo cosciente.

Non era stato lui ad entrare volontariamente in battaglia ma un guscio vuoto manipolato.

Sotto l'effetto di una-

 

«Maledizione» sibilò sconfitto, osservando ancora una volta i propri abiti tingersi di altre macchie.

Non ebbe nemmeno la decenza di alzarsi totalmente, si tirò semplicemente a sedere rimuovendo perlomeno tracce di pezzi di erba.

Se solo fosse stato capace di utilizzare la propria magia per ripulirsi, se solo le proprie ali non facessero fatica a rimanere aperte in volo, probabilmente avrebbe potuto fare qualcosa in quella situazione anche se per tutti, era morto.

Una creatura tale in meno era un passo per le specie magiche.

Secondo lui stesso, l'avevano quasi certamente scordato e nessuno avrebbe accolto un ibrido simile nella propria casa.

Nemmeno il re stesso.

Le foreste disabitate dalle fate erano oramai la propria casa. Piene di insidie, non attendeva altro che fronteggiare qualche creatura e vedere risvegliare i propri poteri.

O perdere sotto la mano di essa, chissà.

Se cibo era presente si trattava probabilmente di bacche velenose che l'avrebbero portato a rigurgitare tutto nelle ventiquattr'ore successive, solo per ritrovarsi nuovamente a stomaco vuoto.

Solamente la magia poteva porre fine alla sua sofferenza.

Solamente la magia avrebbe potuto curarlo, od ucciderlo.

Erano passati pochi giorni ma era certo di essere stato affetto da qualche malattia arcaica che doveva aver letto in uno dei grossi libri all'interno delle biblioteche pubbliche. Qualcosa che sopprimeva il proprio umore, la propria forza fisica e stabilità mentale.

Con la pioggia che ogni notte si abbatteva sulla propria testa, la terra non era più un letto sicuro. Dopo essere però caduto lì dopo il proprio ultimo straziante volo non aveva avuto modo di guardarsi intorno in cerca di un rifugio.

Una grotta.

Chissà quali esseri l'avrebbero atteso se si fosse mosso anche poco più in là.

Come ogni mattino si guardò intorno alla inutile ricerca di tracce di passaggio di qualche persona, le sue trappole rudimentalmente costruite ancora intatte.

L'inferno non esisteva, per le creature magiche nel Regno. Se, però, avesse dovuto dargli un aspetto, sarebbe stato quel luogo.

 

«Quante persone sono morte nella stessa maniera in cui l'ho fatto io solo per poi essere riportate in vita?»

«Una. Tu.»

Anche quella era una risposta che si era aspettato in modo totalmente prevedibile, la sorte che gli era capitata unica nel proprio genere.

Prese un respiro profondo, iniziando a prestare attenzione alle proprie gambe che dondolavano verso il suolo. Erano in alto in alto, poco sopra di loro le fronde spoglie. Non avrebbero retto molto a lungo anche se probabilmente era solamente lui a pesare qualcosa. Ella era leggera inesistente.

Finalmente, in un moto dell'animo, ancora nel tentativo di avere conforto e qualsiasi accenno ad un parere soggettivo, chiese: «Cosa mi è successo?»

Fu sicuro di udirla sbattere le palpebre. Per quanto fosse impossibile, in qualcuno che a malapena compiva qualche complimento diveniva evidente.

«Qualcuno ti ha maledetto ed ha inserito forzatamente la sua anima dentro la tua. Il tuo cuore è rimasto coperto da un fitto strato di oscurità e, quando sei stato trafitto, è morto il tuo possessore.»

«...Ah?»

Non ricordava molto dei propri ultimi mesi.

L'ultima immagine chiara all'interno della sua mente era un uomo molto più alto di lui e vestito di nero. La sua faccia… non la rimembrava, se non parte di un sorriso palesemente falso e tirato. Sul viso relativamente pallido la fossetta destra era scavata dove l'angolo delle labbra solcava la guancia per formare un sorrisetto di scherno.

Ora come ora, pensandoci in quell'istante, si sentì sciocco per aver dato retta alle parole che uscivano da quella bocca.

L'aveva incantato con poche e semplici parole.

"Capisco la tua sofferenza. Sono come te."

 

Non era la solitudine a fare male.

Nei propri quattro secoli di vita era rimasto solo a lungo, in reclusione.

Da bambino la sua istruttrice era solita prendersela con  lui anche per ciò che gli altri alunni facevano.

Sempre colpa sua.

Sempre e solo colpa di Black.

Veniva mandato all'angolo ed usato come cattivo esempio, la polvere sul pavimento a mattonelle ormai sua amica.

Non meritava nemmeno il cappello della vergogna perché qualsiasi cosa che lui toccasse diventava sporca per tutti gli altri.

Era solo a giocare, ad imparare.

Ciò che riusciva a fargli provare il tanto conosciuto pizzicore agli occhi e la amabile stretta sulla gola era il fatto che avesse perso la vita senza rendersene conto.

Almeno una volta al giorno, spesso poco prima del tramonto, si sdraiava a faccia contro il suolo e ripercorreva tutte le poche cose che sapeva sulla propria memoria recente.

Nel momento in cui tutto incominciava a divenire pezzi confusi e parole sussurrate, ordini ricevuti ed azioni compiute senza volere, le goccioline d'acqua iniziano a scorrere sul suo viso, iniziando a bagnare ciò che la pioggia poco dopo avrebbe continuato.

Quel mattino la sua testa faceva più male del solito e i suoi occhi erano ancora più rossi; la tentazione di dormire ancora di più era forte. Non aveva nemmeno fame, peraltro, la calura che provava non aiutava.

Pensò a quanto dovesse sembrare miserabile; aveva sempre odiato piangere—che fosse per sé stesso o per gli altri—ma come un piagnucolone aveva iniziato a farlo ogni sera, ogni giorno.

Non avrebbe mai rivisto nessuno, in fondo, era in un limbo in attesa di quel fatidico momento in cui sarebbe potuto andarsene per sempre.

Alzò l'indice e tentò di procurarsi una scintilla, di qualsiasi genere, qualsiasi incantesimo che dimostrasse avesse una speranza.

Che vita dell'aldilà infelice, huh.

 

«Era una persona meschina» la Morte disse.

«Eh?» Black, perso nei propri pensieri, si ritrovò interdetto. Una affermazione dal nulla e senza uno scopo.

«Non c'è modo oggettivo di dirlo ma era una persona meschina. Quando ho dovuto accompagnarla all'oltretomba, l'ho percepito. Probabilmente stava aspettando per l'occasione da anni»

Incredulo ancora una volta, egli si sporse in avanti, forse oltre la immaginaria linea di sicurezza, scordandosi per un misero istante che non vi era nessuna faccia da osservare in cerca di prove per la sua veridicità.

Era ciò che voleva sentirsi dire, non era vero? Il fatto che fosse normale essere stati così sprovveduti. Magari aveva studiato proprio Black da mesi solo per usarlo come burattino e usarlo come scudo, solo per non rendersi conto di ciò che sarebbe avvenuto.

«Dav-?»

«È quello che volevi sentirti dire.» 

Si voltò anch'ella verso di lui.

Non vi fu una faccia ad accogliere il suo sguardo sorpreso, solo il nero del vuoto esistente dentro un cappuccio.

«Ti ritieni importante, Black?» continuò quindi la Morte. L'uomo, ragazzo, non vedeva lei, ma la Mietitrice sapeva bene cosa si nascondesse in quelle emozioni.

Iridi blu, quelle di Black, perennemente sul punto di piangere anche se egli non se ne accorgeva. Era Triste, sì, una Triste raccoglitrice di anime: nella propria malinconia, in effetti, era ben capace di vedere quella degli altri.

Non aveva mai dato consigli perché non aveva mai parlato, con nessuno. Era inutile parlare coi morti, rimanevano in silenzio dal momento in cui la vedevano fino al tragitto nella propria tomba. Certi loro come lei di essere finiti. Sicuramente, non avrebbero voluto che le proprie ultime parole fossero dette ad ella.

Un qualcuno privo di vita che non muore era la prima evenienza tale ed il fatto che effettivamente stesse domandando perché non l'aveva sorpresa. Non era lieta, non provava quel genere di emozione, ma aveva compreso tutto lo sconforto all'interno del suo corpicino fragile.

Sguardo evanescente, movimenti chiusi. Sembrava ancora un ragazzino, come tutti gli esseri magici.

Non aveva vissuto abbastanza per morire d'una morte non propria. 

«Io? Importante?» inclinò il capo ancora una volta. Inorridito? Sorpreso?

Crack. Il ramo non avrebbe retto ancora i suoi sbalzi.

Notandolo, ironicamente, egli sobbalzò ancora di più.

Crack.

«I cimiteri sono pieni di persone che pensavano di essere indispensabili. Magari, morirai il giorno in cui troverai la tua vocazione»

«No!»

 «Ci rivedremo allora, Black Hole.»

 

Vocazione?

Rimase ad osservarsi la mano e ad osservare il suo tremolio innaturale.

Quale vocazione poteva avere qualcuno di quella specie?

Un angelo nero.

Un bastardo, un insieme fra un angelo ed un demone.

Non voluto da entrambe le specie, non voluto da nessuno.

Erano poche, le persone come lui. Black era probabilmente la dimostrazione della sorte che tutti si aspettavano gli angeli neri avessero.

Il proprio possessore un'altra.

Così, si era presentato: come di quella specie anche lui. Non ricordava altro, se non l'aver provato una immensa gioia al pensiero di aver trovato un compagno.

Un amico.

Che, naturalmente, l'aveva tradito. 

Tremò, tremò. Indifeso in un posto da cui non poteva spostarsi.

Il suo respiro accelerò come ogni volta mentre tentava di trattenere i singhiozzi, la sua stabilità persa nel momento in cui si lasciò ricadere alla propria sinistra come un peso morto.

Come ogni pomeriggio, come ogni passatempo, mise la mano destra sulla sinistra e se la premette forzatamente contro il petto mentre ancora una volta tentava di usare quell'impeto di emozioni per tirare fuori la magia.

Non poté proteggersi nelle ali scure, macchiate dell'oscurità di un patto demoniaco.

Quanto erano inutili, quelle lacrime.

Voleva solamente una scintilla che sarebbe potuta attecchire.

Voleva solamente le fiamme che lo avrebbero avvolto e, nella loro magia, soffocato. 

Ah, sì.

 

Anche quel giorno, Black Hole avrebbe preferito non essere vivo.

   
 
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