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Autore: mido_ri    23/09/2019    1 recensioni
Aleksey e Alaric sono uniti da un insolito legame che permette all'uno di percepire sensazioni e pensieri dell'altro.
Isolati dal mondo intero, tristi e diversi, si incontrano e realizzano di non essere soli, ma di essere destinati a ricongiungersi dopo una lunga e inspiegabile separazione.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quarto

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Avevo paura, una paura matta. Ora che Alaric era andato via, avevo realizzato appieno la realtà dei fatti: ormai non potevo più affidarmi alla misera giustificazione che fosse tutto frutto della mia fantasia. Ma non avevo paura di Alaric, anzi, sebbene la sua esistenza fosse la concretizzazione dell'ombra che mi aveva seguito per anni, era pur sempre qualcuno che mi capiva, che mi aveva fatto compagnia dal momento in cui avevo realizzato di essere completamente solo. Ed ero sicuro che per lui era lo stesso. Forse il peso che mi aveva schiacciato lo stomaco per ben quattro anni, non erano la paura o il dubbio o la confusione, ma l'anima di lui che aveva scelto di affidarsi a me così come la mia aveva scelto di affidarsi a lui. Ed entrambi ci saremmo presi cura delle nostre anime.

* * *

Mi alzai all'improvviso non appena sentii il trillo del campanello e raggiunsi la porta quasi correndo per precedere mia madre. Mi tolsi le briciole di dosso e aprii.

- Buongiorno, Al.

Il ragazzo mi salutò con la mano e, se non lo avessi avuto di fronte, non avrei capito che aveva ricambiato il mio buongiorno anche a voce.

- Vuoi fare colazione con noi?

Mia madre si affacciò con una tazza di caffè fumante fra le mani e un sorriso forzato stampato sul volto. Diamine, non poteva cercare di essere meno esplicita?

- No, grazie.

- Come?!

- Mamma, ha detto di no. Andiamo?

Ma non feci in tempo ad allungare il braccio verso l'appendiabiti, che la donna mi tirò per un orecchio.

- Al! Finisci di fare colazione.

- Sissignora...

Alaric si sedette a tavola accanto a me, ma non osò toccare nulla. Stava lì composto come una marionetta, senza muovere un muscolo. Mia madre aveva optato per fare colazione in piedi, appoggiata al piano da cucina, e faceva finta di bere il suo caffè mentre in realtà scrutava Alaric con attenzione.

- Sicuro di non voler mangiare? Hai fatto colazione?

Il biondo scosse la testa, i pensieri chissà dove.

Una volta pronto, trascinai Alaric fino alla porta e salutai mia madre di sfuggita.

- Cosa ti dà la forza di venire qui a piedi alle sette di mattina?

L'altro alzò le spalle e schiuse le labbra, ma non disse niente.

- Puoi rispondere, sai?

- Sì.

Mi frugai un po' nelle tasche ed estrassi una merendina confezionata che avevo sottratto da un mobile mentre mia madre era distratta.

- Tieni, non fa bene iniziare la giornata a stomaco vuoto.

- Ma...

Scartai la merendina e gliela infilai in bocca senza troppe cerimonie. Sorrisi alla vista di Alaric che tentava di mostrarsi serio anche con la bocca piena e sporca di cioccolata. Proprio in quel momento mi venne un'idea.

- Al, ho dimenticato una cosa, mi accompagni?

- Che cosa?

- È un segreto.

Cominciai a guidarlo sul viale ricco di pietruzze, sicuro che si stesse chiedendo perché lo stessi portando da tutt'altra parte, e a buon diritto: in realtà non avevo dimenticato un bel niente.

- Al, abbiamo superato casa tua da un pezzo. Dove mi stai portando?

Alaric mi raggiunse, ma si fermò di nuovo e si piegò sulle ginocchia poiché il fiato già scarseggiava.

- Abbiamo fatto a malapena venti metri, ce la fai?

- Sì, andiamo.

Si aggrappò al mio zaino e riprese a camminare.

- Vedi quello?

- È una capanna?

- Preferisco chiamarlo osservatorio.

Giunti davanti alla costruzione in legno, spiegai ad Alaric in che modo arrampicarsi. Quella baracca era piena di attrezzi per il giardino su cui, dopo la morte dei miei nonni, nessuno aveva messo più mano. Dalla finestra della mia stanza, arrampicandomi a dovere, potevo vederla benissimo. Vi potreste chiedere perché preferissi salire sul tetto della capanna in legno anziché su quello della mia casa; be', la capanna costruita dai miei nonni aveva il tetto a cupola ricoperto di soffice fieno, a differenza di quello in pendenza e pieno di escrementi di uccelli di casa mia.

Mi arrampicai per primo, poi mi chinai e allungai il braccio verso Alaric per aiutarlo a salire. Sembrava molto affaticato, evidentemente non era abituato a fare cose del genere. Ci sedemmo l'uno accanto all'altro ma, quando lo invitai a stendersi, lui rifiutò.

Da quella posizione avrei potuto vedere perfettamente il suo viso se non avesse alzato la testa per guardare in alto, come aveva fatto anche nella mia stanza il giorno precedente.

- Ti piace proprio tanto, eh?

- È un po' scomodo.

Sorrisi e gli lanciai una manciata di fieno che gli si sparpagliò sulla testa e le spalle, ma lui non batté ciglio.

- Mi riferisco al cielo, ti piace?

- È la seconda volta che me lo chiedi.

- Ieri ti ho chiesto se ti piacesse la neve.

- E quindi ora vuoi sapere se mi piace il cielo nuvoloso?

Scossi la testa anche se non poteva vedermi.

- Voglio sapere perché stai sempre con il naso all'insù.

- Soltanto perché me l'hai visto fare un paio di volte. Stavo pensando a una cosa...

- Sì?

Allungai una mano verso le sue spalle per far cadere l'erba secca che gli avevo gettato addosso, ma la ritirai con il timore di infastidirlo.

- I tuoi occhi e il cielo oggi sono dello stesso colore.

Il mio sguardo rimase inchiodato sulle sue spalle e sussultai quando si voltò. Aveva un volto inespressivo, ma chissà perché quando mi guardava in quel modo riuscivo sempre a capire che stava pensando a qualcosa di importante.

- Perché?

- È così e basta, non c'è un motivo.

Si voltò di nuovo e rivolse la testa verso il cielo.

- Al...

- Lo so: non dico mai le cose senza un motivo preciso. Ma voglio che questa volta sia tu a indovinare.

Sorrisi spontaneamente e spostai anche io lo sguardo verso il cielo.

- Come se fosse facile dirlo a parole.

- Non devi usare parole difficili.

- Stai cercando di associarmi a un cielo nuvoloso?

- Sì, esatto. Quando il cielo è nuvoloso vuol dire che sta per piovere. Le nuvole sono grigie e cariche di pioggia, eppure fino a un attimo prima che cominci a piovere è tutto così calmo. Se non lo sapessi già, non ci crederei.

- Al, non sei stato chiaro neanche questa volta.

Il ragazzo si voltò e fissò i suoi occhi nei miei con tale prepotenza che sentii dileguarsi in me ogni accenno di quell'atteggiamento sfacciato.

- Secondo te è facile capire quando un cielo pieno di stelle è triste?

- Lo è sempre.

- Perché?

La mia esitazione nel rispondere si tradusse in un leggero tremito delle labbra.

- Tutto ciò che è immortale è infelice.

Finalmente Alaric sorrise, di modo che anche i suoi occhi feroci divennero mansueti.

- E un cielo nuvoloso è immortale?

- No.

- Ma è comunque infelice?

- Questo non lo so.

- La risposta è: sì.

Mi morsi il labbro inferiore e lanciai un'occhiata inquieta al cielo sovrastante, così calmo ma minaccioso allo stesso tempo.

- Più di un cielo stellato?

- Un cielo nuvoloso è infelice perché è costretto a nascondere la sua stessa infelicità, ma un cielo stellato non può mentire.

Scossi la testa, indossando un'espressione confusa.

- Non capisco.

Alaric si protese verso di me e abbassò il tono di voce, come se non fosse già abbastanza simile a un sussurro.

- Vuoi essere la mia scusa per essere felice?

Mi sciolsi in una risata, da quanto tempo non succedeva? Riuscii a cacciar fuori un "certo" fra i sorrisi e fui ricambiato con uno sguardo ricco di gratitudine.

- Sono felice di essere diventato tuo amico, Al.

- Anche io, Al.

Mi ricomposi e chiesi ad Alaric il permesso di sistemargli i capelli. Lui annuì e piegò un po' la testa all'indietro. Proprio in quel momento mi ricordai di una cosa.

- Hey, non mi dici nulla?

- Mh?

- Abbiamo perso lo scuolabus da un bel po', te ne sei accorto, vero?

- Ho capito che l'avremmo perso nel momento in cui mi hai chiesto di accompagnarti.

- E non sei arrabbiato?

- No, tanto avrei trascurato le lezioni per parlare con te.

Quella risposta così schietta mi sorprese alquanto, tanto che la mia mano rimase sollevata a mezz'aria, con una ciocca dei suoi capelli biondi incastrata fra le dita.

- Che c'è?

- Oh... Credo che stia iniziando a piovere.

Infatti una goccia fredda aveva appena colpito il dorso della mano che avevo arrestato all'improvviso. La goccia fu seguita da innumerevoli altre, finché non si scatenò un temporale prima che potessimo accorgercene. 
Io e Alaric scendemmo in fretta dal tetto della capanna e corremmo verso l'ingresso della casa, io ridendo e urlando, lui sorridendo in silenzio.

- Aspetta!

Afferrai la sua mano e lo attirai con me sotto il portico, appena dietro l'angolo. Mia madre era davanti al portone d'ingresso e tentava di aprire un vecchio ombrello. La vidi entrare in macchina e allontanarsi senza accorgersi di nulla. Tirai un sospiro di sollievo e mi affrettai a infilare le chiavi nella serratura.

- Mia madre si sarebbe incavolata da matti.

In risposta ricevetti un'occhiata carica di disappunto, poi una frase pronunciata con diffidenza.

- Credo proprio che tornerà prima della fine delle lezioni.

- Sicuramente, ma di solito non entra nella mia stanza quando non ci sono.

Lo condussi in bagno e gli porsi un asciugamano per sistemarsi i capelli. Ora che erano bagnati fradici si mostravano con una tonalità molto più scura, che non stonava più di tanto con quegli occhi grandi e castani.

Quando fummo entrambi in una condizione migliore, Alaric mi chiese se poteva sedersi sul mio letto, poiché sentiva freddo. Gli feci togliere le scarpe e gli porsi una coperta. Quanto a me, non ero solito sentirmi così a terra dopo una corsa sotto la pioggia e pensai nuovamente che Alaric non fosse affatto abituato a stare all'aperto, soprattutto d'inverno. Forse era proprio per questo che si presentava con un fisico ben diverso dal mio: era più basso e snello e, nonostante io non fossi per niente un tipo atletico, in confronto a lui lo sembravo.

Mi sedetti accanto a lui, collocandomi volutamente a una distanza considerevole. Dopo la chiacchierata di pochi minuti prima, la mia mente aveva seguitato a chiedersi con insistenza se non ci fossimo avvicinati troppo nel giro di pochi giorni. In realtà, nonostante la possibilità di comunicare tramite il pensiero, io e Alaric ci imbattevamo in argomenti stimolanti soltanto quando eravamo fisicamente vicini; infatti, dopo la nostra prima chiacchierata, non avevamo fatto più uso di quello strano potere. Forse volevamo semplicemente sentirci più normali di quanto non fossimo. Vero è che molte persone ricercano la felicità nella diversità; noi, invece, stavamo inconsciamente cercando un po' di normalità in una schiacciante e bizzarra monotonia. 
Ripensai alle domande che Alaric mi aveva rivolto il giorno precedente con la voce animata da un chiaro sentimento di stupore e gioia, quando gli avevo espresso il mio desiderio di diventare suo amico: sebbene avessimo entrambi la sensazione di conoscerci da tempo, questa sicurezza valeva soltanto sul piano astratto. Avevo bisogno di sapere qualcosa in più su di lui, qualcosa in più oltre al suo nome e alla sua corrispondenza con il cielo.

- Al? Posso farti una domanda?

- L'hai già fatto.

Si strinse di più nella coperta e mi guardò chinando il capo e sollevando leggermente le gambe da terra, come a chiedermi silenziosamente se potesse appoggiarle sul letto. Annuii e attesi che si portasse le ginocchia al petto prima di parlare.

- Dimmi, cosa fai di solito? A parte studiare, mangiare e dormire, ovviamente.

Alaric assunse un'espressione pensosa senza però distogliere lo sguardo dalla mia faccia, che esprimeva curiosità da ogni dove.

- Uhm... solitamente mi riposo. Sai, mi sveglio presto e quando torno da scuola sono molto stanco.

- A che ora ti alzi la mattina?

- Alle sei. E tu?

- Circa dieci minuti prima che passi lo scuolabus.

Mi grattai la nuca fingendo imbarazzo, mentre in realtà ero molto fiero delle mie abitudini mattutine, visto che riuscivo a fare colazione e a vestirmi in pochi minuti.

- Scommetto che la sera vai a dormire tardi.

- Scommetti o lo sai già?

- Spesso riesco a percepire quando non dormi. Mi sveglio nel bel mezzo della notte per motivi sempre diversi.

- Già, ho notato che quando siamo entrambi molto stanchi o sul punto di addormentarci, siamo molto più sensibili a... questa cosa.

Alaric strinse le palpebre nel vano tentativo di rifilarmi un'occhiataccia.

- È per questo che la notte dovresti dormire, invece di combinare chissà cosa.

- Be', quando non riesco a prendere sonno guardo dei film.

- Vorrei sapere che genere di film...

In quel momento mi accorsi che il rossore e il disappunto impressi sul viso di lui, non erano altro che la trasposizione dei miei sentimenti. Questa volta Alaric aveva colpito nel segno.

* * *

Alla fine Alaric optò per scappare dalla finestra non appena sentì la porta di casa aprirsi verso mezzogiorno, ma lo trattenni a stento mentre cercavo di convincerlo che era un'idea folle e che non se la sarebbe cavata con un solo osso spezzato. Ancora non riuscivo a capire perché lo infastidisse così tanto vedere mia madre, ma non volevo neanche costringerlo a stare nella stessa stanza con lei, visto che lo faceva sentire estremamente a disagio. 
Chiusi la porta a chiave e intimai all'altro di fare silenzio. Lo rassicurai dicendogli che dopo pranzo mia madre sarebbe uscita di nuovo, poiché quel giorno la attendeva anche un secondo turno di lavoro verso le due. 
Il biondo si avvolse di nuovo la coperta attorno alle spalle e si chiuse nel suo solito silenzio contemplativo. Io, invece, decisi di passare il tempo giocando al cellulare, dal momento che era palese che ad Alaric era passata la voglia di chiacchierare. In quei pochi e strani giorni di conoscenza avevamo parlato tanto, ma quel tanto riguardava quasi interamente me.

Non riuscivo a vedere Alaric in faccia, cosa che mi infastidiva non poco, dal momento che non si era mosso di un millimetro nell'ultimo quarto d'ora e continuava a darmi le spalle. Mi protesi sul suo corpo rannicchiato, ma lui non si accorse di nulla. Gattonai sul materasso tentando di non fare rumore e finalmente lo guardai in faccia: aveva gli occhi chiusi e la testa china, i capelli biondi scompigliati a coprirgli la fronte e le labbra socchiuse. Sonnecchiava come un bambino. Avrei voluto ritornare al mio posto per non risultare inquietante, ma il mio corpo non accennò a muoversi poiché io stesso, inconsciamente, gli avevo ordinato di fermarsi a contemplare le lentiggini che riposavano sul visto di Alaric.

Sei un cielo che non può mentire, eh?

Sentii gli angoli della bocca sollevarsi in un sorriso amaro: Alaric non sapeva mentire, ma ci provava spudoratamente. Lo conoscevo da poco e già detestavo questo suo lato.

Trattenni il respiro quando i suoi occhi si aprirono all'improvviso, grandi e distratti. Mi spostai prima che il ragazzo cominciasse a mettere a fuoco la mia immagine e afferrai di nuovo il cellulare.

- Ti ho visto...

- Ti sei sbagliato.

- Mh... tua madre è ancora qua?

Provò ad alzarsi, ma cadde all'indietro sul materasso e rimase così, con un braccio disteso e uno sul petto.

- No, è andata via da un po'.

- Bene, allora vado...

Si mise a sedere e allungò le mani verso il pavimento per prendere le scarpe.

- Aspetta! Non hai fame?

- Mangio a casa.

- E i tuoi non ti dicono niente? Per il fatto che non sei andato a scuola...

- No, saranno più felici di sapere che sono stato con te.

Mi sentii avvampare per lo stupore.

- Gli hai parlato di me?

- Sì, gli ho anche fatto vedere una foto. Hanno detto che sei carino.

- Ma che...

Alaric si alzò e mi ringraziò, dopodiché uscì dalla porta e se la chiuse alle spalle. Ascoltai con attenzione il rumore dei suoi passi lenti sulle scale, mentre un sorriso si dipingeva inspiegabilmente sul mio volto.

È lui? È così felice di aver trovato un amico?




  
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