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Autore: DavideWolfstar    06/10/2019    1 recensioni
Gilberto è sempre stato uno studente modello, orgoglio di mamma e papà, ma cosa succede quando non riesci a sostenere le aspettative tue, della società e delle persone che ami?
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: questa storia partecipa al #writober di Fanwriter.it sebbene il prompt sia stato preso da altri siti. Prompt di oggi è: fobia


Studiava tanto il suo ragazzo, era così bravo, così perfetto! Gilberto era sempre stato portato per la scuola, alle elementari aveva vinto un premio per un racconto sulla Seconda guerra mondiale, mamma Gianna era sempre stata così fiera di lui. Alle medie poi aveva partecipato alla gara di matematica, era arrivato secondo in tutta la provincia.  Al liceo la sua media era sull’otto e mezzo, l’unica materia dove non prendeva voti molto alti era educazione fisica, ma per il resto Gilberto era il primo della sua classe. Era tanto bravo e lei era così fiera di lui. Gli diceva sempre “Gilberto tu andrai tanto lontano, tu non sarai come mammà e papà. La vita ti regalerà tante gioie con quel cervello che hai.” Anche Carmelo era fiero di suo figlio, lui che aveva passato tutta una vita in fabbrica non riusciva a contenere la gioia di quel suo bambino.
 
I suoi compagni dicevano sempre un gran bene di Gilberto, sia quelli delle medie che quelli delle superiori. Era sempre così bravo, così attento a scuola e poi dava sempre una mano a tutti. Spiegava sempre agli altri quando non capivano. Ok, magari non li faceva copiare, ma era sempre molto sensibile. Giulio, però a differenza di tutti gli altri lo conosceva più bene e da più tempo. Si conoscevano dalle elementari, avevano fatto catechismo insieme, e tutti e due lo avevano odiato, avevano giocato nella stessa squadra di calcio a otto e tutti e due avevano lasciato dopo tre settimane. Giulio aveva un parere diverso dagli altri, certe volte Giulio era preoccupato. Glielo aveva anche detto, “Berto, devi uscire, divertirti qualche volta! Non succede niente se prendi un 25 una volta invece di un 30, la vita è ora.”
 
Gilberto dopo le scuole superiori era partito per Roma, una nuova città, via dal profondo sud, fino alla capitale di Italia. Aveva tante opzioni lui, gli piacevano tante cose e poi i professori, gli amici, i genitori, tutti avevano un consiglio da dargli. “Dovresti fare medicina”, gli diceva questo, “dovresti fare ingegneria, sei bravo con la matematica”, gli diceva quello. Alla fine, aveva scelto Lettere Moderne, voleva insegnare lui. Il suo primo anno all’università lo aveva passato bene, aveva tutti ottimi voti. Aveva trovato casa al Pigneto, un quartiere forse un po’ troppo vivace per un tipo come lui, ma si era trovato bene. A Natale di quell’anno aveva mostrato a tutti, su infostud, i voti che aveva preso. 28 a linguistica generale, 30 e lode a Storia della lingua italiana, 29 a Letteratura Italiana I. Tutti ottimi voti. “Bravo a mammà, tu diventerai rettore dell’università se continui accussì”. Solo Giulio non lo aveva festeggiato, lui di queste cose ne capiva parecchio. “Berto, ma dormi, vero? Sei felice? Hai qualche amico, qualche amica? Vuoi che ti venga a trovare e mi mostri Roma?”. Gilberto aveva detto che andava tutto bene, sebbene poco convinto, Giulio aveva lasciato fare, magari si sbagliava lui.
 
Erano passati tre anni da quando Gilberto era a Roma, tre anni di “studio matto e disperatissimo”, finalmente tutti gli sforzi per farlo studiare avevano dato i suoi frutti, finalmente prendeva un pezzo di carta. Mamma Gianna e papà Carmelo avevano prenotato un bed and breakfast poco lontano dall’università di Gilberto. Erano così fieri, così contenti del loro bambino. Lui li avrebbe stesi tutti quelli della commissione. E poi Gilberto era il primo in famiglia a laurearsi. Dottore Gilberto Granturco in lettere. Suonava così bene. Gianna già si immaginava a vantarsi con tutte quelle del paese. “Il mio Gilberto è dottore in lettere”. Se le figurava tutte invidiose, quelle già era tanto se avevano il figlio che lavorava in fabbrica.
 
Gianna si era comprata un nuovo vestito per l’occasione, Carmelo se lo era fatto prestare da suo fratello che faceva da custode in una villa dove i signori erano veramente ricchi e si dà il caso che il marito, quel galantuomo, aveva proprio la sua taglia. Anche Giulio era stato invitato, e anche lui era tanto felice, negli ultimi tempi lo sentiva sempre più stressato il suo Berto, ma ora finalmente si sarebbe laureato e avrebbe potuto divertirsi un po’. Aveva dei progetti Giulio per il suo Gilberto, una vacanza in Grecia, a prendere il sole e a rimorchiare tante belle ragazze. Doveva ancora comprare tutto il viaggio, aspettava lo stipendio, ma gli avrebbe dato una busta con dentro un biglietto finto fatto con photoshop.
 
Erano le 10 di mattina e si trovavano tutti davanti all’aula dove si tenevano le discussioni di laurea. Alle 10 e mezza sarebbe toccata a Gilberto, ma questi ancora non c’era. “Si vuole fare aspettare, vuole fare una bella entrata di scena, se lo merita. È proprio un bravo ragazzo.” Diceva nonna Letizia. Il tempo però passava e nessuno riusciva a contattarlo. Avevano sbagliato luogo? No, impossibile era quello là. Dieci e venticinque. “Ma vuole farci prendere un bello spavento?”  Disse mamma Gianna. “Sempre stato così biricchino.” Dieci e 35, non era ancora arrivato, e dentro l’aula avevano chiamato un altro studente. Dovevano aver capito male l’ora o la data, forse era domani? Giulio provò a chiamarlo di nuovo. Segreteria telefonica. Aveva cominciato a sudar freddo Giulio. Aveva il numero di un coinquilino di Gilberto, digitò in fretta il nome sulla rubrica. “Antonio, sono Giulio Commare, l’amico di Gilberto. Lui è là?” La risposta di Antonio non gli piacque affatto. “Che vuol dire che non vivete più insieme da tre mesi? Ma è uno scherzo, passami Gilberto. No, no che non mi calmo.” Dieci e quarantadue, Giulio aveva provato a chiamare di nuovo Gilberto dopo quella conversazione strana avuta con Antonio. Dieci e quarantacinque, papà Carmelo ricevette una telefonata. “Zitti, zitti tutti mi chiama un numero sconosciuto, forse è lui.” Dice ad alta voce rivolti a famigliari ed amici di vecchia data. “Gilberto, sei tu che chiami?” Carmelo è un pezzo d’uomo, quarantacinque anni, tutta la vita che lavora in fabbrica. È un uomo forte. Eppure, tutti lo vedono sbiancare e quasi svenire. “Ma siete sicuri? Sicuri sicuri? Lui si deve laureare, non può essere lui?” Queste le parole che l’uomo dice al telefono.
 
Sono le 10 di mattina e sono tutti presenti. Tutti vestiti di nero. Giulio si alza dalla sua panca e va all’altare a prendere la parola.
 
«Gilberto era un bravo ragazzo. Un ragazzo intelligente. Oggi dovevamo festeggiare la sua laurea, nessuno si aspettava questo finale. Mi sento in colpa, quante volte negli ultimi mesi lo sentivo strano? Gli chiedevo come andava e lui diceva “tutto bene”. Non mi dovevo fidare. A Gilberto mancavano nove esami per laurearsi, chissà come si sarà sentito. Me lo ricordo da ragazzo che studiava come un forsennato, talvolta non usciva per un mese. Doveva sempre prendere il voto più alto di tutti. Lo abbiamo ucciso noi a Gilberto, noi che non siamo stati capaci di dirgli di frenarsi, di dirgli che va bene un 18 una volta. Noi che non gli abbiamo raccontato che la vita non è solo un pezzo di carta. Berto, dovunque tu sei, mi dispiace.»
 
Non avevo molte idee riguardo al quinto prompt per il quinto giorno di ottobre. Poi mi è capitato di leggere un articolo di giornale, mi pare su The Post internazione (TPI), di un ragazzo inglese che si era suicidato il giorno della sua presunta laurea. Di storie simili negli ultimi anni ne ho lette parecchie. Credo che la narrativa serva anche a mandare messaggi forti, non so se sono stato in grado di raccontare bene questa drammatica situazione, però credo che sia un tema su cui bisognerebbe spenderci del tempo. Dovremmo smettere di mettere ansia sociale, aspettative impossibili nei nostri giovani, perché questo comporta un annullamento della persona che a volte arriva a gesti estremi e definitivi come questo. Questo genere di storie mi toccano da vicino, a quasi 28 anni mi ritrovo a dover affrontare dall'inizio un percorso accademico e nel precedente ciclo di studi universitari che ho poi rinunciato ero molto indietro e sentivo una forte pressione sociale tale che certe volte toccavo veramente momenti di forte stress, non sono mai arrivato a provare depressione né a gesti estremi, ma ci sono stati momenti in cui le difficoltà della vita extra universitaria unita a quelle universitarie mi hanno avvicinato a quell'estremità e sono stato fortunato a non andare oltre, anche perché ho fatto anni di psicoterapia e quindi avevo qualche strumento per potermi aiutare un po', spesso però le persone che soffrono questi problemi non hanno strumenti per farsi aiutare e arrivano a decisioni così' drastiche pensando di non avere altre scelte. Tutto qua, volevo solo invitare a riflettere le persone su un tema molto importante.
   
 
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