Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: 09Chia    03/10/2019    2 recensioni
Nessuno può obbligarci a fare del male, sono le regole del gioco. Qualcuno, però, ci può tentare. Quanti sarebbero in grado, davvero, di resistere?
Pleased to meet you
Hope you guess my name
Genere: Dark, Horror, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Raptus

Please allow me to introduce myself
I'm a man of wealth and taste
I've been around for a long, long year
Stole many a man’s soul and faith

 

Joe Sullivan era un brav’uomo. Non un genio -aveva preso il diploma per miracolo e aveva smesso di aprire libri giusto l’istante dopo- e non un santo: sbraitava volentieri contro i colleghi, ogni tanto, e ogni tanto esagerava con la bottiglia; un uomo come tanti, con un lavoro che se non gli regalava grandi gioie, almeno non lo aveva mai lasciato con il culo a terra; non è dir poco, visto quello che era successo a tanti dei suoi compagni delle scuole. Diamine, qualcuno si era perfino suicidato, ed era di quelli bravi. Joe aveva una moglie con cui condivideva ancora senza disgusto il caffè alla mattina e un film il sabato sera e due figli ormai alle prese con gli esami universitari: aveva pochi amici che però gli volevano bene, un conto in banca che rimaneva stabile da qualche decennio e la fedina penale immacolata. L’ultima volta che aveva bestemmiato era stato a ventitré anni, prima di conoscere Jane. La prima e l’ultima volta che aveva pensato come sarebbe stato tradire Jane era stato quando si era trovato al cinema a guardare con i suoi figli, al tempo di dodici e quattrodici anni, l’ennesimo film pieno di proiettili ed esplosioni di auto. Mentre i ragazzi avevano gli occhi dilatati dagli inseguimenti, Joe aveva lo sguardo fissato sul volto -e a volte su quello che c’era in bella vista poco più in basso- della protagonista femminile. Si era trovato a pensare che se una donna come quella fosse entrata dalla porta di casa sua, forse -forse!- avrebbe rischiato di dimenticare i voti pronunciati mentre metteva la fede al dito di sua moglie. Poi però il film era finito e Joe era tornato a casa dove Jane lo aspettava con i loro caffè e i loro film e le notti del sabato dopo al film. 

Aveva quasi cinquant’anni e da allora non aveva più sfiorato l’idea del tradimento; semplicemente, non gli era più capitato di pensarci: dopotutto, di donne come quella, non se ne incontra proprio una ogni due giorni.

Ci ripensò solo il diciassette febbraio del suo quarantottesimo anno, quando Tom, dal bancone del bar, gli indicò con un cenno e un sorriso da manette il tavolo all’angolo. Joe girò lo sguardo con aria seccata, aspettandosi l’ennesima ragazza di una ventina d’anni in meno di loro presa a scrivere al telefono mentre sorseggiava disinteressata un caffè macchiato soia o Dio-sa-quale altra diavoleria andasse di moda nell’ultimo decennio. Di solito, i sorrisi di Tom erano riservati a situazioni del genere e Joe li liquidava con un sopracciglio alzato e una scrollata di spalle.

Invece, il suo sguardo passò sul tavolo e sulla figura che lo occupava, girò verso il bancone già pronto a rimproverare Tom… indugiò, rimbalzò, tornò indietro e si fissò sul profilo della donna più bella che avesse mai immaginato.

Immaginato era la parola giusta, perché una del genere non l’aveva mai incrociata nemmeno nei fumetti sgualciti che da ragazzo teneva sotto al materasso. Una così non esisteva, era semplicemente troppo.

Se una così aprisse la porta di casa mia…

Era troppo anche per la sua fantasia e qualcosa nella testa di Joe registrò che non andava per niente bene che lei fosse così troppo. Le cose troppo brutte o troppo belle non possono esistere ed è bene che non esistano. Quando te le trovi davanti ti trovi all’inferno o in paradiso e in entrambi i casi – su questo Joe, a quasi cinquant’anni e con pochissima voglia di arrivare di fronte al volto scavato di sorella morte, non aveva dubbi – il divertimento terreno è finito: grazie per il viaggio e tanti saluti.

La donna che non poteva esistere si raddrizzò e alzò gli occhi, incrociando il suo sguardo.

Se Joe avesse l’opportunità di raccontare questa storia per conto suo, vi direbbe di non aver registrato né il colore dei capelli -lunghi, gli sembrava-, né i vestiti che indossava -forse dei jeans stretti? - né se fosse alta o bassa. Notò solo gli occhi, di un azzurro talmente chiaro da sfumare nel bianco, senza alcuna linea che evidenziasse il contorno dell’iride.

«Joe?»

La voce di Tom lo richiamò come da dietro un vetro e Joe si girò verso il barista, vagamente consapevole del fischio acuto che gli risuonava nell’orecchio destro.

Qualcuno ti sta pensando. A destra porta bene o male?

«Stai bene?»

Il sorriso di Tom se n’era andato, sostituito da un’aria a metà tra il divertito e il preoccupato «guarda che se vuoi ti mando a chiederle se vuole il conto» insinuò, poggiandogli di fronte il suo caffè.

«Sta’ zitto» sbottò Joe, buttando giù il liquido scuro in un sol sorso.

Tom incassò il colpo con una smorfia e decise di lasciar perdere. Joe si trovò ad osservare con aria assente la sua schiena, mentre lucidava i calici della sera prima e li disponeva in ordine sugli scaffali. Fece per scusarsi, mentre il fischio nel suo orecchio si attenuava leggermente.

«Mi offri un the?»

La voce gentile gli scese sulle spalle e scivolò fino alle caviglie, passando per le ginocchia che ebbero un fremito.

Joe si girò, e gli occhi azzurro bianco lo guardavano. Joe era alto: poche erano le donne -ma in realtà anche gli uomini- che nel corso della sua vita lo avevano guardato dritto negli occhi. Ora quegli occhi quasi bianchi lo guardavano di certo dal basso verso l’alto - era più bassa di lui di una buona spanna, sicuro- eppure mai Joe si era sentito così piccolo.

«Joe?» soffiò Tom, da dietro il bancone «credo che fuori ti aspettino». La sua voce sembrava tesa e preoccupata. Joe si chiese come poteva essere teso, quando a lui sembrava si stessero sciogliendo tutti i muscoli e i nervi.

La ragazza staccò un istante lo sguardo dal suo per rivolgersi a Tom: «Ci porti due the?». Fece un sorriso e Joe ne rimase abbagliato, pur osservandolo solo di lato. Dietro al bancone, Tom batté volte le palpebre, poi annuì leggermente e si mise al lavoro.

La ragazza tornò al suo tavolo e Joe la seguì, sentendosi un grosso animale ammaliato da un serpente a sonagli. Da qualche parte nella sua testa una voce gli disse che non sarebbe stata una buona cosa sedersi al tavolino, appoggiare le braccia al tavolo a cui le stava appoggiando lei e sorseggiare un the guardandola negli occhi.

Gli occhi.

Gli occhi della ragazza si alzarono ancora una volta, e i dubbi di Joe sfumarono.

Si ritrovò seduto al tavolo con una tazza di the di fronte.

A me fa schifo il the.

«Hai detto qualcosa?» chiese lei, con un sorriso talmente fulmineo che Joe pensò di esserselo sognato.

«No» riuscì a dire «solo… è un po’ strano».

Lei scosse la testa, come a chiedergli spiegazioni. «A me e Jane fa schifo il the» spiegò Joe «E però a te piace, quindi non c’è problema.»

«Preferisci altro?»

Joe alzò le spalle. Buttò giù un sorso della bevanda calda, ma non ne sentì il sapore. Avrebbe potuto bere minestra, che gli sarebbe andata lo stesso alla perfezione. La percezione di quanto contatto avesse perso con la realtà gli schiarì leggermente i pensieri e si rese conto di essere a tavola con una sconosciuta.

A bere the.

«Cosa… chi sei?»

«Mi chiamo Nat» rispose lei «e ho bisogno di te».

Joe quasi si strozzò: «Tu che cosa?» ripeté.

Nat si piegò in avanti sul tavolo e abbassò il tono della voce: «Ti giuro che lo farei io, se potessi, ma mi è impossibile».

«Capisco» rispose Joe, la mente ancora un po’ annebbiata.

«Casa tua è a un paio di isolati, vero?»

Lui annuì, mescolando con il cucchiaino il the in cui non aveva messo lo zucchero.

«Dovresti fare una cosa per me». Nat si allungò ancora, arrivando con le labbra a sfiorare la guancia di Joe. Sussurrò qualcosa, poi si ritrasse. Davanti a lei, gli occhi di Joe erano pieni di disgusto e terrore.

«Chi diavolo sei, tu?» riuscì a balbettare «Non mi puoi obbligare!». Sbottò poi, con la vaga consapevolezza di essere completamente sconclusionato.

Inaspettatamente, Nat buttò indietro la testa e rise. Dietro al bancone, Tom barcollò e urtò un bicchiere che cadde per terra.  Joe sentì un brivido percorrergli la colonna vertebrale.

«No, Joe» rispose Nat, cercando di frenare le scosse di riso che le scuotevano le spalle «Non ti posso obbligare, fa parte delle regole del gioco. Nessuno di noi ti può obbligare, sarebbe troppo semplice.»

«Troppo semplice per chi?»

«Per te, naturalmente» si fermò un istante.

Joe rinunciò a capirci qualcosa. Scosse la testa: «Non lo farò».

Nat sorrise, di nuovo e di nuovo Joe sentì che gli tremavano tutte le ossa. «Non ho intenzione di convincerti». Si alzò. «Se cambi idea, quando hai fatto, chiamami» disse «Il mio numero ce l’hai».

Joe la guardò uscire dal locale con il cervello disattivato, ancora preso a rielaborare il fiato di lei che si era rotto sulla sua guancia. Quando la porta si chiuse rimase impalato a fissarla, finché non sentì Tom che prendeva fiato e sbottava in una serie di insulti contro il bicchiere in frantumi.

 

                                                                                                                     
And I was 'round when Jesus Christ
Had his moment of doubt and pain
Made damn sure that Pilate
Washed his hands and sealed his fate

 

Joe aveva una pistola nascosta nel primo cassetto della biancheria. L’aveva comprata una quindicina di anni prima, in un periodo in cui c’erano stati un po’ troppi furti nel quartiere, e poi l’aveva nascosta nel cassetto perché Andy aveva solo due anni al tempo e Jane era preoccupata.

La pistola era rimasta sepolta sotto calzini e boxer fino alla sera del diciassette febbraio del suo quarantottesimo anno, quando Jane e i ragazzi erano fuori casa, da una zia o una cugina per il compleanno di qualcuno. Joe aveva accampato una forte nausea come scusa e quando erano usciti aveva passato un buon quarto d’ora sotto la doccia bollente.

Jane, ovviamente, non gli aveva creduto neanche per finta: aveva alzato un sopracciglio e lo aveva guardato con quell’espressione scettica che lo faceva impazzire quando avevano venticinque anni, alzare gli occhi al cielo a trenta e sbuffare dai trentacinque in su.

Adesso era seduto sul letto, mezzo svestito e con i capelli bagnati, con la pistola abbandonata sopra le coperte al suo fianco e il telefono nella mano destra. Nell’elenco della rubrica, il nome di Nat sembrava essere scritto a lettere cubitali.

Se una donna del genere entrasse a casa mia…

Se cambi idea, quando hai fatto, chiamami.

Solo il pensiero della voce di lei gli provocò la pelle d’oca. Eppure, non poteva fare quello che gli era stato chiesto: non era roba da scherzarci sopra, diavolo. Ma quel numero che lo fissava dalla rubrica telefonica era tanto, tanto affascinante. Un rimasuglio di ragionamento razionale portò Joe a chiedersi quando diamine glielo avesse dato, il numero.

Poi decise di chiamare, perché uno può essere un uomo onesto quanto vuole, può inginocchiarsi con la comunione in bocca tutte le domeniche e tenere la mano di sua moglie tutti i sabati sera dopo aver fatto l’amore, ma quegli occhi azzurro chiaro che lo guardavano da sopra la tazza di the – a te fa schifo il the! – valevano la pena di dannarsi l’anima.

Compose il numero e rimase in attesa, in apnea.

Dieci secondi.

Quindici.

«Joe?».

Se avessero avuto modo di fermarlo, di chiedergli in che momento avesse perso definitivamente il controllo, Joe avrebbe indicato questo. Quando il suo nome uscì dal telefono, sulle note armoniose della voce di Nat, seppe che avrebbe fatto qualunque cosa. Doveva rivederla.

«Nat…»

«Ti ho detto dopo averlo fatto.» Non gli piaceva la voce di Nat arrabbiata. Capiamoci, era sempre una cascata di brividi, ma era così meravigliosamente dolce, quando era felice.

«Io l’ho…»

«Non mentire, Joe» disse Nat, di nuovo gentile «perché hai chiamato?».

Joe rimase in silenzio.

Nat sospirò: «Quello che vuoi è molto vicino a te, Joe. Ti basta fare come ho detto».

Joe piagnucolò qualcosa di indistinto.

«Ti aspetto.» Nat chiuse la conversazione.

Joe rimase seduto sul letto, con il telefono appoggiato all’orecchio, il respiro affannato e la disperazione per non aver perso anche l’ultimo briciolo di lucidità.

Perché sì: aveva mezzo cervello che si era disattivato al suono della voce di Nat. Un buon 70% del restante stava cercando di ricordare come ricaricare la pistola, ma il restante 30% era presente. Relegato in un angolo, messo in condizione di non nuocere, zittito, ma presente.

E drammaticamente consapevole. Ma sono le regole del gioco.

Ma se una del genere entra in casa mia…

Joe lasciò il telefono e prese in mano la pistola.

Non uccidere.

Sistemò il caricatore.

Se solo fossi impazzito del tutto.

Tolse la sicura.

Sono le regole del gioco.

Si alzò in piedi e guardò nello specchio alla parete il viso di un assassino.

Quando hai fatto, chiamami.

Nat lo aspettava. Joe sorrise al suo riflesso, scese le scale e uscì in strada.

So, if you meet me
Have some courtesy
Have some sympathy, and some taste
Use all your well-learned politnesse
Or I'll lay your soul to waste

 

 

 

Le telefonò con la pistola che ancora tremava nella mano destra. Attorno a lui, nel locale, silenzio e persone a terra. Oh, e sangue, certo. C’è sempre un po’ di sangue, in questi casi.

Nat entrò dalla porta del locale al primo squillo, con un sorriso che era una prova concreta di quanto lei fosse troppo. Stavolta, però, Joe pensò che gli sarebbe andato bene anche il capolinea. Grazie per il viaggio, si scende. Lasciò cadere il telefono.

Ma se alla fermata mi aspetta una così, ci faccio la firma.

Si avvicinò veloce e lo baciò, mentre fuori risuonavano urla e sirene della polizia.

«Ci vediamo presto» gli sussurrò all’orecchio, dopo alcuni paradisiaci istanti, mentre si allontanava dal suo viso.

Joe riaprì gli occhi e Nat non c’era più. C’era lui, a piedi nudi, con indosso solo i pantaloni della tuta, una pistola in mano e schizzi di sangue sul torso. Un bar mezzo distrutto, cinque persone rivolte in pozze di sangue. Il cadavere di Tom, dietro al bancone, era rimasto incastrato nello spazio angusto e la sua testa colava sopra i calici che aveva pulito fino a qualche istante prima.

Un agente in divisa gli puntava contro un’arma e sbraitava qualcosa. Joe aveva le orecchie tappate.

Mentre lo spingevano in ginocchio sul pavimento e lo ammanettavano, mentre vedeva la chiazza di sangue allargarsi dall’addome di una ragazza stesa accanto a lui e sentiva la puzza di vomito di un agente piegato in due dai conati, sulle labbra gli si delineava un sorriso instupidito.

Per una così…

 

 

Pleased to meet you 

Hope you guess my name 

What's puzzling you

Is the nature of my game

 

 

 

 

Nda. La canzone è Sympathy for the Devil, dei Rolling Stones

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: 09Chia