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Autore: BeaterNightFury    29/09/2019    1 recensioni
«Tra un po' di tempo in stazione passerà il mio amico Sora...»
«Lo scemo?» Shiro rispose quasi di scatto.
Riku dovette trattenersi per non darsi una manata in testa.
«In effetti è un po' scemo.» Si costrinse a sorridere, poi si tolse un borsellino dal mantello. «Dagli questi soldi, e prendi assieme a lui e ai suoi compagni il treno che parte dal binario zero.»

Sora apre gli occhi dopo un anno di sonno, e si accorge immediatamente che qualcosa è cambiato.
Riku abbraccia il suo nuovo scopo e la sua missione, guardando ad essi per non vedere sé stesso.
Un Nessuno guarda negli occhi la sua vittima, e trova le risposte ad una tragedia di una vita prima.
Una studentessa di una città che non dorme mai incontra un ragazzo dai confini delle tenebre, e la scintilla tra i loro cuori prelude ad echi di una vita mai vissuta.
Viaggi cominciano, continuano, e si concludono, o forse non sono che piccole tappe di un'unica, grande avventura.
Ricominciare a viaggiare non è poi così difficile...
(Sequel di "Legacy" - ancora non sono riuscita a metterle come serie...)
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Kairi, Nuovo personaggio, Riku, Sora
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts, Kingdom Hearts II, Più contesti
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Sparire?
Chi, io?
Nah, è che a volte la vita è una mezza rogna, inoltre la storia ha guadagnato un terzo co-autore (ciao, Roxas!) e anche lui vuole la sua parte di revisione…
Un ultimo avvertimento prima che iniziate a leggere: questa storia è un lieve crossover con Final Fantasy XV e con l’universo cinematico Marvel, che avrà una breve comparsa, quindi potreste ricevere un piccolo spoiler su Endgame nella parte finale del capitolo, anche se non sono affatto scesa nei dettagli quindi è una cosa che potrebbe felicemente passarvi sopra alla testa.
Però voglio essere corretta e quindi ve lo dico. Lettore avvisato, mezzo salvato.

 

 
Journey – Capitolo 1
Il Binario Zero
 
Caro Pence,
Credo che siamo venuti quasi a capo della nostra avventura.
Al momento siamo in una città che si chiama New York, ma la chiamano anche Grande Mela o La Città che Non Dorme Mai. Il mondo in cui siamo approdati stavolta non è invaso dai mostri, perlomeno non molto, e abbiamo incontrato un tipo strano che li tiene sotto controllo assieme a due suoi aiutanti.
Ho provato a chiedere ai Moguri se ci fosse un modo per la tua posta di raggiungerci anche se continuiamo a spostarci, ma con quello che ci ha riferito ultimamente il nostro anfitrione, sembra che si rivelerà inutile. Tempo qualche settimana e potremmo essere di nuovo a casa, e per allora voglio vedere tutte le foto su cui ti sei esercitato. Papà, Mamma, i tuoi amici, come è cambiata la città mentre eravamo via… tutto.
Salutami Hayner e Olette, Gladio chiede se puoi salutare Iris se la vedi, e qualcuno dica a Seifer che quando Noct tornerà in città a sfidarlo a Struggle lo farà a pallini viola!
Tuo fratello Prompto
 


Era da quando Sora si era svegliato nella villa abbandonata che contava di ritrovare il suo amico e tornare a casa, ma stava accumulando indizi su indizi che gli facevano capire che probabilmente avrebbe dovuto rimandare il suo ritorno.
Una voce nella sua testa continuava a ripetere che, no, non era tutto finito, che c’era un pericolo, i parecchi centimetri di gamba nuda che gli spuntavano dai pantaloni rispetto all’ultima volta che si era visto erano un chiaro segnale del fatto che fosse passato parecchio tempo dalla sconfitta di Ansem, e mentre nell’ultimo ricordo che aveva, quello in cui aveva menzionato che avrebbero dovuto cercare la piccola Shiro, rapita da malintenzionati, la voce aveva soltanto cominciato ad abbassarglisi… adesso ogni volta che apriva bocca gli sembrava quasi di sentire suo padre anziché lui stesso.
«Non credo che ci farò l’abitudine tanto presto…» confessò a Paperino e Pippo mentre prendevano la salita che, secondo i tre ragazzi nel vicolo, portava alla stazione.
Sora era rimasto leggermente incuriosito dall’appartamento nell’edificio sopra il ritrovo dei ragazzi, ma il più basso dei tre gli aveva riferito che apparteneva al figlio del sindaco, che era lontano da un anno e mezzo per indagare su avvenimenti strani.
Il mondo in cui si erano svegliati risplendeva della calda luce del tramonto, ma quando arrivarono alla stazione, notarono che le lancette dell’orologio segnavano le dieci e dieci del mattino. Le lancette sembravano incedere normalmente, quindi non era fermo o qualcosa, ma la cosa gli sembrava comunque strana.
C’erano due figure davanti al portone di vetro che portava alla biglietteria e ai treni. Una era una bambina con una maglietta fucsia che iniziava ad andarle stretta, quelli che dovevano essere calzoncini maschili che le arrivavano oltre le ginocchia e un paio di stivali, e l’altro, infagottato in una cappa nera…
«Vostra Maestà!» Paperino starnazzò immediatamente e si mise a correre per la piazzetta. Sora e Pippo presero a correre dietro di lui, ma non li avevano neanche raggiunti quando delle strane figure, spettrali, che sembravano indossare lenzuola come fantasmi ma inframmezzate da cerniere lampo, li circondarono dai due lati esposti della piazza.
Re Topolino fu il primo a estrarre il suo Keyblade, falciandone tre in un colpo solo.
«Shiro, va’ con loro!» esclamò alla bambina, che si era messa in posizione di guardia con un lampo che le stava per balenare nella mano.
«Shiro?» Paperino la fissò, basito.
«Sì, è il mio nome, perché?» La bambina lo fissò con una certa aria di sfida.
Quasi senza pensare, Sora la prese per mano e varcarono le porte della stazione, chiudendosele alle spalle. Sora fu l’ultimo a passare, e si diede un’occhiata alle spalle. Dietro di loro, Re Topolino aveva messo in fuga i mostri che li avevano attesi in agguato, ed era partito all’inseguimento di quelli rimasti ancora in piedi.
Se “in piedi” era una definizione accettabile per loro.
«Sapevo che eri prigioniera di brutta gente.» Sora si decise a dire quando nella sala fu calato il silenzio.
Shiro gli lanciò un’occhiata di traverso, senza dire nulla, poi infilò una mano in una sacca che si portava addosso e gli lanciò un borsellino nelle mani.
«Sei tu Sora, giusto? Il nostro treno parte dal binario zero.»
Non disse altro mentre Sora faceva i biglietti e mentre i tre ragazzi del vicolo, Hayner, Olette e Pence, non arrivarono alla stazione per salutarli, ma di tanto in tanto abbassava la testa e mormorava in una mano, come se parlasse da sola. Dopo un po’, Pippo le chiese se qualcosa non andasse e lei trasse un vecchio Moguri spelacchiato dal suo zaino e prese a giocarci.
Sora mise i biglietti in tasca e tornò da lei. Si sentiva preoccupato per come la bambina si stava comportando – qualcosa nella sua testa gli diceva che non era da lei, anche se era la prima volta che la vedeva.
Si sentiva strano. La presenza di quei tre ragazzi gli faceva salire un nodo alla gola, e avrebbe voluto abbracciare Shiro forte, anche se non sapeva perché.
Rimasero in silenzio mentre salivano sul treno e la carrozza partiva, e tutto a un tratto il paesaggio cambiava dalla campagna di Crepuscopoli a un singolo binario sospeso in mezzo al cielo.
Paperino e Pippo sembravano riconoscere il paesaggio, ma Sora, che non aveva mai visto un paesaggio del genere, si mise in ginocchio sul sedile, con il naso schiacciato sul vetro, a guardare lo spettacolo delle stelle.
Notò che poco lontano da lui, Shiro stava facendo la stessa cosa, e per la prima volta dopo un po’ di tempo aveva abbozzato un sorriso.
«Prima volta che vedi un panorama del genere?» Sora girò la testa verso di lei.
«Non ero mai salita prima su un treno.» Shiro confessò. Si ritrasse dal vetro e si sedette al suo posto, poi riprese a giocare con il suo peluche sulle ginocchia.
Quel Moguri di pezza sembrava aver visto giorni migliori. Aveva perso pelo in alcuni punti, i bottoni che aveva per gli occhi erano visibilmente diversi e cuciti con filo diverso, il ponpon in cima alla testa era abbastanza moscio, l’imbottitura era abbastanza bitorzoluta, e c’erano dei segni di rammendo intorno a due delle cuciture principali. C’erano delle scritte sotto uno dei piedi – qualcuno ci aveva ricamato dei nomi. Quello di Shiro era quello che saltava immediatamente all’occhio, ma sotto, con un altro filo quasi interamente stinto, si intravedeva il nome “Zack”.
«Come sta Mister Kupò?» Sora si trovò a dire immediatamente. Non sapeva se fosse il nome del pupazzo, ma gli veniva naturale pensare che quello potesse essere un nome plausibile per un Moguri giocattolo.
Shiro alzò lo sguardo di scatto e lo guardò negli occhi come se cercasse qualcosa.
«… Roxas?» mormorò. Se fino a un momento prima, era rimasta rilassata nel guardare fuori, adesso aveva ripreso la tensione di poco prima.
«Come, scusa?» Sora si irrigidì. Gli sembrava di aver già sentito quel nome da qualche parte, ma… dove?
Se non si fosse svegliato cresciuto negli stessi abiti nei quali si era addormentato, avrebbe sospettato che durante tutto il tempo che non ricordava, avesse fatto qualcosa di cui non aveva affatto memoria.
«Sora, sai cosa è un Nessuno?» Shiro lo guardò negli occhi.
Quando Sora scosse la testa, Shiro abbassò lo sguardo.
«Gli Heartless prendono i cuori. A volte resta indietro qualcosa.» Shiro spiegò, il volto contorto in una smorfia. «Quei cosi che ci hanno attaccato alla stazione, erano Nessuno. O meglio, l’Organizzazione li chiama Simili.»
«Uack! Vuoi dire che erano persone un tempo?» Paperino per poco non spinse Sora da parte cercando di carpire la conversazione.
«Ma Sora è diventato un Heartless.» Pippo arrivò dall’altro lato. «Vuoi dire che da qualche parte c’è una specie di mostro così?»
Shiro guardò Sora, poi Paperino, poi Pippo.
«Alcuni Nessuno sono uguali alle persone che erano. Si comportano come le persone e parlano e pensano.» Appoggiò la schiena allo schienale del sedile e tirò un sospiro. «E hanno i loro nomi. Axel ad esempio, quello che mi ha cresciuta. Solo che Axel non è il suo vero nome, quando era una persona si chiamava Lea.»
«E tu come lo chiamavi allora?» Sora si grattò i capelli con una mano.
«Fratellone per la maggior parte del tempo.» Shiro abbozzò un sorrisetto. «Ma non è quello il punto.» Rimise Mister Kupò nello zaino e ne tirò fuori un quaderno e una matita. Aprì il quaderno dalla parte terminale e scrisse A-X-E-L in maiuscolo. Immediatamente sotto, scrisse L-E-A con gli stessi caratteri, poi alzò la pagina perché Sora, Paperino e Pippo potessero leggere.
«Ohibò!» commentò Pippo. «È un anagramma
Shiro sorrise e annuì, poi girò la pagina e mise la matita in mano a Sora.
«Scrivi il tuo nome.»
Sora aveva un sospetto su dove Shiro volesse arrivare.
Sperava di sbagliarsi.
Prese la matita, ma non scrisse nulla. Abbassò la mano e guardò Shiro negli occhi.
«Shiro, chi è Roxas?»
La bambina tirò su col naso e abbassò lo sguardo sul foglio bianco.
«È il mio mig… il mio unico amico.» Aveva gli occhi lucidi. «Gli voglio tanto bene, ma…» Il suo volto si contorse in una smorfia. «Era nell’Organizzazione, ma non… era un prigioniero come lo ero io. E poi è stato preso da questo DiZ che gli ha detto che non doveva esistere. E DiZ lo ha obbligato a tornare…»
Shiro alzò una mano a toccare il davanti della giacca di Sora.
«Qualsiasi cosa sia successo, Shiro, non è colpa mia.» Sora si affrettò a precisare, nonostante qualcosa nella sua testa gli dicesse che nessuno lo stava incolpando.
«Mi hanno detto che con te sono al sicuro.» Shiro mormorò. «Che quando l’Organizzazione XIII non sarà più un pericolo, andremo alla ricerca dei miei genitori.»
Sora si sedette accanto a lei.
«Vorrei poter fare qualcosa anche per Roxas,» le disse, guardandosi le scarpe che avevano iniziato a fargli male. «Non mi sembra giusto che solo tu sia libera.»
Il resto del viaggio trascorse in silenzio. Dopo un po’, Shiro prese a sbadigliare, e prima che il treno arrivasse a destinazione, si addormentò con la testa sulla spalla di Sora.
Il ragazzo rimase zitto e tranquillo fino a quando il treno non si fermò, poi la svegliò dolcemente e la aiutò a scendere.
 


Topolino falciò l’ultimo nemico – Simili, Shiro li aveva chiamati? – e si fermò a prendere fiato in mezzo ai boschi.
Crepuscopoli per il momento era sicura.
Poteva soltanto sperare che Shiro e Sora fossero lontani, al sicuro dal Maestro Yen Sid. Sicuramente lo erano, Sora sapeva quel che faceva, e Paperino e Pippo erano più che capaci, con i loro trascorsi da tutore e genitore, di badare ad una bambina…
… ma Topolino non poteva evitare di pensare che le cose sarebbero potute andare in modo diverso.
Riku aveva espresso già un paio di volte l’intenzione di cercare i genitori di Shiro. Di cercare Terra e Aqua.
Topolino era stato grato per il cappuccio quando Riku glielo aveva detto – poche altre cose avrebbero celato la sua vergogna.
Temeva il momento in cui avrebbe dovuto dire a Riku che lui era vivo perché Aqua aveva scelto di restare indietro. Specie con il modo in cui Riku odiava sé stesso in quei giorni.
Sarebbe stato tutto più facile con Aqua di nuovo nei giochi. Ci sarebbero voluti almeno tre custodi del Keyblade ben addestrati per poter entrare nel Castello che Non Esiste e neutralizzare quello che restava dell’Organizzazione XIII, e Sora aveva bisogno di tempo per recuperare quel che aveva perso in un anno di inattività…
… assieme a lui, Aqua avrebbe potuto fare piazza pulita in mezza giornata, e poi avrebbe riportato il Castello dell’Oblio al suo stato originario e ultima cosa, ma non per importanza, sarebbe stata la famiglia di cui Shiro aveva bisogno.
E ora, il Maestro Yen Sid gli aveva persino proibito di tornare da lei. Senza DiZ e la sua via di uscita, non c’era garanzia che ci sarebbe stato un ritorno anche per lui. Non senza un incantesimo raro che soltanto alcuni Maestri del Keyblade riuscivano a padroneggiare.
Perché le cose dovevano essere così complicate?
 


«Heartless, Heartless, Heartless!» Paperino protestò sonoramente una volta che furono in cima alla scalinata della torre. «Le cose non sono cambiate affatto!»
Shiro non aveva mai visto qualcuno agitarsi tanto in preda a semplice nervosismo.
«Eppure Roxas ne ha abbattuti a centinaia nell’ultimo anno.» Shiro mormorò. «A volte leggevo i suoi rapporti, e… beh, non ne ha fatti fuori pochi.»
«Meno male che ora ci siamo noi, allora.» Pippo commentò.
«A centinaia?» Sora mugugnò. «L’anno scorso abbiamo sconfitto quello che doveva essere il loro capo… come è possibile che non siano come minimo… com’è la parola…? Come posso dirlo…»
«Fuggiti? Diminuiti?» Pippo azzardò.
«Una delle due.»
Credo che ci sia qualcosa di più grosso oltre quello che dicono di aver sconfitto,” la coscienza suggerì a Shiro. “Non mi stupirei se fosse tutto collegato. Gli Heartless a cui Roxas dava la caccia, la loro mancata diminuzione, la tua famiglia… Shiro, qualsiasi domanda ti facciano su cosa hai visto, è il momento di vuotare il sacco.
«Paperino, Pippo, chi è questo Maestro Yen Sid che abita qui?» Shiro chiese ai due adulti.
«Ha insegnato al Re tutto quello che sa!» Paperino spiegò immediatamente. «Come ha detto quel Pietro nel cortile, è uno stregone potentissimo. Un tempo insegnava ai Custodi del Keyblade, ma sono da anni che non ne porta più uno.»
Fu Pippo a spingere l’ultima porta.
Entrarono in una stanza circolare, Pippo e Paperino ad aprire la fila, Sora e Shiro per ultimi.
Un uomo anziano era seduto ad una scrivania, a consultare un tomo dall’aria antica. Aveva vesti indaco, un cappello a punta in testa e una barba lunga quasi fino alla vita, pettinata a formare due punte.
Alzò lo sguardo quando vide che erano entrati, e Paperino e Pippo lo salutarono chinando la schiena.
«Ragazzi, mostrate un po’ di rispetto!» Paperino lanciò un’occhiata a Sora e Shiro. «Maestro Yen Sid, siamo lieti di rivederla.»
Sia Paperino che Pippo si tolsero il cappello.
Shiro e Sora rimasero in mezzo ai due, e se Shiro si sentiva spiazzata, poteva notare che anche Sora lo era.
Yen Sid fece gesto loro di calmarsi, poi parlò.
«Quindi, voi siete Sora e Shiro.» Fece loro gesto di venire avanti. Il suo sguardo si fissò su Shiro per prima.
«Ho conosciuto i tuoi genitori, prima che scoppiasse la battaglia che li ha visti sparire,» le disse. «Abbi fiducia. Le loro stelle ancora brillano nel firmamento. Li rivedrai.»
Lo stregone aveva l’aria severa, ma nonostante la sua voce grave, le sue parole fecero sentire Shiro immediatamente al sicuro. Non aveva lo stesso tono impersonale di Xemnas o Saix, o quello falsamente sicuro di Axel – sembrava voler dire esattamente quel che stava dicendo.
«Il mio allievo mi ha raccontato della tua situazione, e abbiamo discusso sul da farsi.» Yen Sid continuò a guardare Shiro. «Fino a quando le cose non torneranno tranquille, faremo in modo che ti venga trovato un alloggio in una casa sicura.»
Il suo sguardo si posò sul ragazzo più grande.
«Quanto a te, Sora… avrai un viaggio pericoloso davanti a te. Dovrai essere preparato. Topolino mi ha menzionato che hai perso molte delle tue abilità, ma con l’allenamento dovresti essere in grado di recuperare.»
«Dobbiamo partire per un’altra missione, giusto?» Sora sembrava leggermente triste, ma determinato. «Speravo di ritrovare il mio amico Riku e tornare a casa, ma… con quel che ha detto Shiro, credo che non sia finita affatto.»
Rimase in silenzio per un momento, guardando Shiro.
«Ha a che fare con gli Heartless, giusto? Con il fatto che sono ancora in giro?»
«Le vostre imprese passate hanno impedito la massiccia proliferazione di Heartless provenienti dalla grande oscurità. Non abbiate dubbi a riguardo. Tuttavia, gli Heartless sono l’incarnazione dell’oscurità, ed essa ancora aleggia in ogni cuore.»
Sora, Paperino e Pippo sembrarono capire dove andasse il discorso, e tutti e tre ebbero la stessa espressione di disappunto sul volto.
«Ora è tempo di parlare dei nemici che incontrerete.» Yen Sid si alzò e agitò una mano verso un angolo della stanza. L’ombra di uno Shadow si materializzò dove la sua mano aveva puntato. «Quando qualcuno cede all’oscurità del proprio cuore, esso diventa un Heartless. Ma questo già lo sapete.»
Agitò di nuovo la mano in direzione del finto Shadow, che venne affiancato da un Simile.
«A volte, se qualcuno con cuore e volontà forti, buono o cattivo che sia, diventa un Heartless, lascia dietro di sé…»
«Un Nessuno. Gliene ho parlato sul treno.» Shiro lo interruppe.
Fiato alle trombe, ragazza,” la coscienza le disse subito, con un tono quasi divertito. Shiro si schiarì la gola.
«Quelli che ci hanno attaccato in stazione, quelli come quello lì, sono praticamente i pedoni degli scacchi. Avete visto quanto velocemente se ne è liberato il Re. Ma quelli che mi tenevano con loro… non li distinguereste da una persona. Pensano e combattono come le persone, e sono stata allenata a dare di scherma da uno di loro.»
Riprese fiato per un attimo.
«Si fanno chiamare Organizzazione Tredici, ma ne sono rimasti soltanto sette.» Prese a contare sulle dita. «Numero dieci, Luxord. Non si stacca mai dalle sue carte e ha poteri sul tempo. Numero nove, Demyx. Passa tutto il suo tempo a suonare, credo sia rimasto vivo soltanto per quanto è codardo. Numero sette, Saix. È il braccio destro del Superiore. Numero tre, Xaldin… scatena venti talmente forti che a volte è impossibile stargli vicino. Numero due, Xigbar… l’essere più schifoso di tutti i mondi. Gli manca un occhio e ha perso un po’ di capelli quando si è bruciato, non vi potete sbagliare. Il Superiore, Xemnas. DiZ lo chiama Xehanort, ma da me si faceva chiamare papà.»
Con la coda dell’occhio, Shiro vide che Yen Sid era sobbalzato, sentendo la menzione del nome Xehanort.
«Non so cosa sia successo ad Axel, ma spero sia in fuga. Io e lui eravamo stati incaricati di riportare Roxas al castello, ma sono successe delle cose, e non credo che Xemnas ne sia stato felice.»
Si fermò un’ultima volta e indicò Sora.
«Roxas è qui.»
Raccontò tutto quello che ricordava. Di come Xemnas avesse usato il Keyblade di Roxas per raccogliere cuori, della luna di Kingdom Hearts in cima al Castello che Non Esiste, e di come fosse impossibile arrivarci se non si sapeva esattamente dove andare. Di Marluxia, Larxene, Vexen, Zexion e Lexaeus, i caduti. Tirò persino fuori il diario perché Yen Sid lo sfogliasse, nonostante ci fossero parecchie pagine che Shiro non ricordava di aver lasciato bianche.
Dal cappuccio della giacca di Sora saltò fuori un grillo che prese a prendere appunti.
«Credo che alla fine, Axel mi abbia lasciata andare.» Shiro concluse, alla fine del discorso. «Quando ero piccola, dicevano sempre, lui e Saix, che un giorno mi avrebbero portata a casa.»
Credo abbia mantenuto la sua promessa, alla fine.” La voce della sua coscienza suonava quasi esattamente come un sorriso. “Mi sa che non ho più ragione di proteggerti, ragazza.
Mentre la sua coscienza parlava, Shiro si sentì immediatamente più leggera, come se le venisse tolto un peso dal cuore. Evidentemente doveva essere visibile, perché Sora le chiese se fosse successo qualcosa.
«Io non… lo so…» Shiro rispose con un filo di voce.
Avanti, alza il braccio!” la sua coscienza le suggerì.
«Il braccio?» Shiro alzò la mano destra. I quattro occupanti della stanza le lanciarono una strana occhiata, come avevano fatto sempre Roxas, Axel e Saix quando l’avevano sorpresa a parlare da sola, ma Shiro non prestò loro attenzione. Qualcosa nella sua mano si era immediatamente fatto pesante, e il solito lampo di luce si era mostrato nella sua mano.
Ma stavolta non lampeggiò e non svanì – si dissolse lentamente, e quando la stanza fu tornata alla sua usuale penombra, nella mano di Shiro c’era un’arma – una spada bianca e nera con l’elsa irta di punte, con come lama una sorta di glifo, bianco all’esterno e nero all’interno.
Per la sorpresa, Shiro per poco non aprì le dita di scatto. Non riuscì però a trattenere un urlo.
Immediatamente dopo di lei, anche Sora emise un acuto degno di una ragazzina. Paperino e Pippo balzarono in avanti, esclamando assieme: «Una chiave!» con aria stupita.
Yen Sid non si mosse, ma sgranò gli occhi, e la sua bocca si aprì in una tacita espressione di stupore.
«Non era mai arrivato prima…» Shiro mormorò esaminando il suo Keyblade (suo! SUO!) da vicino. Era visibilmente diverso sia da quello di Sora e Roxas, che da quello di Riku, e le sembrava un prolungamento della sua mano come il giocattolo di legno che aveva trovato al Castello dell’Oblio non era mai stato.
«Qualcuno deve averle trasmesso il Keyblade quando lei non ne era consapevole…» Yen Sid si portò una mano alla barba. «Non Eraqus… non lo avrebbe mai fatto. E nessuno in sé trasmetterebbe un Keyblade a un neonato.»
Abbassò la mano. Si alzò e guardò i due ragazzi.
«Questo prevede un cambio di piani,» annunciò. «Frattanto, nella stanza accanto a questa troverete tre buone fate. Avete entrambi abiti o troppo stretti su di voi, o inadatti a viaggiare. Le fate ve ne procureranno di più consoni.»
Nella stanza adiacente allo studio del mago c’era un’altra camera rotonda, dove tre fate, in abiti di tre colori diversi, si presentarono come Flora, Fauna e Serenella. Erano a dir poco estasiate di trovarsi davanti non uno, ma due Custodi del Keyblade (dovevano aver origliato dalla fessura della porta, a quanto sembrava) e presero immediatamente a litigare su quale colore avrebbero dovuto utilizzare per gli abiti di Shiro.
«Deve essere rosa! Si intonerebbe meglio ai suoi capelli!» Flora stava asserendo con aria saccente.
«Perché non blu come i suoi occhi?» Serenella brontolava sonoramente.
Continuavano ad argomentare “come due vecchie comari” (o almeno così diceva la coscienza di Shiro), e la ragazzina dovette contare sei argomentazioni come quelle prima di perdere la pazienza.
«Il mio colore preferito…» disse, stringendo i pugni e alzando la voce. «è il VIOLA!»
Alcuni minuti dopo, i due ragazzi tornarono nella camera di Yen Sid vestiti a nuovo, Sora con un completo grigio scuro, una maglietta blu con le tasche frontali rosse, e un paio di tasche dello stesso colore che pendevano ai lati dei pantaloni da cinghie di colore giallo, e Shiro con una maglia e un paio di leggings sui toni del bianco, nero e viola, con sopra la giacca che a Sora era andata stretta e che invece a lei andava quasi bene.
Yen Sid indicò loro qualcosa fuori dalla finestra, e vi si affacciarono per notare uno strano veicolo, apparentemente composto da quelli che sembravano enormi blocchi per costruzioni da bambini. Sora, Paperino e Pippo sembravano riconoscerlo, ma a Shiro sembrava quasi buffo.
«Quindi quel coso viaggia tra i mondi?» Shiro commentò.
«Non è un “coso”, è una Gummiship.» Paperino asserì. «Ora, spero che tu sia pronta, Shiro, perché stiamo per partire!»
 


L’ultima volta che Sora aveva visto la Fortezza Oscura, tutto quello che restava del mondo erano un castello diroccato e delle cascate che ignoravano completamente la gravità – che erompevano da quello che sembrava un lago o un enorme impianto idraulico.
Il castello era ancora lì, nonostante fosse adombrato da due o tre gru, ma al posto del deserto senza fine di acqua e pietra, attorno ad esso c’erano delle mura, e delle case, e degli accenni di strade e terreno smosso che un tempo era stato giardini.
«Aerith dice che sono stati principalmente salvati il quartiere del municipio e il quartiere del castello,» Yuffie, che li stava guidando per strada, aveva preso a raccontare. «O meglio, sono tornati quando voi avete chiuso la serratura. Il quartiere del castello era dove abitavano tutti i dipendenti di Ansem, tipo la signora che manteneva la biblioteca, oppure il signor Nikos, che è riuscito a tornare a casa assieme a sua moglie poco dopo che siamo tornati noi… il loro figlio però non è mai tornato, ad esempio. Non mi ricordo neanche come si chiama, so solo che lui e Aerith uscivano insieme.» Fece una smorfia, quasi di disgusto. «Questo in cui siamo adesso è il quartiere del municipio. Tappatevi il naso, stiamo per passare davanti a casa del giudice.»
«Naso? Perché il naso? Ci sono Heartless puzzolenti?» Shiro si guardò intorno.
«Buongiorno, ragazzi!» Un uomo si affacciò alla porta di una delle case. Aveva i capelli che tendevano al grigio, ma a giudicare dalla sfumatura un tempo erano stati blu, e teneva in braccio un bambino di circa un anno con la pelle scura e i ricci neri che formavano una specie di batuffolo sulla sua testa.
«Buon giorno, Vostro Odore!» Yuffie agitò il braccio. «Come sta la vostra puzzola?»
«Salve a te, Yuffie!» Il giudice lasciò andare il bambino sul prato fuori dalla casa e si avvicinò a loro. «Nuovi amici?»
«Sì, questo è Sora e lei è… Shiro, giusto?»
«Piacere, signore!» Shiro fece un passo in avanti e tese la mano che non stringeva il suo Moguri di pezza. Stava guardando il neonato con aria curiosa. «Siete, uhm, il padre di quel bambino?»
Il giudice guardò prima il bambino, poi Shiro.
«Uhm, sì, piccola, Finn è mio figlio. Uno dei due, perlomeno. Non ha mai conosciuto suo fratello maggiore.»
Shiro abbozzò una risatina.
«Axel ha ragione, i Qualcuno possono essere davvero piccoli.»
«Sora, scusa, ma come parla la tua amica?» Yuffie fece una smorfia.
«Storia lunga…» Sora bisbigliò tra i denti. Non gli andava troppo di vuotare il sacco davanti a Vostro Odore riguardo ai Nessuno e all’Organizzazione XIII e al destino dei mondi. Paperino e Pippo erano rimasti indietro, ad aggiornare lo zio di Paperino sulla situazione attuale, ma se fossero stati a portata d’orecchio… beh, Sora poteva aver dimenticato l’ultimo anno, ma era ben memore di quanto potesse far male Paperino se decideva di picchiarlo in testa.
Yuffie stava per dire qualcos’altro, ma fu a quel punto che Finn, che sapeva camminare ma non sembrava avere molto controllo delle sue gambette, cadde sul sedere, e mentre cercava di alzarsi, macchie marroni che non erano fango comparvero sui suoi pantaloncini.
«Uhm, Vostro Orrore…» Yuffie sembrò scordarsi di quello che stava per dire. «Credo gli sia esploso il pannolino…»
Qualche minuto dopo, ancora in preda alle risate nonostante Paperino e Pippo li avessero raggiunti, erano alla porta di una delle case nel borgo, i cui buchi nel tetto erano stati rabberciati alla men peggio con degli ombrelli colorati che sembravano quasi muoversi da sé. Yuffie aprì la porta: nell’ingresso, davanti ad un voluminoso computer, tre persone davano loro le spalle.
«Vi presento il Comitato di Restauro della Fortezza Oscura!» Yuffie annunciò con voce allegra. I tre – Aerith, Cid e Leon – si girarono verso di loro, e Aerith fu la prima a sorridere e ad asserire quanto fossero mancati a tutti quanti.
«Beh, siete proprio in gran form…» Cid stava per dire, poi fece un balzo sulla sedia e per poco non cadde all’indietro sul computer. «Mi venisse un colpo della strega
«Cosa c’è?» Yuffie gli si parò davanti e lo guardò come se fosse ammattito.
Un momento dopo, anche Aerith sgranò gli occhi – doveva aver notato qualcosa, e probabilmente Sora sapeva anche cosa – se Cloud sapeva di Shiro
«Shiro, sei proprio tu?»
Fece qualche passo verso di lei, guardando attentamente tutto – la sua faccia, i suoi vestiti, il Moguri di pezza che la bambina stringeva forte.
«Io…» Shiro sostenne lo sguardo di Aerith. «Sì, mi chiamo Shiro… e lui è Mister Kupò…»
Aerith a stento la lasciò finire di parlare. Percorse con un paio di passi la distanza che le separava, le mise le braccia al collo e la strinse forte.
«Uhm… non credo che si possa ricordare di te.» Pippo commentò dietro di Sora.
«Vi conoscete?» gli fece eco Paperino.
Mentre parlavano, Shiro lasciò andare Mister Kupò con una mano, continuando a tenerlo nell’altra, e alzò lentamente le braccia a ricambiare l’abbraccio di Aerith.
«Eri una degli orfani del castello di Ansem…» Aerith le spiegò dopo aver sciolto l’abbraccio. «Ma… pensavamo che nessuno fosse mai uscito da lì. I miei amici che si prendevano cura di te, la bibliotecaria, la gente che lavorava lì…»
«A parte me… si può realmente dire che nessuno è uscito.» Shiro fece una smorfia.
Aerith e Leon la guardarono con aria perplessa, e Sora prese la parola.
«Era ostaggio dell’Organizzazione XIII, composta da creature chiamate Nessuno. Shiro ricorda come si chiamano e ci ha detto parecchio di loro, ma a quanto ho capito si tratta di un’altra minaccia.»
«Volevano il mio Keyblade.» Shiro fece un passo indietro e lo portò alla mano. «E hanno cercato di usare Sora e il suo Nessuno per i loro scopi. Accoppare Heartless, creare Kingdom Hearts.»
«Beh, questo spiega parecchio.» Leon si coprì la bocca con una mano. «Venite con me alle fortificazioni… c’è qualcosa che dovete vedere.»
Andò verso la porta, salvo poi fermarsi quando vide che anche Shiro sembrava intenzionato a seguirli.
«Non tu, Shiro, ho un altro compito per te.» Il suo tono di voce era quasi seccato. «C’è un mostriciattolo che ogni giorno alle quattro passa per il borgo, smonta i drive dei computer, inverte i cartelli stradali e ha rubato un po’ di scarpe sinistre. I sistemi difensivi non lo riconoscono nemmeno, quindi ho bisogno di un altro eroe del Keyblade che resti nei pressi di questa casa e lo stani.»
Dietro di Shiro, Sora vide che Aerith aveva alzato gli occhi al cielo in una protesta silente, ma un’occhiataccia di Leon lo dissuase dal dire altro. Yen Sid lo aveva pregato di mantenere Shiro al sicuro, e non sarebbe stato lui a incitarla a buttarsi nella mischia.
«Nel senso che volete che io resti qui?» Shiro sembrava aver afferrato il concetto. «Nel senso, qui finché non lo catturo? Posso restare con voi
«Certo, posso benissimo ospitarvi a casa mia.» Aerith le mise una mano sulla spalla. «Sia te che Mister Kupò. Siete i benvenuti qui.»
Stavolta fu Shiro ad abbracciare Aerith.
«Grazie, grazie, grazie, grazie!» squittì con la faccia seminascosta dal vestito della ragazza.
«Non deve aver conosciuto gente molto educata…» Cid la osservò scettico, togliendosi lo stuzzicadenti dalla bocca. «D’accordo, come se non avessimo già avuto una bambinetta a carico…»
«Hey!» Yuffie protestò sonoramente. «Uno, non darmi della bambinetta. Due, Shiro è una Custode del Keyblade, dalle il nome che si merita. Tre, come dice Vostro Orrore, abbiamo il dovere di aiutare chi non può badare a sé stesso, chiaro
La giovane ninja prese Shiro da parte e le fece un sorrisetto.
«E con quella lama che ti ritrovi? Tra me e il vecchio signor Merlino, il tempo di imparare e presto prenderai gli Heartless a calci nel c…»
«YUFFIE!»
 


Il Sanctum Sanctorum delle Arti Mistiche di Bleecker Street solitamente era un posto silenzioso, ma i night club della strada a volte facevano filtrare un po’ di musica, specie il venerdì e il sabato sera.
Il maestro dell’edificio era rimasto per un momento in silenzio ad ascoltare – la canzone che veniva da fuori aveva l’aria di essere abbastanza vecchia, e si ripeteva in un continuo giro di accordi.
Sol maggiore, mi minore, do maggiore, re maggiore, e il giro ripeteva, e when the night has come, and the land is dark, and the moon is the only light we see…
«Stand By Me, Ben E. King, Jerry Lieber e Mike Stoller. Successo mondiale nel 1961 e nel 1986. Rifatta da John Lennon, dai Playing For Change, e da decine di altri artisti che non nomino nemmeno. La sua successione di accordi prende il nome dalla stessa canzone.» Il maestro dell’edificio, il dottor Stephen Strange, fece un sorrisetto, scosse la testa e parlò mentre la musica sfumava in lontananza.
I suoi sei ascoltatori rimasero in silenzio, poi l’unica ragazza soffocò una risata con una mano.
«All’università alcuni professori raccontano ancora di quando facevate letture simili in sala operatoria,» commentò.
«Beh, lieto che mi ricordino ancora per questo,» Strange scherzò. «Allora, Luna, mi stavate riferendo della situazione Heartless a Broadway…?»
«Intrappolati nella Dimensione Specchio.» La ragazza si portò dietro l’orecchio alcuni dei capelli biondo platino che le sfuggivano dalla coda. «Sembravano particolarmente interessati a quel barbone malato che si apposta alle porte dei teatri. Non sappiamo ancora perché.»
«A Crepuscopoli prediligevano le gallerie e il bosco. Il buio e l’umido.» Uno dei quattro viaggiatori si sistemò sul naso un paio di occhiali, abbassando lo sguardo. «E avete detto che vengono da un’altra dimensione. Una dimensione oscura.»
«Ho parlato di mondo oscuro, Ignis. La dimensione oscura è un altro posto, e spero di non dovervela mai menzionare.» Strange sbuffò. «Idealmente, se si dovesse chiudere le comunicazioni con questo… chiamiamolo, reame oscuro, il problema sarebbe risolto, ma l’unico modo di farlo efficacemente sarebbe capire cos’è che ha causato l’apertura.»
Strange guardò i suoi due accoliti, in piedi uno da un lato e l’altra dall’altro, come a sperare che lo salvassero dall’imbarazzo. Ravus non sembrava stare molto simpatico ai quattro viaggiatori, ma Luna li aveva presi immediatamente a simpatia, soprattutto i due più giovani.
«Comunque, nelle mie ultime osservazioni sui mondi, ho notato un cambiamento partire dal vostro mondo di origine. Qualcosa è successo. Qualcuno si è mosso.» Strange guardò il leader dei quattro ragazzi, Noctis, che sembrava pendere dalle sue labbra, visibilmente preoccupato. «Ho già detto che è meglio che torniate a casa con quanto avete appreso, ma ora, non appena avremo stabilizzato la situazione in città, è ancora più urgente che lo facciate.»
«Dite che casa nostra è in pericolo?» Il migliore amico di Noctis, Prompto, scattò in avanti.
Strange avrebbe voluto dire loro che no, non era solo casa loro, le cose non si sarebbero fermate là, che l’occhio del ciclone era in movimento, e forse anche le persone in grado di fermarlo, ma sarebbe stato difficile spiegare ad una compagnia di giovani avventurieri cose che implicavano la manipolazione del tempo, la presenza di più linee temporali parallele, e un complicato calcolo di probabilità.
L’unica cosa che poteva fare era manipolare gli eventi, riferendo quanto poteva riferire, e mantenendo celato tutto quello che sarebbe stato troppo pericoloso o compromettente da rivelare.
Guardò i suoi allievi, Ravus che era rimasto ferito da ragazzo nell’attacco dei Chitauri a New York e aveva trovato nelle Arti Mistiche una maniera di guarire e un’altra ragione per vivere e combattere, e Luna, che come lui una vita prima aveva scelto lo studio della medicina per salvare le vite.
Quella linea temporale era stata privata del suo Thanos, che aveva viaggiato in un’altra e lì aveva trovato la sua disfatta.
Soltanto per incappare in qualcosa – in qualcuno – che potenzialmente sarebbe anche stato peggio.
L’altro Stephen Strange, quello che si era trovato a combattere contro Thanos, avrebbe sacrificato amici per quella vittoria.
«Non se interverremo.»
Strange non sapeva se sarebbe stato disposto a perdere la sua allieva.
 
   
 
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