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Autore: seavsalt    03/10/2019    0 recensioni
Di come una fanciulla si ritrova in un luogo in cui non dovrebbe essere e coglie una rosa che non dovrebbe cogliere.
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Nota dell'autrice: non si tratta di una vera e propria songfiction, ma all'inizio di ogni capitolo ho inserito la melodia che me lo ha ispirato e che, pertanto, è consigliabile ascoltare mentre si legge.
Genere: Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I

Di come una giovane fanciulla trova una rosa rossa e non sa che farne

“Backbiting”

composer: Yutaka Minobe,

from Rule of Rose Original Soundtrack

Camminava con una certa fretta, facendo oscillare al vento i bianchi capelli corti fino alle spalle, mossi da qualche leggerissimo boccolo qua e là. Ripensava a quella mattina, quando con grande entusiasmo aveva indossato quel completo che tanto le donava, un paio di pantaloni neri, abbinati a una camicia bianca e un gilet scuro, ma soprattutto quando si era infilata la toga tanto ambita, una veste nera con i bordi rossi, lunghe e larghe maniche e una sorta di cappuccio che pendeva sulla schiena. Non era una toga particolare, non la caratterizzava niente di speciale, ma simboleggiava, per la ragazza, il raggiungimento di un obiettivo, l’avverarsi di un sogno tanto bramato sin dalla più tenera età: entrare nell’istituto più prestigioso di tutti, dove studiavano solo gli apprendisti più dotati, seguiti dagli insegnanti migliori. Quello che l’aveva sempre attirata più del resto, però, era il rettore dell’istituto, tanto brillante quanto eccentrico. Difatti egli aveva fatto ruotare l’intero programma di studi intorno a un tema molto originale e al tempo stesso oscuro. Si trattava della questione di incubi e sogni, due realtà in apparenza opposte, ma, dopo un’ulteriore studio più approfondito, si può notare come al contrario si completino l’un l’altra. Senza i primi non ci sarebbero i secondi e viceversa. Si era informata più del necessario, aveva letto tutti i saggi pubblicati dall’estroso rettore a riguardo; non erano di facile lettura, ma l’affascinavano e le conferivano una consapevolezza in più. Ed era con quella consapevolezza che in quel momento camminava a passo svelto sul selciato, senza correre, poiché non si trovava in effettivo ritardo, era semplicemente impaziente di giungere a destinazione, cantando sottovoce un allegro motivetto, una canzoncina che aveva sentito suonare spesso dal suo precettore di pianoforte. L’intera struttura era di una magnificenza pressoché indescrivibile a parole: l’architettura, squisitamente gotica - dopotutto era quella l’epoca in cui viveva - trovava un equilibrio e un’armonia perfetti, che davano all’enorme istituto un’apparenza maestosa, forse anche un po’ intimorente. Situata sulla sommità di una collina, la circondavano nient’altro che distese di erba non troppo alta, in mezzo alla quale spuntavano sporadiche rocce dalle forme bizzarre. Nell’insieme, tuttavia, quelle formazioni rocciose potevano apparire inquietanti, specialmente da lontano. Alla giovane non importava, le osservava con interesse e, curiosa, si chiedeva cosa avesse causato loro di assumere quelle apparenze. Il complesso dell’istituto era costituito da due edifici principali, molto simili tra loro, collegati da un ponte solido, con delle splendide arcate, che si sollevava al di sopra di una fenditura nella superficie del terreno, abbastanza profonda perché se qualcuno vi fosse caduto all’interno avrebbe potuto contare in una morte più che certa. La ragazza, tuttavia, non faceva caso nemmeno a questo. Dopo aver osservato a lungo il baratro, spostò lo sguardo su una torre che appoggiava in parte su un lato del ponte. Sulla cima, la torre si apriva in varie bifore, che permettevano di vedere lo spazio all’interno, una sorta di terrazza vuota. Quello era probabilmente l’unico dettaglio che andava a disturbare i sensi della giovane studentessa, alla quale quell’interno appariva fin troppo vuoto, come se mancasse qualcosa. Ben presto fu davanti all’enorme e massiccio portone in legno attraverso il quale si accedeva al primo dei due edifici: quello che comprendeva gli appartamenti studenteschi, le biblioteche pubbliche, le mense e altre strutture non adibite prettamente allo studio. Alberelli piuttosto spogli affiancavano quella facciata del gigantesco edificio, sopra di essi gracchiavano dei corvi, animali tipici di quel luogo. L’altro edificio, invece, conteneva tutte le aule di studio, le aule magne, le biblioteche private, consultabili solo ed esclusivamente dagli insegnanti o in via del tutto eccezionale da studenti con permessi speciali. Inoltre all’interno di esso si trovavano i dormitori dei professori e, ultima ma non meno importante, gli appartamenti privati del rettore, che si vociferava contenessero altre biblioteche contenenti i libri più rari a cui solo lui poteva accedere, oltre a presentare un’ampia terrazza panoramica, ben visibile dall’esterno, decorata da giardini e grandiosi archi rampanti. La ragazza era estremamente estasiata a quella vista, avrebbe dato di tutto per poter mettere anche solo un piede nelle stanze private del rettore. Fantasticava su come potevano essere all’interno, consapevole che non le avrebbe mai viste, tanto da non fare caso alla fitta calca di studenti in cui si trovava, ammassati attorno a una bacheca dalle dimensioni esagerate, eppure non abbastanza affinché tutti potessero leggere ciò che vi era scritto senza problemi. La giovane si guardava intorno, ammirava lo splendido edificio finalmente dall’interno, alzando gli occhi verso il soffitto, dominato da lampadari immensi su cui erano accese almeno un miliardo di candele, per poi posare lo sguardo sulle lunghe e larghe rampe di scale in marmo, i cui gradini erano ricoperti con tappeti finemente decorati, che salivano verso i piani superiori, troppi per essere contati. Finalmente fu il suo turno di leggere sulla bacheca, dove erano scritti i nomi di tutti gli studenti appena entrati accanto al numero di stanza nella quale avrebbero dovuto soggiornare e al piano in cui essa si trovava. Tra di essi figurava anche il nome della giovane, che a stento riusciva a distinguere le lettere segnate su una pergamena. Eppure, accanto ad esso, non c’era alcun numero, né indicante la stanza né il piano, ma erano scritte solo due parole in inchiostro nero:“rosa rossa”. Si guardò intorno, confusa e intrigata al tempo stesso, tuttavia nessuno sembrò notare né la sua espressione né la riga del suo nome sulla bacheca, completamente diversa dagli altri. Mano a mano tutti gli studenti si dileguarono, lasciandola lì, sola, davanti alla bacheca, a osservare quelle parole compulsivamente. Soltanto il sentirsi toccare la spalla dalla mano di un inserviente la destò, obbligandola a voltarsi. Con un gesto egli le fece cenno di avvicinarsi a lui e di seguirlo, mentre si incamminava nella direzione opposta a quella in cui si erano diretti tutti gli studenti, ossia una delle numerose aule magne dell’edificio. La giovane titubò un momento, per poi camminare verso di lui prima con passo lento e cauto, poi sempre più veloce, per evitare che la lasciasse indietro, sola in mezzo a quegli ampi spazi.

   
 
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