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Autore: mido_ri    20/09/2019    1 recensioni
Aleksey e Alaric sono uniti da un insolito legame che permette all'uno di percepire sensazioni e pensieri dell'altro.
Isolati dal mondo intero, tristi e diversi, si incontrano e realizzano di non essere soli, ma di essere destinati a ricongiungersi dopo una lunga e inspiegabile separazione.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Terzo

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 Hai la faccia piena di stelle.

Ma cosa diavolo mi era saltato in mente? Eppure sentivo che in quel momento non c'era nessun'altra cosa al mondo che avrei potuto dire. 
Il ragazzo sembrò non badarvi neanche e mi rivolse un altro sorriso cortese, anche se ero più che sicuro che il suo vero modo di sorridere era ben diverso; quelli che lui mi mostrò quel giorno non erano altro che sorrisi di circostanza, di quelli che si rivolgono alle persone più grandi per sembrare educati, anche se in realtà si sta morendo di noia. In parole povere era quel tipo di sorriso che mettevo su anche io ogni giorno.

- Grazie. E tu hai la pelle molto chiara. Sei straniero?

Non mi aspettavo una risposta del genere.

- Mio padre è svedese, ma tu lo sembri molto più di me.

- Io?

Si alzò una manica del giubbotto troppo lunga e osservò la propria mano, come se avesse dimenticato com'era fatta la sua pelle.

- È perché non esco quasi mai, soltanto per venire a scuola.

- E d'estate non vai al mare? Qui non è malaccio.

- Non ho nessuno con cui andarci.

Giusto, allora eravamo sulla stessa barca: neanche io mettevo il naso fuori in estate perché non avevo amici, ma mi sarei sentito troppo sfigato a dirlo ad alta voce lì in mezzo. Che conversazione insolita, però.
Alla fine decisi di sedermi accanto a lui perché, dal momento che io stavo in piedi, doveva alzare la testa di continuo per potermi guardare. Contrariamente a come mi aspettavo, quel ragazzo non era poi così strano, anzi, se la cavava molto meglio di me e, in quanto a essere introverso, mi stracciava.

- Allora... com'è che ti chiami?

L'altro "Al" si voltò con un'espressione confusa.

- Intendo: qual è il tuo nome completo? Io mi chiamo Aleksey, Aleksey Bergström.

- Oh... va bene se continuo a chiamarti Al?

- Se vuoi. Sempre meglio che sbagliare il mio nome come fanno tutti. E il tuo?

- Alaric Clayton.

- Wow, niente male. Sei un nobile per caso?

- No, ma anche il mio nome viene sempre pronunciato male.

- Perché? Non mi sembra così complicato.

- Le persone lo pronunciano come se la prima "a" fosse accentata, invece è la seconda.

Sospirai e appoggiai la testa al finestrino.

- Brutta storia. Dovremmo andare in giro con una targhetta attaccata ai vestiti che spiega la pronuncia esatta dei nostri nomi.

Alaric rise, ma lo udii a malapena per via del chiasso. In ogni caso ipotizzai che il suo tono di voce fosse essere basso di natura.

- Hey, la mia fermata è la prossima.

Il biondo sussultò e raccolse in fretta lo zaino da sotto il sedile. Di sicuro la sua fermata non era la stessa ma, nel breve tragitto, travolti entrambi da una strana sensazione dovuta all'impatto del primo incontro, ci eravamo dimenticati di parlare del vero motivo per cui avevamo deciso di incontrarci, o meglio, per cui lui aveva deciso di incontrarmi.
Scendemmo insieme sulla stradina che proseguiva diritta e sulla quale si affacciavano, da entrambi i lati, due file parallele di villette a schiera. Io vivevo in una di quelle e non ne ero per nulla felice. Insomma, la zona era piuttosto tranquilla (un vero mortorio come l'intera città), ma era proprio quello il problema.

- Abiti molto lontano da qui?

- No, anche io abito ad Hopewell.

- E casa tua dista molto a piedi?

- No, soltanto un chilometro.

Annuii e mi misi le mani in tasca. Sapevo perfettamente di cosa avremmo dovuto parlare, ma allo stesso tempo ero terrorizzato di iniziare quel discorso e di sapere quale sarebbe stato il suo esito; inoltre sarebbe stato alquanto bizzarro parlare con uno sconosciuto di come fossimo riusciti a comunicare attraverso la mente. Che situazione... e pensare che quello doveva essere il mio giorno fortunato.

- Al, mi sento a disagio.

Il biondo spostò il peso da un piede all'altro facendo rotolare diversi sassolini. Non potevo vederlo bene in viso perché aveva il capo chino e i capelli davanti agli occhi, ma notai che si stava mordendo le labbra.

- Anche io. È difficile credere che non sia solo un sogno...

- Inizia tu.

- Mmh... d'accordo, ma non farmi parlare da solo.

L'altro scosse la testa continuando a tenere lo sguardo inchiodato al suolo.

- Dunque... ieri sera mi hai fatto prendere un bello spavento. Anche se in realtà non è la prima volta che ti sento... o almeno credo.

Alaric alzò finalmente la testa e fece del suo meglio per guardarmi negli occhi, nonostante io stessi evitando il suo sguardo di proposito.

- Ieri è stata la prima volta che ho provato a chiamarti.

- Quindi è capitato anche a te di... di sentirmi?

Cavolo, quanto mi sentivo idiota a dire quelle cose, ma almeno non ero l'unico ad avere quel problema. 
Il biondo aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente, come se avesse deciso di ripensare a ciò che aveva da dire. In quel momento sentii la voce di mia madre che si era affacciata al cancelletto d'ingresso.

- Al! Che stai combinando? La cena è pronta!

Ma cambiò espressione quando notò che con me c'era Alaric.

- Non fare tardi!

Ridacchiai e mi voltai di nuovo verso Alaric ma, ecco, lui non c'era. Era sparito, si era volatilizzato, puff.

* * *

Non appena mi sedetti a tavola mia madre mi fulminò con lo sguardo.

- Che c'è? Dici sempre che devo trovarmi degli amici.

- Al, mi hai ascoltato questa mattina?

- Sì, oggi sarà una giornata fantastica e domani... WOOSH! Un uragano spazzerà via la casa, giusto?

Mio padre alzò la testa soltanto per rivolgermi uno sguardo complice, poi si rituffò con la faccia nel piatto e riprese a mangiare silenziosamente.

- Qualche volta dovresti provare a prendere sul serio quello che dico.

- Fosse facile... E comunque cosa c'entra quel ragazzo con questa storia?

- Lo hai conosciuto oggi?

- Sì, più o meno... e allora?

- Lo sapevo!

La donna si mise le mani nei capelli e mi rivolse un'espressione di terrore, poi si voltò verso mio padre e gli diede una pacca sulla schiena.

- E tu non dici niente?

L'unica risposta che fu in grado di dare quell'altro fu tossire perché gli era andato il cibo di traverso.

- Mamma, smett-

- Non incontrarlo più!

- Tranquilla, dopo averti visto è scappato a gambe levate.

- E se fosse lui?

Lui cosa?

- L'avvenimento positivo.

Mi sbattei il palmo sulla fronte e decisi di rinunciare a trovare un accordo con mia madre, cosa che cercavo di fare da circa diciassette anni.

Cenai in fretta e mi chiusi a chiave nella stanza da letto. Ho dimenticato di dire che la mia camera si trovava al piano superiore rispetto al salotto e alla cucina e un po' più in alto di quella dei miei genitori. Era una vera e propria mansarda con la finestra nel soffitto; infatti quando la lasciavo aperta mi capitava di trovare qualche strano uccello in giro per la stanza. Il soffitto consisteva in diverse assi di legno allineate e costruite artigianalmente. Erano stati proprio i miei nonni, i genitori di mia madre, a costruire quella piccola villa. Da lì in poi il comune aveva deciso di affiancarvi tutte le altre, costruendole in modo simile.

Mi stesi a pancia in su sul letto, avendo rinunciato in partenza a fare i compiti. E come avrei potuto? La mia testa era un manicomio.

L'avvenimento positivo...

Sospirai e mi posizionai di fianco abbracciando il cuscino. Mi chiesi se in fondo mia madre non avesse davvero ragione, in qualche modo. Avevo conosciuto Alaric proprio quel giorno, anche se non era un'affermazione esatta. Era da anni che lo portavo con me, eppure non lo avevo mai visto e non avevo idea di chi fosse. Vivevamo nella stessa città da sempre, ma non mi sembrava di averlo mai incontrato neanche a scuola. Possibile? Allo stesso modo anche lui sembrava vedermi per la prima volta. 
Chissà perché era andato via in quel modo... Doveva essere davvero spaventato, anche se era stato lui a chiedermi di parlare faccia a faccia e non mi era sembrato poi così scosso. Pensai a quello per tutta la sera e, nonostante la miriade di brutti presentimenti e strane sensazioni che convergevano dentro di me, speravo vivamente di rivederlo il giorno successivo per poter continuare il discorso.

* * *

Ma Alaric non si fece vivo né quella notte né il giorno successivo a scuola e così per tutta la settimana. Avevo perfino smesso di percepire i suoi movimenti e le sue sensazioni, come se dall'altra parte non ci fosse assolutamente nulla. Spaventato com'ero, avevo deciso di non contattarlo i primi giorni, ma poi i miei sospetti crebbero a dismisura e non potei più aspettare. Se avessi saputo quale classe frequentava avrei evitato di chiudermi nel bagno per un'ora intera nel vano tentativo di contattarlo. Mi faceva male la testa e mi sentivo un idiota mentre cercavo di raggiungere un'altra persona con il pensiero. Più il tempo passava, più cominciavo a dubitare di cosa fosse successo realmente e cosa no. Ricordavo alla perfezione di aver parlato con Alaric, ricordavo ogni parola che mi aveva rivolto. Ma riguardo alla nostra prima conversazione... avevo cominciato a pensare che non fosse esistita davvero.

Mi appoggiai con le spalle al muro e scossi la testa. Non c'era verso di rintracciare quel ragazzo, era come se fosse scomparso completamente. E se era vero che aveva bisogno di prendere il mio stesso scuolabus per tornare a casa, allora perché non lo avevo più visto?

* * *

Trascorsero altri cinque giorni e, esattamente come la mattina in cui avevo sentito la sua voce per la seconda volta, anche quel giorno aveva cominciato a nevicare. Stavo tornando a casa, ero sullo scuolabus e guardavo fuori dal finestrino con indifferenza, come al solito. Quando il primo fiocco di neve si scontrò con il vetro spesso, lo scambiai per un pezzo di carta e non vi prestai particolare attenzione. Poi arrivò il secondo e così tutti gli altri. Il mio cuore cominciò a battere più velocemente per motivi inspiegabili. Non appena la vettura si fermò, mi precipitai all'esterno e mentre il bus avanzava, lasciando sempre più spazio al paesaggio retrostante, il mio cuore prese a battere ancora più forte. Quando ebbi la visuale completamente libera, trattenni il respiro.

- Alaric... sei qui.

Il ragazzo annuì e attese che io lo raggiungessi, senza fare un passo.

- Che fine avevi fatto... Io... Oh, cavolo...

Lo abbracciai con forza, ma mi allontanai dopo pochi secondi, temendo di aver esagerato.

- E questo per che cos'era?

- Sono solo felice che tu esista, pensavo di essere diventato completamente pazzo. Che fine avevi fatto?

- Influenza.

- Oh... è per questo che non riuscivo a contattarti?

- Ti ho sentito.

- Ah... allora scusa se ti ho disturbato.

- No, mi ha fatto piacere sapere che eri preoccupato per me.

Alaric sorrise e tirò su con il naso, ma era tutto così macchinoso nelle sue parole e nelle sue azioni.

- Nevica anche oggi. Hai intenzione di ammalarti di nuovo stare a casa altre due settimane? Vieni dentro.

Ma il biondo inchiodò i piedi a terra e scosse la testa.

- Meglio di no.

- Perché?

- Tua madre mi odia.

- No, perché dici questo?

Be', in realtà mi aveva pregato di non incontrarlo più, ma non credevo ai suoi deliri sull'arte divinatoria.

- Mi ha guardato in un modo strano l'ultima volta. Non vuole che io stia con te, vero?

- Nah, avrai frainteso. Mia madre già ti adora, mi ha chiesto subito il tuo nome.

- D'accordo, ma solo finché non smetterà di nevicare.

- Okay.

Guidai Alaric dentro casa, sperando di non terrorizzare mia madre. La donna si affacciò seduta stante per segnalare la sua presenza nel soggiorno, ma la mascella le cascò e sembrò dimenticare ciò che voleva dire.

- Oh... hai portato il tuo amico. Ciao... uhm... com'è che ti chiami?

- Alaric.

Il biondo mi guardò solo per una frazione di secondo, ma potei comunque percepire il suo disappunto.

- A-Alaric... ciao, vuoi unirti a noi per cena?

Il biondo scosse la testa e ringraziò mia madre con voce così bassa che dubitai lei lo avesse sentito davvero.

- Rimarrà qui finché non smette di nevicare.

Salii in fretta le scale; osai voltarmi soltanto una volta, ma preferii non averlo fatto, perché mia madre mi fissò con sguardo omicida.

Invitai Alaric a sedersi sul letto e presi il suo giubbotto zuppo di neve.

- Mi hai detto una bugia.

- Sì, hai ragione, ma non è esattamente come credi. Mia madre non ti odia, è solo un po'... svitata.

Mi sedetti accanto a lui e provai a ritornare sulla chiacchierata che avevamo lasciato in sospeso ma, quando mi voltai, notai che aveva la testa sollevata e lo sguardo rivolto verso la finestra che spezzava il perfetto susseguirsi delle assi di legno del soffitto. Sul vetro si era accumulata molta neve, cosicché era impossibile vedere il cielo.

- Ti piace?

- Che cosa?

- La neve, intendo. Ti piace?

- Preferisco quando non c'è.

Mi rispose continuando a guardare in su. Anche se lo vedevo di profilo, potevo chiaramente distinguere le lentiggini sul suo naso e sulla sua guancia. Aveva ragione: anche io preferivo quando la neve non c'era. Copriva tutto, nascondeva ogni cosa. Era spaventosa.

- Strano, anche la prima volta che abbiamo parlato nevicava.

- Credi nelle coincidenze?

- Se non conoscessi te, ti risponderei di sì.

- Quindi credi che io sia venuto qui apposta perché nevica?

- Mi piace pensarlo.

- Allora te lo lascerò credere.

Alzai anche io la testa e rabbrividii alla sola vista di tutta la neve che si era posata sul vetro, non vi ero per nulla abituato.

- In che senso?

Questa volta fu Alaric a voltarsi e a guardarmi. Potevo vederlo soltanto con la coda dell'occhio, aveva la solita espressione di indifferenza.

- Dimmi, la realtà è oggettiva o soggettiva?

- Soggettiva, credo.

- Allora se ti fa felice credere che io abbia scelto di incontrarti questo giorno soltanto perché nevica, non ti dirò il contrario, anche se potrebbe essere andata diversamente.

Gli angoli della bocca mi si sollevarono istintivamente. Lo avevo giudicato male in precedenza: quel ragazzo ci sapeva fare con le parole.

- Perché sorridi?

- Ti facevo più silenzioso.

- Già, ho parlato troppo.

- No! Continua, se vuoi. Mi piace ascoltarti.

- L'ultima volta non ho risposto alla tua domanda.

Annuii e mi preparai a fare attenzione a ogni sua parola.

- Sì, mi è capitato di sentirti molte volte. Non la tua voce, ma... Non so spiegarlo. Ho provato a contattarti perché volevo una spiegazione, ma a quanto pare nessuno dei due sa niente.

- Come hai fatto a capire che sono una persona? Insomma... io ero convinto che si trattasse di un problema del mio corpo o della mia mente.

- L'ho capito perché ho percepito i tuoi sentimenti.

- I miei... E che cosa hai sentito di preciso?

- La tua gioia, la tua tristezza, la tua frustrazione, tutto.

- Ma non pensavo fosse qualcosa di così forte da poter essere percepito perfino da te.

- Inconsciamente lo erano, forse.

- Mh... anche io ho sentito i tuoi sentimenti a volte, ma pensavo che...

- Non dirlo.

Alaric si protese in avanti e tentò di coprirmi la bocca con una mano, ma la ritirò subito dopo, rendendosi conto di aver agito d'impulso.

- Perché?

- Non voglio che tu ti faccia una cattiva idea di me, posso ancora migliorare.

- Pensi che io possa giudicarti soltanto perché sei triste? Non è mica colpa tua.

- Sì, che lo è.

- Allora ti insegnerò io a essere felice.

- Ma tu non sai-

Questa volta fui io a coprirgli la bocca con la mano.

- Impareremo insieme.

Alaric strinse la mano premuta sul suo viso, ma non la lasciò dopo averla spostata.

- E non hai paura?

- Paura di cosa?

- Di me, di noi... di questo.

Si indicò la testa e aggrottò la fronte, stava facendo uno sforzo enorme per parlare. Cercava di nascondere il suo essere irrequieto, febbricitante, tanto che sospettai che non fosse guarito del tutto.

- Paura? Sì, tanta. Ma non di te né di me né di noi. Se c'è qualcosa di cui avere davvero paura, non siamo né io né tu, ma è qualcosa che non possiamo comprendere. Tutte le cose che non possiamo comprendere sono terrificanti, ma io posso comprendere te e tu puoi comprendere me attraverso questo legame speciale. Quindi... hai paura di me?

Alaric scosse la testa debolmente, continuando a rivolgermi uno sguardo indecifrabile, con gli occhi che sembravano fremere al posto del corpo intero.

- Perfetto, perché neanche io ho paura di te.

- Ma ci siamo appena conosciuti e non sappiamo neanche cosa sia questa cosa che ci lega. Sei sicuro di voler essere mio amico?

Non saprei dire in quale preciso istante i nostri ruoli si fossero scambiati. Fino a qualche attimo prima ero io quello indeciso di fronte alla calma spiazzante dell'altro; subito dopo eccomi lì a tranquillizzarlo con parole piene di coraggio, come se i nostri animi si fossero invertiti.

- Hai dimenticato una cosa importante, Al. Noi non ci siamo appena conosciuti, ci siamo sempre conosciuti.

Come se i nostri animi fossero uno.

  
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