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Autore: Ser Balzo    03/10/2019    2 recensioni
Raccolta di racconti più o meno brevi, più o meno svegli, più o meno inventati su quella strana temperatura dell'anima che spesso prende il sole sul parquet e che ogni tanto, quasi sempre per sbaglio, chiamiamo magia.
«In ogni caso, il problema qui è un altro» disse la zia. «Giova’, tu puoi diventare bravo. Ma ti mancano i buchi neri sul pianerottolo.»
Genere: Introspettivo, Mistero, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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BUCHI NERI SUL PIANEROTTOLO

 

 

 

 

Giovanni Piovani, giovane promessa, si era persuaso che scrivere sottosopra gli avrebbe facilitato le cose; così, sdraiato a pancia in su con la testa che sporgeva dai piedi del letto, attendeva l’ispirazione con il quaderno ad anelli sollevato davanti agli occhi. 

Ruotando pigramente su una sedia girevole mentre mangiava uno yogurt alla frutta, Giuseppe Fratelli, compare di stanza della giovane promessa, osservava con curiosità scientifica il volto del suo amico diventare sempre più rosso.

«Secondo me tra poco svieni.»

Giovanni non rispose. Lo sguardo concentrato e la punta della lingua che faceva capolino da un lato della bocca, tracciò una sgangherata serie di lettere sul quaderno.

«Ho sentito che funziona anche col sesso. Questa roba del sangue al cervello, o qualcosa del genere. Ti mettono una busta di plastica in testa, e a quanto pare la mancanza di ossigeno–»

«Giuse’» sbottò Giovanni.

«Giusto, scusa.»

Lui sospirò, lasciando ricadere le braccia e il quaderno sulla pancia.

«Ha funzionato?» chiese Giuseppe.

Giovanni emise uno strano rumore che sembrava una serie di grugniti compressi in un solo suono. «Non credo.»

«Fammi leggere.»

Giovanni, gli occhi persi sul soffitto, allungò il quaderno verso di lui; Giuseppe mosse la sedia con piccoli passetti fino a che non fu a portata, si ficcò il cucchiaino in bocca e lo prese. Lesse prendendosi il suo tempo, poi poggiò il quaderno sulle gambe e si tolse il cucchiaio dalle labbra con indice e medio, come fosse una sigaretta.

«Beh…»

«Lo so.»

«In realtà non riesco esattamente a capire cosa c’è scritto. Michela qui sta cascando o cantando

«Cantando, Giuse’.»

«Aah, ecco.» Si concesse un momento di silenzio, annuendo soddisfatto tra sé. «Però secondo me era meglio che cascava.»

Giovanni gli rifilò un’occhiataccia. Stava per commentare con calore l’acuta critica letteraria del suo amico, quando venne interrotto dalla porta della camera che si apriva – senza alcuna bussata preliminare, ovviamente.

«Ciao sfigati» disse Giulia Di Fiore, la terza inquilina.

«Ciao perdente!» le rispose Giuseppe allegro.

Gli occhi di Giulia caddero sulla faccia di Giovanni.

«Guarda che così svieni.»

Con un guizzo che gli fece dolere gli addominali, Giovanni si tirò su a sedere. «La volete piantare? L’afflusso di sangue al cervello aumenta la creatività, è risaputo.»

Le labbra di Giulia formarono una linea perfetta. «Come no. D’altronde Dumas si faceva appendere al soffitto ogni mattina, è risaputo…»

«Davvero?» chiese Giuseppe, che aveva ripreso a ruotare distrattamente con la sedia. «Figata.»

«No.» 

«No “figata” o no “non è vero”?»

«No non è vero» disse Giovanni, sospirando.

«Ah, peccato. Vabbè, figata lo stesso.»

«Senti Gio’» disse Giulia, grattandosi il lato della testa doveva aveva i capelli rasati. «In salotto c’è tua zia.»

«Mia zia?»

«A me ha detto così. Zia Natalia, tipo?»

«Zia Nadia?» azzardò Giuseppe, un tono di panico nell’ultima sillaba.

Giulia puntò l’indice su di lui esclamando soddisfatta. «Esatto! Ti aspetta di là.»

Giovanni si alzò dal letto, l’aria del cerbiatto che si sta per schiantare contro il parafango di un camion. «Come di là?»

«Oh, t’ho detto che era in salotto, no? È venuta a trovarti. Non fare il nipote stronzo e vai di là, che mi sono stufata di fare la segretaria.»

«Sì, sì, arrivo»  mugugnò Giovanni.

«Bene. Ciao sfigati» salutò Giulia, con la faccia che era già sparita oltre la porta.

«Ciao perdente» rispose distrattamente Giuseppe, che si era messo a guardare fuori dalla finestra. Dall’altro lato della strada, due grossi tubi dipinti di rosso salivano sul tetto dell’edificio accanto, per poi perdersi tra un nugolo di floride piante da terrazzo. 

Giovanni puntò gli occhi in basso per osservare i propri vestiti: una maglietta della Nasa e dei pantaloncini da calcio.

«Non sei in mutande» disse Giuseppe, anticipando la sua domanda. «Per me è sì.»

Giovanni sospirò, cercò di lisciarsi i pantaloncini in un commovente tentativo di apparire presentabile e marciò fuori dalla porta.

Per gli standard universitari, l’appartamento che i tre ragazzi condividevano era piuttosto grande: tra il soggiorno e le due camere da letto c’era addirittura un corridoio di disimpegno. Giovanni aveva pianificato di utilizzare quella distanza per arrabbattare un paio di argomenti di conversazione da fare con la zia, ma si rese ben presto conto che un metro e ottanta centimetri scarsi sarebbero serviti soltanto a fargli aumentare lo stress.

In quanto giovane promessa, Giovanni sapeva che il mestiere degli scrittori era sostanzialmente rispondere a delle domande: ma mentre con un libro ci si poteva mettere anche degli anni per farlo, sua zia pretendeva che il lavoro venisse sbrigato nel tempo in cui prendeva fiato tra una domanda e la successiva.

«Ciao, nipote.»

«Ehi zia. Come—»

«Siediti, prego.»

La zia aveva la ferrea cortesia di un ufficiale di polizia. Ad un tono del genere Giovanni non era mai riuscito ad opporsi, così obbedì e si sedette di fronte a lei.

La zia Nadia poggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le dita davanti al mento. Giovanni notò che il suo braccio destro aveva evitato per un pelo la macchia appiccicosa di un caffè che Giulia doveva aver fatto almeno tre giorni prima. Si sforzò di ricambiare il suo sguardo con amichevole indifferenza, ma il massimo che riuscì a produrre fu un’aria da gatto caduto in una vasca da bagno.

La zia lo lasciò cuocere nel suo brodo per qualche secondo: poi, quando fu soddisfatta del risultato, lasciò partire la bordata.

«Perché non mi hai detto che hai scritto un libro?»

Giovanni sbatté le palpebre, instupidito. Tutto qui?

Nel mentre, la zia aveva tuffato la mano nella borsa. Ne prese un libro in formato tascabile e lo lasciò cadere sul tavolo, come la prova schiacciante in un interrogatorio.

«Imbastire una vita. Non ti facevo così esistenzialista.»

Giovanni guardò il titolo restituire la sua aria ottusa dalla copertina bianca. Siccome se l'era auto-pubblicato – e siccome voleva spendere il minimo indispensabile –, aveva deciso di unire l'utile all'intellettuale e aveva lasciato la pagina della copertina vuota – come Il giovane Holden, secondo lui, come il White Album secondo Giulia: in ogni caso, una roba di spessore. Ora gli sembrava semplicemente una cretinata.

«Beh, io...» iniziò Giovanni, contando di venire interrotto; ma la zia sembrava decisa a lasciarlo parlare, così si ritrovò senza niente da dire. «...era una prova, un esperimento– insomma, niente di particolare.»

«Tua madre mi ha detto che è molto bello» disse zia Nadia. «E che c'è un sacco di sesso. Mi trovo d'accordo solo su una delle due cose.»

Giovanni si sentì pizzicare le guance. «Diciamo che–»

«Non fraintendermi, non è male» lo interruppe la zia. «Io credo ci sia del talento, qui dentro. Sepolto sotto una valanga di coiti da ragioniere, ma c'è.»

«...coiti da ragioniere?»

«Nipote, non prendertela a male, ma la letteratura erotica non è roba per ragazzini. Non basta qualche metafora sperticata per descrivere un amplesso. La giovane Michela, qui...» disse, puntando un indice sul libro come volesse pugnalarlo «...è la tua fidanzata?»

Giovanni ora era paonazzo. «Io– beh, diciamo, dovrebbe– in teoria, è un'allegoria di–»

«Ho capito, è la tua ex fidanzata.» La zia si piegò verso di lui. «Beh, giovanotto, lascia che ti dica una cosa: se è in questo modo che l'hai soddisfatta, non mi stupisce che abbia fatto armi e bagagli e ti abbia dato il benservito.» 

Completamente rintronato dal folle procedere degli eventi, Giovanni si limitò a chiudere e aprire la bocca – come il pesce rosso che da piccolo gli era scappato dalle mani mentre gli cambiava l’acqua ed era finito sotto il mobile della cucina. Si chiese se avrebbe fatto la stessa fine, e se Giulia e Giuseppe avrebbero finito per raccogliere la sua carcassa, buttarlo nel gabinetto e tirare lo sciacquone.

«In ogni caso, il problema qui è un altro» disse la zia. «Giova’, tu puoi diventare bravo. Ma ti mancano i buchi neri sul pianerottolo.»

Un vago sorriso cretino si disegnò sul volto di Giovanni. Ormai ne era convinto: gli era andato il sangue al cervello mentre scriveva, era svenuto e ora la proiezione mentale di sua zia gli stava consegnando un messaggio da parte dei vasti reami del Subconscio. «I cosa, zia?»

«I buchi neri sul pianerottolo. Sai cos’è un buco nero, no?»

«Circa? Dei cosi che succhiano la luce, un sacco… pesanti, tipo. Nella nostra galassia ce n’è uno?» azzardò, cercando di far tornare alla mente l’anteprima di un’articolo che aveva visto distrattamente mentre scrollava la sua bacheca di Facebook.

«Al centro, esattamente. E comunque, più che pesanti li definirei densi.» La zia mise il libro davanti a sé. «Attirano dentro di loro tutto – materia, luce, spazio e tempo – e lo fanno sparire… per rimandarlo, forse, da qualche altra parte.»

«E a me manca… questo?»

«Beh, non un buco nero vero e proprio – sarebbe la fine per me, te, questo palazzo e il resto del Sistema Solare…»

«Per carità» disse Giovanni, che ormai aveva deciso di seguire la zia ovunque la demenza senile la stesse portando.

«…ma uno più piccolo sì. Un buco nero sul pianerottolo.»

«Un buco nero sul pianerottolo.»

«Esatto. Un qualcosa di invisibile, praticamente impercettibile, che però muta lo spaziotempo intorno a sé. Magari non succede niente di apprezzabile – magari il pulviscolo illuminato dal sole nella stanza comincia a muoversi in senso orario piuttosto che a caso… oppure succede qualcosa di grosso

«Tipo un drago?» si lasciò scappare Giovanni.

«Volendo» rispose la zia, senza la minima traccia di sarcasmo. «Oppure scheletri nazisti, libri maledetti, viaggi nel tempo… o semplicemente, la consapevolezza che ad un certo punto nella tua infanzia sei uscito con i tuoi amici a giocare per l’ultima volta, e nessuno di voi lo sapeva.»

Giovanni non rispose. Persino la lavatrice smise di fare rumore. 

Sembrava che tutta la casa li stesse ascoltando.

«…ok» disse alla fine. «Quindi devo… metterci più draghi?»

«Non ne ho la più pallida idea» rispose la zia. «Sei tu lo scrittore.» Gli fece un sorriso affettuoso, poi si allungò sul tavolo e gli pizzicò la guancia. «Bravo il mio Giovannino. Ora scappo» disse, rimettendo il libro nella borsa. «Non voglio farti perdere altro tempo.»

Giovanni la osservò alzarsi in piedi, issarsi la borsa sulla spalla e dirigersi verso l’ingresso.

«Zia?» disse infine, proprio quando lei stava aprendo la porta.

«Sì?»

«Grazie… credo?»

La zia sbuffò dal naso divertita. «Aspetta a farlo, nipote. Fammi sapere quando ne trovi uno.»

«Di cosa?»

«Di buco nero sul pianerottolo, ovviamente.»

E d’incanto come era arrivata, zia Nadia scomparve dalla casa.

Passò qualcosa come un minuto, il tempo necessario affinché fosse sicuro che la donna se ne fosse veramente andata. Poi, timidi come gattini, Giulia e Giuseppe uscirono dalle rispettive stanze.

«Che roba» disse Giuseppe.

«Tua zia è una tipa» disse Giulia.

«Mia zia è una tipa» ripeté Giovanni, continuando a fissare la porta d’ingresso. C’era un dettaglio che non gli tornava, una nota calante nello spartito dell’Universo. «Avete ascoltato tutto, suppongo.»

«Beh, ovvio» disse Giulia. «Non capita tutti i giorni di sentire una distinta signora di una certa età parlare di coiti da ragioniere

«E di nazisti» aggiunse Giuseppe. 

«E di viaggi nel tempo.»

Giovanni non li stava ascoltando. «Si è dimenticata di chiuderla» disse infine.

«Chiuderla?»

Si alzò, guardando la soglia di casa. Mentre si avvicinava alla porta, sentiva qualcosa crescere all’altezza dell’ombelico: un amo invisibile che lo tirava in avanti sempre più forte.

Aprì la porta, e gli parve di udire un basso coro di infinitesime voci bianche. Come se il pulviscolo di cui gli aveva parlato sua zia si fosse messo a cantare.

Poi uscì sul pianerottolo e cadde dentro un piccolo buco nero.

Giulia e Giuseppe udirono un rumore secco e morbido allo stesso tempo, come di un generoso pezzo di carne che venga sbattuto su un tagliere. Scambiandosi un’occhiata preoccupata, si affrettarono ad uscire dall’appartamento.

Appena oltre la porta, Giovanni era per terra, sdraiato di faccia sul pianerottolo.

«Presto, giralo!» ordinò Giulia a Giuseppe. «Cristo santo, se è morto lo ammazzo.»

«Come fai ad ammazzarlo se è già—»

«Giralo!»

Giuseppe si affrettò ad ubbidire. Ruotò Giovanni per farlo giacere sulla schiena, poi provò a mettergli due dita sul collo come aveva visto fare nei film – solo che mancò completamente l’arteria. «Oddio è morto davvero» sussurrò in preda al panico.

«Chi è morto?» mormorò Giovanni, riaprendo gli occhi.

Giuseppe parve aver ficcato le dita in una presa elettrica. «Maronn è vivo! ‘A criatura! Grazie San Gennaro…»

Giovanni lanciò un’occhiata perplessa a Giulia. «Perché ora parla napoletano?»

Giulia sollevò le mani, scuotendo la testa con aria sconsolata. «Piuttosto, tu che ci fai parcheggiato qui fuori? Per un attimo ho creduto che tutta quella testa all’ingiù ti avesse finalmente fatto scoppiare l’aneurisma…»

«Giulia, io non ho aneurismi.»

«Che è quello che dicono le persone prima di morirci.»

«Piantala, Giulie’» si inserì Giuseppe. «Giovanni è sano come un pesce.» Gli mise una mano sulla spalla, da vero amico. «Che ti è successo? Calo di pressione? Sei inciampato? Principio di SLA?»

«No» rispose Giovanni con insolita fermezza. Guardo i suoi amici e gli venne quasi da ridere. «Credo di essere caduto in un buco nero sul pianerottolo.»

Giovanni lo fissò per qualche istante, un’aria di amichevole fissità dipinta sul volto, poi si girò verso Giulia. «Ok, ha un aneurisma.»

«Giova’, dobbiamo preoccuparci?» fece lei, guardandolo dritto negli occhi.

«No, no, sto bene» disse Giovanni. «Senti… quanto sono stato via?»

«Intendi svenuto? Un niente tipo, sei uscito dalla porta, abbiamo sentito che eri caduto e ti abbiamo trovato qui per terra.» Gli occhi di Giulia divennero due feritoie. «Perché?»

«Perché mi è sembrato di aver viaggiato per un po’.»

«…viaggiato

«Hai assunto droghe?» si intromise Giuseppe. «Senza dirmelo?»

«Ve l’ho detto, sono caduto dentro il buco» disse Giovanni. «Chiamatela Tana del Bianconiglio, se vi fa stare meglio…»

«Non ci fa stare meglio» ribatté Giulia, gli occhi che mandavano lampi e una scintilla di panico nella voce.

«In ogni caso, ho visto un bel po’ di cose… e credo di aver capito cosa intendesse la zia. Credo che ci sia caduta dentro anche lei. In certe occasioni mi è parso di intravederla, ma non ne sono sicuro.»

Giulia scambiò un’occhiata preoccupata con Giuseppe, poi decise di tentare la linea morbida. «Va bene, Gio’. Perché non vieni dentro e ci dici cos’hai visto?»

«No.»

«No?»

Negli occhi di Giovanni brillava una strana luce. «Non mi serve dirvelo, se posso mostrarvelo

Poi corse in camera sua, prese il suo quaderno e cominciò a scrivere.

 

 






L'ANGOLO DELLA CHIACCHIERA: C'è stato un periodo in cui, ogni sera, mettevo una canzone a ripetizione e ci scrivevo sopra qualcosa (non nel senso che scrivessi proprio sulla canzone... ok, ci siamo capiti). Ora non lo faccio più, però non mi è dispiaciuto quello che ne è venuto fuori: così ho pensato di continuare in un certo modo la tradizione da queste parti. Buchi neri sul pianerottolo è una raccolta di racconti (molto spesso più -ini che -oni), pervasi di una sorta di realismo magico e – sopratutto – ambientati in Italia: perché si sa che gli UFO atterrano tutti a Londra perché hanno paura dei draghi che dormono sotto Avezzano. Non credo ci sarà una scadenza di pubblicazione: per predire il comportamento di buco nero sul pianerottolo c'è bisogno di un equazione lunga da qui fino alla Fossa delle Marianne – chilometro più, chilometro meno. Compariranno quando vogliono comparire, e spariranno altrettanto rapidamente. E forse, e solo forse, si lasceranno dietro qualcosa.
Ancora e sempre, è un piacere avervi da queste parti. Sperando di rivederci presto, tante care cose e alla prossima!

 

 

 

 

 

 

  
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