La
Rinascita
Alex
entrò in casa, girò la chiave nella serratura e
ripose le scarpe al proprio
posto. Aveva avuto una giornata estenuante e non aspettava altro che
potersi
finalmente coricare sul letto e addormentare.
Non
riusciva a smettere di pensare al cranio che avevano trovato i suoi
colleghi
quella mattina nella piccola palude poco lontano dal bosco.
Doveva
scoprire a chi appartenesse, aveva bisogno di dargli un nome e unirlo
al resto
del corpo a cui spettava.
Ripose
la giacca nel ripostiglio, dirigendosi verso la cucina, riempiendo un
pentolino
d’acqua e ponendolo sul fuoco.
Il
ricordo del suo primo caso le balzò alla mente
all’improvviso: la polizia
doveva scoperchiare un sepolcro a causa di un errore
nell’autopsia del cadavere
all’interno che, a loro avviso, avrebbe contribuito a
incriminare la persona
sbagliata.
La
carne era quasi del tutto scomparsa, nonostante la donna fosse stata
inumata in
un sarcofago di legno solamente cinque anni prima.
Per
molto tempo Alex non riuscì a identificare nulla di estraneo
sui suoi resti,
fino a quando un pomeriggio, sul punto di dirigersi verso casa, non
diede
un’ultima occhiata al costato, su cui campeggiavano ancora
minuscoli lembi di
tessuto umano.
Un
residuo simile alla punta di una lancia era stato conficcato
nell’osso, rendendo
probabilmente quasi del tutto impossibile notarlo attraverso la carne.
Doveva
essere rimasto lì per molto tempo prima che la vittima
morisse, perché nulla faceva
intendere che la ferita esterna non si fosse rimarginata.
Rovesciò
all’interno del pentolino qualche foglia di tè
nero alla cannella, dirigendosi
poi verso la camera da letto.
Si
infilò dei pantaloni comodi, distendendosi sulla parte di
materasso su cui
dormiva David, rammentandosi improvvisamente delle caramelle che il
ragazzo era
solito nascondere nel cassetto del suo comodino.
Non
gli piacevano, ma per qualche particolare ragione che Alex non riusciva
a comprendere,
masticarle prima di addormentarsi lo aiutava a prendere sonno
più facilmente.
Presa
dalla curiosità, spalancò il cassetto,
sbirciandone l’interno: sotto le
caramelle, imponente come la più alta delle piramidi,
campeggiava un oggetto
che aveva ormai eliminato dalla memoria, sorprendendola come un colpo
inaspettato
in pieno viso.
Interdetta,
lo prese delicatamente tra le mani, aprendo la prima pagina, quasi
completamente
bianca.
Ricordava
bene di averlo iniziato quel giorno di fine estate, il giorno in cui
prese la
decisione di andare via, il giorno della morte di Lukas.
Aveva
deciso di segnare la data e basta, per ricordarlo così, come
il giorno più
vuoto e più pieno della propria vita.
Sfogliò
le pagine sottili, ormai rovinate dal tempo, scoprendo che
l’inchiostro era a
tratti quasi scomparso. Decise dunque di ricalcarlo nuovamente, per non
perdere
la memoria.
Le
parole disseminateci sopra però, suggerivano
tutt’altro che bei ricordi. Dopo
la morte di Lukas, il suo unico confidente, si sentì come un
vagabondo senza
bussola che aveva perduto inaspettatamente la strada della salvezza.
Da
quel giorno, lentamente, ebbe inizio il declino.
˷
Aveva
appena superato l’uscita del laboratorio quando se la
ritrovò davanti,
accostata al muretto di pietra circostante l’edificio, i
capelli corvini risplendenti
al sole e racchiusi in un’elegante crocchia leggermente
spettinata.
La
vide avvicinarsi lentamente, quasi con timore.
«Ehi»
la salutò senza troppo entusiasmo, come si fa con una
vecchia amica che, in
fondo, abbiamo abbandonato.
Alex
ricambiò il saluto, osservandola con attenzione. Le sue
forme armoniose erano
avvolte in dei stretti pantaloni di stoffa neri, mentre il seno era
incastrato
dietro una maglietta verde tenue che pareva decisamente troppo calda
per quella
stagione.
«Devo
parlarti di una questione» le disse schietta la ragazza di
fronte a lei,
anticipandola. «Possiamo andare in un posto
tranquillo?».
Alex
esitò qualche istante: «A casa mia non dovrebbe
esserci nessuno» le rispose dirigendosi
verso la bicicletta che utilizzava ogni giorno.
«Sei
a piedi?». La giovane fece un cenno di assenso.
«Siediti
dietro allora» le propose, «faremo
presto».
Quando
entrarono in casa, qualche minuto più tardi, Alex la fece
accomodare sul sofà
appena acquistato dai genitori.
«Ti
va un Clover Club¹?».
La
ragazza la fissò con sguardo confuso.
«Un
cocktail a base di gin» sorrise Alex, dirigendosi verso la
cucina.
«Da
quando sai fare i cocktail?» gridò
l’altra di rimando, accomodandosi sul
divano.
«Da
quando avevo sedici anni» rispose Alex raggiungendola e
porgendole la bevanda
qualche minuto più tardi, «lavoravo al bar della
piazza».
Un
silenzio imbarazzante avvolse improvvisamente la stanza.
«Perché
sei qui, Sindy?».
La
vide sorseggiare lentamente il liquido dolciastro, lasciandolo scorrere
sulla
lingua e nella gola, leccandosi le labbra.
«Ho
bisogno di un favore» le disse con lo sguardo rivolto al
pavimento, poggiando
il bicchiere sul tavolino di vetro al centro del salotto, per poi
protendersi verso
di lei.
Alex
aveva sempre considerato Sindy una persona attraente e intelligente, ma
non
aveva mai preso in considerazione l’idea che potessero
diventare amiche. Al
contrario, credeva non sarebbero mai andate d’accordo, e
soprattutto che la
ragazza non si sarebbe mai abbassata a chiederle aiuto.
«Dimmi
pure» rispose Alex, abbandonandosi ai cuscini dietro la sua
schiena, sorseggiando
il suo cocktail.
Le
era venuto particolarmente buono, come forse le veniva sempre,
nonostante le
costanti lamentele del proprietario del locale.
Vide
la ragazza di fronte a lei agitarsi, passandosi una mano nei capelli,
alzandosi
poi in piedi.
«Ma
come fai?!». Sindy quasi gridò. «Come
diavolo fai a rimanere così impassibile
dopo la morte di tuo fratello?».
Sindy
prese a vagare per la stanza a passo svelto.
«Spiegami,
è normale che lui sia stato arso vivo e tu te ne stai qui a
sorseggiare il tuo cazzo
di cocktail?!» le gridò, ponendosele davanti.
Alex
poggiò lentamente il bicchiere sul tavolino, levandosi in
piedi con aria
minacciosa: «Come osi venire a casa mia e accusarmi di non
amare mio
fratello?».
Un
incendio la stava ardendo dall’interno.
«Non
ti accuso» rispose Sindy di rimando, «mi baso su
ciò che vedo» continuò con
tono più calmo, puntandole un dito contro.
«E
quello che vedo è che sei un’egocentrica
vittimista del cazzo, presa solo dai
tuoi obiettivi e dalle tue manie, proprio come apparivi a
scuola».
La
vide avvicinarsi a passo lento, con aria scura.
«Ti
stavano tutti dietro perché soffrivi di bulimia, ma io
davanti a me ora vedo una
persona sana e più che in forma!».
Poi,
silenzio. Fu un attimo, e fu inevitabile.
Il
palmo della mano destra di Alex colpì energicamente la
guancia sinistra di
Sindy, facendola indietreggiare e causandole un bruciore che fino a
quel
momento aveva provato soltanto con Martin, in circostanze diverse.
La
guancia le bruciava terribilmente.
Sindy
si accasciò a terra, tenendosi il viso con entrambe le mani.
Senza realizzarlo,
si coprì istintivamente il capo con le braccia,
rannicchiandosi su se stessa.
Alex
si trovò davanti agli occhi una scena del tutto inaspettata:
la giovane donna
che solo qualche minuto prima la accusava di menefreghismo ed
egocentrismo, era
ora avvolta su se stessa, tentando disperatamente di proteggersi, come
se qualcuno
stesse continuando a colpirla, ancora e ancora.
Alex
sapeva bene che questo comportamento poteva significare solo una cosa.
Le
si avvicinò lentamente, accovacciandosi accanto a lei.
«Scusami»
sussurrò, «non intendevo farti del male. Non
voglio picchiarti» continuò in
tono cauto.
La
vide scostare lentamente le mani dal viso, osservandola con occhi
velati di
lacrime.
Alex
le carezzò d’istinto la guancia urtata, facendo
una lunga pausa prima di
ricominciare a parlare.
«Mio
fratello era il mio unico punto di riferimento»
mormorò con lo sguardo perso
nel vuoto.
«È
stato lui a infondere fiducia in me in quel periodo»
continuò.
«Mi
sentivo male alla sola idea di uscire di casa, perché non
ero come te e come le
altre, perché non rispecchiavo gli standard di bellezza
prefissati dalla
società. E’ stato lui a insegnarmi a piacermi come
sono» continuò.
«Lukas
era un drogato del cazzo, questo lo sappiamo tutti». Alex
fece una pausa. «Ma
era una persona autentica».
Una
lacrima solitaria fuggì furtivamente dalle sue iridi
lucenti, ma si disperse
subito lanciandosi nel vuoto.
«Ho
dovuto imparare ad essere forte per sopportare le chiacchiere, per
avere una
vita normale».
Sindy
la osservava assorta, con le labbra semiaperte.
Si
fissarono per un tempo indefinito, disperdendosi l’una nello
sguardo
dell’altra, così tanto che i colori dei loro occhi
parevano mescolarsi insieme: forse un legame l’avevano
già creato, al contrario di quanto credevano
entrambe.
Alex
era consapevole di ciò che stava per fare, ma decise di
dedicarsi al presente e
di prendere la vita come veniva, come Lukas le aveva insegnato. Sapeva
che
Sindy amava i ragazzi, come li amava lei, ma non poté
impedirsi, in quel
momento, di prenderle il viso tra le mani e poggiare delicatamente le
proprie
labbra su quelle della giovane donna, piene e rossastre.
Sapevano
inaspettatamente di lacrime, salate e dolci allo stesso tempo, come la
ragazza
a cui appartenevano.
Sindy
rispose con trasporto, aggrappandosi al collo di Alex con una mano,
lasciando
che l’altra scorresse verso i suoi seni prosperosi,
stringendoli tra le dita
fino a farla mugolare nella sua bocca.
Sindy
non poteva dire di non avere avuto dei dubbi riguardo la propria
sessualità, ma
non ne aveva mai avuti sul fatto che amasse gli uomini, e soprattutto
sul fatto
che amasse Martin.
Nonostante
ciò, in quel momento la curiosità era
più forte di qualsiasi altro pensiero potesse
passarle per la testa.
Lasciò
roteare la lingua intorno a quella della donna, tracciando il contorno
delle
labbra, stringendole le spalle, il seno, la vita.
Poi,
come un’improvvisa scossa tellurica, la porta
d’ingresso si spalancò, lasciando
intravedere una figura femminile sulla soglia, immobile. Le due giovani
si
separarono subito, osservandosi con sguardo allarmato. Non sapevano se
fossero pronte
alle conseguenze, ma le avrebbero affrontate, qualsiasi esse fossero
state.
˷
Alex
si ritrovò di fronte la pagina limpida del diario che aveva
iniziato quel
giorno di fine estate, riflettendo su che cosa scrivere.
Troppo
tempo era passato da quando aveva scritto l’ultima volta e
temeva di non essere
più in grado di esprimere ciò che realmente
desiderava.
Mentre
il sapore amarognolo del tè le scorreva bollente
giù per la gola, accese la
televisione, senza prestarci troppa attenzione.
Con
un brusio in sottofondo, si sedette al tavolo della cucina, cominciando
a
scrivere all’improvviso, come in preda ad una crisi di
astinenza.
La
memoria la guidava tra la marea di parole che affollava la sua testa,
imbrattando
il sottile foglio bianco. Non riusciva più a fermarsi.
“Caro
Lukas,
questi
anni sono passati alla velocità di quei temporali estivi di
cui ti lamentavi
sempre.
Sono
finalmente diventata un’archeologa forense, come tanto
desideravo, e potrei
anche essere in grado di analizzare le tue ossa, se solo ne avessi
ancora.
Non
so quanto io sia cambiata in questo tempo, non so se mi piaccio oppure
no, se
sono attraente come dicevi o uno stupido suino come dicevano loro.
Li
sento sempre, sai? Come una voce che si ripete ininterrottamente, mi
tormenta,
e a un certo punto accade una cosa strana. Insieme alle loro parole
disgustose,
posso sentire anche la voce di mamma in sottofondo.
Se
fossi rimasto in vita, Lukas, sono sicura non ti sarebbe dispiaciuto
avere una
sorella bisessuale. Anzi, se ti conosco bene, probabilmente ne saresti
andato
quasi fiero, e lo avresti detto a tutti i tuoi amici.
Sei
sempre stato così, meravigliosamente terribile!
Invece
essere diversi è proprio uno schifo. È orribile
essere presi in giro per il
proprio aspetto o per il proprio orientamento sessuale.
Perché le persone
devono sempre apporre delle etichette? Non possono semplicemente
considerarsi
umane?
Mamma
mi ha visto, sai. Mi ha visto baciare una ragazza.
Ora
non parliamo più da tanto tempo, ma se devo essere
completamente onesta con te,
Lukas, come sono sempre stata, la cosa non mi pesa meno di quanto
immaginassi.
Come
tu mi hai insegnato, ho imparato a dare poco peso alle parole della
gente.
Ma
cosa ti scrivo a fare? Da lassù le cose le vedrai meglio di
quanto le veda io
da qui, dal mio piccolo mondo.
Aspetta
Lukas, ancora un’ultima cosa: ora voglio mettere in pratica
uno dei tuoi consigli.
Non
voglio deluderti.
Non
vedo l’ora che arrivi quel giorno in cui potrai rispondermi e
noi potremo
finalmente riunirci come dei veri fratelli.
Ti
aspetto…
La
penna blu come le sue iridi si bloccò improvvisamente.
Alex
fissò le poche righe che aveva scarabocchiato con
espressione stranita, sentendosi
in qualche modo soddisfatta. Scrivere a suo fratello non era stato
facile, ma
sentiva di non avere più pesi sulla coscienza.
E
sapeva che lui avrebbe senza dubbio approvato le sue scelte.
Alzandosi,
udì di sfuggita le parole pronunciate dal cronista
televisivo.
Non
poteva fare altro che constatare quanto avesse ragione, ripercorrendo
l’ardua
strada del passato, attraverso la bulimia, le critiche e le opinioni
inconsapevoli che le persone amavano lanciare, forse semplicemente per
sentirsi
meglio degli altri.
“I
media hanno
vinto. Bellezza uguale magrezza e addome piatto”.
Per
qualche strana ragione, gli esseri umani amano sentirsi apprezzati al
di sopra
degli altri, competere per aggiudicarsi la totale vittoria.
Era
vero. Ormai erano tutti d’accordo. Il lavaggio del cervello
era riuscito in
maniera ottimale.
Aprì
il rubinetto della doccia, lasciando che i vestiti le scivolassero di
dosso.
Avvolse
le ciocche scarlatte in una morbida coda ciondolante sulle spalle,
osservando
la propria immagine riflessa nello specchio.
Osservò
il suo corpo nudo, quasi imbarazzata nel notare le proprie parti
intime,
riparandosele con le mani.
Ciò
che vide però, la sorprese terribilmente. Una donna ormai
adulta, dal viso
grazioso e i capelli del colore del miele la fissava con sguardo
assente, indecifrabile,
ma carico di speranza.
Nel
riflesso vide una donna che aveva accettato le sfide che la vita le
aveva posto
e che aveva saputo gioire di fronte alla buona sorte.
Il
rumore dell’acqua che scivolava sulle piastrelle le inondava
la mente di
pensieri.
Le
pareva di essere un corpo fluttuante sul mare, poggiato su una
conchiglia, una
di quelle che Lukas avrebbe conservato gelosamente in ricordo del
viaggio
compiuto.
Decise
dunque di conservare anch’ella la memoria del proprio cammino.
La
memoria di una nuova Alex, una donna che aveva imparato ad amarsi e a
bastare a
se stessa per quella che era.
¹
Clover Club: cocktail classico a base di gin e sciroppo al lampone.