Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: LadyPalma    18/09/2019    6 recensioni
[Storia partecipante al contest "L'enigma dell'Uroboro" indetto da _ Freya Crescent _ sul forum di EFP]
"Nella sua vita non era mai successo nulla di eccezionale, di stravagante o semplicemente di imprevedibile, e ormai a quasi quarant’anni aveva smesso di credere che le circostanze lo avrebbero reso protagonista di una qualche avventura. Ma la verità era che a lui stava più che bene, perché era convinto che solo in questo modo, solo vivendo costantemente nel nulla e nella banalità, il sogno si sarebbe potuto sempre mantenere attivo. Se avesse trovato un senso, di cosa avrebbe scritto poi?"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
POETICI PARADOSSI

 
 
 
Se il mondo di Manfredi si fosse potuto rappresentare con una singola tinta, quella sarebbe stata il grigio. Tuttavia, essendo uno scrittore e non un pittore, preferiva di gran lunga le parole ai colori e quindi sarebbe stato più appropriato descriverlo con l’espressione “sostanzialmente”, un termine che, proprio come il grigio, suonava pesante, monotono e insospettabilmente vuoto. Spesso non era più che un intercalare e allora la sostanza, implicita nella parola, perdeva consistenza ad ogni utilizzo fino a diventare del tutto priva di valore. Per di più era un avverbio, ciò che indica un modo di stare e che da solo non può stare; eppure sostanza per definizione è “ciò che non ha bisogno di altro all’infuori di sé per essere concepito”, per cui “sostanzialmente” come avverbio costituiva inevitabilmente un paradosso.
Paradossale, banale, fragile: tale la parola, così la sua vita. Andava avanti per inerzia, giorno dopo giorno, sostanzialmente insegnando e sostanzialmente vivendo, ma ciò che in reale sostanza faceva era solamente scrivere. Certo, se qualcuno avesse dato un’occhiata alla sua carta d’identità avrebbe letto chiaramente l’etichetta “insegnante”, ma se fosse spettato unicamente a lui il compito di riempire la voce “professione” allora avrebbe scritto invece a caratteri cubitali SCRITTORE. Ecco il mestiere che per eccellenza si poneva tra esistenza e non-esistenza e che poteva rianimare una sostanza ormai tragicamente spenta: scrivere era la vocazione che sentiva, l’occupazione di cui aveva bisogno.
Nella sua vita non era mai successo nulla di eccezionale, di stravagante o semplicemente di imprevedibile, e ormai a quasi quarant’anni aveva smesso di credere che le circostanze lo avrebbero reso protagonista di una qualche avventura. Ma la verità era che a lui stava più che bene, perché era convinto che solo in questo modo, solo vivendo costantemente nel nulla e nella banalità, il sogno si sarebbe potuto sempre mantenere attivo. Se avesse trovato un senso, di cosa avrebbe scritto poi?
Scriveva, infatti, solo del possibile e si trattava secondo lui di un atto di giustizia. Credeva fortemente che tutto ciò che non era mai avvenuto vantasse un sacrosanto diritto ad avere una qualche esistenza sulla carta. A sentir parlare lui, non c’era niente di più tragico del possibile: una coincidenza non notata, un’occasione non sfruttata, un segreto mai svelato e un amore mai ricambiato. E’ in questi casi che tralucono tutta la fragilità del tempo lineare e la potenza del sogno. Non si può tornare indietro no, ma le alternative si delineano da sole sullo sfondo della mente. Mentre si chiudono possibilità concrete, si apre un intero mondo possibile in astratto. La contingenza sparisce, la necessità rimane ed è la possibilità reiterata e rinverdita nel sogno che per uno scrittore diventa necessaria. Oh, cosa può esserci di più tragicamente poetico di un’essenza sempre sul punto di esistere o di una potenza sempre sul punto di diventare atto? Non è ancora il momento, ma intanto quello giusto è passato e l’unico modo che hai per trattenerlo e renderlo infinito è scriverlo su un maledetto pezzo di carta.
Perché, in definitiva, ciò che segna di più un’esistenza sono le cose che non sono mai avvenute.
 
**
 
Se il possibile si fosse potuto rappresentare con una tinta, egli avrebbe scelto il rosa, e mai colore e parola erano stati coincidenti come in quel caso. Rosa, con la r maiuscola, non era il motivo per cui aveva iniziato a scrivere ma il motivo per cui la sua produzione era stata molto più prolifica negli ultimi cinque anni. Erano colleghi, lui insegnava filosofia e lei matematica, ma di due sezioni diverse, lui la C e lei la H. Capitava spesso di incontrarsi nei corridoi, nella sala professori, in qualche riunione o progetto, e ognuno di quei momenti rappresentava per lui l’emblema della possibilità. Com’era bella con i suoi capelli biondi – poco importa se tinti – e i suoi occhi neri e profondi – poco importa se stanchi – . Era bella e neanche uno scrittore abile come lui avrebbe saputo spiegare a parole il perché. Poteva descrivere benissimo ogni curva del suo corpo – dalle semicirconferenze dei suoi fianchi alla parabola ascendente del suo tipico sorriso incerto –, ma non avrebbe potuto che alludere vagamente al groviglio di emozioni che i dettagli di quella figura umana potevano suscitare in lui.
La amava come non aveva mai amato nessuna, perché su nessuna aveva mai avuto voglia di scrivere. In questo stava però la tragedia: poteva avere storie con tutte le donne del mondo, ma mai, mai, con Rosa. Lo aveva deciso nel momento in cui aveva fatto coincidere lei con il possibile, che per essere tale non deve avere mai certezza. Avrebbe potuto avvicinarla (non sarebbe stato affatto difficile) e parlarle (la scusa non sarebbe mancata di certo), ma il punto era che non voleva e ciò che lo bloccava era sempre l’assurda eticità del filosofo scrittore. Non era un amore impossibile, era un amore possibile, possibilissimo e così sarebbe dovuto restare, per mantenere il suo stato di perfezione. Altrimenti cosa sarebbe successo? L’atto distrugge la potenza, l’esistenza corrompe la perfezione dell’essenza e il sublime si sarebbe inevitabilmente disciolto nel banale. La felicità era banale, temeva la felicità come la nemica assoluta dell’ispirazione.
Del resto chi è felice mica scrive, chi è felice vive.
Ecco che allora ad ogni minima occasione di approccio lui si ritraeva prontamente come scottato, arrivando talvolta ad apparire brusco e scostante. Voleva averla e stare con lei, ma allo stesso tempo voleva anche scrivere su di lei interminabili poesie e indirizzarle infinte lettere d’amore, provare a dipingere i suoi occhi con una penna e a indovinare (solamente indovinare) il suono che faceva quando rideva per davvero. Solo dopo aver portato a termine questa missione, solo dopo aver spremuto la possibilità in tutte le sue probabili manifestazioni e solo dopo aver scritto su di lei “ciò che non era stato mai detto di alcuna”*, avrebbe finalmente accettato di essere normale, banale e felice. Si sarebbe fatto avanti solamente quando la possibilità di lasciarsela scappare tra le dita avrebbe smesso di dilaniarlo. Intanto, poteva solo dire di no: era questo il duro precetto che imponeva la logica, non quella fredda dei ragionamenti, ma quella bollente e divampante dell’ispirazione letteraria.
E così la vedeva e invariabilmente, non senza un sempre più stringente peso al cuore, la lasciava andare. Passandole accanto casualmente, sembrava sussurrarle frammenti di poesia o di delirio che dalla sera precedente gli erano rimasti incastrati nella testa. Senza parlare, la pregava di restare lì a un soffio da lui, senza che il Destino soffiasse mai troppo forte; la implorava di farsi vedere più spesso, eppure allo stesso tempo di non farsi vedere mai più.
E intanto confidava nel potere delle parole di riuscire a tenere in piedi questo e tutti gli altri poetici paradossi.
 
 
*Il riferimento è ovviamente a Dante e la sua frase su Beatrice nella Vita Nova.






NDA: Lo scopo del contest cui questa storia partecipa era di descrivere una situazione di stallo in cui accadono sempre gli stessi eventi e, nel leggere il bando, mi è venuta in mente questa storia che giaceva da tempo sul mio PC. Manfredi, il mio personaggio, vive precisamente tutta la vita in questo modo e per una singolare scelta personale. 
Una nota sullo stile e sui temi "un po' filosofeggianti" mi sembra necessaria: questa storia è nata sull'onda del romanzo che ho pubblicato l'anno scorso (da una casa editrice piccolina quindi non c'è assolutamente modo che lo conosciate ahaha) che ha al centro proprio il tentativo di far incontrare le emozioni (e in particolare l'amore) con la logica-filosofica. In definitiva, la possibilità è un tema che mi è molto a cuore, per cui spero davvero che questa one-shot vi sia piaciuta!
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: LadyPalma